FIDUCIA COME CURA DELLA PAURA

Il nostro mondo è stato sconvolto dalla crisi economica che ha avuto inizio nel 2008, una crisi che è ben presto diventata anche una crisi valoriale, il panorama dei fenomeni che disgregano la comunità è radicalmente cambiato. I mezzi di comunicazione ci informano ogni giorno che se da un lato gli omicidi e le grandi rapine sembrano in diminuzione dall’altro si registra un aumento dei furti, scippi e altre aggressioni di relativa scarsa entità, che provocano però malessere e diffidenza diffusi. Se l’avvenimento doloso, come ad esempio un furto in appartamento, colpisce qualcuno di distante si riesce con facilità a relativizzare, ma quando riguarda noi ci investe profondamente, quando lo scippo viene perpetrato nel nostro quartiere, quando colpisce la nostra vicina di casa o un nostro parente ci sentiamo coinvolti in prima persona e ci spinge all’attivazione di misure difensive molto spesso sproporzionate rispetto alla minaccia. Pur essendomi sempre ritenuto molto di sinistra, molto incline a dare fiducia al prossimo e tendenzialmente restio a farmi prendere dai pregiudizi quando uno sconosciuto un po’ trasandato, magari anche di colore, mi si avvicina alla stazione ferroviaria mi metto già sulla difensiva, è qualcosa di istintivo che provo a mitigare con la razionalità, ma che mi vede comunque chiuso rispetto all’altro o prevenuto. Tutte le volte che qualche persona mi si avvicina magari con un aspetto un po’ trascurato devo fare appello a tutta la mia razionalità per provare ad analizzare la situazione, eppure nel passato quando mi è capitato davvero di essere stato rapinato o minacciato da qualche balordo ho sempre pensato che si trattasse di una eccezione, che in realtà gli esseri umani sono fatti per aiutare gli altri e non per danneggiarli.

Bisognerebbe pensare alla dimensione educativa delle persone a cui siamo stati sottoposti tutti fin dall’inizio della nostra vita, soprattutto nell’ambiente familiare. Che cosa insegniamo ai bambini circa i rapporti con il mondo esterno? A fidarsi di tutti o a non fidarsi di nessuno? O a fidarsi solo di chi si conosce? Quante volte vi hanno detto di non accettare caramelle dagli “sconosciuti”? L’educazione ci insegna a diffidare degli “sconosciuti”. Perché abbiamo così paura di correre il rischio di essere delusi pur di sperimentare nuovi rapporti?

Ogni tanto faccio una passeggiata in un parco vicino a casa, mi godo qualche pomeriggio di sole fumando una sigaretta su una panchina e osservando le persone che passano, tra la moltitudine di persone in cui ci si imbatte ci sono ovviamente anche genitori con bambini. Di recente ho assistito a una scena molto significativa. La scena vede protagonista un bambino piccolo, forse di tre anni, che corre intorno a una fontana stringendo con fierezza un robot colorato, sotto gli occhi attenti di una giovane madre seduta su una panchina poco distante dalla mia. Il bambino a un certo punto si orienta verso i giochi per bambini diretto alla scaletta di uno scivolo, nella sua corsa abbandona il giocattolo a terra poco distante dalla madre. Questa, messasi subito in allarme poiché aveva avvistato l’avvicinarsi guardingo di un altro bambino, avvisa immediatamente il figlio della minaccia “Giulio, guarda che così te lo rubano!”. Mi ha fatto pena Giulio, così piccolo e già così gravato dalle incombenze della proprietà. Un finale triste per questa scena. Quanto sarebbe stato bello se la mamma di Giulio avesse lasciato l’altro bambino godere del giocattolo e fosse intervenuta solo se Giulio avesse mostrato il desiderio di riappropriarsene? Ancora meglio: quanto sarebbe stato bello che la mamma di Giulio avesse incoraggiato il bambino a condividere il robot giocattolo con il nuovo amichetto? Quanto sarebbe stato bello sentirle pronunciare non un monito, ma un bel “Perché non giocate insieme?”.

La fine della società intesa come comunità di pari inizia il suo declino quando il primo uomo pronunciò: Questo è mio! L’inizio della comunità e l’avvento del capitalismo

Friedrich Engels

Da Aristotele a Engels, ma anche recenti studi psicologici ci indicano che i comportamenti altruistici sono sostanzialmente innati, come del resto la natura cooperativa degli esseri umani. Sono iscritti nel nostro DNA e tale indole compare in età molto precoce.

