La storia sotto analisi: intervista a Alessandro Barbero

Alessandro Barbero non ha bisogno di grandi presentazioni: docente di Storia Medievale presso l’Università del Piemonte Orientale, autore di numerosi saggi e articoli contenenti temi relativi alla storia militare e sociale nel Medioevo, è famoso per le sue costanti partecipazioni a trasmissioni televisive di carattere culturale, tra cui Superquark e Il tempo e la storia.
Lo abbiamo incontrato al Festival della Mente di Sarzana, in provincia di La Spezia, dove è ospite dal 2007; gli abbiamo fatto qualche domanda relativa proprio alla storia, la materia spesso considerata – al pari della matematica – uno scoglio duro per gli studenti di scuole medie e superiori, in altri casi addirittura inutile  – al pari della filosofia – per gli amanti della “pratica a tutti i costi” e dello studio come mezzo di guadagno materiale.

 

Forse è una domanda che molti hanno già fatto, ma pur essendo banale lascia spazio a pensieri piuttosto profondi: in un periodo come questo dove i giovani compiono spesso percorsi di studio “utili”, dettati cioè dalla possibilità di trovare lavoro in futuro, dove colloca lei lo studio della storia? Può tradursi in termini pratici e quotidiani oppure è destinata a rimanere nel mondo della teoria divenendo sempre più materia di nicchia e per pochi?

La risposta non è semplice, ci sono diversi aspetti da prendere in considerazione; il primo è che una società ha bisogno di un certo numero di persone che di mestiere studiano la storia, esattamente come ha bisogno di un certo numero di linguisti, di filosofi, di sociologi ecc; una società in cui si studiano queste cose funziona meglio rispetto a una società in cui non si studiano. Ci vuole quindi un certo numero di specialisti che sanno fare queste cose, naturalmente tutto deve essere graduato: di specialisti in storia azteca qui in Italia magari ne basta uno, di specialisti della storia romana ce ne vuole qualche centinaio se non di più.
Inoltre una società che non avesse storici sarebbe debole, la gente sarebbe più fragile, la democrazia stessa sarebbe più fragile: non a caso le dittature si preoccupano in primis di cosa scrivono gli storici e non i chimici ad esempio.
Detto questo sorge un problema: questo piccolo gruppo di specialisti che la società deve mantenere, quanti studenti deve poi educare? Quanti ne deve formare? Io credo che una conoscenza di base della storia dovrebbe far parte della preparazione di tutti i cittadini; Piergiorgio Odifreddi mi direbbe: “Anche una preparazione della matematica!”, e avrebbe ragione pure lui probabilmente.
Laureare gli studenti in storia invece è un po’ un altro discorso, oggi ci sono degli sbocchi lavorativi per un ragazzo che giustamente fa l’università perché si aspetta di trovare un lavoro in futuro, ma sicuramente non sono così tanti; il nostro Paese ha bisogno, e avrà ancora bisogno, di gente che lavora nelle fondazioni, nei musei e che abbia una preparazione storica, perché il nostro territorio è stato plasmato dalla storia, ed è una delle risorse – anzi forse è la risorsa – dell’Italia, quindi anche dal punto di vista dei posti di lavoro la storia è produttiva. Chiaramente avremo sempre bisogno di medici in quantità maggiore che non di storici, ma questo non mi dà nessun fastidio ammetterlo.

La storia è considerata da molti una materia “noiosa”: troppe date, troppi nomi… persino troppi avvenimenti – parere che stona con la noia – che tuttavia sembrano non avere una trama di sfondo; secondo il suo parere, dato che è considerato da molti un abile divulgatore ma soprattutto un abile comunicatore, quale potrebbe essere il toccasana per renderla interessante e fruibile anche a chi non vi si immerge per professione?

Il problema è che la storia è già interessante e fruibile per chi vuole godersela dall’esterno, magari leggendo un libro oppure ascoltando una conferenza, e la prova è che al festival di Sarzana vengono mille persone a sentire una conferenza di storia, pagando un biglietto, e alcuni rimangono addirittura fuori perché non hanno trovato posto. Un’altra prova sono gli ascolti di Rai Storia: quando ogni sera centomila persone in Italia guardano un programma di storia, programmi di nicchia rispetto al pubblico di Rai 1, mi sembra che sia una cosa di per sé non irrilevante.
La storia è una materia considerata noiosa di solito a scuola, e quello è il problema perché nessuno ha ancora trovato la ricetta per insegnare le informazioni di base senza che siano noiose. E’ vero, la storia è lunga, oltretutto purtroppo diventa sempre più lunga man mano che andiamo avanti, e non è possibile comprenderla senza avere una conoscenza di base delle date, dei nomi, dei re, degli imperatori, dei papi, delle battaglie, dei trattati di pace. E’ necessario sapere queste cose. D’altra parte però se ai ragazzi a scuola si insegna solo quello, lo troveranno noioso; tutto questo succede perché le ore sono poche, anzi sempre meno dato che abbiamo ministeri dementi che non sanno a cosa serve la scuola e fanno di tutto per distruggerla – quella pubblica almeno – di conseguenza non se ne esce, il rischio è che la storia continuerà a sembrare noiosa agli studenti fino a quando non arrivano all’università e alla prima vera lezione di storia che sentono spalancano gli occhi e dicono “ma non avevo capito che era questa la storia!”

