Fisica estrema. Intervista a Gian Francesco Giudice del CERN

Al confine tra Svizzera e Francia, alla periferia ovest della città di Ginevra, si trova il più grande laboratorio al mondo di fisica delle particelle. Un complesso sotterraneo di sette acceleratori chilometrici, concepiti e costruiti per portare i nuclei degli atomi e altre componenti subatomiche a energie elevate, per osservare in queste condizioni estreme il loro comportamento e comprendere qualcosa in più sul funzionamento dell’universo. Si tratta del CERN di Ginevra, l’organizzazione europea per la fisica nucleare. All’interno di questa struttura lavora Gian Francesco Giudice, scienziato a capo del dipartimento di fisica teorica. Siamo riusciti a raggiungerlo, per gettare grazie alla sua testimonianza uno sguardo verso i limiti della fisica. E provare a riflettere su cosa ci sia oltre.

Ma non solo: il sulla nostra rivista La chiave di Sophia #7, dedicata al tema dell’esperienza del bello, abbiamo costruito assieme a lui un dialogo per cercare di esplorare i legami inaspettati tra il mondo della fisica e la contemplazione estetica. Un articolo per chi è incuriosito dai modi in cui gli approcci di scienza e arte possono contagiarsi l’uno con l’altro.

Quando ci si avvicina ai concetti scientifici di cui si occupa un ente di ricerca come il CERN si prova una vertigine, come se ci si avvicinasse ai limiti della fisica, prossimi ai confini di uno dei campi dello scibile umano. Uno scienziato come lei, abituato a occupare la frontiera in questo continente inesplorato cosa vede nel futuro della scienza nel campo della fisica?

Senza dubbio, la ricerca sviluppata al CERN si situa ai confini della conoscenza umana. Proprio per questo è difficile prevedere cosa ci sia oltre quei confini. L’LHC, il grande collisore di particelle del CERN, sta operando con successo e sta raccogliendo una grande quantità di dati che verranno analizzati negli anni a venire. C’è enorme curiosità di capire cosa si possa dedurre da quei dati. E in tante parti del mondo ci sono esperimenti molto diversi che esplorano i fenomeni estremi dell’universo. Ho la sensazione che nuove scoperte rimescoleranno presto le carte della nostra comprensione della natura, ma c’è una grande incertezza su quale sia l’indizio giusto che farà scaturire la scintilla.

 

La fisica teorica maneggia oggetti e concetti in modo spesso distante dalla nostra esperienza quotidiana: concezioni contro-intuitive di spazio, tempo e materia, quelle nozioni che sembrano così basilari, scontate e solide. Rimanere immerso in un mondo in cui lo sforzo intellettuale richiede fluidità rispetto a idee tanto basilari, è faticoso?

La scoperta paradossale è che i concetti apparentemente contro-intuitivi di spazio, tempo e materia che incontriamo nel mondo delle particelle descrivono la vera realtà. È lì, in quel mondo lontano dalla nostra percezione, che scopriamo la vera essenza della natura. Quello che la nostra esperienza sensoriale ci suggerisce essere la realtà è solo una confusa immagine distorta dalla complessità del mondo macroscopico. Un fisico, nel suo lavoro, è sempre confrontato con la realtà fisica della meccanica quantistica e della relatività, che è lontana dalla nostra innata intuizione basata sull’esperienza sensoriale di esseri umani. Per questo nel nostro lavoro usiamo spesso analogie che ci permettono di visualizzare in modo più concreto (almeno per un essere umano) la pura realtà astratta.

 

L’importanza di sapere di non sapere, e l’idea che la filosofia come amore per il sapere nasca dalla meraviglia sono due tra i ritornelli più diffusi in campo filosofico. Forse la meraviglia nasce proprio per contrasto da uno stato di non-sapere, di ignoranza che viene illuminato con una nuova prospettiva e visione del mondo. Sicuramente il CERN ha portato nuova conoscenza, ma cosa ci sta permettendo di scoprire che non sappiamo? Di cosa potremo meravigliarci?

Più progrediamo nella conoscenza, più ci scontriamo con nuovi enigmi e nuovi dubbi. È sempre stato così nella scienza. Si dice che le ultime parole del matematico e astronomo Pierre-Simon Laplace, prima di morire, fossero: “Quel che conosciamo è poca cosa, quel che ignoriamo è immenso”. Oggi non siamo in una situazione molto diversa da allora. Le domande che ci poniamo oggi sono diverse da quelle che si ponevano gli scienziati al tempo di Laplace, ma non sono meno. Anzi. Mi faccia fare alcuni esempi. Il 95% del nostro universo è fatto di una forma di materia o energia che non abbiamo ancora identificato. I valori misurati delle masse delle particelle elementari restano ancora un mistero, così come la loro struttura ripetitiva. Eccetera, eccetera. Quel che conosciamo è ancora poca cosa…

 

Oggi sempre di più si pone il problema di come comunichiamo quello che conosciamo. Delle dinamiche della condivisione del sapere scientifico. I processi della scienza si scontrano anche con dubbi e critiche di diversi attori sociali. Quali sono secondo lei le ragioni per questa perdita di fiducia?

La diffusione dell’informazione su internet, aldilà degli infiniti vantaggi, ha purtroppo parzialmente distorto il significato di conoscenza. Affermazioni di qualsiasi tipo sono messe sullo stesso piano. False tesi possono facilmente ottenere credito e rapidissima diffusione. La scienza, che non si misura in numero di “Like” o visualizzazioni, ne paga il prezzo. Tuttavia, io sono ottimista e credo che, alla lunga, il valore della scienza rimarrà saldo. Non c’è dubbio che la scienza rimane il culmine della nostra civiltà.

 

Ci tolga una curiosità, forse più intima: qual è il suo sogno scientifico nel cassetto?

Ci sono tante domande di cui sarei curiosissimo di sapere la risposta. Domande sull’origine delle particelle, sulla nascita dell’universo, sulle leggi fondamentali. Dubito che durante la mia vita avrò le risposte a tutte queste domande. Forse il mio sogno sarebbe quello di viaggiare nel tempo, cento anni nel futuro, comprarmi un libro sugli ultimi sviluppi in fisica, e poi tornare indietro ad oggi. Mi divertirei un mondo a leggere quel libro e farmi matte risate delle idee completamente sballate perseguite oggi dai miei colleghi.

 

Un’ultima domanda. Cosa pensa della filosofia?

