Una citazione per voi: il Panta Rhei di Eraclito

 

• TUTTO SCORRE •

 

Ogni volta che la nostra mente si fissa sul cambiamento di qualcosa – una stagione, una situazione, un momento che dà il via al successivo – siamo testimoni del divenire. Pur trattandosi del più comune degli eventi (non c’è appunto momento che non lo riguardi), pensare il divenire non è la più comune delle cose. 

L’espressione che la cultura antica ci ha tramandato per descrivere inarrestabile divenire delle cose è pánta rhei, “tutto scorre”. Questo detto viene attribuito ad Eraclito, riconosciuto universalmente come il filosofo del divenire, colui che nel modo più preciso e potente è riuscito a cogliere l’essenza di quel divenire che per lui era fuoco eterno. 

Pur non essendo stato scritto da lui – sarà Simplicio ad attribuirgli l’espressione – è a Eraclito che questo detto viene associato, proprio al filosofo che vide l’assolutezza del divenire come essenza del cosmo. Nessun aspetto della realtà può sottrarsi al cambiamento e per questo «nello stesso fiume non è possibile entrare due volte», come recita un suo celebre frammento

Ma cosa si indica di preciso con pánta rhei? Il pánta indica il Tutto, mantenendo nella parola il riferimento alla molteplicità e distinguendo altre accezioni della totalità che invece risaltano l’unità assoluta. È corretto dunque tradurre il pánta di Eraclito con “tutte le cose”, un molteplice che è «un insieme comprensivo» caratterizzato proprio in questo rapporto di «appartenenza dell’uno al molteplice». Di questo pánta cosmico Eraclito ne predica il rhein, lo scorrere. Il verbo greco che il filosofo usa non è casuale e rimanda a uno scorrere perpetuo, calmo, ciclico, come quello di un fluido che mantiene il liquido sempre in movimento e al contempo sempre lo stesso. Un fluido si dà come un movimento stabile, che non perde nel cambiamento la propria essenza e per questo lo stesso concetto è attribuito all’essere in generale, che cambia senza compromettersi. Il mutamento porta le cose fino al loro limite, oltre il quale divengono altro per tornare eternamente al punto precedente, fedelmente all’eterna natura che per Eraclito e la cultura greca in generale, costituiva uno sfondo immutabile e immodificabile.

Pensare il divenire significa allora non solo pensare al mutamento, alle sue conseguenze o agli autori che meglio lo hanno guardato in faccia, ma pensare l’essere stesso cercando di afferrarne l’ineffabile centro.

 

Luca Mauceri

 

NOTE:
1. Eraclito, Dell’Origine, fr. 30, DK 22 B 91, Feltrinelli, 2012, p. 78.
2. M. Heidegger, E. Fink, Eraclito, Laterza, 2010, p. 20.

Luca Mauceri è anche autore del saggio proprio dedicato al Panta rei di Eraclito nella nostra ultima pubblicazione con Nodo Edizioni, Dodici filosofi Dodici massime. Potete sfogliarla a questo link.

[Immagine rielaborata da Google Immagini]

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Del concreto vivente, ovvero dello scorrere dei fiumi

Più volte, ad ognuno di noi, sarà capitato di domandarsi quali siano i meccanismi e i rapporti di forza che rendono possibile l’energia vitale dell’esistente, o come quest’ultimo si presenti alla nostra percezione sensibile. Che ci si trovi in compagnia delle chiacchiere degli amici, o nel silenzio dei pensieri della propria solitudine, il vivente e il suo travolgente richiamo sempre ci ricordano la necessità del confronto con il mondo e il dovere della comprensione dello stesso: sensi e intelletto, per questo, non possono restare nell’indifferenza.

Nel perseguire questo intento, si rivela più che mai utile la fatica delle tante menti di filosofi, artisti, intellettuali, che fecero dello studio del funzionamento della vita la propria professione, il proprio obiettivo primario. Tra questi, Romano Guardini (1885-1968), eminente teologo del panorama culturale europeo del secolo scorso, in un’opera tanto ambiziosa quanto ricca di spunti di riflessione (L’opposizione polare, 1925), dispose con rigore e, al contempo, con discorsività euristica la struttura portante del concreto vivente, ovvero dell’unità vitale che ci comprende e che fisicamente, quasi fosse materialmente tangibile, percepiamo. All’intuizione, unico metodo che a parere dello studioso può garantire di cogliere autenticamente l’esistenza nella sua completezza, questa totalità si presenta costruita, composita, in sé scissa in termini e qualità autoconsistenti e, assieme, comunicanti, posti in un rapporto di opposizione e contrasto, ma anche in un contesto di dialogo costruttivo.

