Tra assolutismo e dispotismo: si può vivere bene sotto il governo di un unico Sovrano?

Tra assolutismo e dispotismo esiste uno iato sottile, rivolgendosi al passato, che può trarre in inganno. Ripercorrendo infatti una storia di popoli, epoche e rivoluzioni, le forme di governo con la loro terminologia differenziata si moltiplicarono a dismisura, che ora potremmo riassumere in un “dizionarietto”: una specie di bibbia del politico.
Con assolutismo si intendono gli Stati – monarchici o oligarchico-repubblicani – dove tutto si risolve presso un’autorità centrale, che riesce a dominare incontrastata e nella quale il potere legislativo, esecutivo e giudiziario si uniformano nel Sovrano. Unica persona, unico destino.
Nel dispotismo invece lo stesso Sovrano può ed esercita l’arte politica di governo in modo arbitrario, tramutando la propria essenza in Despota.
Mentre il Sovrano dunque può essere considerato un padre, un difensore e un protettore dei propri sudditi, il Despota è semplicemente il padrone dello Stato.

Già Thomas Hobbes cercò, come precursore, di fare chiarezza. Da una parte provò a legittimare intellettualmente l’assolutismo come unico antidoto alla guerra e come base della sicurezza e della libertà; dall’altra invece distrusse le varie argomentazioni a difesa di un modello sociale dispotico e patriarcale.
Un compito nient’altro che semplice considerando i tempi. Ci troviamo infatti a metà del Seicento e alla fine delle guerre di religione sancita con la pace di Vestfalia del 1648, quando gli Stati europei non rappresentavano più solo mere monarchie con poteri feudali ma iniziavano a munirsi di articolati apparati amministrativi e giuridici. Una società nuova, dopo la rivoluzione scientifica e la corsa al colonialismo, con un movimento sia interno che esterno al corpo sociale sempre più attivo.

Hobbes, nel groviglio socio-politico nel quale viveva, cercò di far leva sulle recenti innovazioni, unificando e ripudiando più correnti di pensiero fino a costituire la svolta: il modello contrattualista, tagliando il cordone ombelicale con la tradizione antica rappresentata da Aristotele.
È ora che nacque la modernità: il vecchio contro il nuovo.
Ripudiò l’idea della politica come intrinseco bene nel corpo sociale o come sistema naturalmente gerarchizzato nel quale taluni sono predisposti a governare e altri ad essere governati; rifiutò la politeia antica come unione di anime differenti dello Stato; il nesso tra religione e arte di governo; la funzione della virtù rinascimentale e la giustizia come articolazione dell’essere e oggettivo specchio del mondo naturale.

L’effetto fu una spaccatura del mondo tra natura e artificio. Non esiste più solo l’uomo in rapporto esterno con la realtà, ma un uomo introspettivo capace di proiettarsi con l’arte, intesa come tecnica, in una nuova dimensione.
Cartesio per la conoscenza, Hobbes per la politica. Un logos diverso ma con un unico obiettivo: l’essere umano come creatore e non più solo come imitatore di ciò che lo circonda.

Il modello contrattualista hobbesiano parte dalla constatazione di un individuo che è originariamente immerso nello stato di natura – un ambiente pre-politico e pre-sociale – impegnato per l’autoconservazione rispetto ai suoi simili. È una persona libera ed eguale come le altre; tanto eguale all’altro che tra di essi non può che sussistere una condizione di guerra – bellum omnium contra omnes – per l’accrescimento dei propri poteri necessari alla sopravvivenza. Il risultato è un mondo pieno di insicurezze dove non c’è industria, né tempo, né felicità. Come lo stesso autore scrisse nel Leviatano:

«In una tale condizione non c’è possibilità di alcuna attività di carattere industriale poiché il frutto di essa rimarrebbe incerto e di conseguenza non c’è coltivazione della terra, non c’è navigazione, non c’è uso di beni che possono essere importati attraverso il mare, non ci sono costruzioni confortevoli, non si fanno strumenti per spingere e trasportare cose che richiederebbero molta forza, non si fa computo del tempo, non ci sono arti, né letteratura, non esiste una società, e quella che è la cosa peggiore fra tutte è il continuo timore, e il pericolo di una morte violenta; e la vita dell’uomo è solitaria, povera, misera, brutale e breve»1.

Questo significa che non esistono la giustizia o valori morali innati perché sono artifici dell’uomo utili a lui e modificabili grazie il linguaggio. Ancora dal Leviatano:

«Vero e falso sono attributi del discorso, non delle cose. E laddove non c’è discorso non c’è nemmeno verità o falsità»2.

In questa condizione rimane solo una cosa da fare, per garantirsi la sopravvivenza senza alienare la libertà: proiettarsi verso qualcosa di nuovo, di prima non esistente, un artificio che andrà a costituire lo Stato come massima espressione della socialità e del potere politico.
Il passaggio tra le due realtà avviene tramite il patto fra cittadini, l’uno con l’altro, capaci di alienare i propri diritti verso un Sovrano che come parte terza possa rappresentare l’anima artificiale della comunità. Un potere che si scopre assoluto perché autonomo da ogni condizione e alla cui base sta l’oggetto del bisogno.
Tutto viene tolto al suddito per la garanzia della propria vita e avviene per suo stesso volere.
Rousseau ad esempio risponderà negativamente a tutto ciò, considerando il passaggio da uno stato all’altro come iniquo, ingiusto e altrettanto insicuro.

