L’intreccio tra dinamiche interne e rappresentazioni esterne

In occasione della festa della Repubblica del 2 giugno 2017, la Presidentessa della Camera Laura Boldrini ha ricordato che il concetto di patria «non ha niente a a che vedere con le ideologie nazionaliste. Il nazionalismo esclude, la patria è inclusiva; il nazionalismo è aggressivo, la patria è solidale; il nazionalismo costruisce muri, mette fili spinati se possibile, il patriottismo tende la mano agli altri»1. Seppure riferita in particolare alla questione migratoria, la differenza tra patriottismo e nazionalismo esprime un concetto che può diventare una chiave di lettura interessante.

Chiunque possieda un profilo sui social media, si sarà reso conto che esiste una fetta di popolazione che accusa e attacca violentemente il Bel paese dal divano di casa. Si potrebbe obiettare che questo fenomeno esiste da ben prima della comparsa dei social media: il mondo si divide in quelli che si danno da fare per cambiare ciò che non gli piace e quelli che si limitano a lamentarsene. A colpi di like e condivisioni, i cosiddetti leoni da tastiera ne sono solo la rappresentazione più moderna. «Il nazionalismo è aggressivo; la patria è solidale»2, ha detto Laura Boldrini. Si può facilmente estendere questo concetto a tale fenomeno. L’aggressività, infatti, raramente si sposa con l’autocritica: serve piuttosto per la critica dell’altro, chiunque esso sia, straniero o oppositore politico. Nonostante la critica di un sistema sia importante per il suo progresso, essa si differenzia dalla recriminazione fine a se stessa: nel momento in cui la critica manca di un carattere introspettivo e costruttivo, rimane una vuota lamentela.

In questa prospettiva, dunque, le osservazioni critiche si appiattiscono su strutture mentali che rispondono ad una logica del “noi contro loro3, che non è certamente né introspettiva né costruttiva e si carica di aggressività.

In un mondo interconnesso che amplifica ed esagera le percezioni umane, non si può trascurare l’impatto che questo tipo di ‘attivismo’ paranoico da social media ha su un pubblico esterno. Infatti, la prospettiva di chi osserva da fuori dinamiche esclusivamente interne che non può capire appieno poiché appunto esterno alle dinamiche stesse, rimane necessariamente parziale. Non ci si può stupire, dunque, se le rappresentazioni erronee riflesse verso l’esterno vengano considerate da esterni corrispettive della realtà e diventino nel tempo stereotipi o giustificazione per tali. Denigrare aggressivamente una realtà nella sua integrità per colpirne invece solo una parte, crea impressioni sbagliate e nocive nel lungo termine.

Non esistono paesi perfetti, dove tutto funziona nel migliore dei modi: vivendo all’interno di un sistema è inevitabile rendersene conto, sia esso l’Italia o un altro paese. Tuttavia, nonostante le inequivocabili mancanze di certe situazioni, altri paesi non riflettono all’esterno un livello di negatività tanto alto come sembra fare l’Italia. Eventi come l’incendio della Grenfell Tower di Londra ci fanno aprire gli occhi su come non tutto sia ottimale, come può sembrare dall’esterno.

Dove sta, allora, la differenza tra l’Italia e altri paesi europei, che pure non sono perfetti, ma non trasmettono, o almeno non lo hanno fatto fino ad ora, percezioni così negative all’esterno? Una spiegazione a questo dilemma potrebbe risiedere proprio in quell’abitudine a fare la voce grossa senza rimboccarsi le maniche. A recriminare, senza proporre un’alternativa costruttiva. A confondere nazionalismo con patriottismo. Un atteggiamento che è anche proprio di alcuni quotidiani nazionali, che preferiscono esasperare notizie che fanno rumore attraverso uno stile di scrittura aggressivo. L’esempio dell’incendio alla Grenfell Tower di Londra, diventata in pochi giorni il centro di una retorica polemica, che incolpa l’Italia della morte dei due connazionali, accusandola di costringere i suoi giovani a partire, è anche un ottimo esempio di questo tipo di meccanismo.

Il momento della critica, quella costruttiva, è un momento essenziale, che non può e non deve mancare nel processo di sviluppo progressivo di una società. Tuttavia, per essere comprensivo e utile, deve essere principalmente una riflessione interna, in cui ci si pongono domande e si cercano risposte, deve abbandonare la logica del “noi contro loro” e l’aggressività di tale logica. Un esercizio che si può dunque identificare con il patriottismo perché inclusivo e solidale nei confronti, in questa accezione, di chi rappresenta idee diverse. Non è il momento della generalizzazione né della violenza verbale, che si identificano meglio con l’aggressività del nazionalismo, come sottolineato dalla Presidentessa della Camera Laura Boldrini.

