Attendere il deserto

Stai bene?

Penso di sì, perché?

Che significa “penso di sì”? O stai bene o non stai bene.

Facile per te. Ad ogni modo, perché me lo chiedi?

Non è facile per me: lo è per tutto il mondo; meno che per te, a quanto pare. Non hai detto una parola per tutta la cena.

È che ho una strana sensazione…

A cui non è così semplice dar nome, sì: conosco il gioco.

Mi fai sembrare un coglione, fammi finire.

Vai.

È la strana sensazione che accompagna la fine di un romanzo, è come un senso evanescente di incompiutezza.

Perché incompiutezza? Se l’hai finito, hai compiuto un percorso, sei arrivato fino in fondo. Dovresti essere felice: dici sempre di non aver mai tempo per leggere un romanzo dall’inizio alla fine, che ti capita sempre meno di leggere cose “scritte con un pizzico di spirito”.

Non mi fare il verso, mi fa…

Sembrare coglione

Appunto, grazie. Comunque: prima di leggere un romanzo sei entusiasta perché attendi di iniziare a frugarci dentro, sei come un bambino con un giocattolo nuovo. Hai solo voglia di sederti da qualche parte, in santa pace, e leggerlo.
Mentre lo leggi, se è un buon romanzo, un romanzo scritto bene – magari non un capolavoro, ma almeno scritto bene -, sei affascinato dalla trama, vuoi capire come diavolo fa a finire e inizi a prenderlo in mano ogni volta che hai cinque minuti. Mi segui?

Vai avanti.

Quando l’hai finito, se è un romanzo scritto bene, sei a posto: hai anche il diritto di sentirti bene in coscienza, perché nonostante viviamo in una società impazzita et cetera et cetera, hai trovato il tempo per leggere un buon romanzo. Ti senti una persona migliore, magari.

E quindi perché questo senso di incompiutezza? Quello che hai letto non era scritto bene?

Era scritto molto bene.

Mi stai facendo innervosire: finito di leggere un romanzo scritto bene, ti senti meglio. Ma tu ti senti strano. Ergo il romanzo non era scritto bene. Che mi sono perso?

Era scritto molto bene. Il problema non è con quello che c’era scritto ma con quello che diceva; c’è sempre qualcosa che un romanzo ti dice, qualcosa che, tuttavia, non è scritto lì, nero su bianco.

Un significato implicito?

Ma che implicito! È tutto fin troppo esplicito. Immagina di essere in salotto; io, dalla cucina, ti dico una cosa: non una qualsiasi, ma qualcosa il cui significato è così potente che sembra ti sia stato sussurrato appena accanto al cuore. Se distogli gli occhi dal televisore e ti guardi intorno, noti la mia assenza: io non ci sono, lì con te.

Ma mi hai parlato.

Appunto! L’assenza è l’altro lato della presenza, fa da contrasto e quello che deve essere notato veramente, certe piccole parole essenziali, di una brillantezza limata (come le figure delle miniature, sui vecchi codici, hai presente?), risuonano più chiare che mai. È solo nel deserto che senti le parole le più belle e importanti di tutte. E l’assenza è il deserto!

E perché questa cosa non va bene?

Va benissimo!

Ma ti fa sentire strano…

Perché è la verità: e con la verità ci devi sempre fare i conti!

E cosa ti ha detto ‘sto libro?

Mi ha detto qualcosa a proposito delle occasioni perdute, di un soldato, Giovanni Drogo, coraggioso come pochi, la cui esistenza non era, di per sé, inferiore a quella dei suoi commilitoni, degli altri soldati che, mentre se ne scendeva dalla Fortezza, ormai vecchio e consunto e debole, gli davano il cambio, sorpassandolo con passo guerresco.

Un romanzo di soldati: da quando ti sei messo a leggere romanzi di guerra?

Ma che guerra!

Va bene, allora un soldato troppo vecchio per far la guardia a questa fortezza: non mi pare un gran coraggioso.

Ma il coraggio sta nell’andarsene, nel fuggire dal posto in cui questo nemico non si palesa mai. Nel coltivare le proprie speranze fino all’ultimo momento e nel capire che la guerra è già tutta nell’attesa: è guerra contro noi stessi, contro la nostra pigrizia, contro l’incapacità di aspettare ­– fosse anche per tutta la vita- il momento della propria nascita. Lui se ne sta lì per anni, senza mai accontentarsi: senza neanche dar colpi di testa, sia chiaro; facendo sempre il suo dovere scrupolosamente, ma senza mai accontentarsi di quello che vedeva, toccava. Mentre viveva lì, assaporava il gusto di qualcosa di lontano che lo aspettava chissà dove; o forse che lui, Giovanni Drogo, stava aspettando: chi può dirlo? Fatto sta che mi ha fatto capire qualcosa in più su di me, su come funziona per me questa attesa.

