Paradiso, Inferno, Bardo

La ricerca sembra essere quell’unica attività capace di conferire continuamente senso alla vita, impedendole di crollare rovinosamente nelle viscere di un mondo scomparso o di fossilizzarsi nell’agiatezza più sfrenata che altro non fa se non reprimere ogni nuovo moto creativo. La ricerca è incoraggiamento, è sospinta, è recupero di quel che si abbandona e proiezione indefinibile lungo i sentieri del tempo. Essa non deve mai esaurirsi se non vuole segnare la fine di qualsiasi azione e per traslato della stessa vita. La ricerca è domandare, è chiamare in causa, ma la risposta non è costretta a risultare, né tanto meno ad accettare il richiamo e questo perché la risposta è per natura egoista, cristallizzata, indefessa e intenzionata a mantenersi, come una stele lapidaria portatrice di nuovi comandamenti. La domanda invece è apertura indefinibile verso l’esterno, che non si cura della sua sorgente se non in funzione del suo dubitare senza nome. La domanda promuove la vita, la sostiene come fosse la propria compagna e non per forza si pronuncia in virtù di una risposta; ad essa infatti basta aver scombussolato la coscienza di chi ascolta, perché anche l’altro possa rituffarsi nella sua anima per riscoprire quel che dava per scontato e ri-descrivere tutto ciò che fondava le sue certezze. La risposta invece fa tutt’altro; essa vuol porre fine all’insorgenza, vuol aggiogare la creatura al creatore, vuole rimettersi a una giustizia perfetta che non ammette alterità di sorta. La risposta è nella sua essenza estrema un complotto suicida, una preghiera alla morte, all’universale indiscutibile. In ultima analisi, è la prediletta di Dio, il nemico per eccellenza della ricerca.

Ma quel Dio che tanto impunemente dall’alto ci diceva cosa fare è uno spauracchio del passato, ed è caduto dal cielo come un angelo dannato per svuotarlo e far risaltare invece la responsabilità che ora giganteggia in noi esseri umani. È passato a noi il testimone, ci è offerta l’occasione di riscoprire la primordialità edenica qui sulla Terra e possiamo adesso designare un progetto salvifico che sia pratico più di qualsiasi speranza; oltre la carne, la polpa e i tessuti venosi, abbiamo la parola “Dio” stampata nel cuore e nel cervello. Siamo fautori e protagonisti della ricerca, di conseguenza cultori della vita tumultuata che impreziosiamo. Non abbiamo altra etica, altra morale, non c’è altro ethos che dobbiamo imparare a sviluppare. In tal modo, con questa riscrittura del termine divino e questa riappropriazione matura di quel che può essere una responsabilità tutta umana, aiutiamo anche l’essenza diabolica a riscattarsi da millenni di ingiurie e vilipendi: il Diavolo “maturo” non è così banalmente un male assoluto, ma è anzi un male necessario, ponderato, brillante, che opera una separazione che lungi dall’esser dannosa è invece latrice di novità. Il Diavolo è scienziato, è ribelle, è avventuriero; è tale perché anch’egli assiste la vita lungo il suo cammino, la sua espansione, appoggia le sue ambizioni. Il Diavolo è un alleato, non un nemico, allo stesso modo di Dio; il nemico è l’incomprensione, il fraintendimento, il blocco, il granito, il becero relativismo che non inaugura alcun itinerario di senso, di rapporto e mutualità. E questo nemico è lo stesso che insiste nel vedere in Dio solo una macchina oscurantista e nel Diavolo uno spettro spietato e succhiasangue.

Diabolico è creatura che crea, divino è creatura che serve. La filosofia ha la logorante peculiarità di non saper scegliere a quale realtà dedicarsi, se essere curiosa, tragica e accattivante, o se essere giusta, assoluta e androgina. La filosofia è una pratica che non è capace di definire il suo campo d’azione. Dice che è la vita, la sua casa, i coinquilini che la abitano, ma poi sembra inspiegabilmente volteggiare in dimensioni siderali e più tardi ancora la troviamo che scava con ossessione sotto la pioggia, perché vuole solamente parlare coi morti e i vivi non le interessano. È come se la sua ricerca, il diario che si accinge ad aggiornare quotidianamente man mano che il tempo incalza, covasse nella sua essenzialità tutta la potenza inespressa del pianeta, dell’umanità, forse dell’universo intero, come se cercasse di nominare il connubio assurdo tra pienezza di vuoto e vanità di pienezza che si trova a testimoniare. La filosofia è indecisa tra l’egoismo e la carità, tra l’asserragliamento nei castelli e il martirio sulla croce, e il filosofo che ne fa le veci e gli interessi dona la sua esistenza a un continuo barcamenarsi, che se mai dovesse frenarsi o approdare a qualche lido perderebbe ogni motivo di esistere. Il filosofo deve contemplare ogni possibilità, deve restare in mare per non cedere alla tentazione di avere certezze.

