Le “Lezioni americane” di Calvino sono la porta alla contemporaneità

Il XXI secolo è sinonimo di complessità: negli ultimi vent’anni, infatti, la realtà si sta palesando attraverso molteplici aspetti e sfumature e la velocità d’esecuzione dei processi in atto è maggiore rispetto al passato. Basti pensare alla globalizzazione, che ha portato radicali cambiamenti e nuovi rapporti di forza, a livello economico, culturale e sociale, all’interno dei singoli stati nazionali. Una trasformazione che oggi la politica come le grandi corporazioni economiche fanno fatica a gestire. Per questo occorre essere sempre più lesti di fronte alle opportunità che ci vengono offerte e d’altro canto sempre più flessibili alle problematiche vigenti: dal riscaldamento globale fino al disgregamento delle strutture sociali. È come se ci trovassimo nella più moderna stazione ferroviaria della storia, con infiniti treni in partenza, uno dietro l’altro: perderne alcuni può essere fatale come ugualmente prenderne altri.

Calvino ne era consapevole, quando scrisse le Lezioni Americane. Sei proposte per il nuovo millennio. Con lungimiranza ci offrì una sintetica, e non per questo banale, sintesi di quello che sarebbe avvenuto. Siamo nel 1985, in vista del ciclo di sei lezioni che Calvino fu invitato a tenere all’Università di Harvard, peraltro il primo italiano a partecipare come professore estero dalla fondazione della scuola americana. All’invito non seguì la presenza dello scrittore a causa della sua improvvisa morte; per questo l’opera rimase incompiuta, mancante del capitolo sulla Coerenza.

Calvino volle esporre delle lezioni sulla leggerezza, la rapidità, l’esattezza, la velocità e la molteplicità nei riguardi nel futuro prossimo, partendo da famosi frammenti letterari. In seguito, come completamento dell’opera, volle racchiudere gli auspici per il nuovo millennio in nome della coerenza. Come a dire: vi insegno cosa avverrà ma anche come prestarvi al nuovo mondo.
Le due lezioni che credo rappresentino al meglio la nostra vita alla luce del nuovo millennio sono quelle sulla Rapidità e Molteplicità.

«Nella vita pratica il tempo è una ricchezza di cui siamo avari; in letteratura, il tempo è una ricchezza di cui disporre con agio e distacco»1.

Così scrive Calvino nella lezione sulla rapidità: ci vuole far riflettere sul rapporto che intercorre tra la velocità fisica e la velocità mentale, cioè tra tempo reale e tempo immaginario. Tutto, «in un’epoca in cui altri media velocissimi e di estesissimo raggio trionfano, e rischiano d’appiattire ogni comunicazione»2, sembra scivolarci tutto dalle mani, mostrando la nostra incapacità di poter comprendere veramente ciò che accade. E, forse, ebbe ragione Umberto Eco quando scrisse che «la cultura [e saggezza potremmo aggiungere] è la capacità di filtrare le informazioni»3. Nell’ ottica di Calvino, quella si identifica con la capacità di porre un giusto equilibrio tra il tempo reale e il tempo della mente. Infatti, continua Calvino, «il secolo della motorizzazione ha imposto la velocità come un valore misurabile […] ma la velocità mentale non può essere misurata e non permette confronti o gare»4.

È però importante fare molta attenzione: lo scrittore dà immenso valore alla velocità, come fece a sua volta per la leggerezza nella prima lezione dell’opera. Le sue conferenze, infatti, non vogliono in nessun modo screditare i dettami contemporanei, in quanto li reputa, per l’appunto, fondamentali. L’insegnamento non si ferma, dunque, alla critica o alla divisione di concetti, bensì mira alla consapevolezza dell’uomo contemporaneo in riferimento al rapporto tra sé e il mondo.

Sulla molteplicità, invece, Calvino scrive:

«La letteratura vive solo se si pone degli obiettivi smisurati […]. Da quando la scienza diffida dalle spiegazioni generali e dalle soluzioni che non siano settoriali e specialistiche, la grande sfida per la letteratura è il saper tessere insieme i diversi saperi e i diversi codici in una visione plurima»5.

