Pensare il presente, il festival filosofico della città di Treviso, è ormai entrato nel vivo dei suoi appuntamenti. Lo scorso venerdì è stato il turno di Umberto Galimberti, il quale ha registrato il tutto esaurito all’Auditorium Pio X. Numerosi gli interessati che non potendo assistere all’incontro di persona hanno usufruito dell’efficiente diretta streaming per non perdere l’attuale contributo del professore, dal titolo Aspetti patologici della contemporaneità.
Al centro del percorso formativo e professionale di Galimberti, filosofo e psicoanalista di rilevanza nazionale, vi è la riflessione sull’uomo e su tutte le dimensioni che lo riguardano. Nel suo intervento per il festival ha trattato i disagi sociali: dalla poca attenzione verso il periodo dell’infanzia al sentimento di inadeguatezza provato dai giovani, dal matrimonio vissuto come gabbia che non rispetta la diversità e la libertà dell’altro, alla diffusa carenza di socialità e dialogo che caratterizza i rapporti contemporanei.
In apertura, Galimberti ha fatto notare quanto siano essenziali in tutti noi la riflessione e la ricerca del senso di vivere. In tale percorso di introspezione è per lui fondamentale la figura del filosofo, il quale ha, oggi più che mai, il compito di curare la vita. La filosofia, infatti, favorendo il dialogo e la condivisione dei pensieri, può aiutarci a comprendere il presente e di conseguenza a sentici a nostro agio con noi stessi e con gli altri.
In questo breve articolo, per inclinazione personale, mi vorrei soffermare nello specifico su un tema che sta molto a cuore allo stesso Galimberti: il tema dell’educazione. Durante l’incontro, infatti, il professore ha più volte ribadito l’importanza della pratica educativa, sottolineando come nel mondo attuale questa venga talvolta poco valorizzata o addirittura bistrattata. Riprendendo la lezione di Freud, Galimberti ha parlato a lungo dell’infanzia: la fase di vita che plasma in maniera incontrovertibile l’essere delle persone. Numerosi gli spunti di riflessione che egli ha proposto per farci indossare al meglio le vesti di educatori e genitori. Innanzitutto è necessario dedicare ai bambini un’abbondante dose di attenzione: un’attenzione che deve essere virtuosa e carica di ascolto reciproco, non un frivolo accontentare. I bambini hanno bisogno della nostra guida, delle nostre regole e delle nostre risposte alle loro domande, per orientarsi al meglio all’interno di quel mondo che pian piano iniziano a scoprire.
Secondo Galimberti i bambini di oggi sono bombardati di stimoli, che egli fa coincidere per lo più con le varie attività che vengono loro sottoposte durante il tempo libero, e che fanno sì in finale che il loro tempo veramente libero sia pari a zero. Essere genitori non è una dote; è un compito che si impara a svolgere alla stregua dei gesti positivi e degli errori che si compiono lungo quello stesso percorso. Molto spesso pensiamo che offrire ai bambini una vasta gamma di attività da scegliere e da svolgere, sia per loro un tutto di guadagnato. In tal modo essi possono acquisire fin da piccoli e con poche difficoltà i rudimenti di vari sport o la capacità di maneggiare vari strumenti musicali. Galimberti ci mette invece in guardia: l’abbondanza di stimoli ai quali sottoponiamo i nostri bambini può risultare nociva. I bambini, a causa della loro tenera età, non sono in grado di gestire da soli gli stimoli esterni che ricevono: ciò finisce per generare in loro un sentimento d’angoscia talvolta latente che va inevitabilmente ad influenzare il loro modo di stare nel mondo, generando paure ed insicurezze.
L’istituzione scolastica, in tutto ciò, non accorre in aiuto. Veicolo primario di conoscenze, e in linea di principio anche di valori, la scuola odierna non riesce ad espletare le varie responsabilità che sono proprie del suo ruolo. Galimberti è fermo e tagliente nell’affermare che “oggi non si guardano più le soggettività degli studenti, ma solo l’oggettività delle loro prestazioni”. La scuola dei tablet e della lavagne multimediali dovrebbe accantonare l’attenzione alla tecnica per lasciare posto ai sentimenti e alle emozioni. Qualità che nel mondo scolastico, e anche nella nostra società dell’efficienza, sembrano essere diventate dei tabù, ma che richiedono invece dei percorsi educativi costruiti ad hoc, attraverso il dialogo e il confronto, attraverso la riflessione su di sé e la condivisione del pensiero con gli altri.
Usando le parole di Miguel Benasayag1, Galimberti ci ricorda che «il futuro non è una promessa, bensì una minaccia». Sul finale dell’incontro egli lascia dunque trasparire un’amara e personale considerazione: a sua detta, infatti, la nostra civiltà sembra essere arrivata alla sua fine. Lo spirito di unione e di collaborazione è stato sostituito dalla corsa individualistica, e per ciò egoistica, alla carriera e al successo personale. Non essendo valorizzati, i giovani assumono una serie di comportamenti devianti per non esperire la loro presunta insignificanza sociale. I modelli che la società ci propone parlano di consumo, di ricchezza, di competizione. Io voglio pensare che la sconsolazione accennata da Galimberti sia stata soltanto di facciata, per spronarci ad agire e reagire. Per smuoverci all’operare per un’infanzia, una società, un mondo del lavoro, un futuro migliori!
Federica Bonisiol
Articolo scritto in occasione dell’incontro Patologie del contemporaneo (venerdì 10 marzo) organizzato dal festival di filosofia Pensare il presente, a Treviso dal 7 al 30 marzo 2017.
NOTE:
1. Miguel Benasayag, L’epoca delle passioni tristi, Feltrinelli 2013.