Qual è allora il cattivo filosofo? È quello che pretende di dare risposte, di sistematizzare l’esistenza in un grafico, in un elenco di categorie, di nomi, di pretese. Costui è il filosofo che vuole essere il Dio, divino o diabolico che sia, che assolutizza, che parla ispirato da uno spettro di morte e di silenzio. È il filosofo egoista, superbo, che persevera nell’errore fondamentale di non riconoscere i suoi limiti di essere umano. È colui che dimentica che gli esseri umani sono liberi per natura, animali, interessati al benessere del Sé e dell’altrui, capaci di amore umorale e altruismo imperfetto, ma comunque motivati da un sostanziale sentimento di coinonia, di specie, di branco, e dimenticando ciò esaspera il suo egoismo, la sua privatezza, ignora il fatto che i propri occhi non possono voltarsi per guardare se stessi, ma che invece guardano sempre l’inesauribile altro. La sua filosofia non è più fluido, ma professione di carattere; egli si fa araldo di glauchi paradisi e di fumosi inferni, dove o si è santi o si è dannati. Il vero filosofo è invece colui che risiede eternamente nel Bardo, contemplando le simmetrie assolute della sublimità e dell’orrore divino. Egli non dà una risposta, ma risveglia una domanda, perché soltanto così promuove la ricerca e incoraggia la crescita della vita.

 

Leonardo Albano

[Immagine tratta da Google Immagini]

 

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Politica, follia e altre brutte storie

Sì, No, Remain, Leave, la politica e la vita sembrano ormai in balia di una logica binaria che si addice più alle macchine che alle persone, i referendum e la continua pretesa di oclocrazia, una parolaccia greca che indica semplicemente il far scegliere e il demandare qualsiasi decisione al popolo sembrano aver catalizzato questo atteggiamento. Ma quella stessa logica si insinua molto più profondamente nel dibattito pubblico di tutti i giorni.

Prendete ad esempio la questione dei flussi migratori:

  • Destro-fascio:

A1) prenditeli a casa tua!

B2) se usassimo le risorse per gli italiani tutto andrebbe meglio

C3) ci rubano il lavoro e non portano risorse in un periodo di crisi finendo per impoverire ulteriormente le fasce più deboli della popolazione “autoctona” (ammesso che questo termine abbia un senso). Portano malattie e malavita!

  • Sinistro-buonista:

A4) ma allora cosa dobbiamo fare lasciarli morire?

B5) gli immigrati ci pagano le pensioni!

C6) gli immigrati fanno i lavori che noi non vogliamo più fare e sono un elemento di sviluppo per il paese in cui si trasferiscono

In alcuni enunciati ci sono fonti di verità, ma la contrapposizione sterile che esclude la ragione ci fa dimenticare le cose più importanti, cioè che stiamo parlando di vite umane, in questo forse credo che la posizione di sinistra ideologicamente sia più condivisibile salvo non voler spezzare qualsiasi legame di fratellanza con il genere umano e concludere quindi che ci sono vite di serie A e di serie B.

A4) nella sua formulazione grezza in fondo non dice nulla di sbagliato, la vita umana è un valore, peccato che posta così finisca per essere solo un sasso argomentativo da tirare in testa a chiunque provi a problematizzare le cose e quindi a renderle concrete come ad esempio chi fa notare che sì la vita umana è un valore e va preservata, ma che conta anche la qualità della vita e quindi le politiche legate all’accoglienza e alla gestione di flussi migratori che hanno impatti economici e sociali. La mancata ottemperanza della presa in carico in maniera seria dei problemi implicherà dar più forza alle posizioni A1), B2) e ci C3) fino a derive sempre più estremiste. Come risolve il Sinistro il problema, un solo enunciato: “zitto fascista!”. Ci sarebbe da chiedersi come mai tra le fasce più deboli della popolazione siano spuntati, anche in zone storicamente di sinistra, orde di neofascisti mascherati, non sarebbe più semplice accendere il cervello e dire che non sempre le persone quando votano di “pancia” per posizioni estreme non per forza sono ideologicamente fasciste, naziste o simili, ma semplicemente stanno esprimendo un malessere? Andatevi a guardare i voti delle periferie.

Salvare vite umane ha senso, ma dobbiamo preoccuparci anche della qualità della loro vita, invece pensiamo che basti tirarli di qua della costa e stoccarli (uso il termine provocatorio) da qualche parte mettendo delle risorse un po’ a pioggia in maniera assistenzialistica e provare a vedere cosa succede. Dove l’integrazione, quella vera, è demandata ad associazioni di volontari spessi squattrinati e mal organizzati.

Vi racconto questo interessante episodio che chiamerò “I Cento Panini e la Ben Pensante”:

Una volta il giovane che chiameremo Cento Panini ebbe la bella idea di scrivere su Facebook per dire che l’aspetto delle risorse economiche è importante e non va sottovalutato la seguente frase:

“Se ho cento panini e devo sfamare duecento persone posso dividerli a metà, se le persone sono quattrocento posso farne un quarto a testa, ma se le persone diventano un milione con un atomo di panino a testa moriamo tutti di fame. A risorse finite non si può immaginare una divisione infinita.”

