“Sguardi Doc”: intervista ai direttori artistici del festival Sole Luna

Da giovedì 3 a domenica 6 ottobre Treviso ospita la nuova edizione del festival Sole Luna. Un viaggio unico nel cinema del reale alla scoperta di film provenienti da ogni parte del Mondo in grado di offrire una panoramica mai banale e scontata sull’attualità e sul ruolo sociale e politico del genere documentario. In attesa della serata inaugurale, abbiamo intervistato i direttori artistici Chiara Andrich e Andrea Mura per capire quali saranno i grandi temi dell’edizione di quest’anno.

 

Con quale filosofia è nata l’edizione che prende il via oggi a Treviso?

Andrea Mura: Quest’anno, innanzitutto, abbiamo compattato le giornate del festival, durerà infatti quattro gironi, dal 3 al 6 ottobre, rispetto alla consueta settimana degli scorsi anni. Per fare ciò abbiamo aggiunto una terza location a quelle di Ca’ dei ricchi e alla Chiesa di San Gregorio Magno, è quella suggestiva degli Spazi Bomben della Fondazione Benetton Studi e Ricerche, e questa è un’altra novità di quest’anno. Porteremo poi come sempre tante prime visioni per la città e film internazionali di grande valore estetico e tematico, che saranno, ne siamo certi, da stimolo per il nostro numeroso e affezionato pubblico. I film proiettati saranno 28 suddivisi nelle sezioni: “Il viaggio”, “Diritti Umani” e “Corti”. Novità di quest’anno è la sezione dedicata a registi veneti che abbiamo chiamato Veneto Doc. La chiusura del festival è dedicata ad un omaggio ad un classico del cinema come Murnau, di cui proietteremo il film Tabù, sonorizzato dal vivo da Roberto Durante (tastiere), Moulaye Niang (percussioni), Alvise Seggi (contrabbasso) e Florent Manneveau (sassofoni)

Cinema del reale: quali sono i film del festival che, secondo voi, indagano in maniera più interessante il rapporto con l’attualità?

Andrea Mura: Tutti i film che presentiamo hanno un legame marcato con l’attualità, ma in particolare citerei Congo Lucha di Marlène Radaud, che racconta di una ribellione pacifica contro il presidente congolese e il suo attaccamento al potere; poi mi viene in mente People of the wastland di Heba Khaled che racconta il caos della guerra siriana, in prima persona e con l’utilizzo di un semplice go-pro, un film che non può lasciare indifferenti; Island of the hungry ghosts di Gabrielle Brady che attraverso un racconto impeccabile e una metafora audace ma potente ci racconta di una struttura detentiva in Australia per richiedenti asilo.

Com’è cambiato in questi anni il dialogo tra il festival e la città di Treviso?

Chiara Andrich: Il festival si svolge a Treviso da 6 anni e si è creato un pubblico affezionato che ogni anno risponde con più calore. Sole Luna inoltre ha tessuto una serie di relazioni con associazioni ed enti cittadini che sono imprescindibili per un dialogo costante sulla programmazione culturale e che creano una rete solida e capace di confrontarsi su diversi temi. Fin dal 2014 Sole Luna collabora con TRA-Treviso Ricerca Arte e dal 2018 con Cattedrale Treviso Eventi Arte e Cultura e Fondazione Benetton Studi Ricerche. Questi tre partner permettono quest’anno la realizzazione del festival mettendo a disposizione le loro sedi. Il festival ha contribuito inoltre alla nascita della rete Treviso Festival che ha portato a mutue collaborazioni in particolare con Treviso Suona Jazz e i due festival autunnali: TCBF, festival di illustrazione e fumetti, e Carta Carbone, festival della letteratura autobiografica. Inoltre molte sono state le collaborazioni anche durante il corso dell’anno con Galleria delle Prigioni, Cooperativa La Esse, Una Casa per l’uomo, Coordinamento LGBTE Treviso, Cineforum Labirinto, AltroMercato.  

 

 

Lo sguardo è un legame senza distanza” diceva Sartre. In quest’ottica, quali sono i documentari di Paesi che pur essendo lontanissimi tra loro, vi hanno sorpreso per i loro punti in comune?

