Una scrittrice filosofa in sala operatoria: intervista a Giovanna Zucca

È passato quasi un anno dall’inizio ufficiale dell’emergenza sanitaria causata dal Coronavirus. C’è ancora parecchia strada da percorrere per uscirne del tutto ma soprattutto per comprendere tante cose che continuano a restare vaghe ed oscure. Una mia curiosità è sempre stata quella di conoscere le prospettive sulla faccenda del personale ospedaliero, i cosiddetti “eroi in prima linea”. Ecco perché ho voluto intervistare Giovanna Zucca, laureata in filosofia e scrittrice oltre che infermiera di sala operatoria. Una donna dinamica, appassionata di Jane Austen e sempre attenta al risvolto etico del proprio lavoro. Ha al momento ben sei pubblicazioni all’attivo, di cui ricordiamo la “pietra miliare” Guarda, c’è Platone in tv! Come i filosofi antichi ci aiutano a vivere il presente (Fazi 2011) e lo splendido Noi due (Dea Pianeta Libri 2018).
Ecco dunque che cosa ci ha raccontato Giovanna Zucca.

 

Giorgia Favero – In una narrazione sensazionalistica dell’emergenza sanitaria, abbiamo visto emergere più volte termini quali tragedia e tragico. Mettendo volontariamente da parte il senso odierno dei due termini, mi sembra interessante invece riprenderne la concezione antica, quel senso del tragico in cui Karl Jaspers «ravvisava un interrogare e un riflettere in immagini». Ha senso secondo te ripescare quel senso antico del tragico per raccontare la pandemia che stiamo attraversando, nonché le sue inevitabili conseguenze?

Giovanna Zucca – Secondo Karl Jaspers l’essenza del tragico si riassume in uno scollamento tra sapere e potere. È tragico il destino di Edipo, che per assenza di Sapere diffuse morte e sangue. Tragico è l’attributo fondamentale della condizione umana e il destino dell’uomo è di superare i suoi limiti, anche, interrogando e interrogandosi in immagini. Il sapere tragico riflette sulle contraddizioni della realtà, e in questo senso può fornire un valido aiuto per capire come raccontare il momento storico che stiamo vivendo. Condivido il pensiero di Jaspers secondo cui vi è una grande differenza tra le civiltà che non hanno coscienza tragica e ignorano la tragedia e il romanzo, che sono espressione di tale coscienza, e quelle che sono, nella pratica, dominate da un’evidente coscienza tragica. Avere coscienza tragica apre gli occhi sul mondo e il sapersi ai bordi del mistero fornisce una formidabile spinta a superarsi, a comprendere e comprendersi. La tragedia diventa così il tentativo di spiegarsi l’assurdità della sventura e cercando di spiegarlo arrivare a comprenderlo. Per rispondere alla domanda credo che sia ragionevole ripescare il senso antico della Tragedia mettendone in luce le forti valenze sociali e educative.

 

GF – Uno dei temi che abbiamo toccato anche noi nel nostro blog la scorsa primavera è quello dell’eroicità del personale sanitario. Durante la prima ondata sembrava che ci fossimo accorti di colpo di che lavoro prezioso e di quanta abnegazione medici, infermieri, chirurghi, operatori sociosanitari e psicologi dimostrassero quotidianamente all’interno degli ospedali (e non solo). Sei una scrittrice per cui conosci moltissimi eroi della letteratura e non solo, eroi come anche antieroi, martiri e folli. Che cosa significa per te essere un eroe? Ti sei sentita un’eroina?

GZ – Tutti abbiamo bisogno di eroi, a maggior ragione in un momento come quello attuale. Stiamo vivendo la più grande avventura che l’umanità ricordi, un appuntamento con la Storia che ci dirà chi siamo e di cosa siamo capaci. Sono una scrittrice e sono un’infermiera, vivo sospesa tra Tecnica e Metafisica, in perenne equilibrio sull’asse delle mie illusioni. Sono un’eroina? Certamente no, mi verrebbe da rispondere senza pensare, ma forse sì. Perché chi sono gli eroi e le eroine se non chi guarda avanti rifiutando la passività? Il definitivo non è materia per gli eroi e in questo senso sì, lo siamo. Sono eroi coloro che credono che usciremo da quest’avventura solo diventando Grandi, superandoci e impedendo che un virus ci trasformi in stupidi automi senza anima. Sono eroi tutti coloro che non hanno perso la speranza che ne usciremo migliori. Perché nonostante tutto ne usciremo migliori e con una nuova gerarchia di valori cui fare riferimento.