Questo «dato di fatto degli opposti», per riprendere le parole di Guardini, è per l’appunto la matrice della vitalità di ciò che esiste e vive in terra, è la tensione generativa, l’attrito accumulante e sprigionante l’energia che muove gli eventi nella loro caoticità e nel loro ritmico e regolare accadere: una verità ambigua e contraddittoria che vince sulla mortificazione del puramente logico e univoco.

Così, complementariamente, si intersecano statico e dinamico, singolare e universale, forma e pienezza (sono queste alcune coppie di concetti indicate dal filosofo), coabitando nel medesimo corpo vitale. Ed una buona metafora, tanto efficace per la facilità della sua visualizzazione e per la sua reale ricorrenza nella nostra quotidianità, che dipinga in compendio i binomi sopra esposti, ci viene offerta dall’immagine dello scorrere di un fiume: la massa unitaria dell’acqua, già di per sé particellabile nell’infinità di molecole che la compongono, seppur contenuta nella forma geometrica o frastagliata delle sponde, turbina e mulina “disordinatamente”, impedendo qualsivoglia formalizzazione.

La forza suggestiva evocata dal fluire delle acque e dalla loro apparente staticità, quando considerate parte di un unico processo, si carica, peraltro, di ulteriori valenze, di approfondimenti e riflessioni che toccano argomenti in apparenza distanti tra loro. Herman Hesse (1877-1962), nelle vesti di un giovane indiano alla ricerca di sé, lesse tra le onde di un corso d’acqua l’evidenza dell’eterno, l’assoluto presente di un tempo che bagna le terre di ogni dove e simultaneamente diviene, scorre nel succedersi di ogni suo istante: «Nulla fu, nulla sarà: tutto è, tutto ha realtà e presenza»1, ed ugualmente la vita di un singolo uomo, che è d’altronde «anch’essa un fiume»2, permane nell’inesistenza del tempo.

Altri, lavorando a fondo sulla correlazione vita-fiume, intensificano il dubbio, l’incertezza sulla decifrazione dell’incedere dell’esistenza, confermando ancora la necessità di accettare senza riserva il suo duplice aspetto. Sarà allora lecito domandarsi, come Luzi suggerisce, «che cosa porterà con sé il fiume / al suo prossimo risveglio, / la pura ripetizione del già stato / […] o altro / non conosciuto / che si genera dal mutamento / di quella continuità»3. Il quesito tenta di indagare la natura delle vicende umane, distinguendo, forte dell’intervento critico della ragione, concetti logicamente inconciliabili, che contravverrebbero la logica della dizione (contra-dizione). Eppure, il mancato scioglimento della disgiunzione tra le due proposizioni impone anche al linguaggio il vigore dell’ambiguità del vivente, della ricorrenza di ciò che è già accaduto e, insieme, della novità del mai stato. In chiusa di poesia, è infatti solo la vita, nella sua complessità, a trionfare («La vita nasce alla vita, / è quello l’avvenimento, quella / la sola verità»4).

Molto altro si potrebbe dire a proposito di questo tema di inesauribile eloquenza, molto è stato detto e molto è stato scritto da Guardini nell’opera che abbiamo preso come punto di partenza. Ora, speriamo solamente di aver reso, in queste poche righe, il succo di un’immagine viva e sempre feconda del mondo, mai riducibile ad univoche e perentorie considerazioni, e di aver in tal modo stimolato una più curiosa apertura alla sua promiscuità.

 

Beatrice Magoga

 

NOTE:
1 Herman Hesse, Siddharta
2 Ibidem
3 Mario Luzi, Inferma, così, da Frasi e incisi di un canto salutare
4 Ibidem

[Photo credit kazuend su unsplash.com]

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