La libertà di pensiero è un vantaggio politico

È di certo questo un periodo buio e difficile, e poche sono state le generazioni che, come la nostra, ne sono state così consapevoli
Ciò che emerge in modo particolare è l’incoerenza che esiste fra ciò di cui gli esseri umani hanno bisogno e le decisioni politiche che vengono prese. Quando si prendono provvedimenti inadeguati alle situazioni in cui ci si trova si ha il dovere di assumere una posizione a riguardo.

La posizione politica non è da intendersi necessariamente come l’adesione a un partito rispetto a un altro, ma come la capacità di interpretare il proprio tempo, e i cambiamenti necessari, per essere in grado di accorgersi quando si adottano soluzioni inadeguate. Assumere una posizione politica significa essere indipendenti nel proprio pensiero, nonostante sia di grande conforto lasciarsi prendere per mano da una guida, che si occupi di tutto.
Era quanto sosteneva Immanuel Kant, quando scriveva l’articolo Risposta alla domanda: che cos’è l’illuminismo? e dava la sua interpretazione sull’epoca che lui e i suoi contemporanei stavano attraversando.

«L’illuminismo è l’uscita dell’uomo da uno stato di minorità quale è da imputare a se stesso. Minorità è l’incapacità di servirsi del proprio intelletto senza la guida di un altro»1.

L’uso della propria ragione implica prendersi la responsabilità di ciò che si è e di ciò che accade nella propria vita. Non restare bambini che si affidano agli altri, liberi da ciò che si è, confortati dalla promessa di ciò che si sarà, è di certo la prima vera scelta che si compie da adulti, e la prima decisione importante, se si vuole partecipare alla vita politica. Si sceglie così in quale mondo si vuole vivere.

Kant parla del proprio tempo come un periodo di illuminismo, in cui il rischiaramento – o per meglio dire il progresso – è un processo lento, che coinvolge le menti, le prospettive e i progetti per il futuro. Il progresso di una civiltà è un cammino accidentato, su cui l’uomo si inerpica e vi inciampa spesso, e il potere politico deve appoggiare questa ascesa difficile, seppure necessaria.

«Nessuna epoca può collettivamente impegnarsi con giuramento a porre l’epoca successiva in una condizione che la metta nell’impossibilità di estendere le sue conoscenze (soprattutto se tanto necessarie), di liberarsi dagli errori e in generale di progredire nel rischiaramento. Ciò sarebbe un crimine contro la natura umana, la cui originaria destinazione consiste proprio in questo progredire»2.

Solo quando l’essere umano avrà deciso di rendersi responsabile di se stesso, e del luogo in cui vive, farà sì che le sue scelte politiche siano coerenti con i suoi bisogni. Per ottenere ciò, tuttavia, è necessario intendere la politica come uno degli strumenti di questo rischiaramento. In questo senso, un ruolo fondamentale è rivestito dagli intellettuali, o da ciò che Kant definisce l’uso pubblico della ragione. Chi è un profondo conoscitore di una disciplina, ha il dovere di rendere il pubblico partecipe delle sue conoscenze. Un medico, per esempio, adempierà ovviamente alle sue mansioni professionali ma, in quanto dotto o ricercatore, diffonderà i risultati dei suoi studi; così un filosofo insegnerà pedissequamente quanto detto dagli antichi, ma avrà anche il dovere di dare il suo contributo al pensiero stesso.

Il potere politico non può e non deve impedire che gli intellettuali divulghino le proprie conoscenze, e non può limitare la libertà questi di esprimere il proprio punto di vista, perché questa è, secondo Kant, la forza che avvia il rischiaramento.

«Senonché a questo rischiaramento non occorre altro che la libertà; e precisamente la più inoffensiva di tutte le libertà, quella cioè di far pubblico uso della propria ragione in tutti i campi»3.

Il potere politico non deve ostacolare la libertà intellettuale ma farne strumento per procedere verso il miglioramento, e non per tornare al passato. Gli studiosi, gli intellettuali hanno perciò tutti il compito di dimostrare l’importanza e la necessità di uscire dalla minorità, ovvero di essere liberi, prima di tutto, nel pensiero.

L’unico vero vantaggio politico è proprio la libertà di pensiero

L’incoerenza, di cui si parlava all’inizio, fra ciò di cui si ha bisogno e le scelte politiche attuali è da imputare anche alla sfiducia nei confronti degli intellettuali: non ci si fida dei medici per i vaccini; non ci si fida degli scienziati per le condizioni del clima; non ci si fida dei filosofi proprio a riguardo di quel cambiamento politico cui tutti anelano. Si preferisce farsi guidare dalla paura dell’altro, senza rendersi conto che si stanno perdendo le conquiste che lo stesso procedimento di rischiaramento, di cui parla Kant, ci ha garantito per molto tempo.

