Chi, loro?

 

È la febbre della gioventù che mantiene il resto del mondo alla temperatura normale. Quando la gioventù si raffredda, il resto del mondo batte i denti.
(George Bernanos)

Una sera alla TV, in uno di quei programmi intelligenti che mandano in onda verso la mezzanotte (guai a diffondere la cultura in fascia protetta…), un regista pronuncia queste parole: “Difficile dipingere i giovani di oggi, nessuno sa più chi siano, cosa vogliano o desiderino per il loro futuro…nessuno ce li presenta e nessun giovane ha più il coraggio o la voglia di dirci chi è…”

Mi ha fatto riflettere molto, a tal punto da ritrovarmi a chiedere ma chi è il giovane d’oggi?

Dopo quell’attimo di annebbiamento cerebrale mi sono guardata intorno e mi sono resa conto che i giovani d’oggi eccome se parlano, scrivono, suonano, urlano il loro essere ma probabilmente nessuno li sente, nessuno li ascolta perché non c’è tempo, perché tanto è giovane non può sapere, non può capire, perché la sua età non gli permette di avere chiaro in testa un obiettivo, perché le grandi cose, le grandi scoperte, i grandi dialoghi non li può fare un giovane e così via.

E ogni volta che l’adulto viene messo di fronte a qualcosa di straordinario realizzato da dei giovani, la domanda, un po’ sarcastica, è sempre la stessa:

Chi, loro?

Come a dire impossibile.

Questa domanda fa rabbrividire.

Questa domanda rattrista.

Eppure, ogni mese, avrò la forza e la convinzione per rispondere: Sì, loro! o Sì, lei/lui!, perché in questa nuova sezione de La chiave di Sophia, vi presenterò ogni volta un qualsiasi  giovane under 30 in cui mi imbatterò per scoprirne desideri, paure, emozioni, passioni, idee, dunque per conoscere la sua realtà e vedere il mondo dal suo punto di vista; saranno riflessioni aperte tra me e loro, dimostrando, anche in questo caso, quanto la Filosofia si possa insinuare in questo argomento e venga alla luce già nella domanda più semplice e banale che farò: “Chi sei?”

Tutto questo affinché non ci si debba più domandare “ma cosa vogliono davvero i giovani di oggi?” e per non rimanere stupiti davanti al successo di un under 30 in un determinato campo.

[se sei un under 30 e vuoi “gridare”, attraverso di noi, chi sei, cosa vuoi e come vedi il futuro, scrivici a redazionesophia@gmail.com]

Stay tuned

Valeria Genova

[Immagini tratte da Google Immagini]

 

Ilaria Berto alla scoperta dell’Arte…Nuova!

Oggi inauguriamo una nuova sezione che mescolerà l’arte alla giovinezza e dedicherà il suo spazio all’arte vista e realizzata da soli giovani.

La curatrice di “Arte nuova“, questo il nome della rubrica, sarà Ilaria Berto, studentessa, artista e PR per La chiave di Sophia.

Scopo di tutto questo sarà il mettere in luce il talento di giovani artisti che, a causa di una società spesso cieca nei confronti del valore giovanile, non hanno lo spazio per farsi conoscere e per spiegare con le parole, oltre che con l’arte, cosa significhi per loro essere artisti oggi.

Come primo giovane di talento mi sembrava doveroso intervistare l’autrice della rubrica, Ilaria Berto, per farla conoscere a voi lettori che la seguirete e per farvi capire perché proprio lei curerà questa sezione!

– Chi è Ilaria, la studentessa? Chi è Ilaria, l’artista?

In entrambi i ruoli mi sento me stessa, non mi sento diversa quando sono all’università o quando dipingo. Lo studio mi aiuta a crescere come artista quindi le due cose sono indissolubili.

– Il rapporto con l’arte quando inizia e perché?

Non mi sono mai resa conto di quando e perché sia iniziato… Fin da piccola mi piaceva disegnare e i miei genitori spesso mi portavano a visitare mostre e, al contrario di molti bambini, ero davvero interessata a ciò che vedevo. A scuola purtroppo non sono stata molto apprezzata ma la mia passione non si è spenta e ho continuato per la mia strada senza dare troppo peso al giudizio dei professori. Qualche anno fa mi aveva contattata un’agenzia di moda di Milano per un provino: per curiosità ho accettato, ma una volta lì mi sono resa conto di non sentirmi a mio agio. Subito dopo sono andata a vedere una mostra a Palazzo Reale di Mimmo Rotella e Alda Merini (Un ultimo atto d’amore. Omaggio a Alda Merini e Mimmo Rotella) e lì stavo bene. Ecco che in quel momento ho capito quale fosse la mia strada.

