Incroci letterari a Venezia: un festival per l’incontro culturale

Anche quest’anno si è svolto a Venezia, dal 29 marzo al 1 aprile, Incroci di civiltà, il consueto festival internazionale di letteratura promosso dall’Università Ca’ Foscari, dal Comune e dalla Fondazione di Venezia, con la partnership di Marsilio, di Fondazione Musei Civici Venezia e di Bauer Venezia.

Come ogni anno, Incroci di civiltà ha aperto le porte a moltissimi scrittori provenienti da tutto il mondo: dalle firme più prestigiose, come l’israeliano Abraham B. Yehoshua e lo statunitense Michael Chabon (premio Pulitzer nel 2001), alle nuove speranze quali Jonas Hassen Khemiri, il giovane talento proveniente dalla Svezia, e l’argentina Mariana Enriquez (vincitrice del premio Bauer Giovani).

Oltre a incrociare, per l’appunto, culture, lingue e stili narrativi, il festival è stato ospitato in varie strutture veneziane e mestrine. Fra queste si ricorda la splendida Fondazione Querini Stampalia, il Fondaco dei Tedeschi da poco restaurato e l’auditorium di Santa Margherita, splendide cornici per un festival in grado di abbracciare ogni angolo della città entrandone in armonia attraverso la forza della letteratura.

A presentare la manifestazione, che quest’anno festeggia il suo primo e personalissimo anniversario decennale, ci hanno pensato la vicesindaco di Venezia Luciana Colle, il rettore di Ca’ Foscari Michele Bugliesi, il prorettore alle Attività e Rapporti culturali Flavio Gregori, la direttrice del Festival Pia Masiero e il direttore della Fondazione di Venezia Giovanni Dell’Olivo.

«Nascono molti festival – ha esordito Colle – ma pochi arrivano all’importante traguardo della decima edizione raggiunto da Incroci di civiltà. Un graditissimo appuntamento culturale il cui successo cresce ogni anno grazie alla capacità di rinnovarsi, pur rimanendo nel solco di quella tradizione che da sempre ha visto Venezia come luogo di passaggio e di incontro tra diverse culture. Gli scrittori di tutto il mondo che parteciperanno a questo prestigioso festival onoreranno con la loro presenza e le loro opere l’intera città, orgogliosa di riscoprirsi elemento vitale del panorama letterario nazionale e internazionale».

Per concludere, non occorre neanche sottolineare la grande affluenza di pubblico che si è dimostrato, come ogni anno, estremamente interessato alle voci internazionali della letteratura. Un successo, dunque, che incentiva le istituzioni veneziane a pensare già a Incroci di Civiltà 2018.

Marco Donadon

Per il futuro del pianeta: intervista a Rossella Muroni, Presidente Legambiente

<p>ROSSELLA MURONI</p>

I festival a cui abbiamo partecipato questo autunno sono stati per noi una fonte inesauribile di informazioni, visioni del mondo, conoscenza ed anche incontri. Dopo un dibattito molto interessante sul nostro pianeta-ambiente ed il nostro rapporto con esso, offerto dal festival della rivista Internazionale a Ferrara lo scorso ottobre, ho avuto modo di chiacchierare personalmente con uno degli ospiti: Rossella Muroni, classe 1974, sociologa, Presidente Nazionale di Legambiente, associazione ambientalista senza fini di lucro fondata nel 1980.
Per me è stato particolarmente emozionante poter dialogare con lei e condividere le reciproche prospettive sulle tematiche ambientali, parlare di quell’amore (perché non potrei definirlo diversamente) che condividiamo per la natura e per l’ambiente in senso lato, che comprende ogni essere vivente inclusi anche gli animali e naturalmente anche l’uomo, con le tematiche sociali ad esso annesse.

Ecco dunque un estratto della nostra conversazione.

 

Da quasi un anno lei ricopre la carica di Presidente Nazionale di Legambiente, ma è da ben vent’anni che lavora all’interno dell’Ente, cominciando come volontaria. Dopo tutto questo tempo, qual è l’idea dietro la parola “ambiente”?

