Possibilità empirica e possibilità logica

– Che cosa… è… questa? – Domandò l’unicorno alla fine.
– È una bambina! – Rispose Caifa […].
– Ho sempre pensato che fossero mostri delle favole! – Disse l’unicorno […].
– Sapete – irruppe Alice – anche io ho sempre pensato che gli unicorni fossero mostri delle favole! Non ne avevo mai visto uno vivo, prima d’ora!
– Bene, ora che ci siamo visti a vicenda – disse l’unicorno – se tu crederai che io esisto, io crederò che tu esisti. D’accordo?1

Così Alice accetta di credere nella possibilità dell’esistenza di una creatura con la quale, prima di cadere al di là dello specchio, non avrebbe mai immaginato di poter interagire.

Questo Gennaio il progetto didattico La valigia del Filosofo è approdato per la prima volta in una Scuola Primaria di Secondo Grado, con il laboratorio di filosofia e narrazione Le meraviglie che Alice trovò. E proprio al tema della possibilità, introdotto dal racconto dell’accordo tra Alice e l’unicorno e della loro reciproca perplessità iniziale, è stato dedicato ampio spazio nell’ultimo incontro. Pur immersi nell’atmosfera surreale del paesaggio-scacchiera in cui prendono vita le avventure di Alice, i ragazzi della 1A rimangono con i piedi per terra. La loro risposta negativa alla domanda, apparentemente scontata “è possibile ascoltare la voce di un unicorno?” fornisce lo spunto per renderne esplicito il presupposto teorico e per iniziare a comprendere alcuni meccanismi del pensiero che restano inalterati nel passaggio dal mondo reale a mondi raggiungibili soltanto con la fantasia.

Rimanere con i piedi per terra significa considerare il concetto di possibilità come possibilità empirica. In questo caso, per tracciare la linea di confine tra ciò che è possibile e ciò che non lo è, dobbiamo tenere presente che le cose, nel mondo in cui viviamo, stanno in un certo modo. Per quanto ne sappiamo, nel nostro universo gli unicorni non esistono e sarebbe un errore ovvio affermare la possibilità di ascoltarne la voce. I ragazzi si sono mostrati più propensi a trovare esempi di possibilità e necessità empirica sull’esistenza, ma il dibattito ha compreso anche alcuni casi riguardanti fatti ed eventi: “è necessario respirare”, “è impossibile che un corpo entri in acqua senza bagnarsi”, oppure “è impossibile che un uomo cada dal sesto piano e non si faccia niente” sono state alcune delle loro frasi. “E se cade su tappeti morbidissimi?” è la pronta osservazione. Se ci limitiamo a considerare la nostra esperienza e le leggi di natura, il discorso si sposta inevitabilmente sulle condizioni fisiche di partenza della possibilità di un fatto o di un evento. La discussione diventa molto concreta e si trasforma in una lunga catena di “sì, ma se…?”, in cui ciò che conta è riuscire a esprimere le condizioni iniziali di possibilità in modo preciso.

A fare in modo che la riflessione torni ad essere un po’ più da filosofi che da fisici è il riferimento alla storia di Alice. Seguire il suo cammino ci ha fatto volare oltre i confini di ciò che riteniamo possibile nel nostro universo. Abbiamo creduto a fiori parlanti e assistito agli effetti di un fungo in grado di rimpicciolire o ingrandire chi lo assaggia. C’era un gatto su un albero che a poco a poco è svanito! Se, a partire dalle avventure di Alice, ma anche dei protagonisti di tantissime storie per bambini, osserviamo in che modo la fantasia ci permetta di ampliare i confini della possibilità empirica, emerge una questione importante: quanto l’immaginazione si può svincolare dalla nostra esperienza concreta? Perché, per esempio, gli animali fantastici della mitologia, come la chimera, sono la composizione bizzarra di parti di animali realmente esistenti?

Nel giocare a costruire mondi fantastici possiamo inventare regole che li caratterizzino in modo necessario, costitutivo, e che limitino il campo della possibilità, come la nostra esperienza limita il campo di ciò che, nel nostro mondo, accettiamo come possibile o come necessario. “È necessario che, per avanzare di una casella, Alice attraversi un ruscello, prima di diventare Regina” è una frase che rimane vera in ogni situazione in cui Alice si trova al di là dello specchio. E chissà quante altre regole ha scelto Lewis Carroll per dare coerenza al suo racconto.