 

GF – Rimanendo su questo spunto della figura dell’eroe, durante la seconda/terza ondata invece abbiamo assistito all’esatto opposto: in tanti hanno screditato il vostro lavoro e hanno rifiutato di credere alle vostre parole e ai vostri volti stanchi. Come ti spieghi (se te lo spieghi) questo cambiamento?

GZ – Me lo spiego con la convinzione che si sia indugiato troppo in una narrazione “tragica” che non lasciava spazio alla speranza. Una narrazione che, se efficace dal punto di vista dell’attenzione, non ha risposto al bisogno profondo di rassicurazione delle persone. La parola che mi viene in mente è saturazione. L’eccesso d’informazione è diventato un rumore di sottofondo che lungi dall’informare si è tramutato in uno specchio deformante. Non ha facilitato la comprensione, l’ha paralizzata, diventando un inutile accumulo di dati. La conseguenza di ciò è che la crescente diminuzione del tempo di attenzione, dovuto all’abnorme flusso d’informazioni, determina che per essere attivati occorreranno sempre maggiori stimoli. Il sensazionalismo diventa la condizione per attivare l’attenzione. La sovra-stimolazione unita a immagini impattanti e privata di argomenti rassicuranti potrebbe essere alla base dell’umana reazione di rifiuto.

giovanna zucca

GF – Ci sono stati dei momenti in cui – si è detto – si è dovuto scegliere chi far entrare e chi lasciare fuori dalla terapia intensiva: scegliere, dunque, come in tempo di guerra, il male minore, ovvero di salvare chi aveva più probabilità di sopravvivere. Non so se sia capitato anche nel tuo ospedale, ma sicuramente questo porta nuovamente all’attenzione quanto abbia a che fare l’etica con la medicina e la pratica ospedaliera. Credi che al giorno d’oggi e qui in Italia i medici (o le strutture ospedaliere con le loro gerarchie) siano sufficientemente pronti a dibattere su questioni etiche?

GZ – Nella mia esperienza e a proposito del mio lavoro nell’ospedale di Treviso credo che siano pronti. Nella nostra regione la sanità e le strutture sono solide, l’onda, specialmente iniziale, di questa pandemia ha picchiato duro ma devo dire che non ci ha travolto. Dopo lo stordimento dei primi giorni si sono rinserrate le fila e si sono messi in atto una serie di provvedimenti che ci hanno consentito di affrontare con relativa serenità ciò che stava capitando. Per quanto mi riguarda, posso affermare di non essermi mai sentita in balia degli eventi, avevo protocolli da seguire e sentivo con forza che non eravamo soli. Non ci sono mancati i presidi di protezione e, questo ci tengo a dirlo, neppure nelle fasi iniziali della prima ondata ho mai avuto la sensazione di non avere una guida. Abbiamo modificato orari, sedi di lavoro, consuetudini decennali sono cambiate nel giro di poche settimane, eppure avevo la sensazione chiara e distinta di sapere in ogni momento dove stavamo andando. Eravamo sempre un passo avanti. Ed eravamo pronti. Lo eravamo e lo siamo. E forse sì, siamo degli eroi. Ma tutti. Nessuno escluso. Anche e soprattutto chi ha dovuto prendere decisioni non facili. Nel mutevole divenire umano degli eventi  scorgo una costante: nella nostra regione la sanità è eccellente.

 

GF – Uno dei punti su cui la bioetica e la pratica clinica insistono – correggimi se sbaglio – è la differenza, più facilmente intuibile attraverso la lingua inglese, tra il curare (to cure) e l’aver cura (to care). Nelle situazioni d’emergenza viene spontaneo occuparsi principalmente della cura farmacologica, ancora di più immagino durante la prima ondata, quando non si sapeva ancora quale strategia utilizzare per debellare questo virus. Come si mantiene un equilibrio tra le due in situazioni di emergenza?

