Intervista a Maurizio Pallante – Movimento per la Decrescita Felice – III Parte

III e ultima parte dell’intervista

Maurizio Pallante, laureato in lettere, principalmente attivo come saggista ed esperto di risparmio energetico, è presidente e fondatore del Movimento per la Decrescita Felice, un’Associazione nata sui temi della demitizzazione dello sviluppo fine a se stesso.

È stato tra i fondatori, con Mario Palazzetti e Tullio Regge del Comitato per l’uso razionale dell’energia (CURE) nel 1988, ha svolto l’attività di assessore all’Ecologia e all’Energia del comune di Rivoli. Dal 1988 svolge attività di ricerca e divulgazione scientifica sui rapporti tra ecologia, tecnologia ed economia, con particolare riferimento alle tecnologie ambientali.

È autore di molti saggi pubblicati da Bollati Boringhieri, manifesto libri, Editori Riuniti. Scrive anche per diverse testate, tra cui Carta, il supplemento settimanale della StampaTuttoscienze, Il manifestoIl PonteRinascita.
Collabora con Caterpillar per la festa della Decrescita felice, di cui è il principale ispiratore. È membro del comitato scientifico della campagna sul risparmio energetico “M’illumino di meno” e della testata online di informazione ecologica “Terranauta“.

url

Il problema della crisi ambientale fu anticipato da Heidegger nel saggio “Costruire, abitare e pensare”. Per lui la Tecnica è ciò che si impone o che richiede come unico atteggiamento dell’uomo la manipolazione, che culminerebbe nel dominio planetario della Tecnica così considerata dunque nemica dell’uomo. Lei concorda con questa visione?

Non del tutto, in parte sì perché dipende a che fine viene indirizzata la tecnica. Se l’obiettivo della tecnica è quello di incrementare la produttività è vero quello che dice Heidegger e l’incremento del dominio tecnico diventa un elemento di subordinazione degli esseri umani. In questo modo la tecnica si trasforma da mezzo per migliorare la qualità della vita dell’uomo a fine. Però deve essere chiaro che è impossibile pensare una decrescita selettiva del PIL senza una evoluzione tecnologica che va nella direzione della riduzione degli sprechi e dell’aumento dell’efficienza delle organizzazioni umane. Occorre cambiare il rapporto tra gli esseri umani e la tecnica.

Heidegger ha fatto benissimo a mettere in guardia gli uomini dai problemi derivanti dalla tecnica, però non è certo abolendo la tecnica e la tecnologia che si possono ottenere dei risultati per migliorare lo stato delle cose, serve invece che la tecnica torni al servizio degli esseri umani e che essa venga indirizzata al raggiungimento di determinati obiettivi che abbiano per fine non l’aumento della produttività fine a se stesso, ma l’aumento della qualità della vita dell’umanità.

Quindi ritorniamo al concetto della sensibilizzazione delle persone al nuovo paradigma?

Sì. La decrescita è una rivoluzione culturale, un cambiamento di paradigma, un cambiamento di sistema di valori e un cambiamento di interpretazioni della realtà.

Non credo si debba rinunciare alla tecnica per superare i pericoli della tecnica, credo che si debba invece riprendere in mano la tecnica e utilizzarla al meglio per raggiungere determinati obiettivi.

Non deve essere più la tecnica a comandare gli esseri umani, ma devono essere gli umani a guidare lo strumento tecnico, questo concetto è ben spiegato da Ivan Illich nel libro “La Convivialità”, ma che è anche in parte il discorso che fa Heidegger.

Bisogna avere una conoscenza della tecnica, per fare un discorso filosofico sulla tecnica bisogna anche sapere, la vera frontiera è il superamento tra sapere scientifico e sapere umanistico.

Broyard dice che non abbiamo più una esperienza reale, ma abbiamo una esperienza mediata della realtà da parte dei media. Lei concorda con questa affermazione?

Credo che in linea di massima sia vero, ma non è una condanna perché si può avere una conoscenza diretta della realtà nel momento in cui si acquista una autonomia di pensiero che ci consente di non valutare la realtà unicamente attraverso la descrizione e la narrazione che ne fanno i media. Dobbiamo recuperare la conoscenza diretta delle cose e questo passa anche attraverso il superamento della distinzione netta tra sapere scientifico e sapere umanistico.

Quanto dice Broyard è vero all’interno del nostro paradigma culturale, ma se lo cambiassimo sarebbe ancora così? Non è una condanna ineliminabile, siamo noi, come comunità, come collettività a determinare il paradigma dominante che non è dato a priori.

Come le è nata l’idea di aderire al Movimento della Decrescita Felice?