– Sei giovane e promettente. Come si coniuga l’essere giovani con l’essere artisti?

Non è facile. Il mondo dell’arte è fatto di squali: spesso ti passano davanti persone che hanno più possibilità economiche, che essendo studentessa io non ho, e conoscenze. In più riuscire a conciliare università e impegni artistici a volte risulta difficoltoso: quando ho esposto a Londra, ad esempio, non sono riuscita ad andare a vedere la mostra perché nello stesso periodo avevo esami, mentre ultimamente non sono riuscita a sostenerne a causa dei troppi impegni per l’organizzazione di alcune mostre. A tutto questo si aggiunge anche l’invidia degli amici: ho perso molte amicizie perché ottengo più risultati di altri. Spero che con la maturità queste sciocchezze non capiteranno più.

– Poche volte in televisione o sui quotidiani si vede o si sente parlare di giovani promesse nell’arte; secondo te perché?

Fondamentalmente il problema è economico: con il nome famoso si guadagna, con lo sconosciuto no. Il giovane artista di solito viene considerato un investimento a fondo perduto, soprattutto in questo momento di crisi economica durante il quale chi ha la possibilità investe nei nomi conosciuti che sono una garanzia per il futuro.

– Cosa è necessario fare per far emergere i giovani talenti, oggi?

I giovani talenti dovrebbero imparare a organizzarsi, sostenersi e fare rete fra loro in modo da darsi forza a vicenda affrontando compatti la difficile realtà odierna.

– La tua rubrica sarà “Arte Nuova” per dare spazio a questi giovani che come te hanno un’unica passione, l’arte: come mai questa idea?

Quando mi è stato proposto dalla redazione ho subito pensato che sarebbe stato un ottimo punto di partenza per portare avanti le idee sopra citate.

– Cosa cercherai di dimostrare con i tuoi articoli?

Mi piacerebbe dimostrare che non bisogna per forza avere una certa età o già una certa fama per possedere del talento anzi, a volte sono proprio i giovani anonimi ad avere più doti artistiche di persone conosciute.

– Perché i nostri lettori dovranno leggerti?!

Tenterò di presentare l’Arte ai nostri lettori nel modo più chiaro e immediato possibile. Il mio obiettivo è illustrarla al più alto numero possibile di persone, in particolare a chi non conosce questo mondo.

– La tua vita tra 10 anni?

Proprio ieri mi è stato detto di sognare riguardo al mio futuro, stando a questo fra dieci anni vorrei viaggiare per il mondo esponendo le mie opere e magari essere una critica d’arte.

Talento passione dinamismo.

Le tre qualità dei giovani che Ilaria vi presenterà di volta in volta!

Valeria Genova

[Immagine copertina: Senza titolo 20 chine, matite colorate e carboncino su carta di Ilaria Berto e Immagine articolo foto di Monica Conserotti]