E’ una domanda delicata per un fisico. Molti fisici vedono la filosofia come un antiquato e inadatto modo di comprendere la realtà. Mi faccia citare alcuni tra i più grandi fisici teorici. Richard Feynman: «La filosofia della scienza è utile agli scienziati quanto un libro di ornitologia può esserlo per gli uccelli». Steven Hawking: «La filosofia è morta perché i filosofi non hanno mantenuto il passo con i moderni sviluppi in fisica». Steven Weinberg: «L’irragionevole inefficacia della filosofia» (parafrasando la famosa espressione di Wigner: «L’irragionevole efficacia della matematica»).  In realtà, la fisica è figlia della filosofia, da cui ha ereditato il pensiero logico. Nella formulazione delle sue teorie, un fisico è sempre influenzato dal pensiero filosofico, anche se il metodo scientifico finisce sempre col riferirsi all’osservazione sperimentale. La sua domanda mi ricorda che venerdì prossimo devo parlare al simposio annuale della Società Filosofica Svizzera e non so ancora cosa dire. Mi vengono i brividi a pensare che devo parlare di fronte a un pubblico di filosofi. Meglio che torni al mio lavoro. La ringrazio per la chiacchierata.

 

Matteo Villa

 

[Photo Credits: www.jotdown.es]

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Woody Allen a pezzi nel paese delle meraviglie. L’ideale della Wonder Wheel

Non solo Alice ma anche Woody Allen, in balìa del proprio estro creativo inconfondibile – ma ormai, e proprio per questo, piatto e in frantumi – nel paese delle meraviglie. Quando? Dove? A partire da Natale 2017 al cinema, su una Wonder Wheel, titolo del suo ultimo film, prodotto e distribuito da Amazon Studios, nelle sale italiane come La ruota delle meraviglie.

Dopo il raffinato e malinconico Café Society, il regista del celebre capolavoro metacinematografico ‒ e in generale metacreativo – Harry a pezzi rimescola le medesime tessere del puzzle del proprio genio giocando questa volta in minore, scegliendo di indagare il dramma delle piccole vite di uomini e donne in equilibrio precario alla ricerca della montaliana «maglia rotta della rete», di uno squarcio di luce.

Coney Island. Anni Cinquanta. La ruota del Luna Park gira variopinta nel suo infinito cromatismo edulcorato sulle note di un motivetto jazz quando entra in scena una prosperosa e smarrita Juno Temple, figlia del gestore di una giostra, Humpty – interpretato da Jim Belushi ‒, in fuga dall’entourage del marito mafioso.

Sarà proprio questa ragazzina dai boccoli biondi poco più che ventenne, Carolina, a turbare gli ingranaggi perfetti e fragili del tourbillon de la vie di Coney Island, dove il vedovo Humpty vive con una cameriera quarantenne, Ginny, una macbethiana Kate Winslet, sposata in seconde nozze e con il figlio di lei, il decenne Richie ‒ verso cui gli spettatori provano spontanea simpatia.

Richie è un piccolo ribelle, bimbo intelligente che non frequenta la noiosa scuola estiva per andare al cinema e appiccare fuoco e che fa la domanda giusta al momento giusto alla persona giusta: chiede infatti alla madre, insoddisfatta, melodrammaticamente evasiva e isterica, cosa si intenda con il modo “condizionale”.

Per Ginny il condizionale è forse un barlume di sana irrazionalità, una medesima onda nuova e coccolante come quell’antico scialle a paillettes da ex attrice ancora indossato ripetutamente a casa: Mickey – interpretato da Justin Timberlake – il bagnino ‒ in inglese lifeguard ‒ lo studente universitario aspirante drammaturgo e voce narrante, un’amletica possibilità di fuga dal reale, dal meccanismo asfittico della Wonder Wheel.

Lungi dal fare la morale, se La Marea, ovvero il ciclo dei Vinti di Verga, si regge, anche, sul noto ideale dell’ostrica, l’ultima pellicola di Allen potrebbe farsi portatrice dell’ideale della Wonder Wheel, ruota delle meraviglie simile alla ruota del criceto, allegoria della vita, precaria e in labile equilibrio su marchingegni ignoti, schizofrenici e schizomorfi di «un chimico demente» ‒ per citare Dualismo di Arrigo Boito.

Humpty e Ginny sono legati da una relazione non certo di amore, ma di affetto, forse e quasi esclusivamente da parte di lui, e di aiuto reciproco: entrambi ex alcolisti, nevrotici e violenti, hanno cercato di rimettere in ordine i loro cocci aguzzi di bottiglia e di risalire sulla Wonder Wheel, una delle quali è gestita dal buon Humpty che come passatempo va a pescare con gli amici, attimi di luce nel vortice della ruota.

La vita e l’evasione, il presente e il condizionale, l’appartamento e la scena del teatro, la ruota delle meraviglie e la meraviglia, la sonnolenza o lo stupor, inteso come il ratto degli dei, l’acqua e il fuoco: Woody Allen si immerge con disincanto, genialità e leggerezza in una comune tranche de vie, con un piglio psicanalitico tuttavia eccessivo, con un lirismo tragico euripideo nauseante ma ben dosato con la trama e il risultato è una pellicola-arcobaleno, un film che nel riflettere la fisiologia del colore, indaga la cognizione del dolore.

Dire di “no” al baratro: è forse questa la terapia di vita? Quel “no”, ad esempio, sussurrato fino alla fine da Ginny al costante invito del marito ad andare a pescare, con la leggera brezza del vento tra i capelli e lo sguardo fisso. Oppure il fuoco di cui è portatore il piccolo Richie, appiccato ovunque, dagli androni dei palazzi allo studio della psichiatra, contro il sistema della Wonder Wheel, simbolo della purificazione e di quel piccolo qualcosa che arde e che deve continuare ad ardere.

Concludo riflettendo sulla meraviglia che si prova, insieme alla catarsi propria dei film di Allen, usciti dalle sale cinematografiche. La ruota delle meraviglie: un film breve e tutto sommato nuovo, chiaro e che suscita un piccolo riso amaro facendo sentire le cose insensibili e vedere le invisibili, un’allegoria di se stesso – secondo le parole del Tesauro nel Trattato della metafora inclusa nel Cannocchiale aristotelico – che suscita appunto «maraviglia, la qual è una reflessione attenta che t’imprime nella mente il concetto».