Ho iniziato a occuparmi di tematiche ambientali per un motivo sostanzialmente etico perché vedevo che c’erano delle cose che non andavano bene e che l’idea di progresso portata avanti dalla società Occidentale non era fondata. Vedevo tutti gli aspetti distruttivi della tecnica. Ho quindi scelto di impegnarmi nell’ambito delle questioni ambientali, nel corso della mia esperienza come ambientalista ebbi la fortuna di incontrare la problematica relativa all’uso dell’energia che mi sembrò la più rilevante. Si parlava di effetto serra, piogge acide, buco nell’ozono, erano gli anni ’70, in quegli anni affrontavamo anche una significativa crisi energetica. In quegli anni in molti sostenevano che fosse necessario abbandonare le fonti fossili per abbracciare le fonti rinnovabili come nuova soluzione energetica. Nel corso di quegli anni ebbi modo di incontrare un Ingegnere che al tempo era Direttore Tecnico della FIAT il quale mi spiegò che la soluzione principale non era la sostituzione delle fonti fossili con le fonti rinnovabili, ma la riduzione degli sprechi e l’ottimizzazione della tecnologia già esistente. Ridurre gli sprechi significava però effettuare una riduzione selettiva del Prodotto Interno Lordo, significava attuare una decrescita selettiva del PIL.

Così iniziai a tematizzare la riduzione dell’utilizzo e del consumo di una merce che si paga, ma che non è un bene, elaborando questo concetto mi sono reso conto che l’inquadramento generale del discorso energetico che stavo facendo era in realtà iscritto nell’idea di decrescita selettiva del PIL e di un modello alternativo a quello dominante. La riduzione degli sprechi non riguardava un ambito specifico, ma poteva essere esteso in senso più ampio a un modo globale di fare politica-economica industriale e questo aveva delle ricadute sul piano ambientale e occupazionale.L’inizio quindi della teorizzazione della decrescita parte dal tentativo di risolvere delle problematiche ambientali di carattere energetico che già allora si pone come alternativa perché al posto di auspicare il cambiamento delle fonti energetiche si concentra invece sulla riduzione degli sprechi.

L’Ingegnere che ho menzionato prima mi diceva allora “al posto di sostituire un kilowattora prodotto con fonti fossili con invece fonti rinnovabili è molto meglio ridurre il kilowattora. Molto meglio un kilowattora non consumato di un kilowattora sostituito”. Scrivemmo allora un libro su questa tematica intitolato “L’uso razionale dell’energia. Teoria e pratica del negawattora”. Negawattora come kilowattora negativo, non consumato e quindi risparmiato. Da qui parte il discorso sulla decrescita che ci porta qui oggi a discutere insieme queste tematiche.

Una domanda che facciamo a tutti i nostri ospiti: cosa ne pensa della filosofia oggi?

Direi che è una materia fondamentale perché tutto quello che facciamo ha un senso soltanto se ci poniamo il problema dei grandi perché, le grandi domande. Tutto riguarda la filosofia: gli aspetti che riguardano l’ambito tecnologico sono dei mezzi privi di valore se non sono iscritti in un contesto di senso più ampio, la mancanza di un disegno complessivo porta l’uomo a essere schiavo dei suoi stessi mezzi. Solo riflettendo sulle questioni fondamentali possiamo sperare di creare una società dove gli esseri umani sono il fine e non il mezzo, restituendo loro la dignità. Se io mi limitassi a correggere o a ottimizzare un sistema sbagliato non farei molta strada, quello che va cambiato è il sistema nel suo complesso! Non bisogna ottimizzare un sistema sbagliato, ma portare a un cambiamento complessivo di paradigma.

La differenza sostanziale tra il Movimento della Decrescita Felice e coloro che parlano di Green Economy e Sviluppo sostenibile è che questi pensano che si possa rilanciare il meccanismo della crescita cambiando settore di sviluppo e settori merceologici meno inquinanti dal punto di vista ambientale, noi invece crediamo che se il sistema cresce in continuazione comunque il tentativo di ridurre l’impatto ambientale diventa arduo, una vera e propria fatica di Sisifo, perché riduco qualcosa di un processo che cresce esponenzialmente, è una contraddizione, un paradosso! Mi limito a rallentare un processo incrementale di devastazione ambientale, un po’ come rallentare un treno diretto verso un precipizio! Il treno ci metterà un po’ di più ad arrivare a destinazione, magari qualche anno, ma arriverà pur sempre nel precipizio!

Noi invece dobbiamo cambiare direzione del treno e questo non passa rallentando lo status quo, ma modificando radicalmente il paradigma con cui ci approcciamo alle cose.

La filosofia in questo senso risulta fondamentale perché aiuta a capire la direzione che vogliamo intraprendere, noi infatti non diciamo che la descrescita è l’obiettivo che vogliamo raggiungere, ma è la strada da percorrere. Semplificando la vita sulla Terra esiste perché il Sole invia un flusso energetico che le piante utilizzano per fare la fotosintesi clorofilliana e da essa due sostanze inorganiche, anidride carbonica e vapore acqueo, vengono trasformate in una sostanza organica, uno zucchero, il glucosio, del quale le piante si nutrono, mettendo insieme il glucosio possono sviluppare fibra, la lignina, e tutte le altre forme di vita direttamente o indirettamente trovano il loro nutrimento a partire da questi elementi, gli erbivori in modo diretto e i carnivori indirettamente perché l’esistenza del nutrimento degli erbivori costituisce la condizione di possibilità del loro stesso sostentamento basato sugli erbivori e alla fine del ciclo vi sono gli animali decompositori. C’è un unico processo biochimico che crea energia, crea ordine, tutti gli altri disperdono energia e sono quindi inscrivibili nel fenomeno dell’entropia, disordine, degrado energetico.