La dolce arte di esistere

Massimo è un ragazzo timido. La paura di confrontarsi con gli altri, con il rischio di finire al centro dell’attenzione, lo spaventa a morte. Viceversa Roberta ha un tale disagio interiore che per essere placato richiede sempre la presenza di qualcuno che la faccia sentire importante. I due giovani, apparentemente agli antipodi, hanno però una cosa in comune. Soffrono entrambi di invisibilità psicosomatica, una patologia che li fa scomparire quando si sentono a disagio. Potranno mai riuscire ad innamorarsi pur sapendo di essere destinati ad incontrarsi senza riuscire mai a vedersi? Pietro Reggiani, uno dei registi più promettenti del cinema italiano, torna a dirigere un film per il grande schermo dopo lo splendido ed intimista “L’estate di mio fratello”. Un ritorno che poteva consacrarlo definitivamente sulla scena nazionale e che invece rischia di rivelarsi un flop per una serie di spiacevoli inconvenienti. Quello che a noi interessa qui però è il lavoro concettuale costruito dietro alla pellicola. Una riflessione intelligente e mai banale che parte dal cinema per arrivare alla vita di tutti i giorni.
L’invisibilità cronica che colpisce i due protagonisti può essere letta sia come metafora della precarietà giovanile, a livello psicologico e lavorativo, ma anche come un bel parallelismo sul rapporto che c’è tra il cinema di cassetta e quello d’autore. Il grande male che affligge il nostro tempo sembra essere quest’ansia continua che porta le persone ad aver paura di esprimere la propria opinione e di mettersi in gioco in prima persona. Sono tantissimi i giovani, e non solo, che si rifugiano ogni giorno in una realtà virtuale dominata dai social network per esprimere quello che provano, quando in realtà i loro stati e i loro post sono solamente concetti e pensieri presi da altri autori. Senza dimenticare che rubare idee altrui spacciandole per proprie, resta il modo migliore per dire ciò che non si pensa. Un male che sembra colpire anche nel campo dell’amore, dove i giovani molte volte giocano a nascondere i loro sentimenti per paura di ricevere un rifiuto o una delusione. Perché affrontare i problemi veri della vita quando si può scegliere di scomparire, annullando sé stessi? Questa è una delle domande a cui Reggiani cerca di dare una risposta nella sua opera. Un lavoro ambizioso, che però in molti punti dimostra i limiti della sua italianità. Concettualmente è molto simile a un capolavoro come “La solitudine dei numeri primi”, pur non avendo la stessa forza visiva. A livello tematico ha la sfortuna di uscire poco dopo “Il ragazzo invisibile” di Gabriele Salvatores, che aveva riscosso un buon successo. Ecco allora che, pur essendo girato con una mano intelligente ed esperta, la povertà di fondi, un cast non troppo azzeccato e la discutibile scelta della voce fuori campo rendono questo film un capolavoro mancato. “La dolce arte di esistere” è al cinema dal 9 Aprile. Se lo vorrete vedere rimarrete piacevolmente sorpresi nello scoprire una bella storia, raccontata da uno dei cineasti che più meriterebbero di rappresentare l’Italia nel prossimo futuro. Non è molto forse, ma è la dimostrazione che una cinematografia italiana esiste ancora e vuole far sentire la sua voce. Ricordandoci infine che i primi a dover vivere le cose in prima persona, dovremo essere noi.
Alvise Wollner 
[Immagini tratte da Google Immagini]

Fenomenologia dell’aperitivo e del vivere fuori

Assistiamo a una rivoluzione silenziosa, ma non poco significativa perché cambiano il paesaggio delle nostre Città e il nostro modo di vivere. Una rivoluzione che pone molti interrogativi: come mai, in un momento di crisi come questo, mentre i giornali ci annunciano che si stanno contraendo anche i consumi alimentari, tante persone sono disposte a sborsare soldi per andare a mangiare fuori? Certo, si preferiscono locali a basso costo, dove comunque si spende di più che a casa. E come mai i giovani, in gran parte disoccupati, che non guadagnano e vivono a carico delle famiglie oltre i 30 anni, si possono permettere tali spese? La risposta non è ovviamente semplice. Probabilmente la tendenza a “vivere fuori” ha a che fare con la crisi della famiglia e con l’aumento dei single, che escono per sfuggire alla solitudine. Ma dipende anche dal fatto che molte ragazze e ragazzi oggi non lavorano e quindi la sera non devono rincasare presto, sono liberi di andare in giro e fare tardi. La nostra società ha privato del futuro le nuove generazioni che, prigioniere di un presente che non passa, si ritrovano costrette a una perenne adolescenza forzata. E non è un caso che il modello dei locali da aperitivo si stia estendendo, con i loro cibi veloci ed economici, e siano frequentati soprattutto da adulti. E’ difficile che chi ha figli piccoli esca a mangiare, perché in fondo l’esperienza si presenta faticosa, e i bambini sono più facili da gestire a casa, con i loro giochi, i loro cibi usuali e, soprattutto, la televisione.

L’abitudine a “mangiare e vivere fuori” è segno di una società senza bambini, quindi con poco interesse per una vita familiare, e rivela una radicata abitudine al consumo, che probabilmente in passato si realizzava attraverso spese impegnative: dai ristoranti ai viaggi, dalle moto ai vestiti firmati. Ora che si compra più volentieri all’outlet e si viaggia poco frequentare luoghi di aggregazione come bar e chioschi sembra rimasto l’unico sfogo dell’abitudine al consumo.

Certo anche questi nuovi esercizi creano posti di lavoro, probabilmente molto poco pagati, e sono un modo come un altro per far girare l’economia. Se però ci pensiamo bene essi evidenziano la scarsa inventiva della nostra società che non produce niente di nuovo, ma si limita ad allargare un po’ la possibilità di spesa a basso livello; una spesa che contrae il risparmio, il quale in pochi anni è passato dall’essere una virtù a rappresentare uno dei peccati capitali dei nostri tempi, la fine della progettazione futura, degli investimenti produttivi. In altre parole questi “nuovi” locali che invadono i nostri centri abitati sembrano solo segnalare che abbiamo un popolo che vive “a basso cabotaggio” e cerca vie facili per dimenticare le difficoltà del presente.

