Lo scopo da ritrovare nella vita

Senza uno scopo della vita non si può fare alcunché: non vi è terra per coloro che salpano senza una meta. Non si intende, con ciò, lo scopo dell’esistenza in senso assoluto ma piuttosto il nostro personale scopo che deriva dai nostri desideri: arricchirsi, scoprire nuovi luoghi, porre fine alle guerre etc.

Ma tutti questi pensieri, secondo l’insegnamento di Gurdjieff, finirebbero per essere vuoti e inutili a meno che non abbiano come base una certa  qual padronanza di sé stessi. Dal momento, infatti, che i desideri sono generati anche dall’influenza che cose esterne hanno su di noi, ciò su cui possiamo lavorare è in prima istanza proprio il nostro atteggiamento interno; è questo nostro lato interiore che ci permette di lavorare per questa vita1. La marcia della liberazione deve cominciare dentro di noi poiché la consapevolezza di sé conduce alla libertà dal giogo dell’ignoranza. “Conosci te stesso” è un principio senza tempo, valido ieri come oggi, lo scopo degli scopi; difficile da mettere in pratica dal momento che la “macchina umana”, nelle sue parti reciprocamente dipendenti, è qualcosa di estremamente complesso. Uno studio corretto di sé è la via che ci permette di rendere possibile, vero e autentico, uno qualunque dei nostri scopi esterni. Parte fondamentale dello studio di noi stessi è l’osservazione, un processo  sia analitico che percettivo che ci erudisce in merito ai “meccanismi” con i quali funzioniamo e ai “dati” che essi producono. Una corretta e costante osservazione su di noi rende meno frequenti gli errori che, quando si verificano, creano caos, sconsideratezza e superficialità.

Gurdjieff cerca di fare chiarezza su ciò che ci muove  interiormente distinguendo 4 funzioni principali: intellettuale, emozionale, motrice e istintiva, le quali, alla luce di studi più moderni, possiamo ricondurre all’attività della neo-corteccia, del sistema limbico, dei moto-neuroni e del tronco dell’encefalo. Le diverse reazioni che abbiamo di fronte ai fatti esterni sono originate da questi “quattro cervelli”, ognuno indipendente e allo stesso tempo connesso a tutti gli altri: a partire da un pensiero astratto fino a un riflesso incondizionato, ogni piccolo ingranaggio interno si muove e contemporaneamente muove gli altri. Capire bene da dove hanno origine i nostri pensieri e reazioni è il passo importante.

«Alcuni trovano difficile comprendere la differenza tra pensiero e sentimento, altri distinguono a stento tra sentimento e sensazione, o tra pensiero e impulso motore. […] La difficoltà di distinguere le funzioni è accresciuta dal fatto che le persone le sentono in modo molto diverso. È ciò che generalmente non comprendiamo. Noi crediamo le persone molto più simili tra loro di quanto non lo siano in realtà. […] alcuni percepiscono principalmente attraverso il pensiero, altri attraverso le emozioni, altri attraverso le sensazioni» (P.D. Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto, 1976).

Detto ciò, quando ci prefiggiamo un nuovo scopo è implicito che questo abbia di riflesso un cambiamento interiore e dunque rompiamo l’equilibrio che sussiste tra tutte e quattro le nostre funzioni ed i modi con le quali le utilizziamo. Ogni singola variazione interiore ci costringe, pena il fallimento del nostro sforzo, a diventare uomini nuovi.

Il perché finiamo per compiere queste variazioni è presto detto: esse sono il segno di una lotta contro le abitudini e conditio sine qua non del rinnovamento degli scopi esterni. Ogni percorso di vita è guidato dal proprio scopo e questo a sua volta è rinnovato dalla crescita dell’esperienza. Mutamento e Abitudine giocano così al “gatto col topo” in un circolo virtuoso che noi non dovremmo mai spezzare, quanto piuttosto conservare e gestire. Parafrasando Dewey, non dobbiamo accontentarci delle sole azioni meccaniche ma al contrario dovremmo creare le situazioni che esigono la riflessione al fine di scoprire quali possano essere le eventuali conseguenze. Ogni scopo infatti, se fa realmente parte di noi, cela dietro di sé risvolti sempre inaspettati che sono la linfa per ulteriori cambiamenti.

 

Matteo Astolfi

 

NOTE
1. Cfr. P.D. Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto, 1976.

[Photo credit Javier Allegue Barros via Unsplash]

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La profezia di Gurdjieff. Conoscenza ed essere

Nel 1915, durante il susseguirsi degli eventi che portarono al primo conflitto mondiale, il filosofo Georges Ivanovic Gurdjieff disse al proprio allievo P.D. Uspenskij:

«vi sono periodi nella vita dell’umanità, che generalmente coincidono con l’inizio del declino della civiltà, in cui le masse perdono irrimediabilmente la ragione e si mettono distruggere tutto ciò che era stato creato in secoli e millenni di cultura. Questi periodi di demenza, che spesso coincidono con cataclismi geologici, perturbazioni climatiche ed altri fenomeni di carattere planetario, liberano (disperdono) una grandissima quantità di questa materia di conoscenza» (P.D. Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto, 1976).