Per molto tempo vi è stato un equilibrio, l’energia consumata era pari all’energia prodotta dalla fotosintesi clorofilliana, noi invece oggi consumiamo più energia di quella che ci viene data dal Sole. È chiaro che la cosa non può andare avanti, produciamo più Anidride Carbonica (che non sarebbe di per sé un inquinante) dell’Ossigeno prodotto mediante la fotosintesi, da qui l’effetto serra, ma produciamo anche una quantità di rifiuti biodegradabili enorme, sull’Oceano Atlantico e sul Pacifico galleggiano masse di rifiuti di plastica grandi come gli Stati Uniti. Noi dobbiamo decrescere riducendo il nostro impatto ambientale, ma questo non è l’obiettivo, se ci concentrassimo sulla decrescita realizzeremmo un movimento uguale e contrario a coloro che invece auspicano la crescita, invece la decrescita è la strada non la meta, la meta la dobbiamo ancora definire compiutamente.

La difficoltà è quella di immaginare una società completamente diversa, ci sono delle ricerche che stiamo facendo in questa direzione, per esempio uno dei libri che pubblicheremo entro autunno ha come autore un ricercatore di Filosofia di Macerata che fa un primo tentativo di definire quale sia la meta a cui dovrà condurre la strada della decrescita. Il discorso della Filosofia come vedete è per noi importantissimo.

Concludo consigliandovi due libri: “La Decrescita Felice”, che ha dato origine al movimento, e “I Monasteri del Terzo Millennio” quest’ultimo è molto interessante perché unisce considerazioni filosofiche sul senso complessivo della decrescita ad esempi concreti come l’Agrivillaggio.

Ringraziamo vivamente Maurizio Pallante che si è reso disponibile per questa lunga chiacchierata che abbiamo dovuto suddividere in tre parti!

Seguitelo sui Social:

FB: Maurizio Pallante / Maurizio Pallante – Movimento per la Decrescita Felice

TW: @MaurizioPallan / @decrescitafi

 

Intervista a Maurizio Pallante – Movimento per la Decrescita Felice – II Parte

II parte dell’intervista

Maurizio Pallante, laureato in lettere, principalmente attivo come saggista ed esperto di risparmio energetico, è presidente e fondatore del Movimento per la Decrescita Felice, un’Associazione nata sui temi della demitizzazione dello sviluppo fine a se stesso.

È stato tra i fondatori, con Mario Palazzetti e Tullio Regge del Comitato per l’uso razionale dell’energia (CURE) nel 1988, ha svolto l’attività di assessore all’Ecologia e all’Energia del comune di Rivoli. Dal 1988 svolge attività di ricerca e divulgazione scientifica sui rapporti tra ecologia, tecnologia ed economia, con particolare riferimento alle tecnologie ambientali.

È autore di molti saggi pubblicati da Bollati Boringhieri, manifesto libri, Editori Riuniti. Scrive anche per diverse testate, tra cui Carta, il supplemento settimanale della Stampa, Tuttoscienze, Il manifesto, Il Ponte, Rinascita.
Collabora con Caterpillar per la festa della Decrescita felice, di cui è il principale ispiratore. È membro del comitato scientifico della campagna sul risparmio energetico “M’illumino di meno” e della testata online di informazione ecologica “Terranauta“.

Andiamo un po’ sul concreto: un esempio di come il pensiero della decrescita potrebbe realizzarsi nelle politiche dei paesi?

Eccovi un esempio concreto molto semplice, al posto di parlare di sciocchezze, poniamo che venga posta al centro della politica economica industriale la riduzione degli sprechi nelle energie nelle case, si creerebbe un sacco di lavoro. Un lavoro di qualità e utile perché diminuirebbero gli sprechi di energia e le emissioni nocive di anidride carbonica, ma se una casa diminuisce i consumi diminuisce anche i suoi costi di gestione –qui viene il bello- perché un conto è se devo usare 20 metri cubi di combustibile al metro quadro per riscaldamento, un conto è se ne uso 5. In un certo numero di anni i risparmi sulla gestione ammortizzano il costo di investimento. Ricapitoliamo: 1. Abbiamo creato lavoro di qualità 2. Abbiamo ridotto l’impatto ambientale 3. Abbiamo creato a medio-lungo termine un vantaggio competitivo per il proprietario dell’abitazione.

Noi oggi spendiamo dei soldi per comprare delle fonti fossili non rinnovabili dall’estero che sprechiamo al 70%, una parte di quei soldi li possiamo spendere invece per pagare i salari alle persone che lavorano perché non si sprechino queste energie. Ottimizziamo un bene, anzi ottimizziamo tutti i beni di cui disponiamo: l’energia, la forza lavoro e il nostro capitale di investimento che ci frutterà a lungo termine.

Se dovessi fare un esempio più astratto invece direi che tra la recessione in cui versiamo ora e la decrescita c’è lo stesso divario che intercorre tra una persona che non mangia perché non ha da mangiare e una persona che non mangia perché ha deciso di fare una dieta di cui godrà i benefici in termini di benessere fisico. Sembrano concetti astratti, ma vi ho appena mostrato come si possano tradurre in buone pratiche, infatti entrambe le persone non mangiano, ma uno non fa una scelta e a lungo termine starà peggio, l’altro fa una scelta selettiva e progettuale e in conseguenza della sua scelta starà meglio.

pallante.jpg_415368877

Quindi la decrescita felice può essere una via d’uscita dalla crisi attuale?