GZ – Avendo sempre presente che di fronte a noi ci sono persone. E facendo del proprio meglio. Certe situazioni sono terribili, sono più di quanto chiunque possa sopportare e allora l’unica cosa che conta è fare del proprio meglio. Pensare in proprio esercitando una costante attenzione all’esercizio del Dubbio. Mai attardarsi alla superficie ma orientare la riflessione su ciò che sussurra sotto di essa, perché è lì si generano i pensieri elevati. Pensieri che possono dare la vertigine e che nascono in alto dove l’aria è rarefatta. Mi viene in mente una frase di Jung che dice più o meno questo: il pendolo della mente oscilla tra senso e non senso, non tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.

 

GF – Siamo molto orgogliosi del fatto che la nostra conoscenza risalga addirittura ai nostri esordi: nel nostro ormai introvabilissimo numero 1 di gennaio 2016 infatti c’è anche un tuo scritto. Dunque ci conosci bene e sai bene che per noi la filosofia è un qualcosa di pratico, di vivo, qualcosa da spendere (anche se il termine è un po’ svilente) nella nostra vita quotidiana. Ti chiedo dunque una piccola curiosità: come ti ha aiutato la filosofia a vivere questa inaspettata pandemia?

GZ – La filosofia è la domanda sul senso e in questo caso intendo il senso come significato profondo di ogni singola esperienza. Intendo la filosofia come uno stile di vita, un modo di stare al mondo, niente a che vedere con l’esercizio dialettico e le sue sottigliezze. È la vita che interroga se stessa e la facilità con la quale pratico questo domandare mi porta a interpretare la realtà con stupore e meraviglia. È l’attitudine a trovare soluzioni non problemi e a scorgere in ogni vissuto, anche il più difficile, l’insegnamento che ne deriva. È il sapere che ci saranno sempre soglie da varcare, prospettive da raggiungere. È comprendere le trame segrete sulle quali tutto si regge, analizzarne le tessiture con spirito libero. E soprattutto è non commettere l’errore di confondere Doxa ed Episteme.

 

Non ci resta che ringraziare la nostra Giovanna Zucca e augurarle buon lavoro… che sia davanti a un computer o in corsia!

 

Giorgia Favero

 

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Intervista a Giovanna Zucca: scrivere per vivere

Eclettica. Dinamica. Sorprendente.

Se esiste una Donna che si possa definire “multitasking” per eccellenza, il riferimento a Giovanna Zucca è inevitabile.

Infermiera di sala operatoria nella quotidianità, diventa filosofa per amore, innamorandosi dei grandi e piccoli nomi di questa materia.

È scrittrice per passione. È scrittrice per vivere e far vivere i suoi personaggi; tra le pagine scritte e le righe che ci colpiscono nel leggerla. Tra le parole che racchiudono un significato sempre intenso, tra l’interesse che nel leggerla cresce sempre di più.

 

– Giovanna Zucca, dal campo scientifico a quello letterario e filosofico! Per molti potrebbe sembrare un salto alquanto ardito, per noi de La chiave di Sophia, un’ulteriore dimostrazione di quanto la Filosofia ci appartenga anche se la nostra professione ci porta altrove. Come è avvenuta questa transizione e da dove è nata la passione per la scrittura e la Filosofia?

La filosofia ci appartiene. Nel mio quotidiano vivo sospesa tra tecnica e metafisica, e devo dire che mi ci trovo benissimo. La tecnica è il mio lavoro in sala operatoria, una professione scelta molti anni fa, dopo che una famosa serie televisiva, aveva avvolto di una patina romantica la figura della strumentista di sala operatoria. E’ stata una buona scelta. Mi piace pensare che anche nel momento dell’iscrizione alla scuola per infermieri la filosofia, mi abbia guidata. Dopo qualche anno, ho deciso di approfondire a livello universitario la passione per la conoscenza, ciò che avevo appreso per mio conto non mi bastava più, sentivo la necessità di una guida, di dare organicità e ordine al mio sapere filosofico. Sono stati anni di crescita. Di consapevolezza e di senso. Sono membro del CISE il centro interuniversitario di studi etici, e partecipo attivamente alle attività seminariali anche come relatore. La filosofia studiata a livello universitario ha agito profondamente sul mio carattere. Ha permesso l’incontro più importante che un essere umano possa fare: quello con se stessi.

– Come è stato tornare sui libri e rimettersi in gioco come studentessa alle prese con una materia da molti considerata obsoleta?

Gli anni a Cà Foscari sono stati impegnativi. Conciliare studio e lavoro non è stato semplice. Eppure…posso dire che sono stati tra i più felici della mia vita.

