Cos’è l’AfD, chi l’ha votata e come sta reagendo la Germania

<p>immagine da google immagini</p>

Uno studente italiano migrato in Germania cerca di spiegare meglio l’AfD, il partito tedesco di estrema destra protagonista del momento.

 

La stampa italiana, sull’onda di quella tedesca, ha dato una narrazione quasi unilaterale di queste elezioni in Germania, sottolineando il grande risultato dell’AfD (Alternative für Deutschland), che ha ottenuto il 12,6% ed è quindi cresciuta dell’8% rispetto alle ultime elezioni. Per una sorta di tacito accordo poi tutti i giornali italiani hanno iniziato a connotare l’AfD come “ultradestra”. Suppongo che il termine dovrebbe evocare qualcosa di enorme e mostruoso, ma in realtà non significa quasi niente. Se ve li immaginate come dei cloni della Lega di Matteo Salvini vi sbagliate. Il leader del partito Alice Weidel ha un dottorato in economia, è lesbica con una compagna di colore e due bambini; non proprio un ritratto simile a Salvini insomma. Tuttavia lo stesso partito ha come figura di spicco anche Alexander Gauland (che invece ricorda Salvini anche fisicamente, solo un po’ più anziano e avvinazzato), il quale subito dopo la vittoria ha aizzato la folla al poco rassicurante grido di “Wir werden sie jaggen” ovvero “le (alla Merkel) daremo la caccia”.

Due figure che rappresentano bene le due anime del partito. Da un lato il volto più arrabbiato e popolare, che raccoglie i voti delle classi povere ad Est, dall’altra la faccia più rassicurante che intercetta l’insoddisfatta borghesia del Sud. Per capire meglio la Germania e il suo voto forse occorre comprendere meglio queste due classi. L’Est è stato il più grosso bacino di voti dell’AfD, con una media del 22,5% dei voti. Se lo si somma al 17,4% della Linke, partito di sinistra radicale, si nota che quasi il 40% della popolazione ha dato un voto di protesta contro il governo: evidentemente quell’immagine della Germania ricca e felice che ci viene proposta non è vera ovunque.

Diversa è la situazione a Sud, dove i voti sono stati meno (intorno al 12%) e sono arrivati per lo più da ex elettori della CDU. La borghesia benestante (e non troppo colta) delle cittadine della Bavaria e del Baden-Württemberg non ha digerito la politica migratoria della Merkel, che ha fatto entrare troppe persone senza imporre sufficienti controlli e regole di integrazione. In realtà in questi paesini l’immigrazione si è vista più alla tv che sentita sulla propria pelle, ma notizie come quelle delle violenze di Colonia la notte di Capodanno sono state sufficienti. Se la Lega in Italia tende ad indicare nell’immigrazione la causa della povertà e della mancanza di aiuto dello Stato, l’AfD, agendo in un paese più ricco, usa una strategia diversa, mirata a difendere i valori tradizionali (qua potete vedere un esempio di una loro pubblicità, che fa abbastanza ridere se non si pensasse che ha avuto così successo).

afd-manifesti_la-chiave-di-sophiaNell’ordine i manifesti recitano: “Nuovi tedeschi? Facciamoceli da soli”, “Burka? Io preferisco il Burgunder” (vino tedesco, ndr), “L’Islam?” Non si adatta alla nostra cucina”.

La vera vittoria dell’AfD comunque non è nei numeri; perché il 12,6% consente di essere un’opposizione con una voce forte, ma non di cambiare gli equilibri del paese. La vera vittoria è la completa monopolizzazione del dibattito pubblico. Giornali e tv parlano solo più di come affrontare in parlamento l’AfD. Un settimanale serio e di qualità come die Zeit su internet fa ironia da terza media sulla notizia che il Guardian indica nei suoi grafici l’AfD con il colore marrone invece dell’abituale blu. La Merkel nel suo primo discorso dopo il voto ha già subito annunciato che bisogna riconquistare i voti dell’AfD e imporre controlli più forti sull’immigrazione. Insomma la Germania è confusa e impaurita e questo non potrà che portarla più a destra, là dove l’AfD vuole. Peccato perché in realtà di queste elezioni si potrebbero fare anche delle letture alternative a quella che incorona l’AfD: il quarto mandato di fila di Angela Merkel, che cala ma si conferma in un momento di crisi mondiale in cui una flessione era inevitabile, il voto degli under 25, che è andato molto più ai Verdi che all’AfD…

Lorenzo Gineprini

[Immagine tratta da Google Immagini]

 

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Chi siamo per parlare di giustizia morale? L’immigrazione ci svela i nostri limiti

Tutti parlano di migranti. Tutti vogliono esprimere il loro giudizio a riguardo. Oggi provo anch’io a dire la mia, e ad organizzare in qualche riga i miei ingarbugliati pensieri.