E’ l’unica vera alternativa alla crisi attuale. Noi diciamo che la crisi attuale è causata dalla crescita, se fosse vero quello che diciamo non può essere la crescita la soluzione della crisi. Nessun problema si risolve rafforzando le cause.

Mi spiego meglio, in una economia finalizzata alla crescita tutte le aziende devono farsi la concorrenza investendo in tecnologie sempre più perfezionate che aumentano la produttività. Si punta a macchinari sempre più perfezionati che nell’unità di tempo (minuti, ore, giorni) consentono di produrre di più con meno persone, ma se consentono di produrre di più con meno persone vuol dire che aumentano l’offerta di merci, ma nel contempo diminuiscono la domanda di merci perché creando maggior disoccupazione riducono anche il reddito spendibile in quelle stesse merci. Avete presente un cane che si morde la coda? E’ un circolo vizioso.

Per superare il divario tra l’incremento dell’offerta e la diminuzione della domanda che è insito nel meccanismo della crescita si è fatto ricorso ai debiti per tenere alta la domanda, quindi debiti per compensare il deficit della domanda, e qui abbiamo il secondo step di questo circolo vizioso. I debiti sono l’altra faccia del meccanismo della crescita, senza debiti non ci sarebbe crescita. L’indebitamento che noi oggi abbiamo in Italia e nei paesi industriali nasce da questa contraddizione: immaginare una crescita all’infinito che non si sostiene economicamente senza ricorrere all’indebitamento.

L’indebitamento comincia nel 1961 con il boom economico quando le industrie sfornavano sul mercato quantità sempre maggiori di prodotti tecnologicamente allora avanzati e inducevano le persone a comprare questi prodotti firmando delle cambiali, dei debiti.

Nella provincia in cui abito la Cassa di Risparmio faceva la sua pubblicità al credito al consumo alle famiglie dicendo “l’erba voglio”, mia madre mi insegnava però che questa non cresce nemmeno nel giardino del re.

Quale è il messaggio? Non hai soldi? Non importa te li diamo noi basta che compri!

Andando avanti con questo processo siamo giunti al punto che anche i debiti pubblici oltre a quelli privati ci portano a indebitarci per pagare i debiti che abbiamo già contratto in passato, ma se si entra in questa spirale diventa difficile uscire. La politica economica tradizionale non è in grado di farci uscire da questo circolo vizioso perché in fase di recessione, in fase di crisi, le ricette economiche sono quelle di rilanciare la domanda per far ripartire i consumi, ma visto che la domanda è in gran parte costituita da debito per rilanciare la domanda si devono rilanciare i debiti. Se invece si fanno delle politiche per ridurre i debiti, le politiche di austerità, riducendo i debiti si riduce la domanda e quindi si aggrava la crisi.

Oggi le politiche economiche e industriali non ci fanno uscire dalla crisi, non sono in grado di salvarci.

Sul Fatto Quotidiano il responsabile dell’ambito economico del giornale, estremamente avverso alle prospettive della decrescita, un laureato alla Bocconi, dopo averci criticato e attaccato aspramente ha fatto una intervista ad un economista inglese Stephen King, omonimo del famoso romanziere, il quale ha detto “Non illudetevi la crescita non ci sarà più”.

Ho comprato il libro in cui King sostiene questa prospettiva ed è un economista che solitamente ripete tutti i luoghi comuni più scontati delle politiche della crescita, non è un economista illuminato o un visionario, ma solitamente un ortodosso dell’Economia della crescita. E’ un economista perfettamente inquadrato nella logica della crescita il quale ha detto chiaro e tondo che la crescita non ci sarà più!

La situazione ha assunto una portata difficile da risolvere e non a caso dal 2007-2008 l’Occidente e gli economisti stanno provando a risolvere la situazione senza alcun risultato.

Noi una soluzione l’abbiamo: l’unica maniera per uscire dalla crisi è la decrescita.

Perché? Se al centro della politica economica-industriale venisse posto il discorso della riduzione degli sprechi si libererebbero delle risorse, dei soldi e con essi si potrebbero fare degli investimenti. I soldi che si liberano per fare investimenti e rilanciare l’economia non sono debiti! Sono riduzione delle spese per l’acquisto di materie prime perché in fondo il debito che noi abbiamo è un debito nei confronti della natura. Abbiamo fatto dei debiti per tenere alta la domanda e i consumi, vuol dire che abbiamo spinto i consumi oltre il limite della natura. Quindi noi diciamo che dobbiamo ridurre il debito nei confronti della natura.

Se si riduce il debito nei confronti della natura si liberano dei soldi con i quali possiamo rilanciare l’economia uscendo dal circolo vizioso dell’indebitamento.

Se le nostre case consumano di meno, ci sono meno rifiuti non riciclabili o recuperabili e quanto altro noi stiamo facendo, una decrescita selettiva del Prodotto Interno Lordo e stiamo creando una occupazione utile nelle attività che ci consentono di ridurre il debito nei confronti della natura. Sostituiamo un circolo vizioso con un circolo virtuoso.