Cosa rimane dunque all’individuo, in articolazione alla vita nel disegno hobbesiano? La libertà, ad esempio, il diritto di ribellione, la felicità, dove risiedono?
Tutto risiede nell’interesse e nel timore, come princìpi della società e che portano gli uomini ad accettare l’obbligazione verso un unico sovrano. Gli uomini infatti hanno interesse alla sicurezza per poter perseguire i propri possedimenti seppur nel silenzio della legge. Dove c’è vita c’è libertà, a patto di rispettare le condizioni dagli stessi volute, abbandonando le opinioni private per il bene collettivo. Pena il ritorno alla guerra incondizionata.

Il paradosso sta nell’affermare che dove c’è libertà incondizionata non è possibile esprimerla e dove c’è libertà negativa al di sotto di una autorità centrale unica, ma non arbitraria come può essere nel dispotismo patriarcale, è possibile possederla a pieno titolo e nessuno la può negare. Se ci provasse lo stesso Sovrano, il patto si annullerebbe.

Bisognerà però avere la fortuna di aver scelto il Sovrano giusto.

 

Simone Pederzolli

 

NOTE
1. Hobbes, Leviatano, a cura di G. Micheli, Milano,BUR, 2011, pag 130.

2. Ivi, p. 133.

[Photo credit William Krause]

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Brexit: il Leviatano capovolto

Al di là della valutazione sull’esito del referendum, abbiamo assistito a una pagina di storia importante per l’Unione Europea e per la storia in generale: il Regno Unito entrato nel mercato unito nel 1973 ha deciso di abbandonare l’Unione Europea. La Filosofia e il pensiero hanno l’obbligo di provare a interpretare la contemporaneità e le vicende che ci riguardano tutti, qualcosa è cambiato.
Le mutazioni derivanti dall’innovazione e la svolta digitale stanno modificando in maniera indelebile le democrazie contemporanee, assistiamo sempre di più alla richiesta di partecipazione, alla disintermediazione che sembra minare in profondità l’idea stessa di democrazia rappresentativa. La democrazia rappresentativa sorge da esigenze palesi, non tutti possono decidere tutto o essere informati su tutto, servono luoghi preposti alla decisione, infrastrutture precise e la decisione non può essere sempre estesa a tutti, eppure il modello democratico che vede nel Regno Unito un esempio a partire dal 1700 sembra entrare in crisi in una nuova richiesta di partecipazione.

Il Regno Unito è la patria di Thomas Hobbes, teorico della turborappresentatività: tutti i cittadini devono stringersi intorno a un despota illuminato e dar così vita al Leviatano; oggi quel Leviatano sembra essersi capovolto, le classi dirigenti sembrano sempre più in balìa di una smodata richiesta di partecipazione che non riescono a canalizzare. Del resto una delle lamentele ricorrenti relative all’Unione Europea è proprio la sua distanza, il sembrare scarsamente rappresentativa della volontà del popolo o di una nuova categoria che serpeggia sempre più nel dibattito pubblico quotidiano “la gente”.

«Io autorizzo e cedo il mio diritto di governare me stesso a quest’uomo o a questa assemblea di uomini, a questa condizione, che tu gli ceda il tuo diritto, e autorizzi tutte le sue azioni in maniera simile. Fatto ciò, la moltitudine così unita in una persona viene chiamata uno stato, in latino civitas. Questa è la generazione di quel grande Leviatano o piuttosto – per parlare con più riverenza – di quel Dio mortale, al quale noi dobbiamo, sotto il Dio immortale, la nostra pace e la nostra difesa…»
Thomas Hobbes, Leviatano

Hobbes oggi ci sembra un autore estremo, dispotico, conservatore e accentratore, ma nel contempo appare altrettanto rischioso far esprimere tutti su tutto se non correttamente informati. Studi recenti mostrano come l’analfabetismo funzionale sia in fase dilagante mentre l’istruzione di base delle persone è complessivamente migliorata, ma se è vero che ormai quasi tutti sanno leggere pare che non tutti siano in grado di interpretare correttamente un testo. La rete, internet e la digitalizzazione sono strumenti potentissimi per l’informazione, ma diventano anche veicolo di disinformazione: quante volte abbiamo visto amiche e amici cadere tranello in qualche bufala? Perché la tentazione di leggere superficialmente e condividere alle volte è forte, l’approfondimento o il controllo delle fonti risulta faticoso e complesso – anche chi vi scrive adesso un paio di volte è cascato in qualche idiozia per pigrizia. L’editoria così come l’abbiamo conosciuta è in crisi e il controllo delle fonti sembra sempre più superato, la comunicazione si è velocizzata a discapito della profondità; e non lo scrivo con nostalgia, non si torna indietro, ma bisogna farci i conti perché la circolazione di informazioni fallaci comporta anche la costruzione di opinioni meno consapevoli o per nulla consapevoli, irrazionali e dettate spesso da rabbia o rivendicazione.