E come funziona per te?

Non posso dirtelo, è un segreto. Hai capito perché non parlo? Quello che ho udito sfugge affinché non sia detto o ripetuto. Funziona così con le grandi parole: devi agire.

Non ti seguo.

E non devi! Leggi il libro, è sul divano, di là: è il “Deserto dei Tartari”.

Emanuele Lepore

[Immagine tratta da Google Immagini]

Dino Buzzati, “Poema a fumetti”

Oggi lo si definirebbe una graphic novel e sarebbe riconoscibile all’interno di un vero e proprio genere letterario, che negli ultimi decenni ha prodotto opere di autentico rilievo e si è creato un pubblico attento; ma nel 1969, quando Dino Buzzati pubblica il suo Poema a fumetti, provoca una clamorosa sorpresa. L’autore di un piccolo classico come Il deserto dei Tartari, che in trent’anni di carriera letteraria ha inventato una sua originale interpretazione del fantastico e ha reinterpretato generi letterari come l’erotismo (Un amore, 1959) o la fantascienza (Il grande ritratto, 1960), propone un’opera narrativa del tutto inedita, il cui breve testo si intreccia a immagini realizzate dallo stesso autore.

Dino Buzzati 1 - La chiave di SophiaI critici e molti lettori sono spiazzati da un romanzo che impone una lettura del tutto nuova. Eppure non si tratta, per l’autore, di una novità: già nel 1945 ha pubblicato e illustrato personalmente il libro per ragazzi La famosa invasione degli orsi in Sicilia; da tempo è conosciuto anche come pittore, Dino Buzzati 2 - La chiave di Sophiae pochi anni dopo, nel suo ultimo libro (I miracoli di Val Morel, 1971) ripropone attraverso una raccolta di surreali Dino Buzzati 3 - La chiave di Sophiaex-voto un’originale commistione tra testo e immagini.

 

 

La vicenda, invece, si riallaccia a una tradizione illustre, e si ispira alla mitologia: la storia di Orfeo che commuove col suo canto le divinità degli Inferi per riportare in vita la sposa Euridice, ma finisce col perderla nuovamente.

Dino Buzzati 4 - La chiave di SophiaE insieme il suo libro è una storia d’amore e di morte, secondo una tradizione illustre e antica. Una storia ispirata alla mitologia, la storia di Orfeo che scende negli inferi a commuovere le divinità col suo canto per riportare in vita la sua sposa Euridice, ma finisce per perderla nuovamente. Un racconto già cantato infinite volte in letteratura, in arte, in musica, qui alluso attraverso la storia del giovane Orfi, un cantante di successo che rimane sconvolto dall’improvvisa morte della sua amata Eura. Ma Orfi scopre un passaggio che porta nell’aldilà: un’anonima porta a pochi passi da casa sua, a Milano nell’inesistente via Santerna (immaginata nelle vicinanze di via Solferino, dove Buzzati lavorò per tutta la vita al Corriere della Sera).Dino Buzzati 5 - La chiave di Sophia

Un singolare “diavolo custode”, rappresentato nella forma di una giacca vuota, gli rivela che ogni scomparso vive in un luogo che gli ricorda la sua vita precedente («Per te, Orfi, è Milano, Milano essendo la tua vita, per un altro è Zagabria, Karlsruhe, Paranà»). Ma ciò che manca nell’aldilà è lo scorrere del tempo: l’esistenza non ha variazioni, è solo «ottusità indistruttibile, uniformità, prevedibilità, noia», agli antipodi della nostra vita preziosa proprio per la sua brevità. Dino Buzzati 6 - La chiave di SophiaCosì Orfi offre agli spiriti la cosa più preziosa, un canto che restituisca loro il ricordo del piacere e della bellezza.

In questo modo, Orfi ottiene 24 ore di tempo per cercare Eura. Sotto le volte di una gigantesca stazione ferroviaria, le anime stanno salendo su giganteschi treni a molti piani che li porteranno alla inconoscibile destinazione finale. Dino Buzzati 7 - La chiave di SophiaOrfi trova Eura tra loro, cerca di riportarla indietro, ma è lei a resistere: a differenza di Orfi, lei è già consapevole che la morte è una potenza irresistibile. I morti sono tutti stanchi, incapaci di opporsi al loro destino. In un’affannosa sequenza il tempo lasciato a Orfi si consuma del tutto, Dino Buzzati 8 - La chiave di Sophiae il giovane si ritrova davanti alla soglia, in via Santerna, incerto se tutto non sia stato un sogno. Ma il piccolo anello di Eura, rimasto nelle sue mani, gli dice che invece tutto è realmente avvenuto.