Il discorso teorico fila, ma in concreto cosa si propone di realizzare la decrescita felice? Con che procedimenti e meccanismi si declina fattivamente?

Noi lavoriamo in 3 direzioni, le paragoniamo alle tre zampe di uno sgabello, se ne manca una il nostro sgabello non sta in piedi. Hanno tutte e tre la stessa importanza.

LA PRIMA GAMBA DELLO SGABELLO: lo sviluppo di tecnologie più avanzate di quelle in corso che non sono più finalizzate all’aumento della produttività, ma sono finalizzate alla riduzione degli sprechi. Passiamo dalla tecnologia finalizzata alla crescita alla tecnologia finalizzata all’efficienza e all’efficacia.

Fa sorridere quando veniamo tacciati di voler tornare all’età della pietra perché per migliorare l’efficienza delle nostre attività antropiche è evidente che occorreranno tecnologie più evolute, cambia solo il fine dell’acquisizione di nuova tecnologia e dell’innovazione.

Nuove tecnologie non finalizzate all’aumento della produttività e quindi alla riduzione del lavoro umano con conseguente aumento dell’offerta e di diminuzione della domanda, ma alla riduzione dello spreco di risorse, cioè l’aumento dell’efficienza con cui si utilizzano le risorse.

Lavoriamo con industriali a cui spieghiamo che oggi se vogliono rilanciare la loro produttività devono mettersi nell’ottica di ridurre gli sprechi. All’azienda immobiliare diciamo “Pensi davvero di poter ancora andare avanti costruendo case che non compra più nessuno? Tu potrai guadagnare soltanto ristrutturando al meglio le case esistenti facendo in modo che consumino di meno così da creare un vantaggio concreto e tangibile nel medio-lungo periodo anche per il cliente, che potrà essere o meno sensibile alle tematiche ambientali, ma in questo caso verrà colpito da un argomento oggettivo.”

Il 16 giugno faremo alla Camera dei Deputati un convegno in cui spiegheremo agli industriali queste prospettive per aumentare la loro competitività, ai sindacalisti e ai politici. Porteremo l’esempio concreto di diversi industriali che stanno lavorando in questa direzione superando la crisi e che riescono a lavorare perché recuperano il denaro per gli investimenti dai risparmi che ottengono.

Noi non siamo favorevoli a priori alla creazione di nuova energia rinnovabile se questa serve a sostenere altra crescita perché prima bisogna rendere efficiente il sistema esistente riducendo gli sprechi. Le fonti rinnovabili al posto delle fonti fossili sono un secondo passaggio. Se si spreca il 70% dell’energia il nostro sistema energetico assomiglia a un secchio bucato che continuo a provare a riempire d’acqua. Se sono intelligente per riempire il secchio non cambio la fonte con cui riempirlo nonostante il buco, ma è tappare la falla, quindi ridurre gli sprechi facendo una decrescita selettiva.

E solo se riduco gli sprechi le fonti rinnovabili riescono a compensare il fabbisogno residuo.

SECONDA GAMBA DELLO SGABELLO: modificare gli stili di vita. Consiste in tre cose:

  1. Riscoprire la virtù della sobrietà: una persona sobria non consuma troppo, fa durare le cose, è una persona che non tiene alta la domanda. Il sistema economico finalizzato alla crescita dovendo sostenere una domanda che crescesse all’infinito ha dovuto far percepire la sobrietà e la morigerazione come qualcosa di negativo favorendo invece un modello consumistico. La sobrietà è stata trasformata abilmente nel vizio della taccagneria dandole una accezione negativa. Le persone devono spendere, devono consumare, devono sostenere il sistema che esige una offerta in continua crescita. Riscoprire il valore della sobrietà significa ridurre il valore del nuovo.
  2. Scoperta dell’autoproduzione, chi autoproduce non deve comprare tutto. Richard Sennet ha scritto molte pubblicazioni, insegna sia negli Stati Uniti che alla London School of Economics, un allievo di Anna Arendt, il quale nel libro “L’uomo artigiano” scrive che la capacità che distingue l’uomo da tutti gli altri esseri viventi è la capacità di fare delle cose con le mani sotto la guida dell’intelligenza progettuale, nessuno degli altri animali fa queste cose. Quando gli uomini e le donne fanno delle cose con le mani si attiva un flusso di informazioni che va dal cervello alle mani: la conoscenza degli strumenti, dei materiali, delle tecniche di fabbricazione. Mentre le mani mandano una serie di informazioni al cervello si realizza quindi un ciclo cognitivo che parte dal cervello alle mani e segue dalle mani al cervello, queste infatti essendo munite di tatto e di apprensione mandano al cervello delle informazioni molto più precise di quelle che vengono inviate dagli occhi. Mettere le persone nelle condizioni di non saper fare niente perché hanno bisogno di comprare tutto significa privarle di una componente fondamentale che secondo noi va invece riscoperta. Il nostro movimento ha l’UNISF, l’Università Del Saper Fare, in cui le persone reimparano a fare tutte quelle cose che erano diffuse nelle nostre case fino a un paio di generazioni fa. La maggior parte delle persone che frequenta l’UNISF è la fascia degli under 30, un dato significativo, noi facciamo cose con le mani dal periodo Neolitico, circa 12000 anni fa, mentre non sanno fare più niente da circa dopo la Seconda Guerra Mondiale, 70 anni fa, 70 anni nei confronti di 12000 sono nulla, i giovani avranno perso le capacità, ma non ne hanno perso la memoria e quindi sentono questa cosa come una privazione delle loro capacità. Le cose fatte con le proprie mani riempiono i giovani di una soddisfazione particolare che altre cose non fanno. Essere parzialmente autonomi dal mercato significa essere più liberi e chi più delle giovani generazioni coltiva questo desiderio? E’ più ricca una persona con tanti soldi e che non sa fare niente, ad esempio una famiglia che si riscalda con il riscaldamento a gas, o una famiglia più povera che però coltiva un pezzo di bosco per alimentare delle stufe? Se domani i Russi o in Libia chiudono i rubinetti del gas chi delle due famiglie è più povero? Quello che ha più soldi, ma non trova sul mercato le merci di cui ha bisogno o chi a prescindere può accedere alle risorse funzionali al proprio sostentamento? Nella cultura e nella saggezza dei popoli mediterranei questa consapevolezza c’è dal tempo del mito di Re Mida, i soldi non si mangiano, i soldi non ci vestono, i soldi non ci riparano dalle intemperie. Con i soldi si possono comprare quelle merci che non si possono autoprodurre, ma la ricchezza non si misura col denaro. Se leggete quello che dice la Banca Mondiale o quello che dicono le associazioni non governative una persona è povera quando ha un reddito giornaliero procapite inferiore a 2 dollari, questa distinzione è abbastanza ingenua, se uno ha due dollari e abita in centro a Treviso senza legami intersoggettivi e necessita di tutti i beni è povero, ma se uno vive in campagna ed è in una rete di solidarietà con le persone non è povero, perché i soldi gli bastano per acquistare quanto gli serve e per procacciarsi quelle poche cose che non si possono scambiare sotto forma di dono, qui il nucleo fondante della seconda gamba: riscoprire le reti sociali e i rapporti fondati sul dono, sulla reciprocità, sulla solidarietà. Ridurre la mercificazione dei rapporti umani.
  3. LA TERZA GAMBA: la politica. Il nostro Movimento ha scritto chiaramente che non sostiene un partito politico e non vuole essere a sua volta un partito fra partiti, però facciamo politica suggerendo delle misure da adottare a livello amministrativo e governativo. Ho citato prima un meeting al quale parteciperemo in cui illustreremo delle politiche industriali a tutti i partiti, cercando di sensibilizzarli. Noi non privilegiamo un rapporto con un partito, siamo aperti a tutti coloro che si interessano concretamente alla realizzazione delle nostre proposte.

Caliamo nel concreto queste tre gambe? Prendiamo il caso della riduzione degli sprechi energetici in ambito domestico.

PRIMA GAMBA: Stili di vita.

Servono delle famiglie sensibili alla necessità di ridurre gli sprechi energetici delle loro abitazioni.

SECONDA GAMBA: Reti sociali.

Le famiglie possono ridurre i loro sprechi se ci sono delle aziende che vendono dei prodotti che permettano loro di ridurre gli sprechi.

TERZA GAMBA: La politica

Serve una amministrazione comunale che nel regolamento edilizio vincola la licenza di abitabilità a immobili che abbiano una certa scala di consumi energetici.

STILI DI VITAàEVOLUZIONE TECNOLOGICA/PRODOTTI AZIENDALIàPOLITICA COERENTE=DECRESCITA

Quindi la vostra azione parte dai nuclei familiari per raggiungere le aziende e infine educare o giocare di sponda sull’azione amministrativa. Per ora come è stata la risposta da parte dei soggetti a cui vi rivolgete?

Assistiamo a cambiamenti molto significativi. Il più lento di tutti è il sistema politico, ma gli industriali sono assolutamente allineati. Un imprenditore agricolo ad esempio vuole realizzare un insediamento umano a impronta ecologica e quindi realizzare case che non consumino energia, in cui le famiglie possano avere l’autoproduzione del cibo e tutta una serie di servizi che vanno nella direzione che vi sto raccontando. L’insediamento sarà previsto per circa 60 famiglie, penso avrà una domanda molto superiore, 200, 400 famiglie! Intendo dire che ci sono molte persone sensibili a questa tematica che non vedrebbero l’ora di cogliere questa opportunità. L’unico problema in questo esempio è la politica che ancora non ha fornito all’imprenditore la licenza di costruire questo insediamento. Le persone e le famiglie, l’impresa e le amministrazioni comunali sono i tre aspetti fondamentali e salvo qualche problema questa tendenza si sta diffondendo in modo crescente, si inizia a capire che soltanto dalla sinergia di tutti e tre questi fattori è possibile ottenere dei risultati. Noi non privilegiamo nessuno dei tre fattori, sono coessenziali nella nostra visione.

