Il peso delle parole e il loro uso

Ciascuno di noi usa mediamente tra le 2.000 e le 7.000 parole al giorno, un numero davvero elevato e influenzato da fattori come età, personalità e sesso. Questo dato ci fa capire quanto siano importanti i vocaboli nella vita di tutti i giorni e come influenzino, direttamente e non, le nostre giornate. Le parole che possiamo usare sono davvero tante: ci basta pensare che 2.000 sono solamente quelle di uso molto frequente che maneggiamo sin dall’infanzia. Scegliere con cura, tra le parole che conosciamo, quali usare è essenziale. 

Al di là degli interessanti dati numerici ciò che davvero importa è quali parole usiamo e come lo facciamo. Troppo spesso le scegliamo impulsivamente, senza curarci del loro effetto, ma non ci rendiamo conto di quanto esse influenzino, e modifichino, la realtà. George Lakoff, linguista statunitense, spiega ciò con un esempio semplicissimo: pronunciare la parola “elefante” fa sì che io pensi a quell’animale e lo visualizzi, seppure prima non ci stessi pensando. Questo ha un effetto dirompente anche sulle azioni: quello che viene detto ha impatto sulla realtà perché modifica e amplia i limiti di ciò che può essere detto e di ciò che è considerato consuetudine. Modificare i limiti di ciò che si dice equivale a modificare i limiti di ciò che si fa. 

Soprattutto in un mondo di relazioni come il nostro, le parole non sono effimere come suggerirebbe il detto “verba volant: le parole, anzi, rimangono e lasciano un segno chiarissimo. Claudia Bianchi nel libro Hate speech. Il lato oscuro del linguaggio si concentra sul segno di odio e violenza che possono lasciare. Tra i modi in cui possiamo usarle troviamo, infatti, l’hate speech, ovvero l’insieme di immagini, parole ed espressioni che sono rivolte non agli altri ma contro gli altri. Basandosi su pregiudizi contro minoranze, qualcuno usa le parole per umiliare, denigrare e opprimere gli altri, proprio come George Orwell ci mostra in 1984.

La filosofia del linguaggio degli ultimi decenni si concentra proprio su questo uso della lingua. Il linguaggio non rispecchia soltanto la realtà, ma la modifica e plasma perché facciamo cose con le parole, per usare l’espressione di John Austin. Con l’hate speech facciamo, però, del male in maniera evidente e spesso associandolo alla violenza fisica. A questo si aggiunge la dimensione della propaganda: parole razziste e omofobe servono ad affermare la propria identità, politica o culturale, e ad affermare l’esistenza e l’appartenenza a un gruppo dominante che prevale, e vuole prevalere, su gruppi discriminati. In alcuni casi, e 1984 ne è un esempio, le parole d’odio sono presentate come normali, diffuse e anche “giuste”. L’hate speech è, dunque, usato non solo per ferire e posizionare gli altri in ruoli di inferiorità ma anche per far capire che è vero e giusto che essi siano subordinati. 

Come comportarsi di fronte a queste problematiche? Oltre a porre attenzione alle parole che usiamo, dobbiamo reagire a chi usa parole d’odio. L’indifferenza con cui accettiamo l’uso offensivo della parola diventa, facilmente, accettazione e consenso e contribuisce a trasporre nella realtà la posizione di inferiorità di coloro a cui si rivolge il linguaggio d’odio. Un esercizio che ci può aiutare a contrastare l’hate speech e a capire quando una parola o un’espressione sono da evitare è il seguente: “come sta la tua recezione?” è la domanda che ognuno di noi dovrebbe immaginare di porre al destinatario delle proprie parole. Quale è la recezione di colui a cui rivolgiamo le nostre parole? Corrisponde alle nostre intenzioni oppure no? Ponendoci nei panni altrui potremo capire cosa evitare di dire.

Quale la conclusione che possiamo trarre da questa breve riflessione sul linguaggio? Porre attenzione a ciascuna parola che usiamo non è un capriccio o un lusso ma un modo per fare viaggiare di pari passo realtà e linguaggio con l’obiettivo di non dare vita a odio e violenza in nessuna delle due realtà.

 

Andreea Gabara

 

[Photo credit Brett Jordan via Unsplash]

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Perché proprio io? Izzy, vittima del bullismo.

Io arrivo,
felice e fresca,
pronta ed eccitata
per celebrare il festival.
Sono desiderosa e ansiosa di trascorrere un bel momento.
Sorrido per l’eccitazione,
comincio a vedere la folla,
vedo sempre più persone ,
Molti sono felici e gioiosi.
Sono lì come me,
per festeggiare,
io sorrido a loro e dico ciao ai tanti volti che vedo,
si guardano scioccati e sorpresi di vedermi,
io metto in discussione il loro giudizio e mi chiedo,
‘Che cosa ho fatto di male?’
Provo a tornare nel cerchio di risatine e a parlare,
mi spingono via.
sto ferma,
I miei occhi vitrei e assenti.
Improvvisamente mi chiamano,
penso, ‘sì! Mi hanno notato! ‘
Ma poi iniziano a fare domande,
sul motivo della mia presenza.
Cominciano a dirmi che nessuno mi vuole lì.
Il mio cuore, la mia testa, il mio corpo: la nebbia
sento i rimorsi che iniziano a pizzicare i miei occhi come le guance cominciano a bruciare.
‘Non lasciare che ti vedano,
Non mostrare loro che sei indebolito ,
Indebolito dai loro commenti’,
‘Stay Strong’ penso,
ma è troppo tardi,
i miei palmi delle mani sono umidi,
le guance e il mio collo sudano
Cammino in fretta tra le risate.
Il mio cuore comincia a rompersi.
Guardo giù e cammino,
I miei occhi annegano in un mare di emozioni.
Un altro pezzo di me, spuntato fuori dalle loro crudeli osservazioni e percezioni,
mi arrendo Read more