Come prima cosa vorrei mettere al bando ogni tipo di giudizio di valore che è stato formulato in merito a questa vasta e complicata questione. Io credo che affrontare il dibattito a suon di “è giusto accogliere”, “è giusto rimandare a casa” non sia affatto efficace. In particolare, ciò che mi sembra fallace è lo stesso coinvolgimento della sfera della Giustizia. Perché non limitarci ai soli dati di fatto? Perché deve esserci per forza una Verità a riguardo?

L’intero processo storico è stato marcato da fenomeni di emblematica rilevanza; credo che possa essere elevata a tale anche l’ondata immigratoria che negli ultimi tempi si è posta con così tanta determinazione al cospetto della nostra attenzione e delle nostre sensibilità. È banale affermare che una migrazione di una così vasta portata (che coinvolge persone provenienti da svariati paesi, e spinte a partire da svariate motivazioni) sia una delle sfide più imponenti che finora si siano mai presentate nella lista delle cose da fare dei cosiddetti paesi “avanzati”. Una sfida che però li coglie (e forse, ci coglie) impreparati. Ma d’altronde, come si può essere pronti a gestire una tale emergenza? Forse arrabbiarsi con i vari organismi statali e con l’Europa tutta è superfluo: chi ha mai immaginato una situazione come questa?

La Storia, inoltre, non insegna! La Storia offre chiavi di lettura, parametri di confronto, strumenti; ma non fornisce alcuna soluzione. Ecco perché non mi piace, in quanto anacronistico e dunque totalmente inutile, associare il fenomeno immigratorio attuale con altri avvenuti in passato. L’unico punto in comune tre i migranti di oggi e quelli di ieri è il ritrovarsi costretti a partire, a lasciare il proprio luogo di origine. Indipendentemente dagli ideali politici, questo fattore dovrebbe toccarci tutti, in quanto cittadini e in quanto uomini. Mi auguro (e voglio sperare) che nessuno sia capace di rimanere indifferente di fronte alle notizie e alle immagini che quotidianamente fuoriescono dalle pagine dei giornali, dagli schermi televisivi, o addirittura dagli stessi telefoni che con costanza ed ossessione stringiamo in mano. Ma ciò che veramente fa la differenza, tra ieri ed oggi, sono le congiunture sociali, politiche e soprattutto economiche. Ed è questo il vero punto decisivo, in quanto influisce non solo sull’elaborazione delle strategie politiche volte a regolare il grande flusso umano, ma anche sulla nostra percezione di quanto sta accadendo. Questo punto, a mio parere, è tanto decisivo quanto spaventoso: il migrante, letto alla luce delle sovrastrutture che inevitabilmente condizionano il nostro pensare, viene scorporato della sua dignità e viene percepito come minaccia. Minaccia alla nostra “perfetta” e “pacifica” società; minaccia alla nostra economia; minaccia al nostro già travagliato mondo del lavoro. L’empatia, l’elogio dell’interculturalità, lo spirito di fratellanza, l’altruismo, talvolta vengono messi in ombra e soffocati. Ma infondo, è davvero legittimo condannare del tutto un tale atteggiamento, seppur di chiusura si tratta?

Io non ho risposte, e con queste righe non ho voluto esprimere alcun giudizio di parte. Ho cercato di descrivere la situazione così come appare ai miei occhi forse inesperti; ma soprattutto ho cercato di evidenziare la problematicità intrinseca ad ogni ragionamento in materia di immigrazione. Mi premeva il desiderio di stimolare la riflessione al dubbio e all’ignoto, perché troppo spesso riscontro un abuso delle etichette “moralmente giusto e quindi buono”, “moralmente sbagliato e quindi da denigrare”. Chi siamo noi per parlare autenticamente di giustizia morale?

Federica Bonisiol

[immagine di proprietà de La Chiave di Sophia]