 

Rossella Farnese

 

[immagine tratta da google immagini]

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Contemplare la bellezza, non possederla

Ma molta bellezza c’è qui, perché dovunque è molta bellezza

Rainer M. Rilke, Lettere a un giovane poeta

 

Quante volte dinanzi allo spettacolo del reale, oltre a sperimentare timore e meraviglia (thauma), ci sentiamo travolgere dall’intensità incomparabile della bellezza dell’universo che ci circonda e che abbiamo la fortuna e la responsabilità di abitare? Come naufraghi giunti a riva con molta fatica ci sentiamo spossati, dopo essere stati travolti dalle onde della bellezza che vorremo contenere tutta intera. La bellezza è come un oceano infinito, che non possiamo dominare, ma tutt’al più navigare. Un’immensità che ci è data in dono affinché la possiamo contemplare, non possedere.

Il tentativo profondamente umano di porsi di fronte alla bellezza del mondo e volerla inconsciamente possedere, conduce ad uno spaesamento e alla realizzazione dell’impossibilità stessa di fagocitare tutta la magnificenza dentro di sé. È un tentativo vano, che porta ad un totale sfinimento, ad una frustrazione della propria capacità filosofica e spirituale di rapportarsi con la realtà. Il passaggio necessario che ciascuno di noi può compiere è proprio quello dal desiderio di possedere, di inglobare la bellezza dentro di sé come fosse un oggetto, al contemplarla nella sua concreta impalpabilità.

Quando le persone intraprendono un percorso filosofico o psicologico di conoscenza di se stesse, spesso vengono invitate a ristabilire un equilibrio nel proprio rapporto con la bellezza della realtà. Avere un’ottima relazione in questo senso significa cogliere la ricchezza di significato dell’esistenza. Tale passaggio non è però automatico, richiede un lungo e paziente lavoro interiore che può portare ad un rapporto Io-bellezza, del tutto nuovo. Urge qui una vera e propria rivoluzione copernicana che cambi la modalità di relazionarsi al mondo e al suo fascino.

Etty Hillesum, scrittrice olandese morta ad Auschwitz, nel suo cammino etico-psicologico-spirituale descrive questo passaggio dalla dimensione del possedere la bellezza, alla dimensione del contemplarla, come una tappa fondamentale per ristabilire un proficuo e edificante contatto con se stessa e con la realtà. Un movimento che si riflette nella possibilità sempre presente di attingere positività dal reale. Nel proprio Diario, la giovane ebrea olandese, esprime la consapevolezza di che cosa significhi il desiderio di possedere la bellezza. Scrive: «Una volta, se mi piaceva un fiore, avrei voluto premermelo sul cuore, o addirittura mangiarmelo. La cosa più difficile era quando si trattava di un paesaggio intero, ma il sentimento era identico. Ero [..] troppo ‘possessiva’ provavo un desiderio troppo fisico per le cose che mi piacevano, le volevo avere»1. Il punto di partenza è il desiderio di possedere, di incorporare la bellezza, con il risultato opposto che Hillesum descrive lucidamente: «Trovavo tutto talmente bello che mi faceva male al cuore. Allora la bellezza mi faceva soffrire e non sapevo che farmene di quel dolore […] In fondo io mi ubriacavo di un paesaggio simile, e poi mi ritrovavo del tutto esaurita. Mi costava un’enorme quantità di energie»2. In questi passi del Diario, la scrittrice olandese, si esprime al tempo passato. Sì, perché descrive una modalità disfunzionale di rapportarsi alla bellezza, che ha consapevolmente scelto di abbandonare in favore di un rinnovato atteggiamento: la contemplazione interiore. L’unica disposizione capace di cogliere la bellezza sempre presente, è l’accoglienza silenziosa e non giudicante nella propria stanza interiore. Il passaggio è decisivo per la qualità della propria esistenza, perché ci permette di essere sempre in contatto con la bellezza originaria e gratuita dell’universo. Il movimento verso un approccio differente è espresso da Hillesum con indicibile chiarezza: «Ma quella sera […] ho reagito diversamente. Ho accettato con gioia la bellezza di questo mondo di Dio, malgrado tutto. Ho goduto altrettanto intensamente di quel paesaggio tacito e misterioso nel crepuscolo, ma in modo, per così dire, ‘oggettivo’. Non volevo più possederlo»3 e poco oltre prosegue scrivendo: «quel paesaggio è rimasto presente sullo sfondo come un abito che riveste la mia anima»4. L’atteggiamento contemplativo è dunque una nuova possibilità di interagire con il mondo. La possibilità di essere sempre in contatto con la bellezza, che fa da sfondo alla nostra esistenza. Un’occasione di sperimentare la bellezza senza farsi travolgere da essa, cavalcandone dolcemente le onde, poiché la si accoglie con un atteggiamento di pura ammirazione.

Il cambiamento può dirsi avvenuto, quando l’atteggiamento possessivo ha definitivamente lasciato il posto a quello contemplativo. Il mutamento è così descritto da Etty Hillesum: «Mille catene sono state spezzate, respiro di nuovo liberamente, mi sento in forze e mi guardo intorno con occhi raggianti. E ora che non voglio più possedere nulla e che sono libera, ora possiedo tutto e la mia ricchezza interiore è immensa»5. Queste parole testimoniano che il desiderio di possesso è sempre un limite che poniamo fra noi e l’altro, fra noi e il mondo. Esso è ostacolo a se stesso se cerca di incorporare la magnificenza di quanto ci circonda. Tanto più lo rinforziamo tanto meno percepiamo la bellezza. Essa si rivela solo ad un atteggiamento di pura contemplazione che è al contempo atteggiamento di pura consapevolezza nei confronti di se stessi e del mondo.

La bellezza è da sempre presente, percepirla e accoglierla è determinante  per la qualità della nostra vita. Si tratta però di accettare la necessità del cambiamento interiore che Etty Hillesum ha lucidamente descritto a parole e incarnato con la vita. Il passaggio, liberante e edificante, dal possedere al contemplare.

 

Alessandro Tonon

NOTE:
1. HILLESUM, Diario, tr. it. di C. Passanti e T. Montone, Milano, Adelphi, 20133, p. 58.
2. Ivi, p. 58.
3. Ivi, p. 58.
4. Ivi, p. 58.
5. Ivi, p. 59.

