Magari scopri che sai volare

Il 31 ottobre è il giorno in cui si condensano, specialmente nel nostro paese, le diatribe sull’opportunità della festività di Halloween: non si capisce se siamo al cospetto di un sacrilego rituale di massa, oppure dinnanzi alla nobile rievocazione di antiche tradizioni. Forse dovremmo avere l’onestà di riconoscere che, a volte, c’è solo bisogno di festeggiare, di un pretesto che legittimi ciò che solitamente non sarebbe accettato, da un lato; e di incrementare esponenzialmente i consumi, dall’altro. Sulla bontà di questo, poi, potremmo discutere.

Halloween, tuttavia, può diventare un’ottima occasione per riflettere sul travestimento, sulla necessità di indossare costumi che alterino la nostra immagine. Camuffarsi da clown assassini, zucche ubriache, streghe e zombie – tutto varia in funzione del gusto della persona – variopinti, non significa celare la propria identità, come sarebbe legittimo pensare; al contrario, il travestimento diventa una maniera, seppur paradossale, di esporsi, di ostentare un’identità che – è questo il punto – non verrà riconosciuta. Il travestimento è il segno esteriore del sovvertimento – più o meno raggiunto – degli ordini sociali, secondo una tradizione di cui abbiano traccia sin dai Saturnalia. La legalità porta già da sempre con sé il momento e l’eventualità del proprio rovescio.

Il 31 ottobre, tuttavia, è anche il giorno in cui riprendo in mano, per caso o per nostalgia, uno dei romanzi più formativi che io abbia mai letto, nato dalla penna della scrittrice britannica Angela Carter (Eastbourne, 7 maggio 1940 – Londra, 16 febbraio 1992).

Notti al circo (Night at the Circus) fu pubblicato per la prima volta nel 1984, offre al lettore l’incontro con Fewer, una donna cockney che non può più fare a meno del suo travestimento: lavora in un circo come donna alata e, tutti i giorni, il pubblico applaude alle sue ali. È una superstar dello spettacolo, maestosa calca la scena alzandosi in volo, si proietta maestosa nell’aria. Grandi e piccini restano stupefatti dinanzi allo spettacolo. Un giorno, nell’intimo del suo camerino che trabocca di doni, messaggi d’amore, inviti più o meno cortesi, caviale e champagne (e tutto ciò che serve a celebrare una stella come si conviene), si presenta la figura esile di un Walser, un giornalista scettico e incredulo: il primo, forse, a rendersi conto davvero che quelle ali non sono un travestimento, che quel corpo abbondante e potente è un corpo di donna, non d’una bestia da circo, per quanto esotica e preziosa. Il solo, forse, a non volerla comprare per sé e per il proprio godimento. Ma quello scritto da Angela Carter è anche un romanzo di dolori, di vita guadagnata dopo un corpo a corpo con la morte, del volo spiccato dopo una vita trascorsa sull’orlo dell’abisso.

Il 31 ottobre uscite di casa, ignorate per una volta il travestimento che si presenta palesemente come tale, andate in libreria e regalatevi Notti al circo di Angela Carter, regalatevi l’occasione di riflettere sui travestimenti di cui, per scelta oppure no, non possiamo più fare a meno; di quelli che servono a ciascuno di noi per tollerare l’incontro con lo sguardo dell’altro, con l’occhio che scruta, indaga e consuma la nostra identità.

Emanuele Lepore

[Immagine tratta da Google Immagini]

Viaggiare humanum est

Intraprendere un viaggio può essere considerato un atto filosofico?

Fin dall’antichità, l’uomo ha sentito come una sua propria caratteristica la pulsione a muoversi. I primi grandi flussi migratori hanno dato vita a quelle che ora sono le varie civiltà e culture, declinando una razza in particolarità che oggi formano una pluralità di stili di vita che hanno sicuramente arricchito e potenziato il punto di partenza primordiale. Proprio in questo consiste il viaggio: lasciare alle spalle la propria esistenza e volgere lo sguardo dritto davanti a sé; mettersi in gioco, scoprire le proprie forze ed i propri limiti, potenziandole e superandoli.
Esistono infinite modalità di viaggiare: da una semplice vacanza, passando per un Erasmus fino ad una vera e propria vita in un altro luogo. Tutte – però – sono accomunate da un minimo comun denominare: la voglia di avventura, il rompere gli schemi, la necessità di cambiamento. Perché – a mio modo di vedere – è proprio la stabilità ad essere pericolosa. Una vita votata alla routine, all’abitudine, non fa altro che paralizzarci e costringerci ad un’esistenza che non fa parte del nostro Essere.
Utilizzando categorie ontologiche, si può intendere il discorso come un percorso nel Divenire. Non però quel divenire parmenideo che distrugge l’Essere, ma quel divenire aristotelico che trasforma le Potenzialità in Atti, che conferisce Forma alla Sostanza, che – in parole semplici – realizza la nostra Essenza.