Se poi decidiamo di escludere qualsiasi tipo di legge nel dare vita a uno scenario fantastico, ai massimi livelli di astrazione restano le leggi che definiscono la possibilità logica. Se a è una proposizione dichiarativa qualsiasi, il significato della proposizione “è possibile a” equivale a quello di “non è necessario non a”; viceversa, affermare “è necessario che a”, equivale ad asserire “non è possibile non a”. Il concetto di possibilità logica, così definito, è più ampio di quello di possibilità empirica. E la sua natura astratta fa sì che rimanga valido anche quando, con la fantasia, ci allontaniamo tanto dai meccanismi del nostro universo. Così i ragazzi vengono introdotti, nella prima parte dell’incontro di laboratorio, alle tematiche della possibilità empirica e della possibilità logica.

 

La valigia del filosofo

NOTE
1. L. Carroll, Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò, in D’Amico, M. (a cura di), Il mondo di Alice, BUR, Milano, 2006, pp. 177-178 (trad. lievemente modificata).

 

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Workshop: la ricerca in formato rivista

Al via al secondo workshop dedicato al mondo dell’editoria e della ricerca scientifica, artistica e culturale targato La Chiave di Sophia.

Il workshop si inserisce all’interno della Research Communication Week 2017 organizzata e promossa dall’Università Ca’ Foscari di Venezia. Ca’ Foscari organizza un’intera settimana di incontri, training e approfondimenti rivolti principalmente a chi fa ricerca, per conoscere e sperimentare strumenti di comunicazione e public engagement.
Il focus di questa edizione riguarda la visibilità dei ricercatori sui media.

◤ L’editoria periodica per comunicare la tua ricerca ◢ WORKSHOP PROFESSIONALE

Il workshop si propone di inquadrare il settore dell’editoria periodica quale strumento per comunicare la ricerca scientifica o di genere, sia essa una tesi di laurea, di dottorato o un progetto di ricerca.
Il workshop è strutturato secondo un approccio fortemente laboratoriale, nel quale verrà richiesto ai partecipanti, divisi in piccoli gruppi, di ideare e realizzare un progetto editoriale capace di raccontare la propria ricerca in ambito scientifico, artistico o culturale.

Nella prima giornata saranno delineati gli elementi essenziali dell’editoria periodica, evidenziando le caratteristiche di una pubblicazione, le sue specificità e introducendo i partecipanti agli adempimenti richiesti dalla normativa vigente.

La seconda giornata sarà dedicata alle attività di laboratorio, intervallate da opportuni approfondimenti tematici su elementi specifici del progetto editoriale. Nello specifico, ai partecipanti verrà chiesto di ideare una proposta editoriale, sviluppando un timone, un menabò e una griglia grafica per strutturare la propria rivista.

La terza giornata prevede la presentazione dei progetti sviluppati dai partecipanti, seguita da un’analisi e un confronto critico sui temi affrontati nelle precedenti giornate.

Il workshop è rivolto a studenti, dottorandi e ricercatori e dà diritto al riconoscimento di CFU di tipo F.

Data la specificità del workshop risulta fondamentale la partecipazione a tutte e tre le giornate, è sconsigliata la partecipazione occasionale, al fine di lasciar posto a chi veramente interessato. Per prenotare un posto: qui

◤ Orari e Luogo◢
Aula 8 – Rio Novo – Dorsoduro 3861, Calle Larga Foscari, 30123 Venezia
9.30 – 13.00
Pausa pranzo
14.00 – 17.30

Il workshop è coordinato da Incipit Editore.

Per vedere tutti gli appuntamente della Research Communication Week 2017: qui

LA BUONA FILOSOFIA. Riflessioni e sensazioni dalla mia prima esperienza di filosofiacoibambini.

Gironzolando per i vivaci corridoi della scuola nell’incuriosita attesa di entrare in classe, sono sorpresa nel vedere i sorrisi dei bambini e l’entusiasmo con cui, correndoci incontro, urlano in coro “maestro ma che cosa facciamo oggi?”, “sei in classe da noi adesso?”; il tutto seguito da altre voci che, facendosi spazio fra quelle degli altri, chiedono ininterrottamente “ma usiamo anche la palla?”, “ma come li mettiamo i banchi oggi?”, “dobbiamo fare il cerchio?”.