 

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La meraviglia dell’album illustrato. Intervista ad Anna Castagnoli

Anna Castagnoli, illustratrice, autrice e teorica dell’album illustrato per bambini, con il suo blog Le figure dei libri, è da anni in prima linea nella comunicazione della cultura del libro per l’infanzia. Da poco è uscito il suo ultimo libro Il manuale dell’illustratore, Editrice Bibliografica.
In questa intervista ci invita a esplorare il mondo dell’album illustrato, a capirne il linguaggio. E scopriamo come la filosofia sia anche il modo naturale di un bambino di vedere le cose, facendosi sempre domande.

Come ti sei avvicinata al mondo dell’illustrazione e perché hai deciso di scrivere un blog su questo tema?

Ho iniziato a vent’anni proprio per caso, mia madre aveva scoperto i corsi d’illustrazione estivi a Sarmede e mi propose di partecipare. Poi però ho fatto tutt’altro: mi sono laureata in filosofia e ho lavorato nel sociale, mantenendo comunque la mia passione per la scrittura, il disegno e la poesia. Verso i trent’anni qualcuno ha visto le mie illustrazioni e mi ha detto che era un peccato non continuare, è stata la spinta che mi serviva: sono tornata a Sarmede e ho deciso di dedicarmi completamente agli album illustrati. Ho scoperto un mondo dietro ai libri per l’infanzia che non conoscevo e che riuniva tutte le mie passioni: il racconto breve, l’arte, le immagini, il tutto in un linguaggio destinato ai bambini, quindi forse con un filtro più dolce che però mi emozionava.

Per quanto riguarda il blog, invece, il merito è di mio marito. Lui è sempre stato più “tecnologico” di me, così mi spinse a realizzare questo progetto, Le Figure dei Libri, nel quale analizzo diversi tipi di album infantile e do alcuni consigli ad aspiranti illustratori. Il poter condividere con altre persone la mia passione, l’interazione con i lettori, la loro accoglienza entusiasta, mi hanno stimolata a investire sempre di più sul blog; questo mi ha aiutata anche a darmi un’organizzazione, a essere puntuale, ad avere una progettualità. Ho sempre scritto con un punto di vista molto personale, appoggiandomi alla storia dell’arte, all’estetica, ai miei studi di filosofia. E alla fine il blog mi ha permesso di costruire una carriera.

In questi anni ho visto come ci sia davvero molta gente interessata a capire come funzionano le immagini, credo sia una tendenza destinata a crescere. Diventa importante riuscire a tradurre la cultura visiva in un linguaggio semplice, il blog è un mezzo molto utile in questo senso.

 

Di che tipo di linguaggio parliamo quando ci riferiamo all’album illustrato infantile?

Mi sono chiesta a lungo se il linguaggio dell’album avesse una specificità.

Credo che la comunicazione dell’album si possa riassumere nel cercare di utilizzare un linguaggio molto mimico e poco simbolico. Ci sono diversi tipi di illustrazione, ed effettivamente quella destinata al mercato editoriale adulto si carica spesso di significati simbolici, usa cioè molto la metafora. Invece nell’album per bambini la messa in scena è semplice, quasi teatrale, rivolgendosi a un pubblico che può essere anche a digiuno da riferimenti culturali. Dal punto di vista della pura percezione, l’immagine dell’album punta ad attivare i neuroni specchio, un particolare tipo di neuroni molto antichi, quelli impiegati nel riconoscimento delle emozioni e del corpo. È quindi un linguaggio molto più immediato, che però magari un bambino capisce subito e un adulto no, perché sulla sua capacità percettiva agiscono diverse sovrastrutture.

Poi c’è l’integrazione tra testo e immagini. Nella storia della letteratura c’è stata una vera e propria evoluzione fino al linguaggio dell’album illustrato così come lo conosciamo oggi. Per esempio, le fiabe tradizionali, come quelle di Perrault, non erano pensate per essere illustrate; successivamente la scrittura per album ha delegato alle immagini gran parte delle informazioni, ma le due dimensioni, il testo e l’illustrazione, devono essere complementari nella creazione del significato complessivo del libro. Facendo questo lavoro mi sono accorta di come in realtà ci sia una scarsissima cultura dell’immagine, spesso si pensa che con un libro illustrato il bambino impari meno, invece non si tiene conto di quanto il bambino possa fare esperienza nell’assimilare linguaggi diversi.

 

In questo periodo si è assistito ad un vero e proprio boom del libro illustrato per bambini, come te lo spieghi?

Credo che il mercato per bambini in realtà non sia mai stato in crisi, proprio perché è un settore nel quale si risparmia meno, oltre al fatto che leggere è una fase dell’educazione e della crescita assolutamente necessaria. Però, secondo me, questa rapida esplosione del mercato editoriale per bambini non è proporzionale alle vendite effettive.

Poi si può parlare anche di reazione generale al mondo digitale, perché comunque l’album illustrato è un oggetto che ti offre il gusto della scoperta sensoriale. Un po’ come il ritorno al vinile per i nostalgici. D’altronde ci vorranno ancora molti anni prima che si sviluppino dei linguaggi capaci di sfruttare e integrarsi appieno con il sistema di comunicazione digitale, come per ogni grande rivoluzione tecnologica. In questa fase di transizione c’è comunque il bisogno di appoggiarsi ancora a degli oggetti, e, soprattutto, il bambino ha bisogno di poter sfogliare un libro.

Anche i blog credo abbiano fatto il loro lavoro. Alcuni, per esempio, si propongono di aiutare maestre e genitori a capire come utilizzare al meglio gli album, quindi c’è probabilmente anche un rinnovato e diffuso interesse pedagogico alla base di questo sviluppo.

 

Come si costruisce un album illustrato?

L’album illustrato è un’opera creativa totale, che conta nella sua progettazione con l’aiuto di diversi attori: accanto all’illustratore e all’autore, hanno un importanza fondamentale l’editore, il grafico, la tipografia… tutto il libro va pensato nel suo insieme perché funzioni, non basta accostare delle immagini a un testo. E in questo senso il lavoro più importante è quello dell’editore, che agisce proprio come un grande regista, cercando di trovare un punto di incontro tra illustratore e autore, e integrando i due diversi linguaggi.

 

Che cos’è lo stile in un album illustrato? Quanto conta a livello di comunicazione?