Lei è professore di Storia Medievale presso l’Università del Piemonte Orientale, dunque ci siamo sempre chiesti com’è il professor Barbero a lezione, se utilizza gli stessi metodi che adopera in televisione o negli interventi nelle scuole superiori (come quello bellissimo che fece sulla disfatta di Caporetto), e se sì, da dove nasce questo modo di raccontare la storia? Si è ispirato qualcuno o è “invenzione” sua?

No non mi sono ispirato a nessuno e non ho la minima idea da dove nasca, devo dire che ho avuto dei professori all’università che appartenevano a una generazione a cui non veniva chiesto di fare la divulgazione in TV, erano i grandi storici degli anni ’60 ’70 ’80: il mio maestro Giovanni Tabacco, Massimo Salvadori ecc, erano grandissimi storici, magari non avrebbero mai parlato ad un pubblico di mille persone una sera in una piazza, ma quando avevano davanti trecento studenti sapevano tenerli in pugno, quindi per me fin dall’inizio è stato chiaro che la storia è un percorso intellettuale affascinante e che bisogna saperlo rendere affascinante.
Oggi ci viene chiesto appunto di raccontare queste cose non solo a studenti che hanno deciso di fare l’esame di Storia Medievale, ma a un pubblico composto da persone di tutti i tipi e pian piano molti di noi si sono attrezzati per fare anche questo, trovandolo abbastanza divertente e stimolante.

Domanda personale: come mai si è appassionato al Medioevo e cosa ci ha lasciato in eredità? E’ un mare magnum ancora da esplorare o è stato già detto tutto?

Mi sono appassionato al Medioevo in realtà perché in seconda liceo (classico, ndr) un compagno che aveva molti libri in casa mi ha fatto leggere La società feudale di Marc Bloch, e io leggendo quel libro fondamentale al penultimo anno di liceo ho deciso definitivamente che avrei studiato storia medievale.
Dopodiché il Medioevo è un periodo lunghissimo, la maggior parte del nostro passato è fatto di Medioevo, è durato più di mille anni, la grande maggioranza dei nostri antenati sono vissuti lì e basta andare in giro per l’Italia per vedere che il nostro territorio sia plasmato anche in quell’epoca; quindi è uno strato fra i tanti, conta anche molto lo strato greco-romano, però è uno strato decisivo in cui tante cose son nate, tra cui la lingua che parliamo.
Nella storia non si è mai detto tutto per due motivi: i punti di vista cambiano, è una banalità che noi storici diciamo sempre ma è vera, anche le curiosità cambiano, cent’anni fa nessuno diceva “ah le invasioni barbariche… interessante! È un aspetto del problema dell’immigrazione, vediamo un po’ come gli antichi romani gestivano gli immigrati”; cent’anni fa nessuno si poneva il problema in questi termini, quindi ci saranno sempre dei modi nuovi di interrogare la storia. L’altro motivo è che gli archivi sono pieni di carte che nessuno ha mai visto: gli storici, giustamente come dicevo prima, sono pochi, quindi c’è sempre da scavare per capire meglio.

Il problema delle fonti del III millennio: ho letto in svariati articoli che in futuro ci sarà un problema per ricostruire il periodo storico che stiamo vivendo a causa dell’eccessivo uso della tecnologia, poiché i dati – di qualsiasi natura, dal documento pubblico a quello privato come una mail – prima o poi verranno persi, lasciando un “buco nero” di fonti ai posteri. Secondo lei c’è questo pericolo oppure è semplicemente un rischio presente in tutte le epoche?

No è un pericolo tipico di quest’epoca, e io non so tuttora come se ne verrà fuori. Molti esperti di informatica dicono di non preoccuparsi perché in realtà il patrimonio informatizzato sarà sempre fruibile anche in futuro; io so che ho dei floppy disk che non posso più utilizzare in nessun modo e chissà che cosa ci avevo messo dentro.
E’ vero che certe cose come internet per esempio, come la mail, appaiono più robuste di quello che io pensavo all’inizio: il mio indirizzo è lo stesso da vent’anni, però le mail le ho perse più di una volta cambiando computer, quindi il problema si pone. Indubbiamente è meraviglioso avere tutto quanto online, è un grandissimo ausilio alla ricerca, però il libro stampato è in assoluto la tecnologia più efficiente per essere sicuri di conservare qualcosa.

