La cultura che unisce: il Festival della letteratura di Mantova

 

Dal sette all’undici settembre si è svolto il Festivaletteratura nella splendida cornice di Mantova, meravigliosa città rinascimentale riconosciuta dall’Unesco patrimonio mondiale dell’umanità ed eletta capitale italiana della cultura per il 2016. Il festival è giunto proprio quest’anno alla sua ventesima edizione, un traguardo prezioso per una delle manifestazioni culturali più importanti a livello nazionale.

La chiave di Sophia ha avuto l’occasione di partecipare e vivere da vicino gli incontri con gli autori e gli eventi presentati nelle suggestive piazze, palazzi e teatri del centro storico.

festival-letteratura-mantova-2Difficile scegliere tra i numerosi incontri proposti dal festival. La letteratura contemporanea (con ospiti italiani e stranieri), l’arte, la comunicazione, la scienza e la musica sono stati i protagonisti di cinque giorni magici, dove la cultura, la passione e il divertimento non sono mancati.

L’attenzione del Festival si è rivolta anche alla narrativa per ragazzi. Per avvicinare i più piccoli alla lettura, sono stati organizzati diversi eventi sparsi per la città: laboratori per i piccoli e incontri aperti ad adulti e bambini, dove le parole e le immagini si sono mescolate alla poesia e alla performance teatrale.

Ampio spazio dato anche ai diversi eventi a ingresso libero presenti nelle numerose piazze della città. Gli “accenti”, incontri gratuiti della durata di mezz’ora, hanno permesso al visitatore di continuare ad assaporare l’energia del festival tra uno spostamento e l’altro in attesa dell’evento successivo. Interessanti anche le “lavagne”, brevi lezioni che affrontando un argomento specifico hanno stimolato la curiosità e la voglia di approfondire tematiche spesso considerate “specialistiche”.

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Ciò che ha reso speciale questa edizione del Festivaletteratura sono stati i grandi nomi della letteratura italiana e internazionale: dalla presentazione dell’ultimo libro di Erri De Luca all’evento dedicato ai quarant’anni dell’opera Bar Sport di Stefano Benni, passando attraverso le Lectures di Alessandro Baricco, grandi rappresentanti della cultura italiana si sono raccontati sul palco del festival, emozionando e dialogando con il pubblico. Presenti anche tanti ospiti stranieri, come Jonathan Coe e Jami Attenberg.

Anche l’arte ha avuto il suo spazio a Mantova: Oliviero Toscani e Stefano Boeri, solo per citare due nomi, il cinema e il teatro (Lella Costa e Nanni Moretti). Si sono incontrate sul palco del festival anche importanti personalità del giornalismo come Concita De Gregorio e della politica come Alec Ross e Stefano Rodotà.

Nelle cinque giornate del festival si sono susseguiti anche diversi incontri legati al tema dell’ambiente e della sostenibilità che hanno visto la partecipazione di specialisti come Chiara Deligia, portavoce dellla Divisione Nutrizione e Sistemi Alimentari della FAO e Carlo Petrini, fondatore di Slow Food.

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Allora cosa rimane di questo festival? Rimane la sorpresa nel vedere le piazze gremite di lettori e le file interminabili per assistere alle presentazione degli autori. La speranza nell’incontrare tantissimi giovani interessati a partecipare come volontari a manifestazioni culturali come queste. La gioia della condivisione, la libertà di poter chiacchierare dell’ultimo libro letto con una persona che non conosci, ma che è lì seduta accanto a te e che condivide con te la stessa passione. Rimane la gioia nel vedere la commozione negli occhi di chi stringe la mano al proprio autore preferito.