L’ambiente è un tema vasto da una parte, ma che riguarda moltissimo anche la dimensione individuale; è infatti il luogo in cui noi necessariamente dobbiamo essere in equilibrio, soprattutto perché è un luogo che non ci appartiene, dove noi siamo degli ospiti: da qui l’idea di rispettare con pari dignità lo spazio che ci ospita. Parafrasando un famoso detto ambientalista, noi questo ambiente ce lo abbiamo in prestito dai nostri figli e dobbiamo assolutamente restituirglielo addirittura migliore di come l’abbiamo trovato, dunque c’è questa concezione a 360 gradi che si coniuga con un’idea di protagonismo individuale nella difesa dell’ambiente.

Quali sono i principali frangenti in cui Legambiente ad oggi si sta impegnando?

Sicuramente noi abbiamo una tradizione molto forte per quanto riguarda la qualità della vita in città, ma anche la qualità del mare. Abbiamo sempre contraddistinto la Legambiente per un contributo scientifico: abbiamo infatti un fortissimo comitato scientifico, facciamo analisi, dossier e studi proprio perché pensiamo che la scienza possa essere il fattore dirimente su cui fare ambientalismo, poiché riteniamo che la risposta scientifica sia una risposta edulcorata dalle opinioni – o almeno teoricamente dovrebbe essere così – e che quindi guidare l’opinione ambientalista tramite la scienza possa essere un fattore utile alla crescita e al cambiamento delle cose che ci circondano. Contemporaneamente però la Legambiente ha sempre voluto essere anche una forza molto popolare, per cui l’ambientalismo non è solo per pochi, per una élite: si punta invece ad un ambientalismo che possa coinvolgere tutti. L’altro nostro elemento molto forte è questo volontariato ambientale per cui ognuno può rimboccarsi le maniche, andare a pulire una piazza, una strada o una città, perché questo di fatto ci rende cittadini responsabili.

Negli ultimi mesi dell’anno numerosi Stati mondiali hanno siglato gli accordi internazionali stilati a Parigi nel dicembre 2015, ratificati ad inizio settembre anche dai due colossi dell’inquinamento, Stati Uniti e Cina. Nel frattempo però l’Earth Overshoot Day è stato anticipato ancora di qualche giorno rispetto all’anno precedente, attestandosi sull’8 agosto. Lei ritiene possibile un’inversione di tendenza?

Io credo assolutamente che l’inversione di tendenza ci possa essere, sicuramente dobbiamo smettere di accelerare le dinamiche riguardanti i mutamenti climatici. Il fatto di muoversi in un contesto di accordi internazionali credo sia l’unica chance che abbiamo, perché se stiamo alla volontà dei singoli governi noi questa battaglia la perdiamo; muoversi in una dimensione di rete internazionale guidata addirittura dagli Stati Uniti d’America e dalla Cina ci può invece aiutare a combattere questa battaglia. L’Italia ancora non ha ratificato gli accordi di Parigi, quindi arriviamo con colpevole ritardo; proprio ieri l’Unione Europea ha deciso di ratificarli come Unione Europea1, ci sarebbe molto piaciuto che l’Italia lo ratificasse per prima perché pensiamo che sia importante svolgere (almeno da questo punto di vista) un ruolo di leadership territoriale2. Gli accordi internazionali sono dunque fondamentali, ma è anche necessario che ogni Paese faccia la sua propria parte, altrimenti non possono funzionare.

Quali potrebbero essere i tre principali provvedimenti a livello internazionale su cui puntare per giungere a tale inversione di tendenza?

Sicuramente lo sviluppo delle fonti rinnovabili, dunque abbandonare lo sviluppo dei fossili; una gestione attenta dei rifiuti che si fondi sul principio dell’economia circolare, dunque rifiuti che non vengono ri-immessi nell’ambiente ma vengono invece riutilizzati oppure riciclati, quindi la circolarità delle produzioni affinché la produzione dei rifiuti diminuisca; e poi sicuramente promuovere l’idea di muoversi in maniera diversa, nonché offrire concretamente una mobilità più sostenibile, poiché essa è uno dei bisogni storici atavici della popolazione umana e quindi dev’essere assolutamente risolta in maniera sostenibile.