Concludo con una domanda che facciamo a tutti i nostri intervistati: interdisciplinarità della filosofia, cosa ne pensa lei di questa materia?

Salvemini, che era uno storico, diceva: “La filosofia non è dannosa, è semplicemente inutile, o meglio è dannosa in quanto fa perdere un sacco di tempo alla gente”. Molti storici in cuor loro pensano questo. Io devo dire che constato spesso con i miei studenti all’università che quelli di filosofia sono in media nettamente più intelligenti, i più bravi, i più motivati, ma hanno enormi difficoltà a fare bene gli esami di storia. Per qualche ragione la mentalità dello storico e quella del filosofo sono diverse e non ho mai capito in che senso, ma certamente il problema si pone, quindi io alla filosofia concedo il beneficio del dubbio, evidentemente a qualcosa deve servire!

Alessandro Basso

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Vi è traccia di divertimento nello studio della storia?

Puntualmente, per esperienza personale, quando chiedo ai bambini un indice di gradimento numerico per l’insegnamento di Storia, il valore che ottengo solitamente è prossimo allo 0. Nel migliore dei casi. Motivi? La Storia è noiosa e vecchia così come il maestro che la insegna, anche se magari ha 35 anni. Una sorta di consustanzialità fra il documento storico ammuffito e il classico pile sgualcito dell’insegnante. In pratica una crisi d’identità assicurata intorno ai 40 anni per chi come me è in procinto di laurearsi in Storia e non disdegna una carriera futura da passare dietro la cattedra.

Quali sono i motivi di tale declino? Perché piace addirittura più la Matematica e soprattutto l’ora di Religione con i suoi film pieni di amore e lieti fine stucchevoli?

Innanzitutto è necessario premettere due cose: in primo luogo ogni fascia d’età possiede esigenze e capacità differenti e specifiche. Quindi è assolutamente improprio far imparare migliaia di date a memoria agli adolescenti; tanto il giorno dopo scambieranno la caduta dell’Impero Romano d’Oriente con quello d’Occidente. Tranne per i nerd: loro le sapranno grazie alle mille ore passate davanti ai giochi di strategia per il Pc.
In secondo luogo, invece, si deve ammettere che non tutte le epoche hanno sentito la mancanza di volgere lo sguardo verso il passato per studiarlo. Basti pensare a oggi, dove la modalità classica di trasmissione del sapere – dall’anziano al giovane, dal maestro all’alunno, dai genitori ai figli, dal passato al futuro – si sta rapidamente invertendo: ora sono i figli ad imprecare contro i genitori, colpevoli nel 2016 di non sapere utilizzare la tecnologia.

Oh Clio, come fare allora per recuperare quel divertimento che lo studio della Storia recava a Marc Bloch?1

Sicuramente compiendo azioni rivoluzionarie.
Togliamo la cattedra! Le lezioni frontali producono un’insensata voglia di giocare a Snake e per chi ha il cellulare scarico appisolarsi risulterebbe la miglior opzione. A parte l’ironia, credo che una disposizione a cerchio delle sedie faciliti il dibattito perché mancherebbero riferimenti spaziali – gerarchici. In questo modo, da un lato gli studenti parteciperebbero attivamente senza timore dell’entità suprema confinata dietro la cattedra e dall’altro il maestro migliorerebbe la propria relazione con i propri allievi ed emergerebbe nella discussione in ogni caso come fonte di sapere, visto le sue maggiori conoscenze.

La Storia è vita vissuta! La Storia è fatta di carne e di ossa! Molte volte i manuali raccontano le guerre, le scoperte e le rivoluzioni come fossero di altri mondi. La Terra ne sembra incolume.
Beh, aggiornamento dell’ultima ora: noi tutti facciamo parte della Storia. Sono convinto che esserne consapevoli sia estremamente utile e affascinante per due ragioni: da un lato pungolerebbe la curiosità di coloro che vedono nel sussidiario con copertina verde – la Storia l’ho sempre associata a questo colore. Retaggi delle scuole elementari – un potenziale allergenico; dall’altro pensarsi all’interno del flusso storico stimolerebbe le riflessioni sul rapporto che intercorre tra l’individuo e gli eventi, sia passati che contemporanei. Alla fine lo studio della Storia non è altro che un’intervista continuamente aggiornata rivolta al passato, un interlocutore difficile da capire, ma allo stesso tempo affascinante per la molteplicità di punti di vista che può darti.

Solo attuando queste modifiche (le idee sarebbero molte di più), la Storia da disciplina marginale di un’ora alla settimana, diventerebbe azione quotidiana di comprensione della società.
Alla fine anche Euclide e il suo maledetto teorema sono stati concepiti in questo mondo.

Marco Donadon

NOTE:
1. M. Bloch, Apologie pour l’histoire ou Métier d’historien, 1949.

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