Questo è il rapporto che dobbiamo avere nei confronti della molteplicità del mondo: «tessere insieme i diversi saperi»; in altre parole, saper convivere con innumerevoli e differenti esperienze, spesso in contrasto tra loro. Utile in tal senso può risultare l’intervento di Giorgio Colli – filologo e filosofo italiano – che scrisse che «il mondo moderno è una molteplicità frantumata»e con esso dobbiamo confrontarci.       

In conclusione, Calvino cerca di instaurare un nesso forte tra il libro, la persona e il mondo: «il self di chi scrive […] è ciascuno di noi come combinatoria d’esperienze, d’informazioni, di letteratura e d’immaginazione»7.  Ogni vita è, dunque, un’enciclopedia che deve misurarsi con altre biblioteche immaginative e pratiche: gli altri. La realtà, dopotutto, è in noi e per noi. Saremo in grado di preservarla?

 

Simone Pederzolli

 

NOTE
1. I. Calvino, Lezioni Americane, Milano, Mondadori, 1985, p. 53.

2. Ivi, p. 57.
3. U. Eco, cit. da una lezione tenutasi all’Università di Pisa il 16 settembre del 2004.
4. I. Calvino, op. cit., p. 61.
5. Ivi, p. 112.
6. G. Colli, Presentazione, in B. Spinoza, Etica, Torino, Bollati Boringhieri, 1992, p. 89.
7. I. Calvino, op. cit., p. 121.

[Photo credit XVIIIZZ via Unsplash]

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6 proposte per il nuovo anno. Una riflessione dalle lezioni americane di Calvino

In questo mio primo articolo dell’anno, vorrei iniziare con il piede giusto e parlare di buoni propositi. Ognuno avrà già la sua personalissima lista di obiettivi bene in mente, la mia sarà quindi una riflessione più generale, perchè in realtà preferisco rovesciare il concetto di proposito e parlare piuttosto di insegnamenti, di valori. Ecco, se dobbiamo ricominciare con un nuovo anno, meglio farlo con una valigia attrezzata ma leggera, solo l’essenziale. Il resto lo buttiamo. Liberiamoci di quello che non ci serve e sviluppiamo invece le nostre armi migliori, gli strumenti idonei per affrontare quello che verrà con consapevolezza e spirito critico. Facciamo  spazio a quei valori che ci permettano di allenare lo sguardo, per essere più attenti e aperti a nuove prospettive.

Io ora qui ne propongo sei, di valori sui quali puntare, e me li indica il grande Italo Calvino: le sue Sei proposte per il nuovo millennio, o anche Lezioni americane (ciclo di conferenze che si sarebbero dovute tenere a Harvard nel 1985), sono suggerimenti preziosi. Anche se di millenni nuovi all’orizzonte ancora non se ne vedono, abbiamo pur sempre un nuovo anno a cui pensare.

Oltre a essere incredibilmente attuale, il testo di Calvino è un ottimo spunto di riflessione sui valori della comunicazione, del linguaggio e della letteratura. I suoi sei attributi da “salvaguardare” possono essere delle ottime indicazioni per chi della comunicazione e della narrazione ha fatto un mestiere, in questo articolo, però, vorrei generalizzare e considerare le sei proposte di Calvino come spunti creativi validi per tutti.

1. Partiamo dalla leggerezza, il primo valore della letteratura sul quale Calvino decide di soffermarsi. A cosa ci serve la leggerezza? A semplificare, a dare valore alle piccole cose, ad allenare una certa sensibilità alla meraviglia.
Per questo, essere leggeri di fronte a certe questioni dell’esistenza ci aiuta a cambiare prospettiva sulle cose.

Attenzione però a non confondere leggerezza con frivolezza, perché quest’ultima non riflette un pensiero, ma solo un guscio vuoto.

2. Continuiamo con la rapidità. Inizialmente non capivo quale potesse essere il valore offerto da questo attributo. Se nell’attuale società dell’immediato manca qualcosa è proprio un rinnovato gusto per la lentezza, di tutto ciò che è veloce forse ne abbiamo abbastanza.
Importante però dire che l’autore sottolinea più volte come un attributo, nella sua definizione, includa anche il suo opposto. Perciò, se Calvino loda le virtù della rapidità, è perché prende coscienza del valore della lentezza (questo vale anche per tutte le altre lezioni). La rapidità è prima di tutto agilità, pensiero intuitivo e istante creativo, rivelazione. Si tratta anche di una questione di ritmo, Calvino parla di due tempi, quello di Mercurio, divinità dai calzari alati, e quello di Vulcano, divinità dell’operosità lenta e concentrata. Ogni storia, ognuno di noi, deve saper trovare il giusto equilibrio tra i due.