Chiara Andrich: Ci sono due opere prime che si avvicinano molto per stile di racconto e per la volontà di descrivere la ricerca della propria identità. Sono Paju di Susanne Mi-Son Quester e The fifth point of the compass di Martin Prinoth. In entrambi i film i registi raccontano la storia in prima persona, una storia personale. Mi-Son Quester, di madre coreana e padre tedesco, intraprende un viaggio in Corea alla ricerca delle proprie origini e interrogandosi sugli effetti della divisione tra Corea del Sud e del Nord. Martin Prinoth invece racconta la storia del cugino di origine brasiliana adottato e cresciuto nelle valli ladine ed oggi alla ricerca della propria madre biologica in Brasile. Altri film si avvicinano per lo stile con cui seguono i propri personaggi e raccontano la storia: Beloved dell’iraniano Yaser Talebi, Hoa dell’italiano Marco Zuin e ancora Island of the hungry ghosts dell’australiana Gabrielle Brady ci conducono attraverso una capacità di osservazione straordinaria e delicata dentro i mondi di tre donne completamente diverse tra loro nel loro ambiente di lavoro.E ancora altri film come Laila at the Bridge dei registi afghani Elizabeth e Gulistan Mirzei e What Walaa wants della danese Christy Garland ci raccontano l’urgenza di alcune tematiche: la tossicodipendenza in Afghanistan e la questione israelo palestinese. Altra riflessione da fare è sullo sguardo delle donne, dei 28 film presentati 16 portano la firma di una regista donna e 7 hanno per protagoniste donne straordinarie. Reduce dal successo al Biografilm di Bologna, è in concorso al festival e sarà presente alla proiezione anche la palermitana Ester Sparatore che con Those who remain racconta le denunce e le proteste delle donne tunisine per i mariti, i figli, i fratelli scomparsi mentre emigravano in barca verso l’Italia durante la primavera araba. Sarà presente anche Martina Melilli con il suo primo lungometraggio My Home, in Lybia. Ripercorrendo i passi del nonno, nato a Tripoli e costretto con la famiglia a lasciare il paese all’improvviso nel 1970, dopo il colpo di stato di Gheddafi Martina Melilli con l’aiuto di un giovane libico contattato tramite i social media, raccoglie immagini di quella che è diventata oggi l’allora “casa” dei suoi nonni e fa un parallelismo tra la Libia di ieri e di oggi.
A inizio festival quali sono le vostre aspettative come direttori artistici per questa edizione?

Andrea Mura: Ci piacerebbe, oltre ovviamente ad avere un numeroso pubblico, che questo pubblico uscisse dalla sala con delle domande, delle curiosità nuove, con la voglia di nuovi confronti, letture, viaggi alla scoperta dell’ignoto. Detta così potrebbe sembrare una frase ad effetto, invece negli anni, anche grazie al lavoro capillare fatto nelle scuole cittadine, ci è capitato spesso di avere soprattutto dai giovani un feedback in questa direzione: ci sono dei film che ti possono aprire dei mondi che non pensavi potessero esistere o interessarti e quando questo avviene vieni ricompensate da tutte le fatiche che fare un festival comporta. Uno dei compiti fondamentali del cinema del reale è a nostro avviso quello di dar voce a chi non ce l’ha e anche in questa sesta edizione di Sole Luna Sguardi Doc speriamo di poter dare un segnale in questa direzione, forse ostinata e contraria come cantava un grande chansonnier, ma per noi imprescindibile e che da senso al nostro lavoro.

Alvise Wollner

“Sensorium Dei”: viaggio nei limiti del tempo di Michele Pastrello

A volte riteniamo il piccolo e grande schermo lontani dal mondo della filosofia, anzi troppo spesso non ci ricordiamo che l’arte della regia fa parte dell’immenso campo della cultura e che è proprio una delle migliori strategie per poterla veicolare, attraverso immagini, musiche, parole…permettendo a chi le guarda e ascolta di ricevere messaggi diretti o sottili, nascosti con maestria dietro a scene realizzate ad hoc.

Oggi abbiamo avuto l’onore di ospitare un regista emergente che ci presenta il suo ultimo lavoro “Sensorium Dei” che riprende il concetto di spazio/tempo di Newton.

Michele Pastrello, regista emergente veneto: come ti sei avvicinato all’arte della regia e come la definiresti?

La prima parte della tua è una domanda che mi è già stata posta, alla quale non ho saputo mai dare una risposta precisa. Fin da bambino amavo, mentre mi divertivo con i giocattoli, immaginare storie e mi ricordo che chiudevo un occhio e con l’altro aperto mi abbassavo a livello dei giochi. E allontanavo od avvicinavo lo sguardo. Qui in qualche modo incubavo in via inconsapevole la regia. Poi maturando mi sono avvicinato al cinema. Ed ho cominciato a chiedermi: come mai alcune scene di film mi fanno venire i brividi sulla pelle? Perché brividi ne provavo ed il primo che ricordo era nel finale del director’s cut di Blade Runner. Ho cominciato a vedere quindi certe scene per me importanti di un film non solo dal punto di vista irrazionale, ma anche da quello pratico: dove ha messo la mdp il regista? Che luce ha scelto? Ecco, l’arte stessa è stata la mia palestra e c’era un tempo da ragazzo che riuscivo a guardarmi 3 film al giorno per medio-lunghi periodi.
Sulla seconda parte della tua domanda, proprio per quello che ti ho appena detto, mi sento di riportare una frase che lessi tempo fa: “fare il regista non è tanto dirigere qualcuno, ma dirigere se stessi.” E’ una questione di consapevolezza.