– Nella sua professione ospedaliera la Filosofia l’ha in qualche modo aiutata? Se sì come?

A volte per lavoro mi trovo ad affrontare situazioni che sono legate a sofferenze indicibili. Ci si domanda spesso il senso di ciò che si vede. Perché quel bambino? Perché quel ragazzo? …Ebbene la filosofia trattando essenzialmente del senso mi ha aiutato a evitare che il pensiero si avvitasse su se stesso senza che la riflessione portasse ad alcun risultato. La filosofia insegna a pensare.

Scrivere: quanta attitudine personale e quanta determinazione sono richieste? 

Credo che l’attitudine sia fondamentale. La tecnica narrativa si può apprendere ma la capacità di vedere storie e creare personaggi è propria del temperamento visionario di chi si nutre di parole. La determinazione è una conseguenza. Se la passione e la voglia di inventare vite è davvero forte la determinazione a portarle nel mondo ne deriva come logica conseguenza.

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– La scrittura: mettere su carta una storia appassionante non è facile. Eppure lei con Mani Calde ci è riuscita, andando a toccare corde sensibili e trattando un tema come il coma in modo mai superficiale ma nemmeno con toni cupi, portando alla luce la gioia di vivere tipica dei bambini anche quando non possono esprimersi, come il protagonista del libro. Questa storia deriva dalla sue esperienza professionale? Come si può affrontare psicologicamente una situazione tanto tragica?

Mani calde nasce dalla mia esperienza, sgorga dalla convinzione che l’essere umano utilizza canali diversi per di comunicare. Il logos ha molteplici declinazioni. L’uomo è un rapporto che si rapporta, e quando non può comunicare attraverso la lingua, trova altri livelli espressivi.

– Jane Austen: intramontabile, viva tuttora più che mai. Una grande Autrice, ma anche un’eroina del suo tempo che ha avuto il coraggio di ribellarsi ad una società che imponeva un determinato modo di essere e comportarsi. Quanto ci ha lasciato al giorno d’oggi? Perché può ancora essere considerata un esempio? 

Azzardo due motivi: Uno è prettamente sociologico. La Austen ha voluto narrare le vicende di una classe che conduceva uno stile di vita in marcia verso la propria fine. La rivoluzione industriale era alle porte, l’aristocrazia perdeva il suo primato di classe dominante e le campagne si sarebbero presto spopolate. La scrittrice che era ben consapevole del mutamento che stava giungendo ha, con ironia e ingegno dipinto la società di campagna del suo tempo.

L’altro motivo è più filosofico-letterario: I personaggi dei suoi romanzi sono universali. Possiedono delle caratteristiche che nella loro essenza sono le stesse di oggi. Se spogliamo la signora Bennett del linguaggio lezioso, di certe svenevolezze tipiche del suo tempo, chi può dire di non averne mai incontrata una?

La Austen visse in un periodo nel quale erano di moda i romanzi gotici dove accadevano molte cose. Castelli in rovina, eroine rapite da tenebrosi seduttori, fantasmi nelle torri. Ha sfidato le convenzioni decidendo di narrare vicende nelle quali non accadeva nulla o quasi. Perché? Non ne aveva bisogno. Non necessitava di magnificenze stilistiche o avventure mirabolanti per avvincere il lettore. Ci riusciva comunque, mantenendo viva l’attenzione su argomenti apparentemente banali, come l’arrivo della lettera della signorina Fairfax…con una scrittura inarrivabile per ironia e capacità descrittiva. In tre righe ci mette davanti agli occhi la matrona supponente e conscia della sua importanza che altezzosa batte il bastone a terra per richiamare l’attenzione, e quando con maestria vertiginosa le da’ della sciocca questa senza neppure sospettarlo alza il naso con sussiegosa condiscendenza…Ti ricordi la signora Norris di Mansfield Park?

Romanzi come “orgoglio e pregiudizio” raccontano le più belle storie d’amore. Un amore che si viveva con restrizioni e non liberamente, eppure i personaggi sono estremamente carichi di emotività. Cosa rende questi romanzi così intensi? Perché l’ideale di amore è ancora riferibile a quello, nonostante la nostra società si sia in qualche modo sterilizzata? 