Sicuramente lo stile segue delle mode, ad esempio alcune illustrazioni degli anni Ottanta forse oggi risulterebbero un po’ kitsch, ma credo che questo sia più un discorso per adulti che per bambini. Lo stile è certamente importantissimo, è un canale nel quale si riversa tutto il codice culturale dell’immagine, ma non è detto che il lettore bambino ne colga le diverse sfumature, perché magari non ha ancora elaborato un sistema di lettura o sostrato culturale che lo aiuti a decodificare tale immagine. Quello che il bambino riceve deve essere l’emozione, un elemento che accenda la sua curiosità, l’album deve trasmettere una certa emozione al di là della tecnica usata come medium.

Sul lato formale, oggi c’è una ripresa dell’estetica del primo Novecento, dove predomina il bianco. L’album in effetti nasce come spazio della pagina bianca, quindi penso che le preferenze siano un po’ cicliche.

Poi, personalmente, ci sono album che trovo esteticamente molto belli ma che magari mi lasciano fredda, trovo molto più interessante quando emerge qualcosa di inconscio e una certa sfumatura non del tutto ragionata.

 

Dopo la laurea in filosofia, come sei riuscita a conciliare questa disciplina con la tua attività di autrice, illustratrice e critica?

La filosofia mi ha insegnato a esercitare il pensiero, a costruire un ragionamento logico e ad arrivare a delle conclusioni attraverso l’analisi. Un metodo, quindi, che mi è utile non solo a livello lavorativo ma anche nella vita di tutti i giorni. Mi piace anche il fatto che non ci siano delle risposte, come per gli album, preferisco quando la domanda resta aperta, lasciando qualcosa su cui indagare.

Privilegiare le domande alle risposte è un sistema che nella progettazione di un libro infantile permette di evitare un discorso troppo retorico, che sarebbe poco fertile dal punto di vista creativo. La filosofia partecipa proprio nel modo in cui si usa la creatività per parlare di certi temi a un bambino. Sempre offrendo uno stimolo a farsi domande e ad essere curioso. Ti racconto questo aneddoto, perché spiega tutto: tempo fa ho letto La grande domanda di Wolf Erlbruch a una bambina; alla fine del libro ci sono due pagine bianche sulle quali il lettore deve scrivere la sua risposta, ma in realtà questa grande domanda non viene mai detta in tutto il testo. Ecco, lei scrisse “una cosa ci ha creati”, al che rimasi piuttosto sorpresa sapendo che la famiglia non era affatto religiosa, quindi mi decisi a indagare e le chiesi “e perché ci ha creati?” e lei rispose “è la grande domanda!”. Aveva perfettamente capito il senso del libro.

 

Proprio il farsi domande, un esercizio che appunto la filosofia ci insegna, è in qualche modo legato al concetto di meraviglia. Un’emozione che secondo me l’album illustrato può portare sia a bambini che ad adulti, e che credo sia fondamentale per conoscere il mondo. Che cosa significa per te questa parola?

Ho un ricordo molto vivido che posso portare ad esempio: mia madre alla finestra con dei pezzetti di vetro in mano. Me li mostrò sotto un raggio di luce dicendomi che erano pietre preziose. Sento ancora quella sensazione data dal luccichio delle pietre, dalla mano di mia madre che si schiude, dalle sue parole. Questa è per me la meraviglia, profondamente connessa al concetto di bellezza, o meglio, alla scoperta della bellezza. Molto diversa dal sublime, dove invece ti poni di fronte a qualcosa già con una certa predisposizione. La meraviglia è qualcosa che trovi dove non te l’aspetti. È certamente un’emozione più naturale per un bambino, per il quale ogni cosa è nuova, una scoperta.

Secondo me, poi, ha anche un significato legato alla semplicità, sento che è un’esperienza capace di restituirmi una certa armonia. La meraviglia di fronte alla bellezza dell’arte, per esempio, riflette una specie di ordine cosmico che quando lo riconosciamo ci riassetta. Lo vedo anche nei miei corsi: all’inizio i miei allievi sono spaventati e disegnano male, poi piano piano si rilassano, provano, sbagliano, fanno scoperte e i loro lavori risultano quindi più armonici.

 

Hai dei suggerimenti di lettura che ti piacerebbe condividere, magari tra le tue scoperte più recenti?

Recentemente ho letto Sole luna stella, testo di Kurt Vonnegut e illustrazioni di Ivan Chermayeff, un libro pubblicato negli Stati Uniti negli anni Ottanta, e ora edito in Italia da Topipittori. Lo trovo bellissimo perché è un testo che parla della nascita di Gesù in senso totalmente laico. Tutta la storia è narrata dal punto di vista del neonato che apre gli occhi e impara a vedere il mondo e riconoscere le luci e le forme.

Anche Dimodochè, di Gek Tessaro, Edizioni Lapis. Un libro semplicissimo che dà il senso del piacere del lavoro, della creatività, del costruire… mi ha fatto pensare un po’ alle Città Invisibili di Calvino.

E poi, uno degli ultimi che ho recensito nel blog, Il Viaggio Incantato di Mitsumana Anno, di Emme Edizioni: un delicato racconto senza parole di un lungo viaggio intorno al mondo, dentro alla nostra cultura e attraverso il nostro immaginario fantastico.

Come libro di studio sull’album illustrato mi è piaciuto molto Il bambino estraneo. La nascita dell’immagine dell’ infanzia nel mondo borghese, di Dieter Riechter. Un saggio che parla della storia dell’infanzia, ovvero di come il bambino venga concepito all’interno della società borghese, attraverso un’analisi storica della letteratura infantile. Ci dà la misura di quanto l’idea di una società d’infanzia influenzi tutta la produzione editoriale per bambini e viceversa.

Infine, un classico di ricerca estetica, da leggere assolutamente: Per una semiotica del linguaggio visivo, di Meyer Shapiro.

 

Claudia Carbonari

 

Immagine di copertina: Anna Castagnoli durante il corso da lei tenuto a Sarmede. Fonte: Martina Cavaglia

 

 

Maggio 2017: una fioritura di eventi e festival

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Siamo ormai a primavera inoltrata e le giornate sono piacevolissime da passare all’aperto. Sono molte le città che ci offrono un buon motivo per uscire di casa, anche con iniziative culturali. A maggio fioriscono i festival culturali e letterari da Nord e Sud: l’offerta è varia ma il filo rosso sembra essere solo uno: la necessità di riscoprire il valore di ciò che ci interessa come essere umani. Vediamo insieme ciò che di meglio e di originale ci offre il nostro Paese per il mese di maggio.