Francesca Capano

Note:
1. Link Camera 1
2. Link Camera 2
3. In questa logica, ‘loro’ sta per chiunque non si faccia portavoce delle stesse idee ne’ rispecchi le stesse paure di chi si identifica con il ‘noi’, come se non fossimo tutti parte dello stesso sistema che cerchiamo di migliorare.

[Immagine tratta da Google Immagini]

 

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L’Italia e la sindrome di Calimero

Ogni Capodanno si ripete la stessa storia: tutti parlano di cambiamento. Ogni anno che si appresta a passare sembra lo spartiacque pronto a segnare un nuovo inizio e in effetti la “fine” dell’anno è un evento carico di un potente valore simbolico. Eppure questo 2016 che si appresta a venire sembra segnato inevitabilmente da due atteggiamenti molto differenti, c’è chi guarda ad esso con maggiore speranza e positività mentre c’è chi in esso non vede che un futuro più fosco.

In Italia l’atteggiamento segnato dall’azione e dalla voglia di mettersi in gioco sembra sempre più scontrarsi con una spinta al lamento, all’inerzia e alla disperazione. Nel nostro Paese si potrebbe parlare per una certa parte della popolazione di una vera e propria “Sindrome di Calimero”, ve lo ricordate il pulcino nero dei cartoni animati che esordiva ad ogni puntata dicendo: “Sono Calimero, sono piccolo e nero”?. Calimero appare per la prima volta nella trasmissione televisiva Carosello, la trama è abbastanza semplice: essendo caduto nella fuliggine il pulcino si sporca e diventa nero, per questo motivo non verrà più riconosciuto dalla madre. Si susseguiranno poi molteplici avventure, nelle quali Calimero verrà sempre colpito negativamente, ma grazie a un noto detersivo torna bianco, lindo e contento. Il vero problema oggi in Italia è che coloro che si sono soffermati troppo a lungo a rotolarsi nella fuliggine sembrano ormai goderne quasi in modo masochistico, d’altra parte sembra ancora distante il trovare un detersivo che “sbianchi” molte persone che sembrano ormai deluse e che si sono votate all’inazione.

La “Sindrome di Calimero” porta in seno il fenomeno ormai ampiamente noto fin dalla mitologia greca della profezia che si autoavvera, in sostanza l’asserzione per cui tutto va male implica in definitiva che le cose vadano davvero così. Esempi noti a tutti sono nella mitologia greca le vicende che investono Edipo, mentre nel teatro inglese vi è la figura di Macbeth.

Per profezia che si autoavvera riprendiamo le parole di Robert K. Merton che introdusse il concetto nel 1948:

“INTENDIAMO PER PROFEZIA CHE SI AUTOAVVERA UNA SUPPOSIZIONE O PROFEZIA CHE PER IL SOLO FATTO DI ESSERE STATA PRONUNCIATA FA REALIZZARE L’AVVENTIMENTO PRESUNTO, ASPETTATO O PREDETTO, CONFERMANDO IN TAL MODO LA PROPRIA VERIDICITA”.

Prendiamo poi il teorema di Thomas:

“SE GLI UOMINI DEFINISCONO CERTE SITUAZIONI COME REALI, ESSE SONO REALI NELLE LORO CONSEGUENZE”

La dinamica che ne consegue è che se le persone si abbandonano al lamento ripetono ossessivamente che le cose non vanno alla fin fine è proprio ciò che accade. L’atteggiamento derivante dalla “Sindrome di Calimero” ha anche profonde ricadute comportamentali e psicologiche: i discorsi sono dominati dalla critica degli altri, si crede di sapere tutto, si indulge sempre sul lato negativo delle questioni, vi è dell’egocentrismo misto a picchi di insicurezza, pessimismo cosmico, si ripete che la vita è sempre uno schifo. La qualità della vita si abbassa notevolmente e si ricade nella spirale dell’invidia che finisce per consumare molto più l’invidioso che l’oggetto dell’invidia, alla fine chi è affetto dalla “sindrome di Calimero” finisce per forgiare negativamente una esistenza priva di stimoli e votata alla rivendicazione.

Se l’Italia nel 2016 sarà dominata per l’ennesima volta da questa “Sindrome di Calimero” non potremo che aspettarci un anno scarno di opportunità e di prospettive perché come in una battuta di un vecchio film “la vita che vuoi è l’unica che avrai”, il rischio è che questi compagni di viaggio lamentosi e per i quali la colpa è sempre degli altri tirino a picco anche coloro che invece guardano all’oggi come a una base sulla quale costruire un domani migliore.

Matteo Montagner