“Tomàs” siamo Noi. Incontro con Andrea Appetito

Tomàs è ogni persona che si imbatte in questo romanzo.
Invisibile, eppure onnipresente, la sua identità si dispiega grazie ai sette punti di vista che il racconto ci propone. Ciascuno si trasforma nell’artista del suo ritratto finale.
Sette personaggi e sette capitoli. Noi diventiamo l’ottava voce narrante di un racconto complesso, la cui tragicità mette a nudo la complessità dell’esistenza umana. Un’esistenza segnata da uno strappo, una perdita, un bisogno di riconoscimento e di amore.

È un romanzo travolgente quello scritto da Andrea Appetito e pubblicato con Effigie Edizioni. Tomàs ha incontrato la cittadinanza trevigiana venerdì 24 febbraio, presso la libreria Einaudi di Treviso.
Un pubblico caloroso, composto da ex studenti, colleghi, amici e non solo, ha accolto l’autore con una vera e propria festa di benvenuto. Una famiglia ritrovata. E in occasione di questa festa hanno partecipato i numerosi volti di Tomàs, volti disegnati dalla nostra interpretazione, dalle nostre storie di vita e dalle nostre emozioni.

Siamo immersi in un’anonima città sul mare, in cui Luka Stratos, visionario e autocrate ambizioso, vuole realizzare il suo progetto di dominio. Una politica di conquista, la sua, sorda rispetto ai bisogni, alle domande e ai desideri dei dominati. Un programma politico che si trasforma in una fede cui i più acconsentono, quasi inconsapevolmente. Quella che emerge è la stessa banalità del male di cui parla Hannah Arendt nel corso del processo a Eichmann. La stessa banalità che mette in crisi la nostra politica contemporanea.

Il bisogno di liberarsi da una struttura gerarchica subordinante è segnato da uno stile narrativo paratattico, interrotto, caratterizzato pertanto da preposizioni coordinate, sullo stesso piano.

Sullo sfondo, una profonda storia d’amore improvvisamente interrotta.

Leggere Tomàs significa infatti anche fare i conti con le contraddizioni di quell’amore che viviamo e di quell’amore che ricerchiamo.

Le storie d’amore che si intrecciano all’interno del romanzo sembrano essere segnate dall’impossibilità. L’impossibilità di sopravvive e l’impossibilità di un ritorno.

L’amore vissuto dai personaggi è patologico. Talvolta segnato dall’opportunismo. In ogni caso, costantemente vissuto nell’ombra. Il non-detto e l’assenza definiscono i legami della narrazione.

Ed è in ragione di questo non-detto che l’autore ci invita a riflettere. Perché c’è così tanta paura di dare voce al proprio pensiero? Che cosa risiede all’origine del nostro timore di esporci?

Certo, mettersi a nudo significa mettersi anche in gioco. L’esposizione diventa rischiosa nel momento esatto in cui ci opponiamo a un conformismo dominante. Il timore è quello dell’esclusione, dell’emarginazione sociale, del non-riconoscimento.

Come sosteneva Montaigne, infatti, la paura ci può tanto dare delle ali ai talloni, come inchiodarci i piedi al suolo, ostacolando l’espressione della nostra libertà.

Tomàs è anche questo. Un urlo di libertà. Un bisogno di dare liberamente forma alla propria identità ferita. La necessità di liberarsi da sovrastrutture. Una domanda di riconoscimento. Una domanda di riconoscimento che, talvolta, fatica ad avere una risposta.

Con questo libro, Andrea Appetito ci invita ad ascoltarci per ritrovare il Tomàs che ci portiamo dentro. Non un semplice romanzo, quindi. Queste pagine diventano un terreno fertile per l’ascolto, il dialogo e la riscoperta di sé.

Sara Roggi

[Immagine tratta da ilmessaggero.it]

Come una fenice

Quando decisi di tornare non immaginavo felicità più grande, ero di nuovo nella mia fortezza, in quella casa scrigno di ricordi preziosi, capace di cullarmi, di farmi addormentare nell’illusione di poter tornare bambina, quando il nonno era ancora con noi, quando tutto, anche se solo in apparenza, prendeva le sembianze della normalità.

 
Per un po’ di mesi è stato così, tutto andava benissimo, tutta la mia quotidianità era racchiusa in un’atmosfera ovattata, un’ immagine distorta che mi era stata declinata come verità assoluta prima impossibile da far emergere.
Credevo di poter aver più tempo, mi illudevo fosse davvero diverso.