 

festival-diritti-umani-2017LOMBARDIA| Festival dei diritti umani | Milano 2-7 Maggio 2017

Ogni parola ha conseguenze. Ogni silenzio anche.
La Triennale di Milano ospita la seconda edizione del Festival dei diritti umani dal 2 al 7 maggio 2017, organizzato da Reset con il patrocino della Presidenza della Camera dei deputati, del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, della Città Metropolitana di Milano, del Comune di Milano, dell’Ordine degli Avvocati di Milano e di Amnesty International.
 
L’attenzione per quest’anno è sulla libertà di espressione, questione sempre più delicata e complessa, come dimostrano i fatti di cronaca internazionale: chiusure di giornali, incarcerazioni di giornalisti, i limiti del web e dei social network, in molte (troppe) nazioni manca ancora totalmente il diritto di liberà di pensiero e di comunicazione.
«La libertà d’espressione non ha frontiere, neppure in quest’epoca in cui la grandezza del mondo può essere rimpicciolita nello schermo del nostro smartphone. La libertà d’espressione è fatta di parole e azioni.» Il festival, articolandosi tra incontri, documentari, mostre, convegni e conferenze con le scuole, vedrà numerosi ospiti, molti dei quali giornalisti e giuristi.
 
Un Festival che sottolinea la necessità di interrogarsi sui confini fragili della libertà di espressione: da un lato il diritto fondamentale da riconoscenza ad ogni uomo e donna del mondo, dall’altro l’abuso di tale di diritto che sfocia in minacce, offese, bullismo e cyberbullismo.
L’ingresso al Festival dei Diritti Umani è libero, fino ad esaurimento posti.

Programma completo: qui

home2017_festivalVENETO | Rovigoracconta | Rovigo 4-7 maggio 2017

Da giovedì 4 maggio a domenica 7 maggio, Rovigo si colora di libri e musica, con il festival Rovigoracconta, giunto alla sua quarta edizione, organizzato dall’Associazione Culturale Liquirizia.
 
Cerca la meraviglia è il filo conduttore di questa nuova edizione che porta musicisti, scrittori e teatranti a invadere le piazze e le vie del centro storico di Rovigo. Una quattro giorni che vedrà numerosi ospiti importanti nel panorama culturale nazionale e locale: Andrea Scanzi, Mauro Corona, Luca Bianchini, Red e Chiara Canzian, Nicolò Fabi e molti altri.
 
Progetto inedito, pensato e creato per Rovigoracconta al quale hanno deciso di prendere parte Manuela Dago, Francesca Genti, Francesca Gironi, Alessandra Racca e Silvia Salvagnini, cinque poetesse italiane che hanno accettato la sfida di redigere il nuovo manifesto della poesia femminile italiana.
 
Programma completo: qui
 
17991334_1659833024326511_1881037850217348481_oVENETO | Gourmandia, le terra golose del Gastronauta | S. Lucia di Piave TV 13-14-15 Maggio
 
La materia come veicolo del gusto con i tanti artigiani e chef presenti alla seconda edizione di Gourmandia. Dal 13 al 15 maggio 2017 all’Ex Filanda di Santa Lucia di Piave (Treviso) ritorna, per la seconda edizione, Gourmandia – Le Terre Golose del Gastronauta.
 
Una tre giorni che metta a tema la necessità di riscoprire la materia, attraverso il racconto dei tanti artigiani del gusto e degli chef che lavorano ogni giorno per valorizzarla attraverso i loro piatti. 
Oltre duecento gli artigiani che porteranno il meglio dello loro specialità, selezionate da Davide Paolini in tutta Italia. Numerosi gli eventi e gli showcooking che articoleranno il programma. Tra gli ospiti di questa edizione: Antonia Klugmann, Nicola Portinari, Riccardo De Pra, Denis Lovatel, Valeria Mosca, Tino Vettorello e molti altri.
 
L’ingresso è a pagamento.
Programma completo: qui 
 
img042Friulia Venezia Giulia | Festival Vicino/Lontano | Udine 11-14 maggio 2017
 
Utopia il filo conduttore della nuova edizione del Festival Vicino/lontano in programma a Udine dall’11 al 14 maggio 2017. Oltre 200 i protagonisti che saranno ospiti in un centinaio di appuntamenti, tra questi: Giacomo Marramao, Frank Furedi,  Ferruccio De Bortoli, Luciano Floridi, Andrew Spannaus, Gian Antonio Stella, Giovanna Botteri, Alessandro Orsini, Lucio Caracciolo, Pier Aldo Rovatti e Padre Alejandro Solalinde, candidato al Premio Nobel per la Pace 2017. Sabato 13 maggio, al Teatro Nuovo Giovanni da Udine, la consegna del Premio Terzani a Sorj Chalandon con La quarta parete.

Siamo capaci di ripensare il futuro come armonia globale delle differenze e dell’inclusione? Intorno a questa domanda si articoleranno lezione magistrali di grande rilievo culturale e filosofico, mostre e altri spettacoli.Novità di grande rilievo a vicino/lontano 2017 è la collaborazione attivata con un ente prestigioso e autorevole, l’Institute of ideas di Londra, che ha scelto il festival di udine per realizzare il primo evento “satellite” in italia del Festival “Battle of ideas”, ogni anno di scena a Londra al Barbican Centre.
 
Programma completo: qui
 
c43lse2xaaugzbfToscana | Festival Dialoghi sull’uomo | Pistoia 26-28 maggio 2017
 
Giusto all’ottava edizione, Dialoghi sull’uomo, festival dell’antropologia contemporanea, si terrà dal 26 al 28 maggio 2017.

«La cultura ci rende umani. Movimenti, diversità e scambi» è il tema del 2017, che richiama la nomina della città toscana a Capitale Italiana della Cultura.

Per questa edizione 25 incontri di profilo internazionale, rivolti a un pubblico intergenerazionale e eterogeneo.
 
Dialoghi sull’uomo si conferma come un nuovo modo di fare approfondimento culturale, sia per la scelta antropologica che per la produzione dei contenuti culturali. Al centro la declinazione plurale del concetto di cultura che rappresenta una delle grandi rivoluzioni conoscitive del Novecento e che ci ha permesso di relazionarci all’umanità intera con nuovi occhi e con nuove prospettive.
 
