I limiti etici della biomedicina: dal transumanesimo a Elon Musk

Le nuove frontiere biomediche pongono oggi dei quesiti etici piuttosto importanti: fino a dove si può  spingere il progresso scientifico? Ci sono dei limiti? L’etica che ruolo gioca in tutto ciò? Simili interrogativi sorgono spontanei quando si sente parlare di uomini cyborg come Neil Harbissom, l’artista inglese con l’acromatopsia, ovvero l’incapacità di distinguere i colori, che fattosi impiantare un’antenna nella testa è in grado di trasformare le onde dei colori in onde sonore. L’antenna inoltre, l’eyeborg, si può connettere ad internet attingendo alle informazioni della rete direttamente dal  cervello. 

Tecnologie del genere sono fortemente perseguite e finanziate dal transumanesimo e dal post umanesimo, filosofie per le quali non bisogna porre alcun limite etico-morale all’avanzamento tecnologico e scientifico finalizzato alla nascita del post-umano. 

Ma quali sono i loro principi? I transumanisti, come i famosi Nick Bostrom e David Pearce, hanno stilato una dichiarazione in cui sono scritti i principi di questo movimento di cui è utile riportare il primo punto: 

L’umanità sarà radicalmente trasformata dalla tecnologia del futuro. Si prevede la possibilità di riprogettare la condizione umana in modo di evitare l’inevitabilità del processo di invecchiamento, le limitazioni dell’intelletto umano (e artificiale), un profilo psicologico dettato dalle circostanze piuttosto che dalla volontà individuale, la nostra prigionia sul pianeta terra e la sofferenza in generale1. 

Molti esponenti del transumanesimo sono i veri Re Mida del nostro pianeta, facenti parte della Silicon Valley, la maggior parte abitano la Baia di San Francisco. Personalità del calibro di Elon Musk, ceo di Tesla, azienda specializzata nella produzione di auto elettriche e pannelli fotovoltaici, e Ray Kurzweil, ingegnere capo di Google, finanziano progetti i cui obiettivi sono citati nel primo principio transumanista. Un esempio è costituito da Neuralink: un’azienda fondata da Musk che ha aperto alla possibilità di impiantare un chip nel cervello per migliorare le prestazioni cognitive immagazzinando un numero maggiore di dati a livello mnemonico. 

Per contrastare l’invecchiamento invece Google nel 2013 ha istituito Calico, che si occupa di ricerca nel campo delle biotecnologie e in particolare dello studio del DNA. O ancora, come non citare la Mind up loading, processo che permetterebbe di “copiare” il nostro sistema cerebrale e “caricarlo” in un supporto artificiale come un computer o un robot, raggiungendo così l’immortalità. Oggi queste ricerche vanno a vantaggio dei malati, come il chip di Neuralink che verrà impiegato in  persone con il Parkinson, l’epilessia e problemi neurologici. Lo spinoso problema etico è dato dalle finalità esplicitamente potenziative di questi studi e atte al superamento addirittura della morte; la malattia è semplicemente un mezzo, quindi, e non il fine della ricerca scientifica in ambito medico come conferma l’ultimo punto della dichiarazione transumanista a cui si ispirano queste aziende: “Il  Transumanesimo è fautore del benessere di tutti gli esseri senzienti2

La preoccupazione dunque non riguarda tanto le tecnologie che possono certamente condurre a un miglioramento della vita umana, quanto piuttosto alla diffusione di un’ideologia che successivamente può radicarsi in cultura, di un superamento a qualsiasi costo di quel limite che contribuisce a rendere umana la persona. Da un punto di vista filosofico, nel tentativo di andare oltre l’uomo si sta procedendo verso la sua disumanizzazione, intendendo questo termine con il suo significato etimologico “dis-umanizzare” cioè togliere all’humanum ciò che gli è proprio, quel limite fisico e  psicologico facente parte della struttura ontologica dell’humanum stesso. A ciò va aggiunto, analizzando oggi la società, che la spiritualità, facente parte anch’essa dell’humanum, sta scomparendo sia perché si sta imponendo una weltanschaung (determinata visione filosofica del mondo e dell’uomo) a-spirituale a favore di una concezione del mondo meramente materialistica sia perché quella capacità dell’uomo di percepire il Trascendentale si sta dissolvendo piuttosto velocemente. Le cause sono molteplici, sono emerse infatti nella contemporaneità delle correnti di  pensiero parallele che convergendo hanno contribuito a una simile decadenza: la crisi di identità  del soggetto, il relativismo che ha portato alla perdita della ricerca dell’Assoluto e infine la percezione  dell’uomo, la creatura per eccellenza, nel sentirsi Dio. Si è manifestato pertanto un clima di antiumanesimo che trova terreno fertile nel trans-umanesimo e nel post-umanesimo. Risultano interessanti dunque le parole di Papa Francesco nel Discorso alla Plenaria della Pontificia Accademia per la Vita: “La correlazione e l’integrazione fra la vita vivente e la vita vissuta non possono essere rimosse a vantaggio di un semplice calcolo ideologico delle prestazioni funzionali e dei costi  sostenibili.”