I tuoi lavori hanno tutti un richiamo alla filosofia, fanno riflettere e ci portano in una dimensione altra grazie alla tua capacità di rappresentare concetti astratti: cosa c’è dietro alle tue scelte tematiche?

Premettendo che io non sono un filosofo, tuttavia sì, affronto dinamiche esistenziali che sconfinano nella filosofia. In tal senso mi colpì una frase di Antiseri “In filosofia non tutto è arbitrario, ma niente è certo”, che di fatto rispecchia la più comunemente detta condizione umana. Cosa c’è dietro di preciso non lo so. Certamente un mio personale Dolore, ci ho messo la maiuscola apposta. Passeggia con me, dorme con me, mangia accanto a me. Non so darci un nome, ma non è un dolore fisico od un lutto, che so. Ed è molto grande, non in senso di profondità, ma in senso di ampiezza. Presto molta attenzione al mondo attorno a me e che incontro e, in genere, mi ritengo una persona abbastanza ricettiva: vedo che questo Dolore, che molto spesso è il frutto dei nostri perduti, dei nostri compromessi, della paura delle nostre domande, è ben presente in molte persone. Molti di noi, però, non lo notano, ne sono portatori (in)sani. Io credo di toccare le corde scoperte di persone così, più o meno in ricerca; corde emotive scoperte, che possono vibrare al “soffio digitale” di un’immagine e di un suono.

Sergei Ejzenstein, regista e teorico russo, attraverso il suo “montaggio delle attrazioni”, proponeva di arrivare al “concetto tradotto in immagine”, operazione che gli fece sperare di riuscire a portare sullo schermo addirittura “Il Capitale” di Karl Marx. Il cinema, dunque, potrebbe essere, secondo te, il veicolo per la “discesa” del pensiero sulla materia?

Certamente il concetto di Ejzenstein è un po’ l’embrione di quello che noi creativi del video ora facciamo. Un po’ come quando i Lumiere, inventori del cinema, non si erano resi conto che non era una solo “giostra”, finché qualcuno non ha detto: e se utilizzassimo il mezzo per raccontare delle storie? Narrazione,  immagini e suono, al di là di tutte le innovazioni tecnologiche, restano alla base dell’ipnosi umana e della trasformazione del pensiero.

Tu potresti essere un esempio da citare per l’ottima capacità di fusione tra pensiero e rappresentazione concreta: cosa ti differenzia da altri emergenti registi e cosa ti spinge a lavorare su progetti così pregni di filosofia?

Cosa mi differenzia da altri colleghi non lo so, magari ce ne sono altri che fanno cose simili alle mie ed anche più riuscite, ma io personalmente non ne conosco. Cosa mi spinge a fare questo, beh, in parte ti ho risposto con la domanda precendente, ma c’è anche un altro aspetto. In Italia, per quel che ne so io, le produzioni video per la rete sono colme di satira, gag comiche, oppure di qualche video sdolcinato dal facile click. La video arte fa più fatica, in quanto concettuale. Io cerco di portare in micro-movie molto brevi pillole di riflessione filosofica, esistenziale, perché sento che, in fondo, anche di questo c’è bisogno, non si può sempre passarci sopra con una risata. Il buon numero di play di Dekstop e Awakenings (i miei lavori precedenti) lo dimostra.

Sensorium Dei - Michele Pastrello

Newton individua il Dio Artista e il Dio Ingegnere e parla di “Sensorium Dei” per definire lo spazio-tempo e tu utilizzi proprio questa definizione come titolo del tuo ultimo lavoro: quale nesso c’è?

In verità Newton parla di un Dio Ingegnere, che è il mondo e la natura stessi governato da leggi matematiche. La definizione Sensorium Dei la usò nel 1706 ma, da quel che ne so io, non è mai stata da lui ben delineata. La legava comunque ai suoi precedenti Principia, in cui già aveva espresso il concetto di tempo assoluto, letteralmente: Il tempo assoluto, vero, matematico, in sé e per sua natura senza relazione ad alcunché di esterno, scorre uniformemente, e con altro nome è chiamato durata; quello relativo, apparente e volgare, è una misura (accurata oppure approssimativa) sensibile ed esterna della durata per mezzo del moto, che comunemente viene impiegata al posto del vero tempo: tali sono l’ora, il giorno, il mese, l’anno. Nonostante sono cosciente che ciò è stato messo in discussione dalla scienza moderna, mi piaceva l’idea di un tempo assoluto divino (raffigurato da Eleonora Panizzo), che, in quanto Assoluto e “Scorrevole”, raffigura la trappola insidiosa e tormentata per la condizione umana.
Vedi, nel finale di un film molto significativo, Prometheus di Ridley Scott c’è un dialogo di Elizabeth, la protagonista, con l’androide (David). Elizabeth ha compreso che la razza umana è nata da un’entità aliena, la quale, una volta creato l’uomo ha poi cercato, invano, di eliminarlo. Capito ciò, ella desidera di partire per il mondo di questi alieni, ma David, l’androide le chiede:

David: Posso chiederle cosa spera di ottenere andando lì?