«Novità di questa edizione è la nascita del Premio Internazionale Dialoghi sull’uomo, conferito a una figura del mondo culturale che con il proprio pensiero e la propria opera abbia testimoniato la centralità del dialogo per lo sviluppo delle relazioni umane.» Vincitore di questa prima edizione è l’autore israeliano David Grossman, ospite sabato 27 in Piazza del Duomo.
 
Programma completo: qui
 

TRENTINO | Grazia Toderi e Orhan Pamuk. Words and Stars | MART, Rovereto

Il MART di Rovereto presenta il lavoro a quattro mani di Grazia Toderi, artista padovana di fama internazionale, e di Orhan Pamuk, premio Nobel per la letteratura 2006.

L’opera si compone di tre grandi installazioni multi schermo in cui si fondono immagini e testo. L’artista e lo scrittore portano avanti una personale riflessione sull’innata vocazione dell’uomo a interrogare le stelle, sulla sua curiosità cosmologica e sul suo insaziabile desiderio di esplorare lo spazio. Un lavoro che trova un perfetto equilibrio espressivo in un unico corpo visivo e letterario.

Fino al 2 luglio. Maggiori informazioni qui.

VENETO | The Boat is Leaking. The Captain Lied | 13 maggio – 26 novembre 2017 | Fondazione Prada, Venezia

La Fondazione Prada di Venezia inaugura, il 13 maggio, un interessante progetto transmediale curato da Udo Kittelmann. Un lavoro che nasce dal confronto tra lo scrittore e regista Alexander Kluge, l’artista Thomas Demand, la scenografa e costumista Anna Viebrock. La mostra − attraverso diversi linguaggi come il cinema, l’arte e il teatro − esplora le criticità del presente attraverso il lavoro d’indagine e cronaca dei tre autori. Punto di partenza: la citazione della tragedia Giulio Cesare di William Shakespeare: «scatenata è ormai la gran tempesta, e tutto adesso è rischio».

Fino al 26 novembre 2017. Maggiori informazioni qui.

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VENETO | Lost in Arcadia | 6 maggio – 25 giugno 2017 | Museo Bailo, Treviso

Sabato 6 maggio alle ore 18.30 inaugura la mostra Lost in Arcadia, curata da Andrea Bruciati ed allestita nelle sale temporanee del museo Bailo di Treviso. L’intento è quello di suscitare una riflessione leggera e drammatica sulla condizione umana contemporanea, ma vuole anche omaggiare un intellettuale quale Giovanni Comisso che di queste istanze è stato anticipatore sottile e prezioso. Le opere selezionate sono una quarantina (tra gli altri troviamo Arturo Martini, Paolo Gioli, Lucio Fontana, Ernst Ludwig Kirchner e Filippo De Pisis) e possiedono dunque la medesima temperatura dello scrittore, immoralista per vocazione, credente soltanto nei sensi, refrattario alle idee e docile all’istinto, disposto alla letteratura ‘non per pensare, ma solo per seguire gli incanti’.
Le opere invaderanno anche lo spazio di Ca’ Dei Ricchi, con inaugurazione sabato 20 maggio alle ore 18.30, grazie ad una collaborazione del Comune ed i Musei Civici di Treviso con l’associazione TRA – Treviso Ricerca Arte. Anche durante questo mese Ca’ dei Ricchi intende intrattenere il suo pubblico con le sue vulcaniche attività, dalle conferenze sull’arte contemporanea curate da Carlo Sala alla proiezione di film che hanno fatto la storia del cinema della metà del Novecento, mentre il 31 maggio si chiuderà la rassegna musicale TRAcce di Jazz.

Maggiori informazioni sulla mostra qui.
Calendario appuntamenti di TRA qui.

 

Elena Casagrande & Claudia Carbonari

[Immagini tratte da Google Immagini]

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Suggestioni scientifico-tecnologiche

Pratica di autoerotismo mentale o riflessione che eleva lo spirito pensante, madre delle scienze o collezione di aria fritta. Tante, diverse e spesso contrastanti le definizioni della disciplina filosofica.
Non è facile trovare una risposta alla domanda su cosa sia la filosofia. Uno di quei quesiti tanto sintetici, quanto fondamentali. Facile da porsi, terribile rispondervi. Per scansare panico e imbarazzo, e prima di impergolarsi in acrobatici tentativi definitori potrebbe bastare rifarsi a come viene solitamente proposta, per la prima volta, sui banchi di scuola. Ripartire da capo, back to basics.
Lezione di filosofia numero 1: la filosofia è l’espressione dell’amore per il sapere, e il filosofo è colui capace di provare meraviglia per il mondo che lo circonda. Colto dalla passione per ciò che può osservare, ha l’ardore e l’ardire di domandare di più, di questionare, di abbandonare le sue abituali certezze e tentare di costruirne di nuove, per praticare la via della conoscenza.

L’atto di stupirsi può costituire un punto di partenza della pratica filosofica: ancora prima dell’acquisizione di conoscenza, è lo stupore che scardina l’impianto della passiva accettazione dell’abitudine. Può creare un cortocircuito, un senso di vuoto da colmare, che diventa solo a questo punto stimolo per la ricerca del sapere.

Questa immagine di filosofia ha preso forma centinaia e centinaia di anni fa. Col passare del tempo e con il susseguirsi delle epoche è cambiato il mondo. Con esso le possibilità per l’uomo di meravigliarsi di quello che lo circonda.

Ed oggi?

La società contemporanea differisce in molti aspetti da quella più antica che ha definito la filosofia. Riproporre nei tempi odierni l’approccio allo stupore significa rinnovare la ricerca verso quello che può produrre meraviglia e che sia caratteristico della vita dei nostri giorni.

Una risposta possibile è attorno a noi, talmente onnipresente da risultare invisibile. Ma quando lo si nota, diventa difficile negare che uno degli aspetti caratteristici del nostro tempo sia la portata dell’innovazione scientifico-tecnologica. La scienza è deputata a indagare il funzionamento del cosmo, ad essa rivolgiamo le nostre domande quando vogliamo comprendere con precisione un fenomeno; la tecnologia ci aiuta a risolvere i problemi quotidiani, ci fornisce le soluzioni ingegnose e gli strumenti per affrontare le più diverse situazioni.
I prodotti scientifico-tecnologici irrompono continuamente nelle nostre abitudini, occupano capillarmente tutti gli aspetti delle nostre vite, con una prepotenza tanto pervasiva che diventa difficile notarla.
Non è facile riuscire a individuare un orso polare in una tormenta di neve, bianco oggetto su bianco sfondo. Allo stesso modo, l’innovazione nella sua costanza rischia di perdere il suo significato, di perdere l’alone dello straordinario, e presi dalla frenesia delle nostre vite risulta complesso cogliere le possibilità di meravigliarsi che sono offerte dai meccanismi della scienza e dalle implicazioni tecnologiche.