 

Veronica Zanini

 

Sono Veronica Zanini, laureata in Scienze Religiose con indirizzo specialistico in bioetica. Lavoro come insegnante di religione alla scuola primaria dell’istituto D. Manin di Ca’Savio e collaboro come guida all’isola di San Lazzaro degli Armeni (VE).
Dallo scorso anno sono vicepresidente dell’associazione culturale Gremio di Bioetica.
Scrivo per diversi giornali e siti  come per la rubrica “Lo splendore della vita” del settimanale Gente Veneta, per la rivista dell’associazione ProVita&Famiglia, mensilmente pubblico per nanoda.com e in passato per Orwell.live; l’ultimo articolo è stato pubblicato per solotablet.it.
Negli anni ho tenuto diverse conferenze sul transumanesimo e il postumanesimo di cui una dal titolo “Ho visto cose che voi umani..”potenziamento dell’uomo, eugenetica e trans umanesimo recensita da Avvenire.

 

NOTE:
1. Principi Transumanisti in http://www.transumanisti.it/
2. Ibid.

 

[Immagine tratta da Unsplash.com]

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Lo and Behold: Internet raccontato da Werner Herzog

Il Guardian recentemente ha sostenuto che stiamo vivendo nell’età d’oro dei documentari. Vero o meno vero che sia, il catalogo Netflix dei documentari sta vivendo un periodo florido ed è consigliabile dargli un’occhiata tra una serie e l’altra. Da poco tempo è presente nella lista anche il nuovo documentario del regista tedesco Werner Herzog, artista eclettico e slegato dai generi come pochi, intitolato Lo and Behold e uscito nei cinema ad ottobre. Tratta di internet, dalla sua nascita alle prospettive future che il suo sviluppo potrebbe comportare. Diviso in dieci capitoli, dagli albori di internet (The early days) a The future. Ognuno di questi dieci blocchi racconta o un periodo storico della breve vita della rete o un tema connesso a questa.

Il film si serve esclusivamente di interviste, è ed volutamente statico ed essenziale nelle immagini. La forza della narrazione viene così dal parlato, dai dialoghi del suo autore, molto presente, con le personalità che decide di interrogare. Queste vanno da pionieri di internet come Leonard Kleinrock e Ted Nelson, a moderni tycoon come Elon Musk, e all’hacker Kevin Mitinick, ma ci sono anche persone comuni che hanno risentito in diversa misura della crescente ingerenza della tecnologia del web nelle loro vite. Herzog ci racconta le glorie e le miserie della rete nei suoi primi 50 anni di vita. Dalla sua nascita e dal primo messaggio (il Lo, di Log-in, del titolo) mandato da un laboratorio della UCLA (Università della California, Los Angeles) a Stanford molte cose sono cambiante e altrettante muteranno. Già dai primi minuti il documentario dà quasi il senso di ineluttabilità di internet, di un progresso esponenziale che non si può fermare. Portando sì moltissime utili innovazioni, le glorie, come il gioco che ha messo in rete la ricerca sulle molecole di Rna, ma creando anche situazioni nuove e difficili da interpretare per la gente comune. La quale ne sembra quasi investita, senza la possibilità materiale e legale di fare qualcosa. Come si capisce dalla storia raccontata dalla famiglia di Nikki, le cui foto da morta sono circolate indisturbate sul web, dato che la privacy via internet decade con la fine della vita di una persona.

Il documentario di Herzog in questo senso è molto più umano che didascalico. Ci mette di fronte chi internet ha contribuito a costruirlo, fornendo un cambiamento al corso dell’umanità, chi l’ha usato nel bene e chi invece l’ha subito nel male. Non racconta la Storia di Internet, ma racconta internet oggi. Offre quello che si può chiamare in modo abusato uno spaccato della nostra società rispetto alla tecnologia che sta permeando quest’era. Ne risulta un documento quasi antropologico, molto parziale perché comunque raccontato dal filtro dell’autore, che non fa niente per nascondersi, anzi. Ma prendere o lasciare. Ed è quello che forse del documentario resta di più, la capacità di Herzog, neofita sognante quanto scettico, di indagare le contraddizioni della rete. Con anche molta ironia, come nella scena dei monaci buddisti a capo chino sullo smartphone o come quando si offre come colonizzatore di Marte ad Elon Musk. E con alcune parti surreali o fantascientifiche; quando per esempio chiede/si chiede se internet sogna se stesso.