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I giovani d’oggi come i vecchi di ieri

 

La giovinezza ha cominciato a essere percepita e rappresentata come problema solo di recente, a partire dall’accelerazione del mutamento sociale e dei processi di forte differenziazione propri della modernità.
L’età della tecnica colpisce, infatti, specialmente i giovani d’oggi che, nonostante l’aria spavalda ed arrogante, celano una fragilità e vulnerabilità emotiva pesanti. Questa sofferenza emotiva diffusa tra le giovani generazioni è causata principalmente dal nichilismo prodotto dalla tecnica: un nichilismo che porta ad un senso di insicurezza e precarietà.

Nell’opera, L’ospite inquietante, Umberto Galimberti presenta la crisi della società, specialmente penetrata tra i giovani, come causata dal cambiamento di prospettiva nei riguardi del futuro: si è passati dal futuro-promessa al futuro-minaccia e questo ha generato il senso di irrequietezza, di insensatezza tra i giovani.

La tecnica, fin dagli inizi, aveva illuso l’umanità di poter uscire dalla condizione di precarietà dettata dal suo stato di natura, alla ricerca di sicurezza e di indipendenza; ciò non è accaduto, anzi, l’insicurezza si è affermata come simbolo della nostra età contemporanea e l’uomo è diventato ancora meno indipendente di prima, perché oggi come oggi nessuno può fare a meno della tecnica. Accade soprattutto tra i giovani che per primi si sono invaghiti di questo pericoloso apparato che li ha, infatti, portati a un profondo disagio interiore spesso inconsapevole. Il futuro visto come minaccia si è imposto sempre più nella concezione giovanile riguardante il tempo; questo ha generato un continuo processo di demotivazione che ha portato a un aumento di asocialità, di chiusura in sé stessi. Si afferma l’importanza del presente, della vita giorno per giorno, senza preoccuparsi di quello che potrà accadere domani, perché anche volendo la società di oggi non lo permette; tutto questo è nato con l’avvento della tecnica che ha chiuso le porte del futuro, rendendolo incerto e indefinito.

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I giovani d’oggi affrontano ogni tappa della vita in modo utilitaristico, nel senso che pensano alla gratificazione presente, senza più impostare obiettivi futuri; anche i rapporti personali sono frutto di accordi funzionali tra gli individui per un benessere momentaneo; è diventato difficile, in questa società, instaurare rapporti sinceri con le altre persone e questo è molto evidente tra i giovani contemporanei, sempre più soli perché la società odierna ha affermato l‘individualismo, dove ognuno lavora e agisce per sé stesso, ognuno affronta le situazioni della vita a seconda del suo benessere senza pensare minimamente a quello comune. Il disagio giovanile ha portato a non percepire più l’integrazione sociale, l’acquisizione dell’apprendimento, l’investimento nei progetti come realizzazione di un loro desiderio (U. Galimberti, L’ospite inquietante, Feltrinelli, Milano, 2007, p. 29).

Il processo di individualizzazione è particolarmente evidente nella realtà giovanile, investita direttamente da tutte le mutazioni avvenute in ogni campo della società, dopo l’avvento e lo sviluppo della tecnica, che prospettano, dunque, l’incertezza come un fatto normale di esperienza per le giovani generazioni.

Anche il riconoscimento, connesso al concetto di identità, è diventato difficile per i giovani: esso è un fatto relazionale che presuppone comunicazione tra gli individui, dove per comunicazione si intende la capacità di raccontarsi all’altro per dimostrare l’esistenza della propria personalità; ma oggi i giovani non sanno più rispondere alla domanda chi sono? (F. Crespi, Tempo vola) perché non hanno più certezze, quindi non esistono più risposte inequivocabili, l’indeterminatezza sta dilagando nella nostra società contemporanea.

Valeria Genova

[Immagini tratte da Google Immagini]

“Come noi non c’è nessuno”: resto o scappo?

Alla vita adulta, si dice, ci si arriva soprattutto grazie al lavoro. E’ per un impiego, per la capacità di autofinanziarsi, per la possibilità di esprimersi che si deve passare.