Come la filosofia ci insegna, un esercizio di comprensione può nascere quando si smette di dare per scontato quanto si osserva, e al posto dell’ovvio si dà valore alla sua straordinarietà. Un piccolo gesto, un cambio di attitudine mentale che può tuttavia avere la potenza di gettare una nuova luce sulle cose e sui gesti di tutti i giorni. E non è necessario essere degli scienziati o degli ingegneri esperti per poter godere delle suggestioni scientifico-tecnologiche: la nostra vita quotidiana pullula di spunti in questo senso.
Quando allontanandoci dalla nostra automobile non riusciamo a ricordarci se effettivamente abbiamo chiuso le serrature con l’apposito comando a distanza, si presenta a noi l’ennesima occasione di sperimentare quel panico ossessivo-compulsivo che ci fa controllare ripetutamente di aver premuto il giusto pulsante. Tutto mentre un’azione invisibile e istantanea colpisce l’ammasso di latta a motore, che con un cenno di illuminazione dei suoi fari ci rassicura di aver barricato le entrate bloccando i malintenzionati che vorrebbero accedervi.

Siamo capaci di cogliere e apprezzare lo sforzo di conoscenza che ha prodotto questo risultato? In che modo questo cambia la nostra vita? In che modo la può cambiare un domani?

Internet: cervello collettivo in perenne evoluzione.
Stampanti 3D: strumenti permettono la concretizzazione materiale dei pensieri e dell’immaginazione.
Smartphone: surrogati portatili di onniscienza e ubiquità (e si può pure giocare a Fruit Ninja!).

Possiamo riappropriarci di infinite occasioni di meraviglia e di vertigine filosofica, se diventiamo capaci di lasciarci suggestionare dai dettagli che ci si offrono davanti. È possibile, se siamo disposti a intraprendere un viaggio al contrario, a decostruire il quotidiano, facendo quel piccolo sforzo per sollevare il velo dell’abitudine. Giocare con l’immaginazione, con l’auto-suggestione può diventare il primo passo per avvicinarsi verso una profondità che ha tanto da raccontarci, su quello che stiamo diventando e su quello che siamo rispetto a ieri.

Il mondo attorno a noi è in continuo mutamento, e scienza e tecnologia sono attori fondamentali di questo cambiamento. “Chi sono io?”, “Come funziona il mondo attorno a me?”. Difficile rispondere a queste domande senza comprendere nella propria riflessione quanto affermato dal discorso scientifico e le sue conseguenze in campo tecnologico.

Dare valore alla realtà di quello che siamo per immaginare quello che saremo, alla ricerca degli spunti per praticare una filosofia autenticamente contemporanea senza cadere vittime dell’anacronismo. E poter ambire quindi a sentirci “cittadini della Storia”, e non solo i cittadini del Mondo globalizzato.

Ci stiamo suggestionando troppo? Bene! Suggestioniamoci ancora e ancora… alla peggio, ci saremo allenati ad apprezzare di più quello che ci circonda, a darlo meno per scontato.
C’è chi la chiama sega mentale, a me piace chiamarla filosofia.

Matteo Villa

P.S. Ecco qualche stimolo video per esercizi di auto-suggestione:

 

Il pendolo di Schopenhauer: l’attesa

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«La vita umana è come un pendolo che oscilla incessantemente tra dolore e noia, passando attraverso l’intervallo fugace, e per di più illusorio, del piacere e della gioia»1.

Arthur Schopenhauer ritiene che sia un pendolo a giostrare la nostra vita e l’attesa dell’oscillazione che ne scandisce il tempo è ciò che ci è concesso per sperare. Di questo tempo nel mezzo, dell’attesa che impregna ogni attimo parlerà questo promemoria filosofico.

Siamo indiscutibilmente proiettati verso il futuro. Siamo in perenne attesa che qualcosa accada per andare avanti e magari qualcosa possa migliorare.

Aspettiamo una svolta per l’Italia, una politica più trasparente e che si rivolga in primis sempre al bene dei suoi cittadini, ma intanto con il sarcasmo di Crozza ci consoliamo e ridiamo della sua corruzione. Ci crogioliamo nel tempo in attesa di una democrazia più vera e concreta, se mai sarà possibile.

C’è chi aspetta una casa dopo che il terremoto gli ha rubato la sua. Le macerie che sono rimaste non sono solo che briciole di quel tetto pieno di ricordi che era una volta. E il freddo e il gelo che non dà tregua in quelle zone non fa che peggiorare la situazione e sperare però che torni il prima possibile il sole o uno squarcio di primavera. Si attendono aiuti e volontari perché possa tornare un po’ di normalità dopo tante scosse che non hanno travolto solo la terra.

Si attende una proposta di lavoro, o almeno si cerca un posto. La disoccupazione è solo uno stato di passaggio dal non fare al fare che non dovrebbe farsi attendere troppo. Se sei giovane c’è chi dice che di tempo ce n’è sempre e bisogna fare esperienza per trovare un lavoro stabile, ma non si vive di sole esperienze se manca il sostegno economico dietro a queste. La voglia di imparare e l’impegno dovrebbero essere ripagate come giusto meritano e non essere sottopagate o peggio, sfruttate.

Se sei una mamma o un papà anche tu hai aspettato con pazienza per nove mesi qualcosa di meraviglioso, che poi è arrivato e ti ha sconvolto la vita. Meritava, non è vero?

L’importante è il viaggio e non la meta, qualcuno diceva, e aveva ragione: siamo bloccati nel tempo che passa, un attimo prima era ora, e qualche secondo dopo è passato. L’unico modo per sopravvivere a questo è lasciare che gli eventi ci attraversino, rimanendo però saldi e presenti per viverli.

In fondo è una vita che aspettiamo qualcosa e la risposta forse è molto semplice: speriamo sempre in un futuro che sia migliore.

Al prossimo promemoria filosofico

Azzurra Gianotto

NOTE:

1.Aforisma tratto dall’opera “Il mondo come volontà e rappresentazione” 

[Immagine tratta dall’opera L’attesa di Baron Daniele (Google immagini)]