Nozick: una meta-proposta irrinunciabile?

La serie sulla preveggenza filosofica inaugurata con Socrate prosegue con Robert Nozick, diventato famoso in filosofia soprattutto per il suo concetto di «Stato minimo», che – forse – ha già di suo del profetico.

Ma Nozick ha saputo immaginare persino di più: nel 1974, elaborò un esperimento mentale che prevedeva l’esistenza di una macchina in grado di far avere qualsiasi tipo di esperienza desiderata, attraverso stimolazioni cerebrali particolarmente raffinate e mirate. Ecco il suo funzionamento: con il corpo immerso comodo in una vasca, puoi pensare e sentire realmente di star scrivendo un romanzo capolavoro, di star facendo amicizia, di star leggendo un testo filosofico, e così via all’infinito. E come te chiunque altro: più persone possono infatti collegarsi alla macchina contemporaneamente. Per restare aggiornati sulle ultime novità e rinnovare l’assortimento dei desideri, Nozick ipotizzava la possibilità di usufruire ogni due anni di una pausa dall’immersione, anche soltanto per dieci minuti: in quel frangente, si consulta un catalogo di esperienze, che brand e imprese di vario tipo hanno stilato su misura dopo aver analizzato e aggregato le scelte di altri individui, e così si pre-programmano al meglio le esperienze dei successivi due anni – e via di seguito, potenzialmente all’infinito.

Infatti, la domanda che Nozick si e ci poneva a questo punto era: ti collegheresti a una simile macchina? E nel caso, lo faresti per tutta la vita? La sua risposta, anzi la risposta che egli attribuiva ipoteticamente alla maggior parte dei suoi lettori, era “no grazie”: a suo giudizio pochi sarebbero davvero disposti a rinunciare a una vita genuinamente reale, autentica e profonda. Addirittura, egli reputava che «collegarsi alla macchina è una specie di suicidio». E rilanciava: siccome a noi importa essere e agire bene più che “vivere esperienze”, se esistesse una «macchina di trasformazione» in grado di trasformarti nella persona che desideri essere, essa renderebbe inutile qualsiasi macchina dell’esperienza (cfr. R. Nozick, Anarchia, stato, utopia, 2008).

Insomma, vita reale batte vita virtuale – soprattutto se la seconda viene chiamata a sostituire integralmente la prima. Alcuni esperimenti hanno provato a smentire questa convinzione di Nozick, perché il fatto sarebbe non tanto che siamo attaccati ai valori autentici della vita, quanto piuttosto che non amiamo cambiare rispetto a una situazione ormai consolidata: infatti, di fronte a uno scenario inverso, nel quale si scopre di aver da sempre vissuto attaccati alla macchina e la proposta è disconnettersi da essa per tornare alla “vita vera”, la risposta prevalente resta anche in quel caso “no grazie”. Ma se, invece, il fatto fosse che le persone desiderano addirittura mettere da parte la vita reale, autentica e profonda, per entrare in un meraviglioso universo più o meno parallelo di esperienze, e non solo, a portata di mano? Come nel caso di Socrate, abbiamo a che fare con qualcuno che ci ha visto giusto, ma è rimasto come intimorito dalla propria stessa visione.

Sicuramente, c’è almeno una persona convinta che la “vita vera” non sia in realtà la nostra massima aspirazione, tanto da aver puntato tutte le fiches sul fatto che molti accetterebbero eccome un simile plug-in: è Mark Zuckerberg, che sembra aver preso talmente sul serio Nozick da dar vita (reale? virtuale?) a un ardito incrocio tra macchina dell’esperienza e macchina della trasformazione, battezzato Metaverso. Stando alle parole del suo uomo-immagine, o se preferite Dio Creatore, il Metaverso promette di realizzare in maniera definitiva «un senso realistico della presenza» e di mettere completamente al centro dell’informatica «il modo in cui le persone vogliono vivere il mondo». Con il corpo in una poltrona, mediante sensori, visori e dispositivi vari di realtà virtuali e aumentate, si apre una miriade di esperienze che già oggi vanno dal mercato immobiliare alle Fashion Week, dai concerti alle sfide a ping-pong, dalla pratica chirurgica alle chiacchierate e così via, lungo le quali è possibile costruirsi su misura i panni dell’avatar desiderato. Inoltre, per gestire il timore della FOMO, la paura di essere tagliati fuori dalle novità, non servirà nemmeno disconnettersi: basterà accedere ai cataloghi che il Metaverso stesso genererà e immetterà nel sistema in tempo reale, raccogliendo ed elaborando i dati delle esperienze e degli avatar di tutti gli utenti.

Che ne dici: accetterai il plug-in, nella buona e nella cattiva sorte, finché morte non vi separi, o la vedi come Nozick e non c’è proprio (Meta)verso? Ah, se fosse la morte a spaventarti ancora, abbi fede: i tecnici lavorano incessantemente per implementare il Metaverso affinché possa ospitare anche l’esperienza dell’immortalità.

 

Giacomo Pezzano

[Photo credit Lux Interaction via Unsplash]

la chiave di sophia 2022

Distanze ravvicinate

Una distanza materiale non potrà mai separati davvero dagli amici. Se anche solo desideri essere accanto a qualcuno che ami, ci sei già.