Elizabeth Shaw: Loro ci hanno creati e poi hanno cercato di ucciderci. Hanno cambiato idea. Ho bisogno di sapere perché.

David: La risposta è irrilevante. Cambia qualcosa sapere perché hanno cambiato idea?

Elizabeth Shaw: Sì. Sì che cambia.

David: Non riesco a capire.

Elizabeth Shaw: Be’, forse perché io sono un essere umano e tu sei un robot.

Ecco, Sensorium Dei mette in scena questa “follia” umana della ricerca, riflettendo su come questa ricerca non possa essere slegata dall’ineluttabilità del tempo e dalle costrizioni dello stesso.

Qual è il messaggio che vuoi trasmettere attraverso “Sensorium Dei”?

Messaggio diretto, nessuno. Messaggi indiretti? Io ho dato degli spunti, ho creato dei simbolismi, ho generato un tono narrativo. Noto che, attorno a ciò, chi lo vede riflette, e si riflette. Per me va più che bene. C’è anche chi mi ha scritto che non si capisce nulla, va bene anche questo.

Michele Pastrello - Eleonora Panizzo (Sensorium Dei)

Per presentarne l’uscita sui Social hai scritto “Cosa stai cercando? In quale tempo sei? Dov’è domani?”, domande che possono avere delle reali risposte o rimangono sospese?

Domande che rimangono sospese, come il protagonista di Sensorium Dei (Stefano Negrelli), in un futuro che non ci appartiene eppure sembra paradossalmente osservarci. Non ci sono riusciti eminenti filosofi scienziati, se non con ipotesi, non potrò dare risposte univoche e reali certamente io. Però mi capita, guardando alcune persone, osservandole, anche nella quotidianità più trita, con tutte le loro barriere, maschere, inquietudini, strappi di gioia, mi capita di vederle e chiedermi: che cosa stai cercando?

Michele Pastrello - Sensorium Dei

L’ossessionata ricerca dell’uomo di una libertà interiore non bene identificata e la voglia di capire un futuro che non gli appartiene contrasta con la concezione temporale, con l’assolutezza di un artificio, il tempo, creato dall’uomo con l’intento (vano) di potere controllare gli eventi della vita e la durata degli stessi.

Michele Pastrello con questo suo lavoro dimostra la capacità di rendere concreto, attraverso le immagini e la scelta delle musiche, un concetto che difficilmente viene reso palese, quello del tempo: vediamo Sensorium Dei e ci rendiamo conto di essere immersi in un a-tempo e in un a-spazio che ci inghiottono senza mai esserne consapevoli.

La forza di Sensorium Dei sta nel porci davanti ai nostri limiti, barriere da noi costruite paradossalmente per sentirci liberi, un contrasto che ci accompagna nel corso della nostra esistenza.

Questo il link per visionare Sensorium Dei

Questi i link per altri due lavori di Michele Pastrello:

Awakenings (coscienza dopo il sonno)

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Potete anche seguirlo sulla sua pagina Facebook ufficiale: Michele Pastrello

Valeria Genova

Estate in Filosofia!

L’estate finalmente è arrivata, la bella stagione e il caldo lasciano spazio a eventi e iniziative organizzate all’aperto, in cornici e location suggestive. L’arte, la cultura, la letteratura e la Filosofia sembrano non voler andare in vacanza, regalandoci festival e incontri in sintonia con l’atmosfera estiva. Per voi lettori la nostra selezione di eventi per il mese di Luglio.

13490874_496161923905735_7224812282494972558_oABRUZZO | FILOSOFIA AL MARE – 8/17 Luglio – Francavilla al Mare e Ortona 

La VII Edizione del Festival Filosofia al Mare vede quest’anno come filo conduttore  la bellezza non solo dal punto di vista del gusto o dell’arte, ma in senso più lato, come strumento privilegiato per aprirci orizzonti di valori. Un festival che vuole aprirsi a un pubblico neofita in materia di Filosofia, suscitanto consapevolezze e stimoli nuovi. La bellezza verrà indagata nelle sue diverse manifestazioni: dalla personalità, all’estetita, all’ambiente fino al suo collegamento con l’amore.

Il festival vedrà la partecipazione di nomi prestigiosi come Umberto Galimberti, Massimo Cacciare, e Umberto Curi.