E’ solo una volta ricreato un po’ d’ordine che si entra in classe.

Mi siedo alle loro spalle e li osservo attirata dai loro modi di fare: c’è chi, venendoti incontro timidamente, ti chiede chi sei o come ti chiami; c’e chi, più disinvolto, senza dire nulla inizia a raccontarti dettagli della sua festa di compleanno fatta il giorno prima. C’è poi chi, disteso sul banco con le gambe a penzoloni, sopracciglia aggrottate ed espressione assorta, ti guarda semplicemente senza dire nulla, perché sa perfettamente che sei lì per osservare che cosa si andrà a fare; perché il tempo di quell’ora è un po’ diverso rispetto a quello delle altre ore e sa precisamente che lui e i suoi compagni stanno facendo qualcosa che la maggior parte dei bambini nel resto delle scuole dell’infanzia ancora non fa.

Si inizia.

I laboratori svolti nascono con lo scopo di “mettere in scena”, tramite un semplice e neutro pretesto, delle situazioni-stimolo indispensabili al fine di collaborare dialogando. Uso la parola “neutro” perché è proprio questo quello che occorre; è necessaria una sorta di neutralità iniziale per poter riflettere partendo da punti di vista differenti e potenzialmente infiniti, andando oltre i luoghi comuni dell’esperienza. Al di là della struttura e variabilità di ogni singolo laboratorio di filosofiacoibambini, la cosa davvero interessante è tutto ciò che potrebbe accadere assistendo a uno di essi.

Scrive Narayanan, studioso di linguistica cognitiva: “Discorrere è come passeggiare”.

Direi che queste parole metaforizzano limpidamente la sensazione che si avrebbe assistendo alla diretta di un laboratorio. Il discorrere è il motore della lezione; il dialogo che intercorre fra maestro e bambini porta con sé un costrutto di parole che raccontano, spiegano, scherzano, chiedono, immaginano, ragionano e ovviamente, rispondono. La retroazione positiva di tutto ciò, conduce inevitabilmente a un passeggiare, ad un avanzare, a un progredire dialettico di discorsi, idee, ragionamenti e consapevolezze.

Essendo interessata alla filosofia del linguaggio, non posso fare a meno di notare che pensiero, parola e linguaggio, in questo lavoro, sono senza dubbio termini chiave. Potremmo parlare di “pensiero” come “cornice di parole in potenza”. Infatti, i laboratori sono anche occasioni di scoperta del possibile quale evento che invita i bambini a riflettere, esternare ed apprendere; è un e-ducĕre, tirar fuori ciò che sta dentro per volgerlo al nuovo, al diverso, anche grazie alla parola. “I bambini piccoli sanno qualcosa del linguaggio che i ragni non sanno delle ragnatele” scrive Gleitman (1972, 160), ed è proprio cosi; verbalizzando i loro concetti i bambini diventano dei piccoli grammatici, prendono coscienza di sé stessi e percepiscono il rapporto che nutrono con l’altro.

Il metodo utilizzato non mira all’impartire una nozione specifica o unitarie visioni delle cose, ma spinge a meravigliarsi di tutto ciò che potrebbe essere pensato, immaginato e quindi, fa scoprire i possibili modi con cui, tutto ciò, potrebbe essere espresso.

Il fine del laboratorio c’è, ma non è mai prefissato in anticipo; come in un rapporto di tesi ed antitesi, mutua continuamente in base alle tipologie di risposte date dai bambini. E i piccoli, nel dare i loro responsi, non sono poi così diversi da noi adulti, anzi; le loro minori conoscenze e nozioni tecniche li portano ad essere per certi versi migliori di noi “grandi”. Questo avviene perché i bambini si impegnano tenacemente a pensare a come le cose potrebbero essere altrimenti da come sono in realtà. In questi laboratori si conosce il punto di partenza, ma non si sa mai, al cento per cento, dove si andrà a finire. Anzi, in queste lezioni di filosofiacoibambini, non manca mai occasione di imbattersi nell’imprevisto, fatto di domande o risposte a cui noi stessi individualmente, non saremmo mai giunti o non ci saremmo mai aspettati.