3. L’esattezza è la terza lezione, ed è un invito ad appassionarsi al linguaggio, a restituire alle parole il loro giusto valore, facendo attenzione alle sfumature di significato, cercando sinonimi, riscoprendo la bellezza delle metafore. Anche l’indefinito necessita di un lessico esatto e Calvino, a dimostrazione di questa tesi, ci porta l’esempio di Leopardi nello Zibaldone e la sua visione dell’infinito che trova espressione in una descrizione accurata e precisa.
Il valore dell’esattezza, uscendo dai confini letterari, è la capacità di definire obiettivi e di perseguirli con determinazione, di dare forma alle nostre idee e di esprimerci correttamente, diversificando e valorizzando i nostri canali di comunicazione.

4. La visibilità, nel senso in cui Calvino ne parla, è la potenzialità del testo di farsi immagine. Oggi potremmo intendere questo attributo come visione, capacità immaginativa, che per l’autore è un’abilità necessaria e intrinseca dell’essere umano.
La costruzione può avvenire dal testo scritto all’immagine o viceversa: è così che funziona il pensiero. Calvino,infatti, preoccupato, si domanda se bombardato dalle immagini come avviene al giorno d’oggi l’uomo non vada incontro a una perdita delle sue capacità immaginative (e questo nel 1985, chissà cosa direbbe ora). In assenza di un “vuoto” c’è ancora spazio per l’immaginazione? Lascio la domanda aperta.

5. Ultimo capitolo è quello della molteplicità, che l’autore intende come conoscimento plurale. Una riflessione particolarmente adatta alla realtà odierna in cui le informazioni si diffondono e si condividono attraverso la rete. La biblioteca di Babele di cui parlava Borges è ormai il web (anzi su internet esiste davvero). Addirittura, le parole di Calvino ci aiutano a valutarne tutto il potenziale: internet come lo spazio del sapere diffuso, condiviso e libero. Certo, la realtà delle cose è ben diversa, ma ciò non ci vieta di sfruttare al meglio gli strumenti che abbiamo a disposizione. Anche perché, quello che Calvino essenzialmente fa in quest’ultimo capitolo è dichiarare tutto il suo amore per la letteratura, che ancora oggi non ha perso la sua funzione di integrare e connettere le diverse conoscenze, offrendo una visione plurale del mondo:

«il sapere scientifico necessita d’essere contestualizzato e incluso in una prospettiva filologica, storica, critica, umana. Altrimenti, è un valore vuoto».

Ampliando il discorso, credo che questa lezione ci inviti a essere sempre curiosi, critici, lettori affamati, ma anche a non sottovalutare, anzi, a valorizzare, tutte le nostre esperienze e il nostro background culturale.

6. La sesta lezione purtroppo Calvino non è riuscito a concluderla e a noi resta solo sotto forma di bozza e appunti. Non sapremo mai se con il titolo consistency (nell’originale compare solo il termine in inglese) volesse far riferimento alla sua accezione di coerenza o di consistenza vera e propria. Possiamo prendere come spunto entrambe le definizioni: essere consistenti in quello che facciamo e coerenti con noi stessi, che significa essere disposti al cambiamento senza però perdere di vista i propri valori.

Con la consistenza terminiamo le sei lezioni. Questo articolo non vuole certamente essere un’analisi esaustiva del bellissimo e complesso saggio di Italo Calvino, ma una rilettura personale, sperando che possa essere d’ispirazione e motivo di riflessione. Perché le parole di Calvino sono incredibilmente attuali e, leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità, molteplicità, consistenza, possono essere ancora oggi delle ottime chiavi di lettura del mondo che ci circonda.

