La paura della libertà

Quando si è piccoli, è inevitabile essere influenzati da quelle figure che, tanto i genitori quanto gli insegnanti, divengono diretti responsabili della nostra crescita.

Ognuno di noi è stato educato all’interno di un piccolo mondo fatto di regole e di routines da seguire, modelli da prendere in considerazione e fogli riempiti di elenchi d’istruzioni necessarie al fine di potersi ritenere adeguati nei confronti di una società che ha, nei confronti di ciascuno, delle aspettative sempre più alte.

“Non imitare, ma scoprire; questa è istruzione, non è così? E’ molto facile conformarsi a quello che la società o i genitori o gli insegnanti dicono, è un modo comodo e facile di esistere, ma questo non è vivere, perché porta con sé paura, corruzione, morte. Vivere significa scoprire da sé che cos’è vero, ed è possibile soltanto quando c’è libertà, quando c’è una continua rivoluzione interiore[1]“.

L’idea principale del pensiero di Juddu, Krishnamurti, filosofo orientale promotore di una nuova forma d’istruzione e d’educazione alternativa, è fondata sul valore di una ricerca personale della libertà attraverso il progressivo abbandono di tutte quelle forme di autorità da cui siamo circondati che impediscono al proprio Sé di crescere senza paura, facendoci vivere, infatti, nella costante imitazione dell’altro.

La paura, dunque, nascerebbe esattamente laddove ci si sente al sicuro, protetti da quella sorta di gabbia d’oro[2] in cui tutto è predefinito, prestabilito, deciso, impedendo così all’individuo di scegliere. È pertanto questa chiusura nel conformismo e nella ripetizione del modello a farci paralizzare, facendo crescere nella nostra interiorità quella paura d’inadeguatezza che con il tempo tocca ogni dimensione della vita, da quella relazionale a quella professionale.

Se coloro che si adeguano e seguono la tradizione rimangono incatenati in un immobilismo mortifero, solo il ribelle e chi è in rivolta può imparare ad osservare e indagare sé stesso e ciò che lo circonda; la funzione dell’istruzione è quindi quella di sradicare interiormente ed esteriormente quella paura profonda che distrugge il pensiero, così come ogni genere di relazione umana, come anche l’amore.

Se da un lato il filosofo Erich Fromm sostiene che la libertà da ogni forma di dipendenza esteriore non fa che incrementare quella paura innestata dall’incertezza e dal rischio rispetto alle scelte che ogni individuo è chiamato a prendere nella sua esistenza – mentre seguire la voce dell’autorità, risulterebbe più rassicurante -, per il filosofo indiano, invece, la condizione necessaria per poter condurre una vita autentica è l’abbandono di tutti i doveri che talvolta ci vengono imposti, rendendoci irrimediabilmente dipendenti da delle condizioni che, il più delle volte, tendono a cambiarci, rendendoci diversi da come vorremmo essere.

Quando non è tanto la dipendenza fisica, quanto più, quella psicologica, a tenerci legati, è la schiavitù, la condizione cui inconsapevolmente ci pieghiamo.

Nell’amore, facciamo i conti con la dipendenza più grande. Ci abbandoniamo spesso all’altro, trasformando quella che è una dipendenza affettiva in parte necessaria, nell’annullamento del proprio sé.

Perché talvolta diventerebbe così inevitabile la perdita di sé?

Riprendendo le parole del filosofo indiano:

” […]Il nostro amore è sempre limitato dall’ansia, dalla gelosia, dalla paura e questo implica che dentro di noi dipendiamo da qualcuno, che vogliamo essere amati. Non ci limitiamo ad amare e basta, vogliamo qualcosa in cambio, e così diventiamo dipendenti. Quindi la libertà e l’amore vanno di pari passo. Amare significa non chiedere nulla in cambio, e nemmeno sentire che stiamo dando qualcosa, e soltanto da un amore così nasce la libertà”.