Perché in essi c’è l’autenticità propria del genio. E i lettori lo sentono. Le storie d’amore della Austen sono dei mezzi narrativi che permettevano all’autrice di dire quello che voleva: tracciare dei caratteri universali che trascendono il tempo e arrivano fino a noi con immutata genialità narrativa. A duecento anni di distanza l’opera della Austen è più viva che mai.

– Guarda c’è Platone in TV, il tuo secondo libro che potremmo considerare un libro di etica narrata. Come è nata l’idea di attualizzare filosofi antichi come Platone, Aristotele ed Epicuro accostandoli in modo divertente a filosofi contemporanei?

Guarda c’è Platone in tv è la mia tesi di laurea. Quando l’ho proposta, avevo l’idea di scrivere una tesi creativa, che mi coinvolgesse divertendomi. Mi sono detta che comunque mi ci dovevo impegnare, tanto valeva farlo in maniera divertente. Cosa c’è di più divertente di una puntata di Porta a Porta dove il plastico è l’Acropoli di Atene e gli ospiti sono niente meno che Platone e Aristotele che battibeccano allegramente in una dialettica che vede il sentimento prevalere sulla ragione l’orgoglio e soprattutto sul pregiudizio…

– In UK sono molti i ragazzi che si laureano in Filosofia applicata alla scienza o alla medicina; in Italia anche solo dirlo sembra essere un’eresia. Lei cosa ne pensa? Perché in Italia la Filosofia è così bistrattata?

Perché il pregiudizio che è il fratello scemo del giudizio ancora oggi guida le teste d’uovo che orientano la cultura e la scuola italiane. La filosofia applicata alla medicina dovrebbe essere una disciplina ovvia. I medici nascono soprattutto come filosofi ma poi la techne ha snaturato l’ideale filosofico che sottostava alla scelta del “prendersi cura” in favore di un biologismo esasperato che ha portato alla frammentazione del sapere medico e alla scomparsa della base filosofica dalla quale ha avuto origine.

La filosofia è bistrattata perché forse fa paura. La filosofia insegna a pensare. A essere critici. A dare il giusto valore alle cose. E’ una temibile sciagura che una nazione intera sappia pensare.

“Mani calde”, “Guarda! C’è Platone di TV”, “Una carrozza per Winchester”; tre libri in cui è stata capace di cimentarsi in stili diversi tra loro, pur riuscendo in ogni caso al massimo. Questo denota che lei e una scrittrice eclettica e completa. Cosa ci riserva per il futuro? 

In un tempo in cui sono popolari i romanzi seriali fare una scelta come la mia è considerato controproducente. Non sono d’accordo. Credo che un autore debba misurarsi con narrazioni diverse. Inoltre per quanto mi riguarda, posso scrivere esclusivamente ciò che in quel momento cattura la mia attenzione e scatena la folgore creativa. Dopo Mani calde non avrei potuto scrivere un altro romanzo di ambientazione ospedaliera, anche se me lo consigliavano vivamente.

Il prossimo romanzo sarà un romanzo di relazioni. Un giallo particolare dove le relazioni tra i protagonisti sono più importanti del delitto.

E dopo quattro romanzi tornerò al punto di partenza con un’altra storia che ricorderà in parte Mani calde. La vicenda di due gemellini dal giorno zero al Principio creatore.

 

Un percorso al di fuori di tutto ciò che si potrebbe definire scontato. Un’ironia sagace e brillante.

Un talento che corrisponde a grandi risultati.

Questi gli ingredienti appartenenti a Giovanna Zucca, una Donna che dimostra quanto i propri sogni possano essere realizzati.

 

La Chiave di Sophia

[Immagini concesse da Giovanna Zucca]

 

Chi sei? Una Donna.

Donna.
Totalmente Donna.
Semplicemente Donna.
Quanti ambiti investono le donne di oggi? Quanti ruoli importanti ricoprono? Quanto contano le donne oggi?

La Donna nella nostra società, forza motrice di famiglia e aziende.
Oggi la Donna non è solo colei che cura i figli e la casa ma è multitasking, in grado di pensare a questo ma anche ad altre infinite cose; la Donna, oggi, ricopre vertici aziendali, politici, pubblici e finalmente è in grado di mostrare l’aspetto intellettivo, uscendo, così, dal cliché ‘donna-oggetto’.

Io sono una Donna, e ogni giorno voglio essere ciò che sono.