 

Claudia Carbonari

 

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La questione del suffragio universale

In questo ultimo periodo caratterizzato da referendum e votazioni mi sono sorpreso da ciò che questi fatti producevano al mio interno: la messa in discussione della valenza del suffragio universale.
Inizialmente pensavo fosse causato dal mio orrore mentre ascoltavo i resoconti delle affluenze così basse, delle interviste e degli autorevoli pareri di esperti. Successivamente, però, mi sono reso conto che – analizzato logicamente dal punto di vista teorico – forse una discussione attorno alla sua necessità debba essere intavolata, almeno per essere sicuri di accettarlo consapevolmente e non per comune abitudine.

Il suffragio universale è uno dei capisaldi della democrazia, introdotto in Europa nel corso dell’Ottocento – nonostante per un periodo di tempo brevissimo sia stato adottato anche nella Francia post-rivoluzionaria. Esso esprime gli ideali democratici in maniera massima: ognuno vale uno, cioè ognuno è uguale, ogni opinione ha lo stesso peso, ogni desiderio ha la stessa importanza di ogni altro. Non ci sono restrizioni: non c’è ceto, etnia, censo, genere, orientamento sessuale che tenga.
Concentriamo il nostro sguardo sull’unica discriminante: è necessario aver raggiunto la maggiore età per poter esercitare questo diritto. Quindi: per votare, è necessario avere un’età minima.
Ora mi chiedo: e perché non si è presa in considerazione anche un’età massima?
La questione è molto meno banale di quello che sembri, basti osservare cosa è successo nel Regno Unito recentemente: la parte “vecchia” della popolazione ha imposto il Leave alla nuova generazione, che aveva votato compatta per il Remain (75%). Non sto esprimendo giudizi su chi avesse ragione e chi torto, sto semplicemente analizzando un fatto: chi non vedrà i risultati del proprio voto ha imposto il futuro a chi, invece, subirà le conseguenze (positive o negative che siano) di questa votazione.
Stesso discorso per quanto riguarda, invece, due non-restrizioni: il grado di istruzione e il bagaglio di informazioni. Queste due variabili, infatti, condizionano pesantemente le nostre scelte. Guardando sempre alla “Brexit” per comodità temporale, la differenza tra zone rurali e grandi città come Londra è molto evidente.
Con ciò, di nuovo, non sto dicendo che una delle due sia nella ragione ed una nel torto, sto analizzando semplicemente dei dati.

Il problema non è di facile soluzione, perché ha a che fare con il Tutto, nel suo rapporto con la molteplicità.
Inoltre, il suffragio universale, mi sembra che presupponga se stesso nella sua accettazione: una ipotetica votazione che abbia come oggetto l’adozione o meno del suffragio universale come metodo di voto deve per forza di cose essere già aperta a tutti, e quindi esso si troverebbe già ad essere il metodo di votazione.

Un inizio di soluzione può essere intravisto alla base del sistema.
La questione non è la diversità di opinione a cui il suffragio universale dà voce; anzi: essa è ciò che permette l’essere di uno stato democratico. L’anello debole della catena è la volontà subdola di creare o trasformare opinioni negli/degli altri, di allarmare, di terrorizzare, di deviare l’attenzione verso capri espiatori. Ciò fa gravemente ammalare la validità del suffragio universale, che diventa una semplice facciata: un nome per coprire gli intenti demagoghi e populisti e un mezzo per realizzarli.
La cura, a mio modo di vedere, prevede una medicina politica ed un per la società.
La prima dà voce a come sia necessario avere la capacità critica di scegliere quali decisioni debbano essere espresse dal collettivo e quali dalla rappresentanza di esso. Con il nostro voto, infatti, scegliamo i nostri rappresentati, ai quali diamo la nostra fiducia. E una delle sezioni all’interno di questa fiducia è la speranza che scelgano per noi il meglio, a fronte di una capacità politica che noi non possediamo. Questo determina delle scelte in cui la nostra voce di popolo non conta, perché è appunto espressa dalla rappresentanza, o comunque essa tenta di raggiungere i migliori risultati possibili per la collettività.
La seconda ha a che vedere con la buona informazione.
Può essere un’utopia, in un mondo dominato dalla Rete; in cui ogni notizia è praticamente istantanea e priva di filtri, in cui si fa a gara a chi pubblica per primo una notizia, in cui i dettagli non contano: ciò che importa è il titolo (al quale una buona parte del pubblico si ferma senza andare oltre).
Ma una buona informazione è uno – se non il – presupposto perché il suffragio universale sia espressione del popolo e non di opinioni condizionate.