Programma completo: qui

VENETO | LAGO FILM FEST – 22/30 Luglio – Revine Lago (TV)

Dlagofilm-fest-disegniiscover è il tema della XII edizione del Lago Film Fest, festival di cortometraggi e documentari di Revine Lago in Provincia di Treviso. L’edizione ha inaugurato una campagna di comunicazione all’insegna della fiaba e della fantasia, nel rispetto delle tradizioni locali.

L’idea che sta alla base sono i racconti  che i bambini di tutte le epoche hanno ascoltato, probabilmente dai nonni con uno spiccato senso della fantasia e che hanno dato vita a quelle creature a cui affidarsi nei momenti di solitudine. Su questa base, sono stati coinvolti 40 bambini delle scuole materna ed elementare perché provassero ad immaginarsi la fauna creaturale del lago che circonda il Lago Film Fest. Così sono nate 4 creature diverse, ciascuna prodotto della fantasia che accompagneranno tutte le serate alla riscoperta delle leggende e delle tradizioni locali che hanno fatto la storia di questo territorio.

Maggiori info: qui
Augusto_iphoneMARCHE | CARBONEIDE – LA POPSOPHIA DEL MONDO CLASSICO – 29/30 Luglio Ortezzano

Il 29 e il 30 luglio arriva a Ortezzano la seconda edizione di Carboneide, la Popsophia del mondo classico,il festival dedicato alla classicità greco-romana indagata con le lenti della cultura pop. Filosofi, scrittori e musicisti saranno protagonisti di conferenze-spettacolo dove la filosofia classica si contamina con il cinema, le serie tv e la musica leggera.

Quest’anno si vedrà la partecipazione di Umberto Curi, Francesca Boccuni, Roberto Mordacci, Massimo Donà.

Programma completo: qui

Elena Casagrande

 

I festival come valore del territorio: intervista a Viviana Carlet del LFF

E’ passato quasi un anno da quando uno dei festival cinematografici più validi ed interessanti in Italia aveva rischiato di dover chiudere per sempre i battenti. Oggi però, grazie a un’incredibile forza di volontà e a una costante voglia di mettersi alla prova, l’undicesima edizione del Lago Film Fest è pronta per tornare in scena a Revine Lago. Abbiamo intervistato Viviana Carlet, la direttrice della rassegna (insieme a Carlo Migotto) e ci siamo fatti raccontare qual è la filosofia che si nasconde all’interno di un festival cinematografico

-Dopo alcuni mesi, in cui molti avevano temuto che la storia di Lago Film Fest fosse giunta al suo epilogo, è arrivato l’annuncio di quest’undicesima edizione che si presenta come una delle più ricche ed interessanti degli ultimi anni. Da dove è nata la decisione di non fermarsi e la voglia di organizzare una nuova edizione?

La decima edizione per noi è stata la chiusura di un percorso. Non si è trattato di una rottura ma di un’esigenza su più punti, nel senso che il festival era iniziato nel 2005 con degli obbiettivi molto chiari e doveva essere solo uno dei tanti progetti che avremmo dovuto portare avanti. Io definisco il festival come una macchina pesante e ben strutturata, quindi la sua preparazione richiedeva alla fine un anno intero, togliendo il tempo a tutte le altre cose. Abbiamo capito allora che dovevamo mettere un punto per andare a capo e riscrivere la storia della rassegna, soprattutto perché la nostra è un’attività legata allo sviluppo sociale e culturale di un luogo. Non proiettiamo solo film ma cerchiamo di valorizzare un territorio. Il punto messo alla fine della decima edizione ci ha permesso di reinventare il festival, facendolo diventare qualcos’altro. La decisione annunciata l’anno scorso non è stata solo una questione di soldi, ma anche di programmazione e di una concezione di quello che si vuole veder fatto per un territorio. Sono queste le idee da cui siamo partiti per organizzare l’undicesima edizione.

-Quali sono le novità principali inerenti alla rassegna di quest’anno?

Per l’undicesima edizione abbiamo deciso di ridisegnare completamente il festival, creando una “Piattaforma Lago”, una realtà fisica, fatta di persone reali che fanno parte di una serie di progetti per dare la possibilità a più persone possibili di crescere e imparare. Lago Film Fest non è più l’unico progetto intorno a cui ruota tutto, ma è diventato uno dei tanti. Per uno spettatore che arriva da fuori non c’è molta differenza, ma per il nostro gruppo si è trattato di un cambiamento profondo e radicale. Quest’anno poi punteremo molto sulle attività giornaliere, non ci saranno le proiezioni pomeridiane come negli anni scorsi bensì una serie di workshop aperti al pubblico. Ci saranno dei seminari tenuti dai giurati presenti al festival e un focus dedicato a ognuno di loro. La mattina ci saranno le conferenze stampa in cui si potranno incontrare gli attori e i registi presenti in concorso. Il primo fine settimana sarà invece dedicato alla danza, mentre la Svezia sarà la nostra punta di diamante con varie rassegne dedicate e autori presenti in concorso. Ci saranno poi concerti tutte le sere e attività dedicate ai cantautori veneti, una serie di varie performance, e infine le proiezioni serali dei film in concorso.

