Lady Macbeth: ritratto di donna in interno

Magnetico e deplorevole, sensuale e raggelante: sono davvero pochi i personaggi di pura fantasia che riescono ad avere una carica dicotomica così forte come quella insita in Lady Macbeth. Una figura costruita su una serie di contrasti apparentemente inconciliabili: un amore che sfocia nell’orrore del delitto, una sottomissione che in un attimo si può trasformare in incontenibile onnipotenza. William Shakespeare le ha dato vita, lo scrittore russo Nikolaj Leskov l’ha portata nel freddo distretto di Mtsensk e infine il regista teatrale britannico William Oldroyd l’ha filmata sul grande schermo, unendo gli insegnamenti dei due maestri sopracitati.

Il risultato finale porta il titolo di Lady Macbeth, un raffinato dramma in costume uscito nelle sale italiane lo scorso 15 giugno. Nonostante il film non manchi di alcune imperfezioni (ricordiamoci che stiamo parlando di un’opera prima), il lavoro di Oldroyd merita interesse per la sua grande capacità di costruire un personaggio femminile quantomai riuscito e appassionante. Il merito è soprattutto di una sensazionale Florence Pugh che da ragazzina timida e sottomessa inizia un percorso di trasformazione che la porterà a diventare una Lady Macbeth dilaniata da una tensione amorosa a dir poco sconvolgente. Fotografia e ambientazioni sono l’altro grande punto di forza di questa storia. Se il libro da cui il film è tratto era ambientato in Russia, la brughiera inglese si dimostra qui molto più adatta a rappresentare il simbolico conflitto interiore della protagonista, sottomessa e prigioniera all’interno delle mura domestiche, libera e passionale quando si trova a passeggiare nelle terre verdi e incontaminate del Regno Unito. Le dicotomie e le passioni di Lady Macbeth sono le stesse di un’adolescente viziata del nostro tempo, disposta a tutto pur di avere ciò che desidera ed è questa un’altra grande sorpresa del film di Oldroyd. Mentre nell’immaginario shakespeariano Lady Macbeth ci appare come una donna già matura al fianco di un marito da sostenere nella sua folle corsa all’onnipotenza, qui la protagonista è una ragazza che diventa donna solo dopo aver annientato gli uomini che la circondano. Il genere maschile esce annichilito alla fine della proiezione, ma al contrario di quanto si possa pensare Lady Macbeth non è una fastidiosa celebrazione del femminismo tout court, al contrario è un’intelligente esaltazione delle mille sfaccettature della donna in contrapposizione alla stupidità e alla pulsione fisica che caratterizza la maggior parte degli uomini.

Non male per un regista al debutto sul grande schermo. La sua ammirazione per la pittura di inizio Ottocento emerge tutta nelle riprese paesaggistiche che prendono a piene mani dai capolavori di William Turner o Caspar David Friedrich. I paesaggi simbolici di quello specifico genere pittorico diventano nel film un luogo chiave per spingere la protagonista verso il sublime, rappresentato qui da un bisogno d’amore che degenera in una spirale di violenza fisica e psicologica non facile da sostenere agli occhi di uno spettatore impreparato. Non c’è punizione o redenzione per una protagonista di tal fatta: la sfrontatezza data dalla giovane età e la sicurezza che solo il desiderio di onnipotenza possono dare, le consentono di tornare a sedersi sul divano di una casa ormai vuota come se niente fosse successo, salvo poi lasciarsi cullare dall’idea di essere diventata, a tutti gli effetti, un personaggio indimenticabile.

Alvise Wollner

[Immagine tratta da Google Immagini]

 

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Claire Underwood, il femminismo nel cinismo

Un personaggio moralmente disgustoso può essere un simbolo del femminismo? Claire Underwood, protagonista di House of Cards, una delle migliori serie tv degli ultimi anni, è una fredda e cinica manipolatrice. In accordo con il marito, ma talvolta anche contro di lui, Claire non si ferma di fronte a nulla pur di perseguire i propri interessi e accumulare potere, nemmeno di fronte alla madre malata di cancro.

Molti l’hanno paragonata a Lady Macbeth, eppure Claire è una donna molto più indipendente.  Il personaggio di Shakespeare è prima di tutto una moglie. Il nome con cui è passata alla storia non è il suo ma quello del marito. E per quanto perfidamente geniale, Lady Macbeth è solo una consigliera, mai un’esecutrice diretta. I suoi piani servono a sostenere e rafforzare il marito, ma nel corso della tragedia non emerge mai un suo progetto, che si possa sovrapporre o scontrare con quello del marito. Al contrario Claire ha una forte volontà autonoma; se aiuta il marito è perché crede di poter raggiungere più rapidamente i suoi obiettivi restando al suo fianco. Infatti non esita ad abbandonarlo quando inizia a percepirlo come un ostacolo, e gli torna accanto solo dopo aver ricevuto la promessa di diventare Vice Presidente.