 
Ho pensato a volte di essere afflitta dalla “sindrome di Stoccolma” o una di quelle patologie psicologiche inspiegabile….invece ho compreso che credo semplicemente è stupidamente nel genere umano. Ci credo così disperatamente da voler giustificare azioni e parole taglienti come lame e l’ho compreso troppo tardi, perché quella notte, quando la porta si è spalancata e ho sentito lui urlare, ho realizzato che tutto sarebbe tornato come prima, che il mantello dell’invisibilità di Harry era tornato al suo proprietario, rivelando le forme dell’orco che da lì sarebbe solo stato in grado di sgretolarmi tra le sue mani, quasi fossi di argilla essiccata al sole, non trattata; perché quando si è “nudi e crudi”, anime prive di artifici, la possibilità di essere schiacciati dalla malvagità e dalla cattiveria si moltiplicano.

 
Ho dovuto accettarlo, ho dovuto accettare di abbandonare la MIA CASA, i miei ricordi più cari; ho compreso di dover sradicare ogni cosa dal terreno dove per anni tutto è vissuto, per trapiantare in un luogo nuovo, da curare, da fertilizzare, di cui prendersi cura. Un luogo, però, solo mio dove non aver più paura la notte, dove essere libera di essere serena e per alcuni è così scontato da non realizzare quale dono prezioso sia.
Stamattina la luce del sole delle sei batteva sul parabrezza, l’aria entrava furtiva dal finestrino, quasi a volermi accarezzare e io mi sono scoperta sorridere; per quanto possa essere complicata la propria origine, nel momento in cui il cambiamento inizia a prendere forma, la libertà inebria ogni parte di quell’animo ferito e martoriato, le cicatrici resteranno, come righe di un diario, perché ogni lacrima ha condotto alla rinascita intrapresa e va ricordata, custodita, come uno dei tesori più cari che si possiede, perché una rinascita non può non derivare dalla sofferenza vissuta.
Ogni cosa passata resterà, perché ogni evento ha portato con sè effetti positivi.

 
Rilke scrisse di aver pazienza per quanto ancora di irrisolto risiede nelle nostre anime, di guardare alle domande stesse come fossero libri scritti in una lingua straniera, di non cercare risposte che non potrebbero arrivare in quanto non vissute, perché l’essenza della vita risiede nella capacità di vivere tutti i momenti; così ci si avvicinerà, senza nemmeno percepirlo, all’ottenimento di quelle risposte così tanto agoniate quanto evitate per il timore facessero troppo male.
E io, oggi, ho le risposte.

Nicole Della Pietà

[immagine tratta da Google Immagini]

Un altro anno è passato..

Un altro anno è passato. Abbiamo appena concluso il 2014 e dato inizio al nuovo anno. Per tutti noi questo passaggio è simbolo di speranza per il futuro, speranza di sorridere, speranza di riuscire nei nostri progetti, di realizzare i nostri sogni.
Per la nostra rubrica la speranza è di maggior sensibilizzazione ma soprattutto di assistere nel 2015 a meno episodi di violenza sulle donne rispetto agli anni scorsi.

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Perché proprio io? Izzy, vittima del bullismo.

Io arrivo,
felice e fresca,
pronta ed eccitata
per celebrare il festival.
Sono desiderosa e ansiosa di trascorrere un bel momento.
Sorrido per l’eccitazione,
comincio a vedere la folla,
vedo sempre più persone ,
Molti sono felici e gioiosi.
Sono lì come me,
per festeggiare,
io sorrido a loro e dico ciao ai tanti volti che vedo,
si guardano scioccati e sorpresi di vedermi,
io metto in discussione il loro giudizio e mi chiedo,
‘Che cosa ho fatto di male?’
Provo a tornare nel cerchio di risatine e a parlare,
mi spingono via.
sto ferma,
I miei occhi vitrei e assenti.
Improvvisamente mi chiamano,
penso, ‘sì! Mi hanno notato! ‘
Ma poi iniziano a fare domande,
sul motivo della mia presenza.
Cominciano a dirmi che nessuno mi vuole lì.
Il mio cuore, la mia testa, il mio corpo: la nebbia
sento i rimorsi che iniziano a pizzicare i miei occhi come le guance cominciano a bruciare.
‘Non lasciare che ti vedano,
Non mostrare loro che sei indebolito ,
Indebolito dai loro commenti’,
‘Stay Strong’ penso,
ma è troppo tardi,
i miei palmi delle mani sono umidi,
le guance e il mio collo sudano
Cammino in fretta tra le risate.
Il mio cuore comincia a rompersi.
Guardo giù e cammino,
I miei occhi annegano in un mare di emozioni.
Un altro pezzo di me, spuntato fuori dalle loro crudeli osservazioni e percezioni,
mi arrendo Read more

Come la psichiatria attraversa la ferita

Sono stata piacevolmente colpita dal modo in cui Eugenio Borgna, noto psichiatra italiano, è riuscito a definire la mancanza. Nell’intervista di domenica 25 maggio che il quotidiano La Repubblica ci propone, egli definisce la mancanza come qualcosa che ci accompagna per sempre e che cerchiamo disperatamente di mettere tra parentesi.

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