 

 

Dino Buzzati 9 - La chiave di SophiaUn breve riassunto come questo può solo dare una vaga idea di un romanzo per immagini, nel quale ogni singola tavola costruisce la Dino Buzzati 10 - La chiave di Sophiavicenda e insieme propone continui omaggi (dichiarati dall’autore nei ringraziamenti iniziali) che vanno da Salvador Dalì ai fumetti pornografici; ma in questo magma Buzzati riesce a essere sempre fedele a se stesso, ai temi che ha raccontato in tutta la sua vita di scrittore: il senso dell’attesa, il destino che incombe sugli uomini, la morte come presenza inesorabile nella vita umana.

 

 

 

Giuliano Galletti

DINO BUZZATI, Poema a fumetti, Milano, Mondadori, 2016

Selezioni amare

Leggo e rileggo tra i titoli della mia libreria in camera. Cerco e ricerco quello giusto, quel libro che tocchi l’amore e lo descriva al meglio.

Non trovo selezione, non trovo la storia perfettamente giusta.

Sarà un classico come “L’amore ai tempi del colera” o sarà soltanto un amore dei nostri giorni come quelli di cui scrive Lesley Lokko?

L’amore che nel tempo è diventato da tormentato a tormento della nostra quotidianità. L’amore che oggi, nelle pagine attuali, ci sembra maltrattato, dipinto come qualcosa da cui scappare.

Eppure l’amore si genera proprio da noi stessi. Si genera in un gesto, in troppe parole, in qualche briciola di tempo o in tante ore passate a leggere un libro. Si genera in una passione e in un risultato, l’amore é amore perché ci rende vivi.

Avete mai letto una poesia che amate all’alba in riva al mare?

Potreste pensare che sia qualcosa di talmente acclamato da diventare banale, eppure non lo è. Il fatto che non ci si renda conto del rumore del mare non potrebbe rendere al meglio il piacere e il significato della lettura. Leggere le onde, leggere le righe. Cambia soltanto un accento, ma l’attimo assume un significato diverso.

Qualcuno mi ha detto di giocare di più con le parole. Ho imparato che da amare ad amore non passa poi molto spazio.

Amore all’inizio, amare l’amore nel centro della nostra passione, amare come le lacrime alla fine del nostro amore. Come i progetti andati in fumo, come le persone che si perdono, come le cose che non sempre vanno come vorremmo.

Ho cercato di stilare una classifica di libri amari, o d’amore. Avrei voluto stilarne due, forse, affinché si contrapponessero.

Perché aveste – in questa estate già calda nelle temperature – un desiderio di fare pace con l’amore, anche ai giorni nostri.

Un po’ come fanno pace i protagonisti di “Per sempre”, di Susanna Tamaro. Fanno pace con i loro scheletri interiori. Perché nella vita, la maggior parte degli scheletri non sono nascosti in un armadio che teniamo in camera, ma dentro le nostre viscere, pronti a scontrarsi coi nostri pensieri.

Un po’ come fanno Fausto e Anna, in una storia inusuale di Carlo Cassola. In cui conoscono prima loro stessi dell’altro.

O forse, ancora, come quelli de “Il cielo è rosso” di Giuseppe Berto. In cui la scoperta é un flusso continuo che modifica le nostre vite.

D’amore se ne parla, si scrive e si canta da sempre. Fino a renderci un po’ troppo o troppo poco inclini ad esso. Fino a renderci vittime e carnefici al tempo stesso.

Fino a rendere il meglio ed il peggio di noi stessi.

Leggere l’amore al tramonto dev’essere come dissetarsi in un deserto.

Io scelgo “Un amore” di Dino Buzzati, per questa mia estate. Un amore che non sarà mai uguale e al tempo stesso non sarà mai diverso. Scelgo un libro che mi appartenga, come ogni giorno scelgo la vita che mi piace più indossare.

Vivete l’amore nell’operare le vostre scelte, perché l’amore per voi stessi è il primo elemento che vi dà vita. Vivete l’amore nel leggere, vivete l’amaro dell’amore ed anche i suoi lati più dolci.

Ora lo so; non avrei potuto selezionare dei libri ponendoli in una classifica. Guardandoli distaccata nella libreria non avrebbero rivissuto nella mia mente.

E invece vivono e rivivono, mi urlano dentro, mi fanno vibrare soltanto ripensandoci. E amo, e vivo.

Cecilia Coletta
[immagine tratta da Google Immagini]