Guardando la BBC stupisce vedere certi intervistati dire:
«I’m shocked e worried. I voted Leave but didn’t think my vote would count. I never thought it would actually happen». Oppure: «What I have done? I actually didn’t expect the UK to leave».
Persone che in fondo non pensavano che il loro voto avrebbe contato, che lo hanno fatto superficialmente o per esprimere un malessere. Persone che magari lo hanno fatto nella convinzione, anche questo è un mito ricorrente nel dibattito contemporaneo, al motto “tanto i poteri forti non ce lo faranno mai fare!”. Ecco, questa vicenda ha dimostrato che si può uscire dall’Europa, che la democrazia diretta può esprimersi liberamente; non ci sono limiti e proprio per questo dovrebbe renderci tutti più responsabili, perché tutti andiamo a determinare quel Leviatano molto strano di cui ci parla Canetti nel libro Massa e Potere. L’autore impiegò 38 anni a scrivere questo libro, ci tengo a segnalarlo per far capire quanto è complessa questa bestia strana che chiamiamo “Massa”, che è formata da tutti e nel contempo è anche “altro” dalla mera somma di tutti noi.
L’Europa, per le generazioni che l’hanno voluta, era l’orizzonte per sentirsi di giorno in giorno in una “casa”, in un posto più sicuro dopo che la divisione intestina degli Stati Nazione aveva portato a quella deriva culminate nelle due guerre mondiali; oggi ci avventuriamo in acque inesplorate dove ci si chiede fino a che punto si sfogherà questa spinta centripeta che potrebbe vedere la disarticolazione del Regno Unito con la separazione di Irlanda del Nord e Scozia. Ma non è solo questo: in Spagna si inizia a chiedere che Gibilterra, dove ha ampiamente vinto al 96% il Remain, possa tornare spagnola.

Hobbes afferma che il suo Stato assoluto può degenerare in una tirannide, tuttavia ripete a più riprese che questa situazione sarà sempre migliore e più sopportabile della guerra civile. Estremo? Decisamente sì. Però bisogna anche far attenzione ad invocare la democrazia diretta attraverso il referendum in maniera poco accorta, perché il paese si può anche spaccare generando fortissime tensioni sociali tra le parti.

C’è chi ha ridotto questo voto alla disuguaglianza derivante dall’Unione Europea e il declino della classe media, ma è interessante notare invece che i giovani britannici, i quali certamente sono il gruppo sociale che soffre più di tutti delle accresciute disuguaglianze economiche, hanno votato in massa per restare, mentre chi soffriva meno, ovvero gli anziani, ha deciso di lasciare. C’è da aggiungere che molti anziani hanno fondi pensione integrative molto sensibili alla fluttuazione della sterlina e che quindi subiranno maggiormente la sofferenza della moneta.

Non esprimo giudizi, ma pare che l’epoca contemporanea sia sempre più in balìa di un Leviatano capovolto: non un monarca al potere, ma l’egemonia della massa nell’epoca della rete e della democrazia diretta, dove ognuno vale uno, ma non sempre si può garantire che ognuno sia informato correttamente.

La Filosofia e i saperi umanistici forse possono essere d’aiuto nella acquisizione di una maggior consapevolezza, perché senza consapevolezza non può essere fatta una scelta davvero genuina: possiamo scegliere nell’ignoranza, ma restiamo pur sempre responsabili della nostre azioni – come dice Aristotele -, quindi meglio assicurarci di aver capito bene cosa stiamo scegliendo prima di impugnare la matita e fare una X su un foglio elettorale.

Matteo Montagner

Può esistere un buon governo? Sviluppi dall’assolutismo Hobbesiano

Sarebbe bello se questo sovrano conoscesse veramente ciò che è giusto per la sua comunità, sarebbe bello se egli operasse esclusivamente per il bene di quest’ultima. Sarebbe bello se non ci fosse bisogno di porre nessun tipo di rimedio alle sue decisioni. Sarebbe bello se tutto funzionasse a regola d’arte, in politica, in società, nei rapporti umani. Sarebbe bello se non vi fossero conflitti, contrasti, logiche di interesse!

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IL LEVIATANO: Pubblica Amministrazione e burocrazia

 

Il bilancio deve essere equilibrato, il tesoro ripianato, il debito pubblico ridotto, l’arroganza della burocrazia moderata e controllata, e l’assistenza alle nazioni estere tagliata, per far sì che Roma non vada in bancarotta.
Cicerone

Quanto sono ancora attuali le parole di Cicerone? Si continua ancora oggi a parlare di semplificazioni e ammodernamenti della burocrazia in Italia ed, anche se qualche passo avanti è stato fatto, è evidente che ancora molto ci sia da fare.

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