Richard Bach

Camminavo a passo veloce, dirigendomi verso quello che sarebbe stato il nostro ultimo incontro. Una partenza, un distacco, due come noi, incapaci di affrontare le distanze.
Quel giorno di un freddo inverno ti ho guardato, forse davvero – perché più intensamente – per la prima volta. Quando sorridi sulle tue guance appaiono due piccole fossette; quanto mi sarebbero mancati quei segni. Quanto mi sarebbe mancata la tua voce. Quanto mi saresti mancato tu. Sì, proprio tu. Succede, troppe volte, che per capire l’importanza di una persona la si debba vedere andare via, lontano da noi, in una distanza che sembra impercorribile, di qualsiasi lunghezza sia.

Non posso dire di averti detto tutto ciò che avrei voluto, quel giorno. Sono rimasta nel silenzio della tua voce, nel gioco del tuo abbraccio, per poi staccarmene con più forza. Non sentivo il freddo di dicembre, non sentivo la neve che scendeva, sentivo soltanto mancare una parte di me; la parte che ero stata nel viverti, nella nostra amicizia, nelle nostre emozioni, nel nostro amore.

Parlavi come se non dovessi partire; hai ironizzato sul fatto che avrei potuto venire a trovarti. Eppure lo sapevi, non sarei mai venuta a trovarti. Nessun problema di chilometri o miglia, è l’orgoglio a giocarmi brutti scherzi, è la paura che sento quando manifesto i miei sentimenti. Chi dei due riuscirà a dirsi per primo che sente la mancanza dell’altro? Che gioco stupido, che gioco malsano, che ironia di questi destini poco incrociati.

Ti ho salutato come se ci dovessimo vedere la settimana successiva, come d’abitudine.
Te ne sei andato dalla parte opposta, ma ho scelto di non voltarmi indietro. Ho scelto di non voltarmi mai. Di non guardarti mai più, di ricordare solo il bello che mi hai dato. Ho scelto di custodire i nostri ricordi come se fossero sacri ai miei desideri, ho scelto di diventare un’altra, perché perdere qualcuno significa perdere un po’ di noi.

Vivere le distanze, così mi piacerebbe intitolare questo stralcio di vita che ho raccontato in prima persona.

Chiunque, in un attimo, si è trovato in una situazione simile; a dover salutare chi se ne va. Amici, famiglia, amori mancati.

Fino a quel momento hai dato per scontato ogni momento vissuto con loro, fino a quel momento eravate insieme, in una dimensione da condividere senza pensare a come sarebbe andata. Progetti fatti, risate e pianti, litigi e chiarimenti: ti ritrovi a ripensare ad ognuno di questi, come se non li potessi mai più rivedere.

Non importa se sia una separazione temporanea o definitiva; al ritorno sarete cambiati, almeno questo è quello che si pensa. Un cambiamento radicale, un cambiamento che è sinonimo di divisione.

È una sensazione di vuoto, una sensazione che prende stomaco, cervello, cuore. Si può scegliere di ignorarla, si può sorridere e continuare la propria routine; ma per qualsiasi sciocco motivo, anche tra i più banali, qualcosa, nella nostra giornata, ci ricorderà quella persona. I particolari meno visibili ci appaiono come grandi evidenziatori per ricordarti quella distanza che, a discapito di ogni previsione, lega.

Non c’è rassicurazione che tenga, non c’è conforto. E non c’è whatsapp, non c’è Skype, non c’è iMessage e non c’è FaceTime che tengano.

Non si può portare a cena con un telefono. E nemmeno in una serata tra amici o all’orario aperitivo.

E pensare che quando eri in compagnia di quella persona i cellulari vi distraevano tanto, pensare che il messaggio a cui dovevate rispondere era di vitale importanza. E adesso, ripensando a quei momenti, il cellulare lo butteresti nel primo tombino disponibile. Metteresti un cartello in fronte con scritto “Non disturbare, devo stare con una persona importante”.

Importanza, ecco la parola chiave. La distanza amplifica l’importanza di una persona così come la vicinanza sembra annullarla. L’importanza si dovrebbe dimostrare ogni giorno, in ogni gesto e in ogni occasione. Senza remore, senza sconti. Senza Twitter, Facebook e compagnia bella.
A piccole dosi e a gesti plateali. L’importanza delle persone a cui teniamo va celebrata. Nei modi più disparati, nelle manifestazioni più istintive.

Ed è a questo punto, forse, che la distanza può essere capace di costruire. Un’amicizia può diventare lunga una vita e un amore può acquisire la lettera maiuscola. I legami sono fatti per essere vissuti, momento per momento, in una dimensione presente che non si incrocia col futuro finché quest’ultimo non diventa il nostro momento. L’occasione di vivere quella persona, di sentirla parte di noi, di respirarla. Le occasioni non diventano naturalezza se non sappiamo sfruttarle.

Le distanze si accorciano perché siamo noi a farle diventare brevi. Le persone non perdono il proprio posto, se noi per primi riusciamo a tenerlo stretto.

Un anno dopo

Era passato un anno da quello che avrebbe dovuto essere il nostro ultimo incontro. La stessa atmosfera natalizia, la stessa città, le stesse luci. Camminavo a passo lento, camminavo sorridendo, sentivo battere il mio cuore. Ti ho guardato come se non fosse passato il tempo, ti ho guardato, per la seconda volta, intensamente.
Mi hai stretta forte, ringraziandomi di essere rimasta a custodire la nostra lontananza.
Soltanto allora l’ho capito; non te n’eri mai andato, eri soltanto entrato nel mio cuore per uscirne fisicamente in un inaspettato – seppur atteso – giorno caldo di dicembre.

Cecilia Coletta

[Immagini tratte da Google Immagini]