In tali circostanze è necessario un lavoro di recupero: combattere contro lo spreco della conoscenza.

L’idea di fondo di Gurdjieff descrive l’individuo come diretto responsabile dei diversi fenomeni del mondo comprese le conseguenti dinamiche che includono il propagarsi, smistarsi e trasformarsi della conoscenza. Quest’ultima assume, nell’idea di Gurdjieff, tutte le caratteristiche della materialità ed è quantitativamente limitata al pari di un panetto di burro, limitata in un certo tempo e in un certo spazio. Essa «non può appartenere a tutti e non può appartenere a molti» (ibid.) poiché come ogni altra cosa finita, se divisa eccessivamente non garantisce un effetto positivo sufficiente; anzi, contrariamente a quanto ci possiamo aspettare, essa può avere degli effetti nefasti a causa della propria insufficienza e incompletezza.

Non bisogna pensare, tuttavia, che la conoscenza non sia concessa alle persone in virtù di questo principio: non vi è alcun meccanismo “contro giustizia” che possa creare un accentramento di conoscenza nelle mani di pochi. Piuttosto, la realtà è che molte persone rifiutano e trascurano la parte di conoscenza che gli è assegnata per i bisogni della vita. Non v’è inoltre alcun sapere segreto e inaccessibile ma al contrario è tutto alla portata della volontà e disciplina, le quali consentono di avervi accesso. Scrive ancora Gurdjieff: «[…] un’analisi imparziale della vita dell’uomo medio, dei suoi interessi, di ciò che riempie le sue giornate, mostrerà immediatamente che è impossibile accusare gli uomini che posseggono la conoscenza di nascondere di non volerla trasmettere o di non desiderare di insegnare agli altri ciò che essi sanno» (ibid.).

Oggigiorno, probabilmente, la disinformazione globale trova in questa massiccia, estrema e sperticata diffusione di conoscenza un alleato importante: ognuno ha raccattato un pezzettino di sapere prevaricando i consueti sistemi di ricerca. Risultato: tante persone che sanno poco di tutto. E se in passato i complottismi e le dietrologie erano relegati nelle nicchie degli eventi, oggi sono più che palesi e diffusi, integrati nelle dinamiche sociali del nostro tempo, grazie anche ai nuovi mezzi di comunicazione.

Se il mondo, quindi, è capace di ingannare il giudizio e illudere gli uomini, diviene allora più importante essere maestri di se stessi e rendere possibile il proprio atto della conoscenza: in particolare, combatterne la dispersione incontrollata e imbelle; un vero e proprio spreco al quale noi stessi diamo adito smettendo di interessarci all’opinione avversa, smettendo di verificare e ricercare strenuamente la verità, smettendo di voler capire questa realtà sempre più complessa. Rimangono in pochi coloro che ottengono la conoscenza e si sforzano di non mutilare la propria capacità di ricerca e approfondimento; la conoscenza non può arrivare a chi non si sforza costantemente per raggiungerla.

La nostra mente, tuttavia, non è un semplice vaso vuoto da riempire, ci ricordava Platone nel suo Simposio. È importante essere consapevoli di cosa significa “conoscere” e cosa rappresenta la conoscenza entro il contesto della nostra vita: dal momento che capiamo cosa conosciamo e come siamo arrivati al nostro grado di conoscenza, possiamo capire anche cosa siamo e chi siamo. Se saremo sinceri con noi stessi, avremo un quadro piuttosto completo della nostra persona e di come potremmo farla evolvere: come dovremmo comportarci, quali atteggiamenti mettere in atto, a cosa credere, etc. È importante capire se il nostro essere sia o meno in linea col nostro sapere. Senza lo sviluppo del primo, il secondo non può andare oltre un certo livello qualitativo; viceversa, non avremmo altro che una serie di nozioni accompagnate da atteggiamenti totalmente inadeguati. Chiedetevi quindi: cosa ci impedisce di essere in un certo modo? La mancanza di un proprio essere crea uomini senza comprensione, senza apprezzamento. Progredire nel Mondo non è un mero esercizio di potere esercitato grazie ad un sapere quantitativo: è altrettanto importante ritagliare i contorni di noi stessi, come una statua che scolpisce se stessa. Il medesimo senso è contenuto nella frase: bisogna assomigliare alle parole che si pronunciano e ai pensieri che si producono.

 

Matteo Astolfi

 

[Photo credit Brett Jordan via Unsplash]

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