Ci dicono che in Italia non c’è futuro per noi giovani. Che è meglio se ce ne andiamo via perché “non c’è speranza” e “le porte sono chiuse”.
Cervelli in fuga, li chiamano i media.
In patria si fatica a trovare un posto all’altezza della propria formazione e delle proprie ambizioni? Piuttosto di accontentarsi di un lavoro considerato dequalificante qui da noi, meglio andare a sfornare pizze in un ristorante a Londra, a preparare mojito in un bar di Berlino o a fare il commesso in un negozio sugli Champs-Elysées.
Certo, il titolo di studio va chiuso in un cassetto, ma l’esperienza all’estero e la pratica della lingua straniera aiutano ad essere un po’ meno…schizzinosi.
Sessant’anni fa si emigrava spinti dalla fame, oggi dall’assenza di possibilità.
O di motivazione?
A questa provocazione, molti risponderebbero che è pura utopia pensare che dalla profonda crisi che sta attraversando il nostro paese si uscirà, che tra un po’ di anni le cose si sistemeranno, che se ci si mette d’impegno qualcosa da fare qui in Italia lo si trova. Molti risponderebbero: “solo incarichi temporanei e orari ridotti!” Altri ancora: “Non c’è lavoro, punto. O vai via e ti costruisci la tua vita all’estero, o sarai destinato a fare la fame per sempre”.
Allora, che faccio? Mollo tutto e scappo?
O mi rimbocco le maniche?
“La speranza è virtù rischiosa, non illusoria. E il mio, il tuo impegno, se non è carico di speranza, è pura follia”: queste le parole del nostro Papa Francesco.
E’ vero, pensare a “futuro” e collegarlo alla nostra attuale situazione economica fa un po’ paura. Pensare a “Futuro”, accendere la tv o sfogliare un giornale e vedere titoli come “Gestione Fallimentare dei Fondi Comunitari, Tasso di disoccupazione nell’agosto 2014 pari al 44,2 % o Italia peggiore nell’Eurozona”, non è di certo rassicurante. E non pensare più a “futuro” ma a “il futuro non c’è più” è facile.
Thomas Mann scriveva:

Quando un pensiero ti domina, lo ritrovi dappertutto, lo annusi perfino nel vento..

Indubbiamente, analizzando le ultime statistiche e la condizione odierna, la situazione è abbastanza nera.
E la prima priorità della politica italiana deve essere la lotta alla disoccupazione involontaria. “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul Lavoro”, ci ricorda l’art. 1 della nostra Costituzione.
Ma io credo che, come giovani, sia nostro dovere, accogliere tutto ciò come una grande sfida. Provarci almeno. Provare a concentrarsi su quel poco che ancora ci rimane, sfruttandolo però al meglio. Provare a concentrarsi su di noi, su ciò che noi siamo, e su ciò che noi abbiamo da offrire agli altri. Mettendo da parte, almeno per un momento, rassegnazione e pessimismo.
Mi viene in mente subito un articolo della Nuova Venezia pubblicato il 25 settembre 2013:

Matteo e Simone neo imprenditori puntando su un’alga: MEOLO. Se la crisi sta spingendo tanti giovani verso l’estero, c’è anche chi la propria sfida vuole vincerla in casa. Ne sono un esempio due giovani di Meolo, Matteo Fecchio e Simone Parro. Entrambi 25enni, stanno per coronare il loro sogno: avviare in paese un’innovativa attività di acquacoltura di spirulina, una particolare tipologia di micro alga. (…) L’ultilizzo della spirulina si sta diffondendo notevolmente, soprattutto nel campo alimentare come prodotto dietetico e salutista, con possibili applicazioni anche nell’industria cosmetica e farmaceutica. Ma per la quasi totalità, si tratta di alghe importate. «La produzione italiana è davvero molto scarsa, a fronte di una richiesta invece elevata. Quando ho avviato la mia attività», spiega Matteo Fecchio, «sono venuto a sapere dell’esistenza di questi micro organismi, tramite uno staff di biologi con cui ora vorremo collaborare. Mi hanno spiegato le potenzialità benefiche della spirulina, poi ne ho capito anche le potenzialità di reddito. Era ormai da un paio d’anni che cercavo di sviluppare questo progetto di acquacoltura, ma non ci sono mai riuscito per le difficoltà che oggi i giovani incontrano nell’accesso al credito per le start up di imprese». L’opportunità colta al balzo, allora, è arrivata dal bando che la Regione ha pubblicato per finanziare proprio le imprese giovanili. Matteo Fecchio e l’amico di sempre Simone Parro decidono di parteciparvi. E, su circa 250 progetti partecipanti, l’idea di Matteo e Simone si è piazzata sesta, strappando uno dei pochi finanziamenti disponibili. (…)”