Papa Francesco, nella sua più recente enciclica legata alle tematiche ambientali e sociali (Laudato si’, 2015), sostiene la necessità di rispondere alla «grande sfida culturale, spirituale ed educativa» che il nostro stesso comportamento nei confronti dell’ecosistema ci ha condotti ad affrontare. Quale ritiene possa essere dunque il peso di una “rivoluzione dal basso”, dunque che coinvolga l’azione del singolo, rispetto agli accordi internazionali come quelli di cui abbiamo parlato prima?

E’ un peso fondamentale, anche perché dimostra che c’è una desiderabilità sociale delle ricette ambientaliste, cioè il fatto che le persone siano disponibili a cambiare i propri stili di vita e i propri consumi dimostra il fatto che le ricette che noi proponiamo non sono ricette punitive ma riguardano il futuro del mondo e come noi intendiamo costruirlo, quindi è assolutamente dirimente. Per altro il fatto che le persone consumino in maniera diversa ci aiuta a orientare il mercato, perché è la domanda che fa l’offerta, e quindi se tutti iniziano a domandare qualità ambientale prima o poi l’offerta di qualità ambientale aumenterà.

E quindi quali potrebbero essere a suo parere le tre abitudini o i principali accorgimenti da adottare per diventare cittadini più ecologicamente attenti e responsabili?

Si può mangiare in maniera più sana e più sostenibile, ci si può muovere in maniera più sana e più sostenibile – in definitiva, farsi un bell’esame di coscienza su quello che mangiamo e su come ci muoviamo – e poi si può consumare molto di meno i prodotti, sprecare di meno, che siano essi i prodotti stessi o i materiali, e quindi per esempio quando si va al supermercato scegliere cose con meno imballaggi. Quando mi sento dire che il biologico costa troppo, suggerisco sempre di comprare dei prodotti che abbiano meno imballaggi, perché quello è davvero un modo per contribuire. Naturalmente poi è importante fare la raccolta differenziata, scegliere di riutilizzare delle cose, magari invece di buttarle in discarica portarle ad un mercatino dell’usato, e quindi farle riutilizzare da qualcun altro… Sono delle cose banalissime, ma che secondo me sono alla portata della vita di ciascuno, cioè non esiste “non ho tempo”, queste cose si possono benissimo fare, e per quanto piccole danno un grande contributo, anche perché appunto dimostrano l’attitudine al cambiamento che le persone possono avere.

C’è e c’è sempre stata molta filosofia nell’uomo che osserva il mondo (anche naturale) attorno a sé. Lei crede che la filosofia possa effettivamente aprire delle soluzioni alle problematiche ambientali?

La filosofia può aiutare tantissimo, perché secondo me può accompagnare un’analisi dei processi in corso, anche per combattere questo scetticismo, questo fatalismo, che è il più grande nemico del cambiamento. Invece dal punto di vista anche filosofico e della speculazione filosofica, è importante approfondire il ruolo del singolo, l’importanza del suo ruolo, e la capacità di cambiamento e rivoluzionaria che ciascuno ha nella pratica pacifica e nello scegliere; io credo che questo potrebbe essere un grande contributo che la filosofia possa offrire per dare dignità a questo tipo di pensiero e a farne capire la grandezza; in questo caso si tratta di trasformare delle pratiche in pensiero condiviso, approfondire e fare analisi rispetto a quanto questo procedere abbia una sua storicità da una parte, e dall’altra possa davvero dare un contributo fondamentale al progresso dell’umanità. Questa è una battaglia che ha bisogno di tutte le scienze, non è vero che ha bisogno solo delle scienze matematiche e dell’ingegneria – sì, sicuramente c’è bisogno di questo, però anche le scienze della mente hanno un ruolo fondamentale; io penso alla sociologia, oppure alla psicologia, perché noi spesso sottovalutiamo quanto le persone soffrano in un ambiente inquinato, quanto un privato cittadino influenzi in negativo la serenità delle persone. Davvero c’è bisogno di ogni scienza per dimostrare che la sostenibilità è una ricetta valida per l’umanità.