“Serendipità è – filosoficamente – lo scoprire una cosa non cercata e imprevista mentre se ne sta cercando un’altra. Ma il termine non indica solo fortuna: per cogliere l’indizio che porterà alla scoperta occorre essere aperti alla ricerca e attenti a riconoscere il valore di esperienze che non corrispondono alle originarie aspettative”.

Anche quando queste vengono dalla bocca di un bambino di 6 anni.

Essere aperti alla ricerca e riconoscere il valore delle esperienze altrui sono requisiti indispensabili del maestro, il quale, sapendo gestire un percorso imprevisto, segue e raccoglie i pensieri dei bambini, cerca di coinvolgere tutti nella discussione, e infine, li guida a un ragionamento consapevole.

La teoria filosofica, ancor prima di esser teoria, era una pratica. In queste lezioni si sente il bisogno di ri-tornare a fare ciò e si percepiscono immediatamente i vantaggi avuti dall’uso di tale tecnica filosofica. Condividendo le nostre sottili identità impariamo a “stare nei mondi possibili” per esser poi pronti a “stare al mondo”.

La strada che conduce a una filosofia applicata all’infanzia è ancora poco battuta e per certi versi ancora troppo ignara delle possibilità da scoprire ed indagare. Filosofiacoibambini, tra le tante cose, è perciò attenta “all’educare ad essere”. È importante riconoscere che, in un periodo fertile come quello dell’infanzia, l’istruzione (intesa come acquisizione di nozioni) da sola non basta; è necessaria un’educazione che accompagni ai saperi acquisiti lo sviluppo di un pensiero che sia il più possibile vivo e fecondo, un pensiero che, essendo rimasto fin da subito flessibile e attivo riuscirà, in futuro, a gestire le variabili di una vita da costruire.

Giorgia Aldrighetti (FcB Team Ricerca, Università di Trento)

www.filosofiacoibambini.net

L’isola

L’isola campeggia sulla lavagna. Un contorno, segnato col gesso, a racchiudere un ampio spazio vuoto. Tutt’intorno, mare, velato d’azzurro; e cielo su onde leggere e nient’altro. La fascinazione che certe immagini sono in grado di suscitare nell’animo umano è potente; paragonabile, forse, allo stato di rapimento che coglie il topo nell’attimo di paura, quando, trovandosi faccia a faccia col predatore, gatto o gufo che sia, smette di sapere che fare e si ferma, pietrificato.

L’isola è una figura frastagliata tracciata su una mappa: attrae e spaventa l’idea di un paradiso dal quale non si può fuggire in nessun modo. Un paradiso che si può solo contribuire a rovinare, più e più volte, fino a completo disfacimento. Poche cose discendono l’immaginario con la velocità di un’isola deserta (forse tigri, cavalli, vulcani e poco altro vantano effetti così dirompenti).

Scrive Aldous Huxley, in uno dei suoi romanzi più apprezzati L’isola (Island, 1962): “Siamo vittime della stessa pestilenza del Ventesimo secolo. No, questa volta non si tratta della Morte Nera; ma della Vita Grigia”. Ebbene: Huxley, che quasi certamente non aveva in mente i bambini del suo tempo mentre formulava quel funesto ammonimento, ci spinge a considerare il valore educativo che l’isola potrebbe avere oggigiorno, quale argine filosofico alla malinconia, al tedio inarrestabile che affligge le presenti generazioni. Grigiore di cui quotidianamente avvertiamo la presenza, vivendo in prima persona la scuola a stretto contatto con bambini, insegnanti, genitori.

L’isola è un laboratorio semplice. Si traccia un contorno chiuso alla lavagna e lo si circonda d’azzurro. Ai bambini si danno poche indicazioni: soprattutto, si spiega cos’è possibile dare per scontato nell’affrontare l’esercizio. Trattandosi di un atollo, si dirà, saremo giustificati ad assumere la presenza di acqua tutt’attorno, e di pesci, e potremo senza troppa difficoltà aggiungervi il Sole, la Luna e le Stelle a scandire la ciclicità di quello strano sistema isolato. In ultimo, ci sarà concesso d’individuare un uomo, capitato lì non si sa come, né da quanto tempo, né con quali intenzioni. Un uomo che giorno dopo giorno, dopo giorno, dopo giorno, svetti come un faro in attesa di qualcosa di nuovo da accogliere e abbracciare.