Un viaggio può cambiare totalmente la nostra esistenza. Può farlo in maniera impercettibile come l’incontro con nuovi stili di pensiero, come anche mettere in discussione l’intero patrimonio conoscitivo che in precedenza si deteneva, sia del singolo, sia di una comunità (come la scoperta delle Americhe o il viaggio di Marco Polo).
Viaggiare non significa solamente spostarsi da un luogo ad un altro, e non significa neanche, banalmente, conferire importanza al viaggio in sé. Viaggiando ogni singola categoria del nostro vivere e del nostro pensare viene messa in discussione.

Anche i viaggi nascondono insidie. Ognuna è superabile ma è necessario prestare attenzione a ciò a cui si va incontro.
La malinconia della vita precedente, la mancanza degli affetti o l’insicurezza di un futuro incerto sono le più comuni problematiche con cui si può avere a che fare.
Ma la più pericolosa è la riproposizione di ciò da cui ci stavamo inizialmente allontanando, ovvero la paralisi, il pervenire ad un nuovo immobilismo.
È paradossale e spaventoso come una fuga possa ricondurci al punto di partenza, come l’arricchimento che ci investe durante il movimento sfoci in un nuovo isolamento derivante dalla successiva stabilità. La soluzione sta nel mantenere in movimento il pensiero, nel rinvigorire i contatti con le scoperte fatte, nel rafforzare le modalità di approcci alla vita con cui ci si è imbattuti.

Il viaggio, in poche parole, è solo il punto di partenza. Il resto, come in ogni esperienza vitale, sta a noi.
La necessità dell’incontro con l’altro e con la Natura è fondamentale. Esso permette la creazione di ideali e di esperienze uniche, che sono il veicolo dei nostri giudizi e delle nostre opinioni.

La tecnologia attuale ci aliena dall’esperienza reale con ciò che sta al di fuori di uno schermo di un computer o dai pixel di uno smartphone. Essi ci costringono a dare importanza solo alla visibilità che un pezzo estraniato dalla verità della nostra esperienza vitale può avere sui social network, dimenticandoci del qui ed ora ed obbligandoci a pensare solamente alla condivisibilità virtuale.
Un panorama va vissuto, un tramonto sul mare apprezzato per ciò che ci comunica, una valle faticosamente raggiunta va amata per la sua immediatezza emozionale.
Altrimenti ci troviamo nuovamente nella riproposizione dell’immobilismo.

Il viaggio è condizione e veicolo di conoscenza, e nella situazione di crisi mondiale – culturale, economica e terroristica – in cui viviamo oggi, forse il viaggio può darci una mano.
Chi ha visitato un Paese estero, ne ha conosciuto gli usi, ha vissuto i suoi costumi, ha respirato i suoi odori ed è entrato in contatto con i suoi abitanti avrà molta meno probabilità di innescare un movimento d’odio e repulsione che può poi mutare – ovviamente insieme ad altre cause, stimoli e vicissitudini – nel paradigma terroristico.
Inoltre, la conoscenza è la prima discriminante che può aiutarci a sconfiggere la paura dell’Altro; e solo vivendo, viaggiando e sperimentando in prima persona si posso acquisire conoscenze fondamentali per il dialogo con altre culture.

L’importante, insomma, sta nell’alzare la testa e tenere la mente allenata. Sicuramente anche un buon libro o un bel film possono costituire una particolare forma di viaggio, ma nella vita è necessario soprattutto vivere intensamente ogni singolo momento che attraversa la nostra esistenza. Consapevoli della sua unicità e del patrimonio di conoscenze, idee e ricordi che ad esso si accompagnano, fluttuando in quell’immenso oceano così minuscolo rapportato al Tutto che noi chiamiamo Vita e che costituisce il Viaggio con la V maiuscola che tutti noi siamo – volenti o nolenti – costretti a fare.

 

Massimiliano Mattiuzzo

 

[Immagine tratta da Google Immagini]

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