 

Sta diventando sempre più difficile che il singolo possa scegliere: la situazione ambientale è così preoccupante che essere più ecologicamente responsabili finirà col divenire una legge per tutti. Fintantoché si può ancora scegliere i comportamenti da adottare, il mio consiglio è di provarci: sapere di limitare il male inflitto dalla mano umana sul mondo, anche se in piccola, piccolissima parte, ci restituisce una libertà ed una sensazione di benessere davvero inaspettate. Riporto una frase che non smetto mai di condividere, perché penso che racchiuda tutto, davvero tutto:

«Sii quel cambiamento che vuoi veder accadere nel mondo», Mahatma Gandhi.

 

Giorgia Favero

 

NOTE:
1. Il Parlamento di Strasburgo ha definitivamente approvato (con maggioranza schiacciante) la ratifica della COP21 il 4 ottobre 2016.
2. Il 22 aprile 2016 presso la sede delle Nazioni Unite a New York, il Presidente del Consiglio Matteo Renzi ha firmato, insieme a molti altri rappresentanti dei Paesi del mondo, gli accordi internazionali di Parigi. Ai sensi del diritto internazionale, però, la firma non implica direttamente la ratifica: essa rappresenta una conferma, da parte degli Stati partecipanti l’accordo, del testo da ratificare. In questo caso la si può anche considerare un vincolo a procedere, tramite il Parlamento italiano (e così per ogni Stato in base alla propria Costituzione), alla ratifica, ed obbliga lo Stato a non porre in essere attività contrarie al trattato. La Camera ha effettivamente ratificato i trattati il 19 ottobre 2016, mentre il 27 dello stesso mese c’è stata l’approvazione in Senato: in forte ritardo, dunque, ma con voto quasi unanime.

Intervista rilasciataci dalla Presidente Muroni il 2 ottobre 2016 durante il festival di Internazionale a Ferrara.

[Immagine di copertina fornita dall’intervistato]

banner 2019

Siamo buoni o cattivi?

La natura non è un’autorità morale su cui fare affidamento. Se dovessimo chiederle come comportarci in società, probabilmente ci direbbe di sbranarci: per lei merita di vincere il più forte, il più furbo, quello che si adatta meglio all’ambiente. Vedetela un po’ come volete, darwiniani o meno che siate. L’abbiamo chiesto quindi al filosofo della scienza Telmo Pievani.

Nel dubbio comunque, usciamo di casa e andiamo a chiedere maggiori informazioni a un nostro cugino, quello che è sempre informato sulle cose, lo smanettone. Lo troviamo allo zoo, con tutta la sua famiglia degli scimpanzé in una casa di vetro spesso di cui non deve nemmeno pagare le tasse.

Sono passati 6 milioni di anni dall’ultima visita, secolo in più, secolo in meno. Potremmo quasi accoppiarci a lui senza rischi di parentela ravvicinata.

Ci avviciniamo alla gabbia e lo vediamo tranquillo, amorevolmente impegnato a spulciare i suoi simili: sembra conosca altruismo, bontà, gentilezza (seppur con i suoi modi rudi e totalmente proibiti dall’umanissimo galateo).

E mentre ci commuoviamo vedendo questo simpatico quadretto di vita quotidiana, ci arriva uno schizzo di sangue a due centimetri dall’occhio, fortuna c’era di mezzo la parete di vetro.

Infanticidio, il giudice degli scimpanzé sentenzia così: si è trattato di un caso di infanticidio, anzi, non uno, ma tanti.

