Ricordo bene l’arrivo del Natale quando si era ragazzi. Ricordo bene quel senso di eccitazione che ruotava attorno all’attesa dei regali, che per i più fortunati significava un gioco nuovo per la Play Station. Ma in un modo o nell’altro quel gioco sarebbe arrivato tra le mani di ognuno di noi, a casa di un amico o magicamente scaricato dal web. Andava di moda GTA, in una delle tante versioni passate alla storia. Un gioco a dir poco irriverente e per questo spopolava: si trattava di fare tutto quello che nella realtà le leggi e il senso etico ci impediscono. Possiamo sparare a tutti, investire persone in auto, andare a puttane in pieno giorno e picchiare, picchiare a sangue chiunque si metta in mezzo tra noi e la nostra onnipotenza.
Non scandalizzatevi! “È solo un gioco!”, ripete ogni ragazzo come un mantra, mentre la mamma lo guarda preoccupata, sperando che almeno i compiti per il giorno dopo siano stati fatti.
Nel frattempo il mondo è stato messo a ferro e fuoco da notizie di cronaca nera e di terrorismo, di stragi e di tutto quello che quotidianamente ci fa storcere il naso, quanto più accade vicino ai nostri confini. Il nostro radar del disgusto e del ribrezzo sociale si attiva ogni giorno accendendo il telegiornale, eppure c’è un altro meccanismo che ormai è costantemente attivo in quasi ognuno di noi.
La disinibizione.
Siamo disinibiti di fronte alla violenza, dopo esserci allenati per anni con un joystick in mano; non ci sembra in fondo così strano se qualcuno spara all’impazzata e senza un motivo per strada.
Sì sì, ci scandalizziamo per quei cinque minuti dopo aver sentito la notizia, ma l’informazione in entrata rientra comunque in una gamma di possibilità (cioè di azioni fattibili, possibili) anche perché le abbiamo già esperite virtualmente. È solo un gioco, quello di GTA, certo, ma ci introduce in un climax sinaptico che rafforza nella nostra testa certe connessioni. Strada? Camion? Sì, se scaviamo tra le possibili azioni combinando questi due elementi, ci troviamo anche quella di stendere passanti e polizia, roba da una sola stella tra l’altro (per gli intenditori).
Gli scopi del gioco sono sicuramente quelli di far divertire e sfogare anche con ciò che abitualmente non possiamo fare. Il gioco virtuale potenzia nell’immaginazione le nostre possibilità e ci regala qualche ora di gloria incontrastata. L’effetto però non si ferma qui, il potenziamento a lungo termine dei neuroni (LTP) non guarda in faccia alla morale e rafforza nel nostro bagaglio esperienziale anche l’intera gamma di azioni che abbiamo compiuto giocando. Virtuali o tangibili il cervello le ha esperite, ci siamo macchiati di un peccato da poco, apparentemente, ma che non si può lavare con l’oblio o con una risata.
Scappando dalla polizia o tirando sotto i passanti il nostro cervello ha messo in atto quel meccanismo tanto straordinario quanto delicato della plasticità del sistema nervoso. Addestrando i collegamenti sinaptici che riguardano un determinato comportamento, le connessioni tra i neuroni e il verificarsi di certe condizioni si intensificano, modificando permanentemente la nostra struttura. Il cervello non è elastico, non ritorna allo stato di quiete iniziale dopo aver passato il pomeriggio a sparare e investire persone (virtuali), anzi si modifica e rimane marcato.
Se infatti diamo un I-phone in mano ad un indigeno, non lo userà certo per cercare Pokemon, al massimo proverà a spaccare noccioline, perché nel suo ventaglio di azioni concepibili con un oggetto di quella consistenza, si dipana solo qualche simile possibilità. Per noi, invece, il camion era sempre stato un mezzo di trasporto: me lo ricordo quando ci giocavo da piccolo, per non aver ricevuto in regalo GTA. Il mio cervello non aveva ancora vagliato una possibilità diversa perché il mio avere-a-che-fare (l’Umgang heideggeriano) con quell’oggetto si nutriva di altre finalità.
Ormai invece siamo immersi in una quotidiana violenza con ogni oggetto che ci capiti tra le mani, vediamo obiettivi da sterminare ad ogni difficoltà o fastidio. Non diventeremo tutti assassini, certo, ma abbiamo inserito nel nostro mondo del possibile anche atrocità che ora iniziano a presentarsi sempre più frequenti.
Non sono azioni isolate di persone disturbate, ma alcuni tra gli esiti e le conseguenze della cultura della violenza, che addestra miliardi di neuroni a disinibirsi di fronte alla brutalità e a uccidere non più per fame, non più per protezione di un confine, ma per un’idea, per uno sfizio che ci si voleva togliere, o per passare un pomeriggio di svago al centro commerciale…
Giacomo Dall’Ava