Inoltre Lady Macbeth è una madre mancata. Per garantire il successo dell’omicidio del re Duncan ella prega così:

«venite, o voi spiriti che vegliate sui pensieri di morte, in quest’istante medesimo snaturate in me il sesso […]
Venite alle mie poppe di donna, e prendetevi il mio latte in cambio del vostro fiele, o voi ministri dell’assassinio!
»1

Come in un patto con il diavolo, in cambio della riuscita del suo piano Lady Macbeth rinuncia alla possibilità di avere figli, all’aspetto più importante della sua femminilità. E proprio questo, secondo Freud, che la porta ad impazzire, infrangendo una determinazione «che sembrava tratta dal più duro metallo»2. Si può «facilmente capire la malattia della donna, la trasformazione della crudeltà in rimorso, come reazione all’impossibilità di avere figli»3. Ella si rende conto che il prezzo pagato è stato troppo alto, che il potere non ha senso poiché in cambio ha rinunciato alla sua essenza di donna, al compito più prezioso che aveva come essere umano.

Claire Underwood ha un rapporto ben diverso con la maternità. Ha avuto 3 aborti, due quando era troppo giovane per crescere un bambino, uno durante la campagna elettorale del marito Frank, quando i due non avevano né il tempo né la disponibilità emotiva per avere un figlio. Al contrario di Lady Macbeth, schiacciata dal rimorso, Claire non accetta che qualcuno la faccia vergognare o sentire in colpa per le sue decisioni.  Quando una collega le chiede con malizia “Ma non hai dei rimpianti a non aver avuto figli?”, lei gelida risponde “E tu non rimpiangi mai di averne avuti?”. La maternità non è la cosa più preziosa che una donna possa avere, rinunciarci non la priva delle sue potenzialità o della sua umanità, si possono scegliere altri modi per realizzarsi.

Tracie Egan Morrisey probabilmente esagera quando definisce su jezebel il personaggio interpretato da Robin Wright Penn «un’antieroina e guerriera femminista»4. Claire lotta per i suoi obiettivi, non certo per i diritti di tutte le donne nella società. Eppure così facendo offre senza dubbio un modello femminile fortemente indipendente. Claire persegue con determinazione i suoi (pur discutibili) obiettivi,  non si sottomette di fronte a nessuno, rifiuta le norme sociali sul ruolo della donna che la vincolerebbero ad una posizione secondaria. Anche come first lady Claire non si accontenta di essere solo una comparsa sorridente, ma interviene direttamente nella vita politica; come quando denuncia l’oppressione degli omosessuali in Russia, malgrado il marito le abbia detto di tacere per evitare problemi diplomatici.

Se la descrizione di Claire vi ha ricordato Hillary Clinton, non siete i soli. Anche Michael Dobbs, creatore dei libri da cui è stato tratto House fo Cards, ritiene che la Clinton sia il personaggio politico che oggi più si avvicina a Claire Underwood. «She is a political figure in her own right – behind the scenes, but now increasingly in front of the scenes»5. Dobbs, assistente di Margaret Tatcher negli anni Ottanta, se ne intende di donne forti al potere.

Può darsi che queste signore non ci piacciano, che riteniamo eccessivi i compromessi a cui sono scese per ottenere la loro attuale posizione. Eppure è forse inevitabile che per creare una figura femminile che prima non esisteva si debba avere una determinazione che può sfociare nel freddo cinismo.

Per quanto Claire Underwood non sia certo un modello da imitare per le donne di oggi, con la sua ricerca di indipendenza tesa fino all’estremo, fino a sfilacciarsi e diventare solitudine nell’egoismo, apre una strada. Che forse le donne del futuro potranno percorrere senza bisogno di vendere l’anima al diavolo.

Lorenzo Gineprini

Lorenzo Gineprini: nato nel 1994 a Torino, dove studia Filosofia. Redattore del Brockford Post, collabora anche con altre riviste. Appassionato della Germania e della filosofia tedesca, che ama far dialogare con fenomeni pop contemporanei: dal cinema alla moda, dalla musica alle serie tv.

NOTE:
1. William Shakespeare, Macbeth, Sansoni, Firenze, 1950
2. Sigmund Freud, Saggi sull’arte, la letteratura, il linguaggio, Bollati Boringhieri, Torino, 2015
3. Idem
4. http://jezebel.com/house-of-cards-claire-underwood-is-a-feminist-warrior-1524425272
5. https://www.buzzfeed.com/jimwaterson/you-might-think-that-but-we-couldnt-possibly-comment?utm_term=.mjWL4Z2nb#.ttrBX3GE9

[Immagine tratta da Google Immagini]