Altruismo e infanticidio coesistono, ma sono opposti? Antitetici? Lo Yin e lo Yang di un’unica complessità? No, per loro l’omicidio non rappresenta la faccia oscura della loro specie, è “solo” un comportamento, un’azione spontanea. Si aiutano, si spulciano alla sera dopo una dura giornata lavorativa, ma quando si infastidiscono per una lite condominiale, partono alla ricerca dei vicini da sgozzare, senza farsi troppi problemi morali.

Nel DNA da cui proveniamo troviamo questo istinto all’aggressione, alla violenza per risolvere un conflitto, un problema da cui ci sentiamo minacciati. E dire che guardando le notizie da ogni parte del mondo mi sarei quasi convinto del contrario. Ma per noi c’è di mezzo la cultura che getta ogni dibattito nel caos della scienza.

La natura attorno a noi è violenta, è un giardino selvaggio all’interno del quale non puoi mai abbassare la guardia. Anzi, abbassala pure, qualcuno ti sbranerà e nessuno piangerà la tua morte, perché saremo tutti intenti a sbranare o a farci sbranare. Eppure a un certo punto l’uomo ha costruito un recinto, ha isolato la violenza e l’ha portata dentro sotto forme diverse, o forse si è solo infiltrata tra un asse e l’altro della staccionata dell’Etica: qualcuno potrebbe comunque approfittarne per introdurre l’omicidio della suocera, tra le altre cose.

Sconsolati, torniamo a casa e ci fermiamo anche dai bonobo, altri cugini, un po’ più lontani e dimenticati pure alle cene in famiglia. Anche qui troviamo tracce di aggressività, che però è stata adeguatamente isolata grazie a un’attività tanto naturale quanto eccentrica: il sesso. Enormi gruppi di bonobo si trasformano in attori di un film porno la cui trama è – come al solito – molto semplice: un’orgia. In questo modo l’aggressività viene sedata e tutto torna alla normalità.

Ma questa forma di violenza non mi pare si sia ancora infiltrata nel nostro recinto, soprattutto da quello che sento dire sulle suocere: preferiremmo in ogni caso l’omicidio.
La nostra storia sociale ci mostra che nel recinto dell’essere umano spuntano violenza e solidarietà: tenetevele entrambe e scandalizzatevi di meno. La nostra evoluzione è per piccoli gruppi: piccoli gruppi contro piccoli gruppi, che attraggono poi altri piccoli gruppi. La solidarietà si sviluppa tra chi è dalla nostra parte e l’aggressività contro chi è fuori, un avversario. Due facce della stessa moneta. La tiriamo in alto e la facciamo roteare fino al dorso della mano, copriamo il risultato con l’altra e scegliamo: contro il prossimo uomo saremo buoni o cattivi?

 

Giacomo Dall’Ava

[Immagine tratta da Google immagini]

Filosofia: alla ricerca di un perché

«Perché?»

Questa è la domanda più frequente che mi viene rivolta quando rendo qualcuno partecipe della scelta in merito al mio percorso di studi universitario. E devo ammettere che mi trovo sempre in difficoltà su che risposta dare. Non è una questione banale come può sembrare, perché ha a che fare con l’intimo del proprio Io. Forse la domanda è proprio la risposta.

Cerco di spiegarmi meglio.