-Che aggettivi usereste per riassumere al vostro pubblico questa nuova edizione?

Pensando all’aspetto cinematografico te ne do tre: affilata, femminile (senza averlo cercato) e impegnata ma in modo obliquo, anche se per il fatto che nessuno se la sarebbe aspettata direi che è un’edizione inaspettata per l’appunto, perché ha un linguaggio diverso rispetto a tutto quello che avevamo fatto fino ad oggi

-Nonostante Lago Film Fest sia un festival molto legato al territorio locale riesce sempre ad allestire un programma di respiro internazionale, collaborando con le principali rassegne cinematografiche nel resto del mondo. C’è un festival che voi amate particolarmente e a cui vi siete ispirati per organizzare la vostra rassegna?

Quando ho iniziato i miei modelli erano due festival italiani che da sempre mi sono rimasti nel cuore. Inizialmente Lago Film Fest doveva essere un progetto di public art e il cinema doveva essere solo un mezzo per raggiungere uno scopo. Successivamente però l’aspetto cinematografico è cresciuto sempre di più. I miei modelli sono il Lucania Film Festival e il Milano Film Festival. Sono rassegne legate in modo molto stretto e forte allo spazio in cui vengono realizzate. Sono in realtà dei progetti e non dei festival canonici. Sono delle realtà che riescono a dialogare con lo spazio e con le persone che lo vivono. Riescono a creare un’interazione tra cinema, arte e territorio e sono questi gli obbiettivi che abbiamo cercato di raggiungere anche con il nostro festival.

-Ogni festival, a suo modo, ha una propria filosofia stilistica e di pensiero. Lo si capisce dal modo in cui è strutturato e dal programma di film che porta di edizione in edizione. Qual è la filosofia del Lago Film Fest?

La base di partenza, come detto prima, è la continua valorizzazione del territorio. Molto importante per noi è poi la continua ricerca, nel senso che vogliamo far si che i registi o gli artisti che vengono a lavorare qui possano fare delle loro cose creative, realizzando i loro sogni. Vogliamo insomma dare un ruolo attivo all’artista e anche allo spettatore.

-Parlavamo poco fa di quanto il Lago Film Fest sia legato alla valorizzazione del territorio in cui viene organizzato. Se non aveste scelto Revine ci sarebbe stato un altro luogo in cui avreste voluto organizzare un festival cinematografico?

No, Lago poteva essere l’unico luogo possibile. Io sono andata via da qui perché era un posto che non mi piaceva, e in cui non avevo nessuna voglia di tornare. Ho scelto Revine perché volevo rivalorizzarla per me stessa. Volevo portare qualcosa nel posto in cui ero nata. Non ci sarebbe stato nessun altro luogo in cui avrei voluto organizzare un festival. Si tratta di un legame molto personale. Avevo bisogno di realizzare un progetto a casa mia e portarlo alla vita nel luogo da cui venivo.

-Lago Film Fest non è solo cinema, ma un evento che unisce tra loro varie arti in maniera unica e trasversale. Quali sono, oltre al cinema, le arti da cui siete più influenzati nella vita e nell’organizzazione di un festival come questo?

L’arte contemporanea senza dubbio. Nella mia idea originaria l’arte doveva essere la vera protagonista di questa rassegna. Se tu vedi l’arte come una piattaforma hai una serie di progetti che ti permettono di lavorare su più livelli creando un festival generalista che unisca l’aspetto di ricerca a quello dell’attenzione verso i gusti del pubblico. L’importante per noi è mescolare le cose. Frequentando l’Accademia di Belle Arti mi sono accorta che i vari settori (pittura, teatro, ecc) erano molto separati e chiusi tra loro, quello che a noi interessa però è creare un’interazione tra l’arte e le persone.

-A proposito di arti, volevo aprire una breve parentesi sulla musica. L’anno scorso la colonna sonora del festival era “Wrong to be kind” di Glenn and the chunkies. Prendendo spunto dal titolo e dalla vostra esperienza personale, è davvero sbagliato essere gentili?

Quella canzone era una meditazione generale sul concetto di no profit e sul darsi gratuitamente. In realtà era un modo spiritoso per ironizzare su un tema molto serio. Si riferiva alla capacità di mediare tra disponibilità e voglia di condivisione. Da un lato era una provocazione, noi cerchiamo sempre di essere gentili però a volte bisogna essere in grado di dire basta.  Il volontariato oggi è definito “il terzo settore”, riesce a muovere montagne ma viene puntualmente ignorato e snobbato da tutti. L’Italia potrebbe vivere solo di cultura senza fare nient’altro eppure non ci riesce. In Francia uno dei pacchetti più importanti è quello della cultura, qui da noi non viene nemmeno presa in considerazione. Questo è un aspetto che da molto fastidio.