Nella passione dei miei obiettivi, nella determinazione con cui li perseguo.

Nella crescita professionale, nell’impegno e nella fiducia dei miei progetti.

Nella tenacia delle difficoltà, considerando i no ricevuti come fonte di nuove conquiste.

Nell’arte e nel mio essere autentica, colorando delle mie emozioni la creatività che avvolge le mie opere

La Donna è ricca di sfumature, finalmente libera di mostrarle perché conscia del suo valore personale.
Un evento che vuole condividere con il pubblico l’Essere [e non l’apparire] Donna attraverso il particolare filtro interpretativo dell’arte contemporanea e attraverso la parola in prima persona di donne realizzate in diversi ambiti della società.

Conegliano è pronta a rispondere a questi quesiti, con l’evento “Infinte Volte Donna”, organizzato dai progetti stART “dare forma alla creatività” e La Chiave di Sophia, che si svolgerà dal 16 maggio al 2 giugno nella città del Cima. È previsto un programma ritmato a suon di musica, danza, arte, momenti di confronto e dibattito, che occuperanno il complesso medioevale del Castello di Conegliano e la città tutta.

Un intersecarsi di esperienze, paesaggi e contenuti per un evento dall’elevato valore culturale arricchito dalla partecipazione e l’intervento di importanti personalità del mondo della cultura, dell’arte e dell’amministrazione pubblica.

“Infinite volte Donna” vuol stimolare una riflessione sul ruolo della donna al giorno d’oggi fornendo chiavi di lettura e interpretazione diverse, cercando un confronto e un dialogo connun ampio target di pubblico per poter così amplificare la portata del messaggio.

L’evento è aperto al pubblico e gratuito. È stato realizzato in collaborazione con il Comune di Conegliano e con al patrocinio di Regione Veneto, Provincia di Treviso e Confcommercio – Terziario Donna Treviso, grazie al sostegno degli sponsor: Deewear, Le Manzane, Banca della Marca, Tipografia Crivellari, Nuovi Servizi Brino, Trevisauto Group.

Sfumature che si delineano ed intrecciano, sfumature che fuoriescono ogni volta che mi sento chiamare Donna e non una delle tante appartenenti al genere femminile. 

Chi sono io? 

Infinite variabili. Infinite sfumature. 

Infinite volte Donna. 

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PROGRAMMA

16|05 ore 18.30
OPENING MOSTRA “INFINITE VOLTE DONNA”
Chiesa di Sant’Orsola – Castello di Conegliano

Performance live – Corinna Canzian (violino)
– ingresso gratuito –

17|05 ore 10.00
WORKSHOP VIOLINO con Corinna Canzian
Chiesa di Sant’Orsola – Castello di Conegliano

– partecipazione libera –

17|05 ore 17.00
INCONTRI DI PAROLE
con Giovanna Zucca e Erica Boschiero
Giardini del Castello di Conegliano

Performance Live – Erica Boschiero

23|05 ore 18.00
NOTE IN MOVIMENTO
Spettacolo Danza e concerto pianoforte
Convento di San Francesco

Incontro con Sabrina Massignani e Anna Waliczenka
Danza – Venezia balletto diretto da Sabrina Massignani
Pianoforte – Veronica Bottos

– partecipazione libera –

31|05 ore 17.00
PROFESSIONALMENTE DONNE
Dove sono le Donne nella società professionale odierna? Ovunque.
Giardini del Castello di Conegliano

Interventi:
– Dott.ssa Giacomin Annamaria – Tesoriere Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro
– Valentina Cremona – Presidente Terziario Donna Confcommercio
– Gabriella Catania – Tenente dell’Aereonautica Militare italiana
– Marika Montesotto – Chef

– Partecipazione libera –

Artisti:
Carmen De Marco
ElenaSilvia Sperandio Fiber Artist
Paolo Gallina Arts
Andrea Gottardi
Jade Eleonoire ph
Eleonora Lorenzon
Andrea Lucchese Art
Sara Penco
Rita Petruccioli
Filippo Perin aka PHIL aka PHIL TOYS
Giovanni Pietrobon
Gloria Pizzilli
Mauro Romanzi
Fabio Tabacchi
Alessia Trentin
Artenima – Elena Uliana
Frederic Doazan – in collaborazione con Lago Film Fest

Evento facebook: qui

per info:
www.startcreativity.it
info@startcreativity.it