Che cosa accadde? La nostra temeraria ben pensante che al posto di leggere l’appello del povero Cento Panini che invocava semplicemente l’aiuto dell’Europa nella questione dei flussi migratori e il fatto che l’Italia non fosse lasciata da sola si lanciò in rocamboleschi attacchi per dimostrare che il povero Cento Panini non era altro che un tremendo fascista e chi più ne ha più ne metta.

Quando la razionalità e la ragione abdicano alla tifoseria politica ecco che esplode la follia. Così sono i social, ma a noi piace dividerci, adoriamo massacrarci dividendoci in fazioni, gruppetti e tutto a discapito della qualità della vita nostra e degli altri. Aneliamo vessilli sotto i quali nasconderci, perché come scrive bene Canetti in un bellissimo libro disperdendoci nella massa siamo tutti responsabili e non lo è nessuno, siamo tutti decisori, ma in fondo ignavi quando ci schieriamo senza aver correttamente ragionato. La nostra protagonista Ben Pensante, che mal pensava, ha preferito trovare un oggetto su cui sfogare frustrazioni che forse provenivano da altrove che provare a cogliere il senso (giusto o ingiusto) del povero Cento Panini che di sicuro non voleva mettere in dubbio l’accoglienza e la vita come un valore, ma richiamava solo alla concretezza delle cose.

“LA NOTTE DELLA RAGIONE GENERA MOSTRI”

Gli intellettuali hanno poco da indignarsi per l’ascesa del populismo di Donald Trump e del Movimento 5 Stelle essi non sono la cura, ma il sintomo definitivo che il male è dilagato, che la politica non ha saputo dare risposte e quindi le persone che stanno male si abbandonano inevitabilmente a una protesta cieca senza proposta, perché ormai l’orizzonte di qualsiasi risposta possibile gli sembra ormai irraggiungibile, distante, vuoto. Il loro grido di dolore si leva oltre l’ovatta del tempo per generazioni ricordandoci tutti i fallimenti, tutte le ingiustizie e tutte le risposte mancate dove non c’è mai, MAI, nessuno che osi dire “Scusate, ho sbagliato” o se lo fa lo fa con una leggerezza tale da risultare incomprensibile anche ai propri simili.

Ho usato l’esempio dei flussi migratori per descrivere qualsiasi presa di posizione aprioristica, qualsiasi atteggiamento negativo nei confronti del prossimo e delle sue scelte. Capita centinaia di volte nei social media vedere vegani contro onnivori, vegetariani contro carnivori e un tutti contro tutti malsano, sbagliato. Gente che fa una grigliata e si sente in dovere di “trollare” allegramente sulla propria bacheca gente che semplicemente ha fatto una scelta diversa. E mi chiedo, ma l’umanità è veramente questa roba qui?

Siamo davvero diventati questa rumorosa massa litigiosa sempre pronta a scannarsi come nei viaggi di Gulliver per decidere se le uova vadano rotte dalla parte inferiore o superiore?

Qualche tempo fa ho dovuto sopportare, mio malgrado e facendoci i conti, di non esser stimato né rispettato da una persona che tutto sommato a modo mio ritengo pure interessante, avrei potuto provare a raccontarle la mia storia da dove vengo, addurre mille giustificazioni, magari raccontarmi, come fanno certi politici, che forse è semplicemente la gente che non capisce, ma le nostre azioni pesano molto più delle nostre intenzioni e alla fine traspare solo ciò che mostriamo. Avrei potuto raccontare l’infanzia difficile, paure, insicurezze, ma come la somma di tutte queste cose avrebbe anche solo intaccato il fatto che ho reiteratamente calpestato i suoi sentimenti? Alle volte semplicemente tediandola, altre infastidendola? Alla fin fine nessuno di noi si accorge mai quanto in basso può cadere e nella nostra vita quotidiana lo facciamo continuamente, i social aiutano, una cosa scritta dietro uno schermo sembra meno grave di molte altre cose. Alla fin fine tutto si riduce con la formula “Eh, ma io stavo scherzando”, credo che quasi tutte le cazzate del mondo siano nate con uno scherzo. Ci sono molti modi di ridere, si può ridere con qualcuno o di qualcuno, la differenza è abissale.

Questo mio appello a provare ad essere meglio di come siamo, ad accendere il cervello cadrà probabilmente nel rumore che ci circonda e forse avrete già chiuso questo palloso articolo per tornare a qualche social “scazzottata”, ma per chi è arrivato fin qui vuole solo essere un appello a provare a essere migliori e nessun giorno è mai troppo tardi per iniziare, basta sceglierlo. Usiamo il cervello, usiamolo tutti meglio.

Matteo Montagner