Il tutto contribuisce a creare un prodotto ibrido: non una narrazione entusiasta delle sorti magnifiche e progressive del nostro mondo interconnesso, e neanche una produzione segnata dal catastrofismo o dal luddismo che possono nascere in risposta al primo approccio. Herzog ha molti dubbi e a volte sembra parteggiare per le vittime di questo progresso, ma al contempo ne è estremamente affascinato. Ne capisce la portata rivoluzionaria e anzi vuole indagare fino a dove si possa spingere. Così alcune delle grandi domande vengono a galla, ma senza nessuna faziosità o alcuna pregiudiziale. E si finisce per restare immersi noi stessi nella sincera curiosità di Herzog che si chiede, in definitiva, dove ci porterà tutto questo: su Marte, o alla distruzione?

Per cui se cercate qualcosa di elettrizzante, o anche solo un documentario alla Alberto Angela, allora forse Lo and Behold non fa per voi. Ma se volete molti spunti non banali per interrogarvi sulla questione, allora meglio che lasciate stare quella serie tv e clicchiate play.

Tommaso Meo

[Immagine tratta da Google Immagini]

 

Elon Musk, il demiurgo

Il dizionario Treccani per il termine demiurgo, dal latino demiurgus “artefice, ordinatore” ha varie voci: il demiurgo propriamente come libero artigiano o come magistrato che curava le questioni di interesse pubblico, ma anche la famosa divinità platonica creatrice del mondo. Nel senso più ampio e figurato infine il Treccani recita: «Personaggio di grande importanza storica, dotato di forti capacità creative e organizzative che gli consentono di dominare il suo tempo e dare vita a nuove realtà».

È proprio questa la definizione che mi viene in mente da qualche tempo a questa parte quando leggo o sento parlare di Elon Musk. Chi è costui? Diciamo che ragionevoli indizi portano a pensare che sarà (se non lo è già) una delle cinque o dieci persone più influenti al mondo per i prossimi decenni. Anche solo per il fatto che la missione dichiarata, non tanto sottovoce, di questo quarantacinquenne di origini sudafricane è quella di cambiare il mondo, in meglio, ovvio.

Riavvolgiamo il nastro della sua vita un attimo. Studia economia e fisica negli Stati Uniti, ma la svolta arriva appena dopo l’università quando crea il sito Zip2 che gli frutta alla vendita più di 300 milioni di dollari. A 28 anni co-fonda un servizio di pagamenti online che confluirà in PayPal. Venduto il quale può iniziare la fase importante della sua vita, quella in cui prova a salvare la Terra. A 31 è fondatore e CEO di SpaceX, la sua compagnia aerospaziale, a 32 è CEO di Tesla Motors e a 35 di SolarCity. E di tutte è il maggiore azionista.
Il bello però è come queste aziende, che da sole avrebbero di per sé una portata rivoluzionaria, siano interconnesse e dipendenti, scambiandosi consulenze e conoscenze prima di tutto.
Ricapitolando, la base del progetto di Musk passa per TeslaMotors, azienda che produce auto totalmente elettriche. Tesla ha iniziato producendo un modello di macchina sportiva, poi un Suv e una berlina compatta e con questi ricavi ha da poco messo in commercio una vettura più economica (Model 3), una citycar, che dovrebbe riempire una fetta più grande di mercato. In questo modo in un paio di decenni risolveremo il problema dei combustibili fossili se sempre un maggior numero di persone guiderà una macchina elettrica, pensa Musk.

Poi c’è Solar City che, come suggerisce il nome, mette un altro tassello nella conversione alle energie rinnovabili, occupandosi appunto di pannelli fotovoltaici. Ma non finisce qui perché la novità sarà poter immagazzinare l’energia solare catturata in delle grandi batterie casalinghe (Powerwall) da poco presentate al pubblico, in modo da ovviare al fabbisogno di un’abitazione, che diventerà quindi veramente green, per usare un termine da reclame.