Solo attraverso la libertà di pensiero si potrà garantire un pensiero politico in armonia con la civiltà; e solo quando si inviterà a un uso pubblico della ragione da parte di studiosi e intellettuali si potrà aspirare all’unico e possibile ritorno al passato: la spinta verso il miglioramento.

 

Fabiana Castellino

 

NOTE
1. Immanuel Kant, Risposta alla domanda: che cos’è l’illuminismo, Editori Riuniti, Roma 2017, p. 61.

2. Ivi, p. 66.
3. Ivi, p. 63.

[Photo credit Nick Herasimenka]

Dal tentato golpe alla vittoria al referendum: l’ascesa di Erdoğan

Nell’articolo «Turchia: un golpe fallito e il fallimento dei diritti» eravamo rimasti con l’immagine di una realtà caratterizzata da una violenza a due facce. Una violenza che appariva come ultima risorsa per mantenere inalterati gli equilibri di potere.

Nei mesi a seguire la condotta di Recep Tayyip Erdoğan non è cambiata. Il presidente turco ha perdurato nella sua linea intransigente: estreme misure di repressione ed epurazione hanno continuato a coinvolgere a ondate università, redazioni giornalistiche, ONG1. Inoltre, distruzione, assedio ed uccisioni hanno compromesso il sud-est curdo.

Queste sono state le condizioni che hanno preceduto e accompagnato il referendum del 16 aprile.

Tale referendum poneva il dilemma “repubblica parlamentare o repubblica presidenziale?”. Il 51,4% dei votanti si è dichiarato a favore del programma presidenzialista.

Le due principali forze di opposizione, il partito socialdemocratico (Chp) e quello liberale procurdo (Hdp), hanno successivamente denunciato brogli e irregolarità. L’OSCE ha dichiarato 2,5 milioni di schede manipolate, quindi il mancato rispetto degli standard internazionali. Queste, pertanto, si dimostrano essere ragioni sufficienti a porre in discussione il risultato referendario.

Eppure i segnali vi erano tutti. Le continue repressioni citate poc’anzi, come l’assenza di libertà di stampa, erano sufficienti a dimostrare pregiudicato l’appuntamento al fatidico giorno.

Negli ultimi tempi, è stata chiesta la condanna all’ergastolo per 30 giornalisti ed ex dipendenti del gruppo editoriale Zaman, principale quotidiano di opposizione turco. I media chiusi sono stati 158 e circa 150 giornalisti sono tuttora detenuti e sotto processo.

«Chi uccide un uomo – scriveva Milton – uccide una creatura ragionevole, immagine di Dio; ma chi distrugge un buon libro uccide la ragione stessa, uccide l’immagine di Dio nella sua stessa essenza»2.

Ricordando, dunque, che ancora prima di una libertà di stampa vi è la libertà di pensiero: «Cogito, ergo sum». Il pensiero apporta in nuce i requisiti per l’esercizio della libertà, come legittimazione della manifestazione della possibilità di contrapposizione non cruenta fra differenti principi politici. Una libera circolazione di idee come fondamento della conoscenza e dell’emancipazione dell’uomo. Tale espressione può essere adattata a tutti quei giornalisti oggi rinchiusi nelle carceri turche, rei di aver espresso un pensiero scomodo.

Dalla censura della libertà di stampa è conseguito un debole fronte del #Hayɪr.

Una situazione che non ha allarmato la comunità internazionale, o forse non abbastanza. Inoltre, la presa di decisione drastica del governo olandese riguardo al respingimento di membri del governo turco ha funzionato in pro di Erdoğan, sopratutto per quanto riguarda il voto degli elettori turchi espatriati.

Il risultato del 16 aprile, tuttavia, è quello di una maggioranza risicata, oltre che contestata. La Turchia si ritrova ad essere un paese spaccato. È riemersa una società in parte attratta da un autoritarismo nazionalista, ma dall’altra appare una Turchia tutt’altro che sedotta dal potere di Erdoğan.

Così possiamo domandarci se sia davvero la conclusione della Turchia moderna di Mustafa Kemal Atatürk e il coronamento del sogno neo-ottomano di Erdoğan, oppure se avremo ancora una speranza.

Jessica Genova

NOTE:

1. Il decreto emesso il 22 novembre 2016 ai sensi dello stato di emergenza ordinò la chiusura definitiva di 375 organizzazioni non governative.

2. J.Milton, Areopagitica. Discorso per la libertà di stampa

[Immagine tratta da Google Immagini]