L’uomo è un animale sociale

Aristotele

Ciò non esclude che possano esistere altri comportamenti di tipo egoistico di natura innata che rispondono al bisogno di autoconservazione, di autoaffermazione e di possesso. Si tratta di due facce della stessa medaglia che costituiscono anche la massima contraddizione degli esseri umani tra ego riferimento e bisogno dell’altro, degli altri. Nel binomio tra Fiducia e Paura è racchiusa tutta la complessità della natura umana e dal loro equilibrio dipenderà il nostro star bene al mondo. Entrambi gli aspetti vengono plasmati dall’educazione. Per quanto riguarda la Fiducia e quindi l’altruismo se alcuni circuiti non vengono attivati in certi momenti critici c’è il rischio che si atrofizzino e che le persone restino imprigionate nell’isolamento dettato dall’ego riferimento. Per la paura e l’egoismo l’educazione dovrà incaricarsi di mettere in atto strategie che limitino l’attivazione di reazioni irrazionali o sproporzionate. Che fatica la Fiducia! Ma ne vale la pena, perché una vita all’insegna dalla Paura e dove prevale la diffidenza forse non vale nemmeno la pena di essere vissuta e può dirsi vivere davvero?

Matteo Montagner

Rivoluzionario VS Moderato

Se si intende riflettere su quale sia la portata del pensiero “rivoluzionario” è necessario prima di tutto ammettere, diversamente da quanto oggi si tende a voler far credere,che il pensiero di K. Marx non è qualcosa di lontano ed ormai una volta per tutte superato, anche se magari in molti auspicavano ed auspicano che tale trapasso abbia luogo davvero. Il pensiero di Marx a tutt’oggi porta ancora una grande energia al termine “rivoluzione”, ed è ancora talmente forte che in tanti continuano a temerlo sul serio. Il pensiero di Marx continua ad evidenziare denunciandole le contraddizioni di un mondo capovolto, di una realtà pervasa di sfruttamento ed alienazione, di mercificazione universale e feticismo che continuano a sovrastare l’individuo, frenandone lo sviluppo. Pertanto ancora oggi che il socialismo reale è naufragato e che la storia ha infranto il sogno di Marx, non viene minimamente intaccata la puntualità e la precisione delle denunce dal pensatore formulate, e la sua critica radicale del capitalismo continua a rappresentare ancora l’insieme di strumenti concettuali più valido per criticare la società esistente e le contraddizioni che la pervadono. Il suo progetto, inoltre, continua ad essere una promessa, e probabilmente la più seducente, del poter raggiungere la felicità, di cui il pensiero filosofico moderno sia stato capace.

Karl Marx e Vladimir Lenin, visti come i “rivoluzionari” per eccellenza, consideravano la “rivoluzione” come un modo attraverso il quale i poveri avrebbero preso il potere, ma è indubbio che la rivoluzione si qualifica alla fin fine non come un fenomeno della maggioranza, ma sempre di una minoranza “illuminata”.

Se poi vogliamo parlare di pensiero dei “moderati” dobbiamo chiederci chi sia da intendersi per “moderato”. E’ forse il conservatore? Tuttavia la chiusura totale e la difesa di determinate tradizioni ha ben poco di moderato. Moderato allora è essere riformista? Ma poi in che direzione si intende riformare?.

Secondo il credere diffuso i moderati stanno al centro, al di là di destra e sinistra, con le riforme. Ma queste riforme in che direzione vanno? A destra o a sinistra? Carattere conservatore o carattere progressista?

Basta prendere il vocabolario ed andare a leggere la parola “moderato” per rendersi conto dell’inconsistenza politica del termine: “Frenato, castigato, controllato, modesto”. Da un punto di vista psicologico i moderati, insomma, sarebbero quelli del “vorrei ma non è il caso”.

A non funzionare è la contrapposizione, abusata e ricorrente in una certa retorica, tra presunti moderati e presunti estremisti. L’opposto psicologico del moderato è l’appassionato o radicale, ovvero chi è capace di uno sguardo che sa affrontare le questioni fino alle radici; e l’opposto dell’estremista è semmai l’equilibrato, ovvero chi riesce ad essere padrone del gioco e di se stesso e non si lascia guidare dagli impulsi estremi.

Se già Lenin definiva l’estremismo come una malattia infantile della politica, del moderatismo si potrebbe sostenere che ne costituirebbe la malattia senile.

La tentazione moderata si dimostra davvero come l’altra malattia della politica, quella senile; almeno per tutti coloro che, invece, si considerano riformatori ed innovatori convinti, avversari di ipotesi ideologiche e conservatrici, sostenitori del patriottismo repubblicano, libertari attivi sul fronte dei diritti e, soprattutto, equilibrati e appassionati titolari dell’impegno politico.

Matteo Montagner

[Immagini tratte da Google Immagini]