Il fiore all’occhiello dell’impero di Musk, al 101° posto tra gli uomini più ricchi del mondo con un patrimonio stimato in 12 miliardi di dollari, è pero SpaceX, che sta per Space Exploration Technologies Corporation. Anche qui il nome è presagio: il termine tecnologie vicino a esplorazione spaziale dice molto.
La prima missione di SpaceX è stata infatti creare da sé tecnologie come lanciatori (completamente riutilizzabili) e capsule costruite in modo da abbattere i costi enormi di un lancio spaziale. Ci sta riuscendo e non è un caso che la Nasa e gli Usa siano tra i finanziatori dell’azienda di Musk. SpaceX ha ottenuto vari traguardi importanti tra i quali essere la prima azienda aerospaziale privata (privata!) a raggiungere con una navicella la Stazione Spaziale Internazionale.

Sono molti altri inoltre i progetti, che potremmo chiamare genericamente e semplicisticamente futuristici, che Elon Musk, o chi per lui, finanzia da anni. Tra questi è da citare Hyperloop, progetto che consiste semplicemente nel creare un treno da più di 1000 Km orari, e in pratica inventare un nuovo modo di viaggiare.

Tanti dei progetti del tycoon sudafricano iniziati circa un decennio fa sono oggi realtà, ma quando si ha il futuro in testa, non ci si ferma mai. Ecco allora che qualche giorno fa il CEO di Tesla ha pubblicato il nuovo piano maestro (Master Plan, part deux) delle sue aziende per i prossimi dieci anni, se basteranno. Musk stesso riassume così gli obiettivi che pone e si pone: creare a energia solare integrati, espandere il mercato dei veicoli elettrici, implementare la tecnologia delle auto a guida automatica, dieci volte più sicura di quella manuale, condividere i mezzi di trasporto come le macchine e in questo modo guadagnare soldi mentre noi non le usiamo.
Insomma energia solare e auto elettriche su grande scale, insieme alle self-driving car (oltre a camion e altri mezzi) e a un’economia della condivisione sono le prossime sfide. Tutto questo per garantire un pianeta meno inquinato e più sicuro. Vi sembra poco?
Se le sue aziende dovessero raggiungere davvero questi traguardi allora non credo sarebbe peregrino dire che Elon Musk stia creando il futuro, tanto quanto il demiurgo filosofico creasse e ordinasse il mondo.

Il personaggio e uomo Musk, genio, miliardario, imprenditore e filantropo, per quanto si può leggere in alcuni stralci della sua più attendibile biografia, ha anche molti lati oscuri: vive per il suo lavoro, e lavora per la perfezione, e così sono obbligati a fare dal primo all’ultimo i suoi sottoposti, pena sfuriate incontrollate o licenziamenti in tronco. Parrebbe provare pochi sentimenti, o almeno non come li proviamo noi. Il tutto è accompagnato da una timidezza quasi imbarazzante e da una serie abbastanza lunga di nevrosi. Non si ferma mai, dorme sul posto di lavoro e pochissimo. Come dice la sua ex-moglie: «questo è il mondo di Elon e noi ci viviamo dentro».

In un’intervista durante un talk show, il conduttore lo punzecchia chiedendogli conto della contraddizione tra la sua volontà di salvare il mondo e il fatto di essere un classico esemplare di miliardario del neo capitalismo. In pratica gli domanda se sia l’eroe (hero) o il super cattivo (villain). Lui ridacchia nervosamente e risponde che sì, quello che vuole è «fare delle cose che facciano bene al pianeta»; più o meno come quasi tutti scrivevamo candidamente nei temini di terza elementare. Solo che Elon Musk sembra crederci sul serio e prova a realizzare tutte le sue (e nostre) utopie.
C’è altro? Sì, il gran finale si lascia sempre alla fine. Come se non bastasse infatti c’è un’utopia nell’utopia, o meglio una mission nella mission. Una volta migliorato un po’ il mondo e la vita di tutti noi, Elon Musk ha come obiettivo a lungo termine una cosa come la conquista di Marte. Eh si, se no quale sarebbe il fine ultimo dei razzi di SpaceX?
Più che conquista Musk, che non fa certo segreto di questa idea, parla di colonizzazione. Prima trasportando materiali sul pianeta rosso, poi uomini, che inizino a renderlo vivibile, per infine creare una colonia umana sul pianeta, e forse gettare le basi per una più estesa colonizzazione della galassia. Già solo il fatto che un uomo sia in grado di pensare e cercare di realizzare questo ci dice chi abbiamo di fronte. Un ragazzotto geniale e un po’ impacciato che sta plasmando il futuro dell’umanità. Buon divertimento nel mondo di Elon.

Tommaso Meo

[Immagine tratta da Google Immagini]