Alla Chiave di Sophia resta la grande soddisfazione di aver partecipato e incontrato alcuni dei protagonisti di questo festival, ma non solo. Ritorniamo a casa con la consapevolezza che si deve e si può fare di più in questo paese. Al di là delle statistiche e dei numeri che ci ricordano che i lettori sono sempre meno e che gli analfabeti funzionali sono sempre di più, rimane la speranza che in un futuro tutto ciò possa cambiare. Investire nella cultura e nell’educazione è forse l’unico modo che abbiamo per crescere liberi e consapevoli, pronti di fronte a ciò che la vita e la realtà ci riserva. Leggere non è soltanto un modo per evadere dalla realtà attraverso il potere creativo dell’immaginazione, ma è l’unico modo autentico per imparare ad affrontarla. É un atto di coraggio, una presa di posizione forte e chiara:

«Ogni lettura diventa un atto di resistenza. Di resistenza a cosa? A tutte le contingenze» (D. Pennac, Come un romanzo, 1992).

Greta Esposito

La casa del sonno – Jonathan Coe

Terry era un oniromane: i suoi sogni costituivano la parte più pura, preziosa e necessaria della sua vita, e per questo trascorreva almeno quattordici ore al giorno dando loro la caccia attraverso la sua mente addormentata.

Gregory, Veronica, Terry, Robert e Sara sono studenti universitari nei primi anni ottanta. Molto diversi tra loro ma accomunati da un rapporto particolare con il sonno: ossessivo, nevrotico, patologico, inquietante. C’è chi soffre di narcolessia e fatica a distinguere i sogni dalla realtà, chi guarda al sonno con occhio scientifico e vorrebbe carpirne le dinamiche più recondite, chi si abbandona al sonno per trovare la radice della propria creatività artistica.

La-casa-del-sonno_CoeL’austera e grigia Ashdown è il dormitorio che ospita i ragazzi e che, dieci anni più tardi, diverrà una clinica specializzata nei disturbi del sonno, che rimane il filo conduttore di tutta la storia. Storia dalla struttura molto particolare. I capitoli dispari sono infatti ambientati negli anni ottanta, periodo in cui i protagonisti sono studenti alla ricerca della propria strada, mentre i capitoli pari ci conducono oltre un salto temporale di quasi dodici anni, le loro personalità si sono definite, le loro vite sono mutate, imboccando direzioni differenti, alcune prevedibili, altre inaspettate.

Il libro è diviso in sei parti, ognuna delle quali rappresenta un diverso stato di coscienza: veglia, fase uno, fase due, fase tre, fase quattro, sonno REM, ed ogni capitolo si conclude con una frase spezzata che prosegue nel capitolo seguente, con connessioni arbitrarie che in principio destabilizzano il lettore.

La casa del sonno è un libro insolito, psicotico, che procede ad incastri, dove ogni pagina diventa un tassello che va a completare quello precedente e ad anticipare il successivo, proprio come in un mosaico. Il lettore si trova  a tratti smarrito, con la netta sensazione di essersi perso qualcosa, ma proprio quando sta per cedere alla tentazione di sfogliare le pagine a ritroso per chiarirsi le idee, Coe si dimostra bravissimo a sciogliere i suoi dubbi, facendo luce su quella porzione narrativa. E’ uno stile al quale bisogna abituarsi ma che, entrati nella giusta ottica, si fa avvolgente, a momenti anche inquietante, trasportandoci nella psiche dei protagonisti, nelle loro nevrosi e nei loro turbamenti interiori.

Mi sentivo più felice quando dormivo che da sveglio. Facevo sogni bellissimi.

La scrittura è dettagliata, ironica, con una forma pulita che non contempla il superfluo.

Il sonno rimane il protagonista assoluto del romanzo, quello stato in cui non siamo pienamente consapevoli, in cui siamo più fragili e forse anche più veri, privati delle sovrastrutture che guidano le nostre azioni durante la veglia.

Quella condizione di vulnerabilità del cuore in cui anche i dettagli più minuti e banali assumono un carattere luminoso, trasfigurante.

Le storie dei protagonisti muteranno negli anni, a volte deviate per sempre da un destino quasi perverso, che userà malintesi e fraintendimenti per prendersi gioco di loro.

Un libro che saprà coinvolgervi e stupirvi, con un’atmosfera surreale e un ritmo vorticoso che vi sospingerà fino all’ultima pagina. Consigliato agli amanti dei risvolti psicologici.

Stefania Mangiardi

[immagine tratta da Google immagini]