Quando si dice: “non aspettare la manna dal cielo ma rimboccarsi le maniche con ciò che si ha”!
Certo, probabilmente la situazione economica e lavorativa da qui a dieci, quindici, vent’anni non cambierà, probabilmente le difficoltà raddoppieranno, gli incentivi diminuiranno, i progetti come questi saranno sempre più rari, le possibilità sempre meno e la voglia di prendere l’aereo tanta.
Non dimentichiamo però che il futuro è un nostro diritto e che tutte le donne e gli uomini hanno corresponsabilità nel bene comune. E’ ciò che costruiamo oggi, non pensando al domani, non pensando a cosa sarà, ma pensando a ciò che possiamo fare, qui e ora. Credere in un futuro che si riempie di forza ed energia tramite il presente.

Rossella Zatta

Mi sono diplomata nel 2013 presso il Liceo Classico Elena Corner di Mirano e attualmente studio Mediazione Linguistica presso il Campus Universitario CIELS di Padova.
Adoro la musica e il teatro in tutte le sue forme, amo la letteratura e le lingue, sia antiche sia moderne.
Scrivo articoli di attualità per giornali locali e sono parte della redazione del giornale parrocchiale.

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Grazie Vasco…e famose ‘na risata!

L’uomo sensuale ride spesso dove non c’è niente da ridere. Qualunque cosa lo stimoli, vien fuori il suo benessere intimo. Goethe

Ieri ero in macchina. In uno dei tanti viaggi per portare il mio curriculum in giro. Un po’ abbattuta, per la verità. Si perché, masochisticamente, mi “dilettavo” nell’immaginare il mio curriculum finire nel cestino appena dopo essermi chiusa la porta alle spalle; o, se magari mi andava di lusso, essere piazzato sopra un catasto di altri curricula lasciati in un angolo della scrivania ad arricchirsi di polvere e ingiallirsi. Ero in macchina, in uno dei tanti viaggi a vuoto per portare il mio curriculum in giro, mentre mi chiedevo perché sono stata così testarda da aver voluto studiare a tutti i santissimi costi Psicologia, quando mamma, papà, parenti, amici (e chi più ne ha più ne metta) me lo sconsigliavano – anche con un certo ardore. Ero in macchina a pensare alla mia dannata condizione di giovane –e non poi così tanto- laureata in cerca di lavoro che mi pare così simile alla condizione di chi si trova a cercare, assetato, l’acqua nel deserto. Insomma, diciamocelo, il mio umore non era proprio alle stelle, l’avevate capito anche voi. Ma non è questo il punto. Il punto è che mentre mi lasciavo un po’ naufragare nel mare dello sconforto in radio passa una canzone. E che c’è di strano, penserete voi. Se ascolti la radio qualche canzone te la dovresti aspettare, altrimenti la tieni spenta quella benedetta radio. Si ok, lo so. Ma quella canzone lì, in quel preciso momento, beh, mi ha cambiato la giornata. Read more

La linea sottile tra divertimento e dipendenza: alcol e alcolici

“Il vino mi spinge, il vino folle, che fa cantare anche l’uomo più saggio e lo fa ridere mollemente e lo costringe a danzare e a tirar fuori parola, che sta meglio non detta” Omero, Odissea

La linea che separa il consumo di alcol come “mezzo di aggregazione” e l’abuso di questo che, molto spesso, sfocia in una vera e propria dipendenza, è molto sottile.

La cosiddetta “ombra di rosso” con gli amici esisteva anche quarant’anni fa, nelle osterie e nei locali più conviviali. Oggi è sostituita dallo spritz, identificabile quasi come un rito per i giovani: ritrovarsi a bere l’aperitivo è diventato un modo per vedersi, fare due chiacchiere, raccontarsi della propria giornata, farsi due risate. Il celebre happy hour è un momento dedicato al “gruppo”.

Ma questa situazione non è, di per sé, assolutamente un problema. Read more

Dov’è finita la nostra individualità? -Pascal

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Al giorno d’oggi sempre  più ragazzi cercano continuamente di attorniarsi di persone, che possono venire da relazioni effimere che nascono e restano nei social network, oppure da una cerchia di conoscenti  che si allarga progressivamente ma in cui non conosciamo nessuno davvero.

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