La Chiave di Sophia

index

[immagini tratte da Google Immagini]

www.decrescitafelice.it

FB: https://www.facebook.com/mdecrescitafelice?fref=ts

https://www.facebook.com/pages/Maurizio-Pallante/367035399941?fref=ts

Intervista a Maurizio Pallante – Movimento per la Decrescita Felice – I Parte

I parte dell’intervista

Maurizio Pallante, laureato in lettere, principalmente attivo come saggista ed esperto di risparmio energetico, è presidente e fondatore del Movimento per la Decrescita Felice, un’Associazione nata sui temi della demitizzazione dello sviluppo fine a se stesso.

È stato tra i fondatori, con Mario Palazzetti e Tullio Regge del Comitato per l’uso razionale dell’energia (CURE) nel 1988, ha svolto l’attività di assessore all’Ecologia e all’Energia del comune di Rivoli. Dal 1988 svolge attività di ricerca e divulgazione scientifica sui rapporti tra ecologia, tecnologia ed economia, con particolare riferimento alle tecnologie ambientali.

È autore di molti saggi pubblicati da Bollati Boringhieri, manifesto libri, Editori Riuniti. Scrive anche per diverse testate, tra cui Carta, il supplemento settimanale della Stampa, Tuttoscienze, Il manifesto, Il Ponte, Rinascita.
Collabora con Caterpillar per la festa della Decrescita felice, di cui è il principale ispiratore. È membro del comitato scientifico della campagna sul risparmio energetico “M’illumino di meno” e della testata online di informazione ecologica “Terranauta“.

MaurizioPallante

Secondo Galimberti la tecnica ha messo in crisi la morale kantiana che vede l’uomo come fine e non come mezzo, gli uomini sarebbe invece diventati mezzo, meri intermediari per lo sviluppo della tenica, cosa ne pensa?

Questa formulazione è già rinvenibile in uno dei nostri punti di riferimento: Ivan Illich in “La convivialità”. Condivido completamente questo tipo di analisi, penso che il nostro compito sia quello di riportare la tecnica a essere mezzo e l’uomo a essere fine. Ma è un concetto anche di tipo economico: In una società finalizzata alla produzione di merci l’uomo diventa il mezzo per raggiungere questo fine. Quindi anche i diritti, le tutele vengono subordinate all’esigenza di raggiungere la massimizzazione della crescita e del profitto. La produzione di merci dovrebbe essere un mezzo per realizzarsi più compitamente, mentre noi oggi facciamo il contrario.

Lei dice che la decrescita felice può essere una buona alternativa alla crisi, ma che cosa intendiamo con decrescita felice e quali sono i suoi punti cardine?

La decrescita felice si basa sul ripristinare la distizione tra il concetto di merce e il concetto di bene. La crescita economica non misura l’aumento dei beni che vengono prodotti o dei servizi che vengono forniti perché il parametro della crescita il PIL-Prodotto Interno Lordo è un parametro monetario quindi prende in considerazione soltanto il valore monetario ed economico degli oggetti o dei servizi che vengono scambiati con denaro, cioè che vengono comprati o venduti. E qui arriviamo alla distinzione tra merce e bene:

– Le merci sono oggetti o servizi che si scambiano con denaro

– I beni sono oggetti o servizi che rispondono a un bisogno o soddisfano un  desiderio.

Non tutte le merci sono però beni, né tutti i beni devono necessariamente passare sotto la forma di merci, non tutto quello che si compra risponde a un bisogno o soddisfa un desiderio. Faccio un esempio una merce che non è un bene è l’energia che sprechiamo nelle nostre case, mediamente in Italia si consumano 20 litri di gasolio o 20 metricubi di metano al metro quadrato all’anno, in Germania non danno la licenza di abitabilità nelle case che ne consumano più di 7 e queste sono le peggiori, perché le più virtuose arrivano a consumarne solo 3,5. Le case che ne consumano 20 vuol dire che son così malcostruite che disperdono tantissima energia, quella sarà anche una merce, ma non è un bene in quanto sono uno sforzo completamente sovradimensionato di soddisfare un bisogno. Quelle case disperdono 2/3 del calore che viene immesso, 13 litri su 20 vengono dispersi, 13 metricubi di gasolio su 20. Quello che si spreca è una merce, si compra, si paga, ma non è un bene perché non soddisfa nessun bisogno. Il 2% del PIL è cibo che si butta, se smettessimo di buttare il cibo il PIL diminuirebbe del 2%, ma non avremo nessun problema concreto perché il cibo che si butta è una merce, ma non è un bene.

La decrescita è quindi la riduzione del consumo di merci che non sono beni.

Non è mettere il segno meno davanti al PIL, perché altrimenti l’operazione sarebbe uguale e contraria a quelli che vogliono metterci il segno più, sarebbe la stessa logica. Il nostro fine è l’introduzione di parametri qualitativi nella valutazione dell’attività umana, mentre la crescita misura solo parametri quantitativi.

La descrescita si realizza quindi:

– In prima istanza: iducendo la produzione e il consumo di merci che non sono beni

– In seconda istanza: visto che esistono dei beni che non sono merci, il nostro secondo obiettivo sarebbe quello di aumentare i beni che non passano attraverso uno scambio mercantile.