Fin dalle sue origini la filosofia occidentale si è dedicata al definire, circoscrivere e determinare – con le possibili eccezioni di Epicuro e successivamente Spinoza. Volenti o nolenti, questa è la nostra storia, e ci abbiamo a che fare ogni giorno della nostra esistenza. Così recitava la Dea nel poema di Parmenide Sulla Natura in relazione alle uniche due vie di ricerca che si possono pensare: «[…] l’una che “è”, e che non è possibile che non sia […] l’altra che “non è” e che è necessario che non sia»1. Su queste poche e a prima vista semplici parole si è scritto, discusso e dibattuto per secoli fino ai giorni nostri (basti vedere l’analisi filosofica contemporanea di Emanuele Severino), senza che mai si sia trovata un’interpretazione che accordasse tutti i pareri. Il problema – che ha appunto a che fare con tutti noi ogni giorno – è quello di definire qualsiasi cosa in modo univoco, perdendo quindi inevitabilmente il suo collegamento con il Tutto. È sufficiente pensare a Socrate e al suo metodo interrogativo: egli rivolgeva la domanda: «Che cos’è?» in relazione a qualsiasi cosa, con una sua conseguente determinazione. Proviamo ad applicare questo metodo alla nostra indagine: «Che cos’è la Filosofia?» Ecco un’altra questione dibattuta all’inverosimile senza risultato. E dal mio punto di vista è proprio la mancanza di una risposta uniforme a “salvarci”. Abbiamo trovato qualcosa che non può appartenere a categorie determinate, che non può essere definito in modo univoco e che riesce a sfuggire a quel meccanismo di circoscrizione che scuole di pensiero orientali come il Taoismo criticherebbero in modo ferreo. Qui entra in gioco la nostra personalità, il nostro essere diversi dagli altri. Ma la differenza sta proprio in questo diverso: è un diverso che non delimita – se vissuto in una certa maniera – bensì amplifica il risultato dato da ogni particolare che contribuisce all’essere della Filosofia.

La Filosofia ha a che vedere con il pensiero, inteso sia come pensiero personale di ogni individuo sia come pensiero in quanto tale. Sempre Parmenide nel sopracitato poema affermava: «Lo stesso è pensare ed essere»2. Il pensiero condivide con l’Essere la caratteristica di rinviare all’orizzonte ontologico della presenza: non ha confini o restrizioni, è libero e proprio questa è la sua grande forza. Proprio in relazione al pensiero, forse il contributo essenziale che ha apportato la filosofia occidentale è quello della ragione. A mio modo di vedere il problema sta nel fatto che ormai – forse da sempre – la razionalità determini la nostra filosofia, perdendo quindi quel collegamento iniziale con sé e la totalità che dovrebbe animarla. Perché, anche solo chiedendoci cosa essa sia, abbiamo determinato – se non la risposta – almeno il “modo” di rispondere. Ecco cosa intendevo affermando che forse la risposta viene a concordare con la domanda. “Perché?” è una porta che si apre al trascendentale, un viaggio nella vita alla ricerca di un qualcosa che poi riconosciamo combinarsi ed appartenere alla ricerca stessa.

La filosofia ha anche – soprattutto oserei dire – a che vedere con la vita quotidiana. È triste osservare come essa sia stata rinchiusa nelle facoltà universitarie, vanificando il suo scopo fondamentale: sorreggere la vita dell’Uomo, come messo semplicemente ma efficacemente in luce dallo scrittore svizzero Alain De Botton, ripreso anche dal periodico Internazionale3.  La sua utilità è imprescindibile nel quotidiano, ma ci si accorge di ciò solamente interiorizzandola ed applicandola. Non è difficile, la maggior parte delle volte è sufficiente solamente porsi degli interrogativi, che possono evitarci i pericoli del senso comune e dei luoghi comuni. E molto spesso la domanda è proprio quel particolare “Perché?” di cui abbiamo parlato finora. “Perché?” è un uccello che spicca il volo nel cielo della possibilità, che non si lascia imprigionare nella gabbia dell’opinione di massa anche se sembra accogliente e sicura. “Perché?” è il coraggio di Ragionare con la R maiuscola: di riflettere su ciò che accade criticamente, senza farsi mettere le parole in bocca da qualcun altro. “Perché?” è la nostra vita, fatta di impervi valichi da scalare, misteriosi passi da scovare ed incontaminate valli da scoprire.

«Perché Filosofia?», quindi.

Ora posso rispondere: «Perché no?»

 

Massimiliano Mattiuzzo

 

NOTE:
1. Parmenide, Sulla natura, B2
2. Ivi, B3
3. A. De Botton, Perché la filosofia ci aiuta a vivere meglio, “Internazionale”, 20 febbraio 2015.

copabb2019_ott