-Scriveva Julio Cabrera in Da Aristotele a Spielberg. Capire la filosofia attraverso i film: «Se la filosofia scritta pretende di sviluppare un universale senza eccezioni, il cinema mette invece in scena un’eccezione con caratteristiche universali. »
Il guardare le immagini permette all’uomo di imparare e ragionare molto più facilmente rispetto all’esercizio filosofico tradizionale, poiché la poiesis ci mette in contatto diretto con l’universale. Potremmo dunque intendere il cinema come “la cosa più filosofica”. A vostro parere quali sono i punti di forza e le potenzialità che il cinema possiede nel veicolare certi tipi di contenuti e/o messaggi rispetto ad altre arti?

Il cinema è un’arte di per sé magica perché è costituita da un’immagine in movimento. Contiene quindi più sensazioni al suo interno, capaci di provocare altrettante reazioni negli occhi di chi guarda. A me certi film piacciono per l’esperienza che riescono a comunicarmi, più che per il modo in cui sono girati. La magia comunque resta il più grande punto di forza di quest’arte. Non c’è mai stato nulla di più magico del cinema. Inoltre è un’arte alla portata di tutti, che resta molto più impressa nella memoria rispetto ad altre. Tutti si ricordano il primo film che hanno visto da piccoli, pochi invece saprebbero dirti qual è stata la prima mostra d’arte che sono andati a vedere. Il cinema fa volare le persone, è lo spettacolo più facile da fruire. Lui inizia a raccontarti una storia senza chiederti il permesso, va e tu non puoi far nulla se non rimanere incollato allo schermo. Il cinema è un’arte immediata e anche questo è un grandissimo pregio da non sottovalutare.

-Il cinema è una chiave filosofica per vivere la vita di tutti i giorni. Ma, cosa significa per voi la filosofia?

Caspita, domanda tosta! La filosofia per me è come la politica, è un modo di vivere. Anzi, è come vivo. Nel modo in cui io vivo e mi esprimo faccio della politica ed elaboro idee e concetti che rappresentano la mia vita. Non sono un’intellettuale e non mi definirei tale. Sono una persona “di pancia”. Una persona che ha bisogno di fare le cose per esprimersi. E il festival per me è stato questo: una possibilità per trovare un posto nella società, un ruolo che fosse mio costruendomi un mio spazio e un mio ruolo. Sono una persona che ha sempre bisogno di fare, vivo una filosofia pratica e cerco di applicarla alla vita di tutti i giorni.

 

Sito: www.lagofest.org

FB: facebook.com/lagofilmfest

Programma festival: qui

 

Alvise Wollner

[foto concessa da Viviana Carlet ]

“Un grammo di comportamento vale un chilo di parole”