Vi sembrano discorsi astratti? In realtà sono molto più quotidiani e concreti. Prendiamo in considerazione il concetto di autoproduzione: la mia famiglia ha da 14 anni un orto dove viene prodotta la frutta e la verdura che mangiamo, questa frutta e verdura sono dei beni perché rispondono ad un nostro bisogno: alimentarci in modo genuino. Però non vengono comprati e venduti, quindi non fanno crescere il PIL, anzi lo fanno diminuire visto che mangiamo quello che autoproduciamo non acquistiamo frutta e verdura da terzi. Inoltre facciamo diminuire la domanda della merce frutta e verdura.

fig2

L’autoproduzione è solo un aspetto, l’altro aspetto dei beni che non passano sotto forma di merci è l’economia del dono. E’ stato studiato, soprattutto da alcuni antropologi francesi che tutti i gruppi umani, in tutte le epoche storiche, si sono scambiati soprattutto il tempo, anche le cose chiaramente, senza il denaro. Lo scambio delle cose lo conosciamo ed è il baratto, ma quello davvero importante è lo scambio del tempo, perché lo scambio del tempo implica la relazione. Implica la reciprocità. Implica una qualche forma di solidarietà. Tutte le volte che ci si scambia il tempo, essendo questa una operazione in forma di dono, non si fa crescere il PIL perché si realizza un servizio o si produce un bene che non viene commercializzato.

Nel giro di due generazioni la società della crescita ha fatto sì che le nuove generazioni non sappiano più fare niente, perché chi sa fare delle cose rischia di non comprare prodotti e chi non deve comprare tutto fa crescere di meno il PIL. Ugualmente i rapporti un tempo basati sulla reciprocità, sul dono, sulla solidarietà sono stati cancellati e sostituiti con quelle stesse mansioni monetizzate, tutti i rapporti sono rapporti mercantili tra le persone, perché le persone che sono immerse in una rete di solidarietà non dovendo comprare tutto non incrementano il PIL.

Un altro concetto importante è che ci sono dei beni che possiamo avere solo sotto forma di merci. Facciamo un esempio: se io ho bisogno di un orologio o di un computer non posso far altro che comprarli. Ci sono dei beni che hanno un livello tecnologico molto elevato, che richiedono capacità professionali molto specializzate che non possono essere ottenuti se non sotto forma di merce. Noi non vogliamo la diminuzione dei beni che possono darsi solo in forma di merce, tuttavia anche in questo settore si può fare della decrescita: se si producono dei beni che durano nel tempo, se si producono dei beni facilmente riparabili, se si producono dei beni che possono esser smontati al termine della loro operatività per tipologie omogenee e questi materiali vengono riutilizzati per fare altri oggetti, allora noi assistiamo a un miglioramento, a una ottimizzazione anche in questo settore. Si può realizzare una decrescita felice anche nel campo dei beni che non possono non essere merci, semplicemente progettandoli e pensandoli in maniera diversa.

Una ulteriore possibilità: sono i beni che non si possono avere sotto forma di merci: i beni relazionali. L’affetto degli altri, la solidarietà, l’amore, la fiducia sono tutti beni che danno un senso alla vita molto maggiore rispetto a tante cose che si comprano e si buttano via, ma non fanno crescere il PIL. Noi pensiamo che sia più importante dedicare del tempo alle relazioni che non tutto il tempo a produrre delle cose. Per cui anche in questo ambito si può fare della decrescita impostando la propria vita su dei valori diversi che danno più importanza alle relazioni umane, alla creatività, alla spiritualità che non al materialismo della produzione di cose.

Questi sono i principi su cui poggia la decrescita felice e per questo la chiamiamo felice, ogni volta che io diminuisco la produzione e il consumo di una merce che non è un bene miglioro la qualità del mondo. Se ho una casa che consuma 20 litri di gasolio al metroquadro o 20 metricubi di metano al metroquadrato all’anno manderà nell’atmosfera una certa quantità di CO2, se la ristrutturo e faccio in modo che consumi 7 litri o 5 litri riduco anche le emissioni di CO2 e quindi riduco l’inquinamento ambientale, riduco l’effetto serra e miglioro la qualità della vita. Stessa cosa per l’orto e l’autoproduzione, i prodotti sono più genuini e quindi aumento la mia qualità della vita anche perché, salvo io non sia masochista, non utilizzo dei veleni per preservare le coltuore, quindi per poco che sia riduco la quantità di veleni che vengono immessi nei terreni agricoli. Miglioro il mondo.

Ci sono persone che in questo momento storico dicono che siamo in una fase di decrescita, perché il PIL diminuisce, e noi autori della decrescita specifichiamo che gli economisti dovrebbero sapere che nei loro libri decrescita non è la definzione adeguata alla fase che stiamo vivendo, ma viene definita recessione.

La differenza tra recessione è decrescita è totale: la recessione è la diminuzione generalizzata e incontrallata della produzione di merci con la conseguenza più grave della disoccupazione, mentre la decrescita è la diminunzione selettiva e guidata delle merci che non sono beni e la conseguenza più importante è la crescita di una occupazione di qualità.

 La Chiave di Sophia

[immagini tratte da Google Immagini]

index

www.decrescitafelice.it

FB: https://www.facebook.com/mdecrescitafelice?fref=ts

https://www.facebook.com/pages/Maurizio-Pallante/367035399941?fref=ts