Un individuo, come scrive Conrad, che «non poteva neanche immaginare che il valore morale di qualche suo atto potesse interferire con la natura stessa delle cose, potesse attenuare la luce del sole, eliminare il profumo dei fiori…». Eppure è così che andò ed è così che va sempre, ogni volta che muoviamo un passo, solleviamo la testa, parliamo con qualcuno o prendiamo delle decisioni. “Avventate idiozie” le chiama Conrad, quelle colpe che si potevano evitare, quegli sbagli frutto di un pensiero indomito, irrazionale. Gli sbagli che fanno tutti e che si riescono a evitare solamente quando si è ben sviluppata la capacità di affrontare mentalmente le conseguenze delle conseguenze, delle conseguenze, delle conseguenze… e così via, fino a quando l’occhio distingue solo il pulviscolo. E si sa quanto sia difficile risalire alle cause di un granello di polvere, specie se disperso tra miliardi di altri granelli identici.

«In che modo l’uomo potrà riuscire a vedersi così come l’ha formato la natura, attraverso tutti i cambiamenti che il susseguirsi dei tempi e delle cose ha dovuto produrre nella sua costituzione originaria, e districare ciò che scaturisce dalla sua stessa essenza da ciò che le circostanze e i suoi progressi hanno aggiunto o modificato del suo stato primitivo?», si chiede Rousseau. Ebbene, non stiamo parlando che del compito, difficile come pochi, che attende proprio il nostro protagonista sull’isola: conoscere per sapere cosa fare. Conoscere e, magari, riuscire a conoscersi; ma questo solo in un secondo momento, solo se, come dire, “avanza tempo”. Capire gli uomini e le loro azioni per avere un’idea di ciò che è stato, di ciò che è, ma soprattutto di ciò che ancora lo aspetta. Parafrasando Rousseau, potremmo chiederci a tal proposito: in che modo un insegnante potrà conoscere l’origine dei problemi della propria classe, se non comincerà conoscendo i bambini stessi che la compongono e che, giorno dopo giorno, contribuiscono a indirizzarne l’umore? Già, conoscendoli. Parlando con loro, dunque, non solamente insegnando. Chiedendo loro consiglio, ascoltando cos’hanno da dire, scoprendo quali pensieri li impegnano in ragionamenti il più delle volte così complicati.

Non occorre costringere un bambino sulla strada del mondo degli adulti, insomma, né tantomeno sulla strada della filosofia, o peggio ancora della saggezza, per fare di lui un uomo. Non sarà certo una lezione, un insegnamento e neppure una singola esperienza, per quanto formativa, che lo trasformerà in una persona matura. Il bambino è ciò che è nel tempo intenso che vive. Tempo durante il quale egli cerca, lo si vede immediatamente, di afferrare il maggior numero di ragguagli dall’esperienza; informazioni che solitamente utilizza per rispondere a quesiti che spesso continuano ad assillarlo anche da adulto. Fino a quando, alle medesime domande, gli sarà forse dato di rispondere, ma con meno speranza, curiosità e immaginazione.

«Non è impresa da poco separare ciò che vi è di originario da ciò che vi è di artificiale nella natura reale dell’uomo», scrive Rousseau. Così come non è facile, per il maestro, risalire al pensiero del bambino una volta che questo abbia incontrato l’educazione, si sia mescolato a quello dei compagni di scuola e abbia affrontato le prime difficili prove della vita. Certo è in quei luoghi e in quelle occasioni che esso si forma, cresce e acquista nuovi mezzi espressivi, ma è lì che talvolta “muore”, serrandosi nelle routine o in integralismi di varia natura. È al pensiero originario del bambino che si dovrebbe rivolgere la filosofia coi bambini, al pensiero libero dalle costrizioni del “le cose stanno così e così e basta“, al pensiero che rincorre se stesso nel fitto sottobosco dell’immaginazione. L’isola non è che l’ennesimo pretesto scelto per far emergere un pensiero, per richiamarlo allo scoperto, per tendergli un benevolo agguato. Come quando, nel 1889, in Danimarca, i primi Storni furono catturati e inanellati per motivi di studio e ricerca, oggi il nostro team di ricerca tenta di afferrare i pensieri dei bambini e le loro intuizioni per farne una storia che sia la loro e non la nostra, per liberarli dalla morsa imposta loro da una crescita controllata.

Carlo Maria Cirino

[Immagini tratte da Google Immagini ]