Massimiliano Mattiuzzo

[Immagine tratta da Google Immagini]

Uno, molti, Goethe

Di Goethe si sono scritte montagne di libri, di conseguenza il mio articolo non vuole soddisfare lo studioso quanto pungolare il curioso. Per fare ciò mi occuperò di un tratto particolare di una delle innumerevoli tematiche possibili, ossia la dialettica fra unità e molteplicità, vale a dire tra arte e vita, nel poeta e nella poesia. Si avverte infatti una tensione forte che attraversa non solo il contenuto degli scritti ma anche la forma, non solo il gusto del poeta ma anche le scelte. Lo stile, in ogni opera consolidato e guidato da mano esperta, varia; si alternano la prosa, ponderata dal ritmo audace e insieme sobrio, e la poesia, dalla vocazione universale, grandiosa ed eternante. Questa è la chiave della grandezza di Goethe, grandezza che investe in tutto l’uomo e le sue mille forme.

 
Goethe miscela con studiata sapienza elementi provenienti da molteplici tradizioni spingendo le sue radici più a fondo. Dapprima, come si narra nel romanzo di formazione ”Gli anni di pellegrinaggio di Wilhem Meister”, viene l’interesse per il dramma e il teatro, per Shakespeare, per la classicità greca e latina accompagnato da una storicamente precoce sensibilità a leggende e miti tedeschi ed europei, fino ad approdare in oriente. Questa eterogeneità di modelli può risultare di difficile utilizzo persino da colui che se ne serve, esponendolo sempre al pericolo dell’eccesso, ossia del kitsch. Ad esempio, un orecchio mediamente allenato può notare l’intrinseca disorganicità del Faust eppure deve ammettere che l’insieme è di felice riuscita come poche opere dello spirito umano. L’opera, che nasce come parodia di un certo ambiente accademico, subisce nei sessant’anni di gestazione l’influsso delle mille forme assunte dal poeta, venendo a rassomigliare al frutto di un popolo più che di un solo uomo, di un’esplosione di forze più che di accumulo. Di contro abbiamo i dolori del giovane Werther, opera giovanile, scritta di getto in uno sforzo quasi estatico di sole quattro settimane: ferita d’amore ancora brutalmente aperta. E ancora le liriche, i trattati di estetica, scienze naturali e architettura. Chi mai si aspetterebbe che il grande poeta stimasse tanto Pacioli da definire la sua scoperta, la partita doppia, un massimo risultato dell’umanità [1].

 
Se finora si sono mostrati gli elementi di molteplicità mostriamo ora la tendenza accentratrice: Goethe fu al contempo colui che tuonò “non devono prevalere” in riferimento alle nascenti tendenze romantiche: come un Giove respingeva e vinceva l assalto dei giovani titani portandoli al silenzio. Poiché l’arte è ciò che si erge solida sul tempo, essa non può permettere di essere superata. La maledizione contro i romantici, esula il diretto obiettivo e minaccia la possibilità estetica del nuovo. Desertificando l’arte contende a sé il mondo, e la forza del poeta diviene sommo pericolo. Questa tendenza totalitaria è in lui accompagnata talvolta da una tolleranza che sa poco di umanesimo e rassomiglia più al silenzio dell`icona del dio invocato nella preghiera; ai molti giovani adoranti che gli si presentavano, egli non volle dar la soddisfazione del consenso e al più si limitava con un certo imbarazzo ad esortare ad uno studio frequente e solerto.

 
Goethe, l’uomo preso da questa tensione, dovette sforzarsi all’armonia e all’equilibrio, fu abbastanza savio da scindere il Werther da sè, ossia l’arte dalla vita, si servi dell’ironia per autodifesa. Il poeta uscirà vincente: sprezzante potrà invitare l’umanità a seguirlo senza rompersi il collo.

Francesco Fanti Rovetta

[immagine tratta da Google Immagin]

 

NOTE

[1]Fra Luca Benedetto da Pacioli (1445-1517), si occupò di teologia, matematica e teoria economica. In quest’ultimo campo fu inventore della partita doppia, tecnica che agevola il conto di entrate ed uscite, adottata oggi in tutto il mondo.