L’amore ci rende liberi quando, al di là delle costrizioni e delle immagini ideali imposte dalle circostanze sociali in cui siamo immersi, l’alterità impara ad accettarci per quello che siamo, per quello che il nostro più profondo essere è.

La libertà mette a nudo la nostra vulnerabilità più profonda, le nostre ferite, tutte le nostre paure. Ed è per questo che, talvolta, si ha timore dell’amore e si è spesso disposti a rinunciarvi. Il legame che esso implica mette in gioco ciò che di più autentico esiste in noi, quella paura di perdere tutto, di essere abbandonati, di dover ricominciare da capo, ancora e ancora.

Liberi di tutto, e al contempo liberi della propria non libertà, poiché condizione ultima dell’essere umano è l’accettazione di non poter fare tutto ed essere tutto. Della propria finitudine. L’accettazione della delusione. Di una promessa non mantenuta. Di un abbraccio non chiesto e mai ricevuto. Di non poter sempre ricevere ciò che si vorrebbe.

Liberi di ricominciare, nella sola certezza di essere se stessi.

“L’essenza dell’amore è la libertà. Libertà di essere se stessi. Libertà di sbagliare e di farsi male. Libertà di rompere tutto e di ricominciare. Libertà di avere paura che tutto finisca, di fare di tutto perché accada, di alzarsi il mattino sperando di ricevere qualcosa, di accettare di non ricevere niente. Mille e mille volte. Sempre di nuovo. Con la corte degli stessi errori che si ripetono all’infinito.[3]“.

 

Sara Roggi

[Immagini tratte da Google Immagini]

 

[1] J. Krishnamurti, Pensa a questo, Abaldini Editore, Roma, 2013.

[2] H. Bruch, La gabbia d’oro. L’enigma dell’anoressia mentale, Feltrinelli, Roma.

[3] M.Marzano, L’amore è tutto. È tutto ciò che so dell’amore. Utet, Novara, 2013, p. 109.

Le stelle cadenti dell’amore

Improvviso, inaspettato, rapido,
troppo simile al lampo che finisce
prima che si dica “lampeggia”. Buona notte, mio amore!
Questo germoglio d’amore che si apre al mite vento dell’estate,
sarà uno splendido fiore quando ci rivedremo ancora.

William Shakespeare, Romeo e Giulietta

 “Ed è arrivata l’alba. Cala il silenzio e i cuori si fanno un po’ più pesanti. L’ultima notte l’hanno voluta passare così: loro due, una bottiglia di vino e una coperta. Lì, nella spiaggia dove tutto è cominciato. Una notte passata a parlare, a baciarsi e a fare l’amore. Una notte passata a farsi promesse, mano nella mano. Una notte passata a guardare le stelle, sentendosi i custodi dei segreti dell’amore. Una notte di velata malinconia dal sapore agrodolce. Una notte passata abbracciati, guardandosi negli occhi, senza bisogno di dire nulla. Una notte viva di emozioni. Una di quelle che si ricordano per sempre, una di quelle che si custodiscono gelosamente nella memoria e ci parlano di un’estate speciale. Ma è arrivata l’alba e quella notte è finita. Ed è arrivata l’alba a portarsi via l’estate. Un ultimo sguardo, un ultimo bacio. Lungo, caldo, appassionato. Se l’erano promessi: niente parole. Per non rovinare niente, per non dire qualcosa di sbagliato, per non cadere nel banale. E così fanno. È arrivata l’alba e, in silenzio, se ne vanno, ognuno seguendo la strada della propria vita.”

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L’amore è tutto

 

Che l’amore sia tutto quel che c’è

è ciò che noi sappiamo dell’amore.

Emily Dickinson

Da questi celebri versi di E.Dickinson deriva il titolo del penultimo libro della scrittrice e filosofa Michela Marzano, L’amore è tutto: è tutto ciò che so dell’amore, uscito il 29 agosto 2013 e approdato tra i sei finalisti del Premio Bancarella 2014 (consegnato agli autori venerdì 6 giugno a Cesena).

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