Tutto quello che vuoi si trova dall’altra parte della paura
Recitazione. Roma. Lezione di prova: repulsione. O qualcosa del genere.
Non capivo perché, ma avevo un fastidio interno ed una gran voglia andarmene.
Esercizio dopo esercizio mi sentivo agitata, giudicata, tesa.
La lezione di prova finì ed io dissi ai professori: “Spero di tornare, ma con il mio lavoro sarà difficile”.
Tornai a casa nervosa, scombussolata, con qualcosa che mi si agitava dentro.
Sembrava adrenalina. Quella che mi veniva quando andavo a nuotare di sera. Quella che poi fino alle tre di notte non la smaltisci neanche con tisane alla passiflora del Gabon e 20 gocce di xanax.
Ma era qualcosa di più forte.
Era paura.
Era aver intuito che qualcosa stava per sradicarmi dalla mia comfort zone, dal mio divano, dal mio Sky, dai miei aperitivi.
Forse era il famoso “Tutto quello che vuoi si trova dall’altra parte della paura”.
O forse mi stavo trasformando in un personaggio di un film di Muccino su sceneggiatura di Fabio Volo.
Fatto sta che le ore di sonno furono poche e le domande troppe.
A tutti i punti di domanda della notte rispose una sensazione di benessere appena aperti gli occhi al mattino. Una sensazione che mise un punto. E mi fece andare a capo. Quella sensazione che provi solo risvegliandoti con la persona che ami accanto. Quel momento in cui si realizza. E quella mattina realizzai che l’unica cosa che avrei fatto sarebbe stata infilarmi un paio di scarpe da ginnastica e chiudermi fino a sera in un’accademia. A fare e rifare senza sosta quegli esercizi che solo qualche ora prima mi avevano fatto diventare rossa, mi avevano fatto tremare la voce, mi avevano fatto pensare “ma che ci faccio io qui in mezzo?”, mi avevano fatto dire “Non credo di poter tornare, non ce la farei con il mio lavoro”.
Il lavoro? La pioggia? La neve? L’invasione di cavallette? Tutte scuse.
Il modo, il tempo, lo trovi. E se non lo trovi lo cerchi. E se non lo cerchi lo rubi.
Tra lavoro ed un minimo di vita sociale dormo sempre meno. O tra lavoro e sonno, ho sempre meno vita sociale. E tutto questo è esaltante ed al tempo stesso rassicurante. Esiste la recitazione e chi o cosa riesce ad inserirsi con grandi sforzi tra me, il mio lavoro e quella che posso chiamare senza mezzi termini un amore viscerale, è un chi o un cosa davvero importante. Anche una telefonata diventa difficile. Ma chi ti vuole bene capirà. Chi non capirà, è perché non ha capito chi sei. Per me studiare recitazione è una bolla. Indistruttibile. E tutte le persone che ci sono dentro lo sono. Di alcuni di loro non so nulla, di altri molto, di altri ancora tutto. Ma una sola cosa la so: quando siamo lì dentro, nella nostra bolla, tutti insieme, in quella stanza nera, spartana, senza fronzoli, senza orologi, coi cellulari che, pur volendo, non prendono, senza anelli, bracciali, tacchi, cravatte, il mondo fuori con le sue regole, le sue riverenze, i suoi clichè non esiste più.
Una lezione di prova  dovrebbero farla tutti. Sopratutto chi pensa che questo non sia un mondo straordinario, ma un sottobosco squallido e umido. E dovrebbero provarci tutti, ma non per vincere l’oscar. Ma per capire. Tante, troppe cose che diamo per scontate.
Quanto un silenzio arriva molto più che un flusso di parole.
Quando un silenzio arriva e perché.
Quanto non ascoltiamo l’altro.
Quando l’altro dobbiamo ascoltarlo, altrimenti salta tutto.
Quando l’altro deve ascoltarci, altrimenti salta tutto.
Quanto siamo centrati su noi stessi.
Quanto impatta uno sguardo.
Quanto sia fondamentale il dettaglio. E quante cose da quel dettaglio si capiscono.
Quante infinite possibilità ci sono di recitare un copione. Quello che recitate ogni giorno fingendovi felici, vincenti, griffati e rampanti su Facebook e nella vita reale.
Quante infinite possibilità di vivere esistono.
Quante regole della recitazione sono regole di vita.
Quanto nell’improvvisazione niente sia lasciato al caso.
E’ dura mettersi alla prova. Ed è ancora più dura ammettere di essere banali, scontati, pieni di sovrastrutture e pregiudizi. Recitando vengono fuori i propri limiti, le proprie insicurezze, le proprie paure e lezione dopo lezione, ora dopo ora, si sciolgono dentro e fuori quella stanza.
Non ti importa più del contorno, della forma, del superfluo. Arrivate le 19 vuoi solo mettere le tue converse, buttare i tacchi e la giacca, ed entrare in uno spazio in cui potresti vivere per ore, senza mangiare o bere.
Se vi sembra esagerato, vi auguro di provarla almeno una volta nella vita una sensazione così.
Quando sei davvero dentro qualcosa, abbi il coraggio di rimanerci.
“State”, ci dicono a lezione.
Stacci.
Prenditi il tuo tempo.
Vivitelo.
E poi, restituisci.
Anche un silenzio.
“Fatevi portare dal vostro centro”, anche questo ci dicono sempre a lezione.
È difficile capire cos’è, dov’è e perché.
Ma è da lì che parte tutto.
Fatevi portare dal vostro centro. Seguitelo.
Chi lo chiama cuore, chi plesso solare, chi istinto, chi energia. Che importa.
Seguite il vostro centro.
E se il vostro centro vi porta dal codice civile ad un palco sgangherato di un teatro Off, è sul palco sgangherato di un teatro Off che dovete salire.
Piangerete di felicità. Non di frustrazione.
Troverete sulla vostra strada chi cercherà di ridimensionare questo vostro amore.
Chi vi dirà banalizzando “eh si, è bello coltivare un hobby”, facendovi sentire ridicolo, fuori dal mondo e fuori tempo. Chi vi farà sentire strano. La noia sulla faccia di chi vi ha appena chiesto “E quindi che si fa a questa recitazione”? dopo la prima parola della vostra risposta.
Non importa.
Andate avanti per la vostra strada.
Se è la vostra strada lo sentirete nelle ossa, nella testa, nel centro.
Avrete sempre un monologo che vi ronza nella testa, e avrete sempre voglia di imparare il prossimo.
Paradossalmente, quello che accade recitando, è autentico.
Di recitazione non si vive, mi dissero tempo fa.
Di insoddisfazione, si muore, non ebbi la prontezza di rispondere.
Per salvarsi, si è sempre in tempo. Sali sul tuo palco. E il sipario non calerà mai.
Anche perche nei teatri Off il sipario manco ci sta.
 

Donatella Di Lieto

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