Il gioco del male – Angela Marsons

Nell’anno appena concluso il genere crime/thriller si è confermato tra quelli più letti in Italia. I romanzi che regalano brividi e tensione sembrano infatti aver conquistato un’ampia fetta di pubblico italiano. Il segreto credo vada ricercato nella capacità di questo genere di trasmettere emozioni forti, di stuzzicare l’intuito e l’intelletto del lettore, di presentarsi come un enigma da risolvere.

La serie che vede come protagonista la detective Kim Stone, nata dalla penna di Angela Marsons, si è rivelata in Inghilterra un vero caso editoriale. Passando per l’autopubblicazione e per il successo del passaparola, il primo libro dell’autrice − Urla nel silenzio, pubblicato in Italia da Newton Compton nel 2016 − è arrivato a vendere oltre un milione e mezzo di copie nel mondo e ad essere tradotto in diciassette Paesi. Si tratta di thriller con approfondimento psicologico, la cui protagonista si è fatta spazio nel cuore di tanti lettori, dimostrandosi un personaggio vincente e credibile. I thriller sono ambientati in Inghilterra, precisamente nella Black Country, la stessa regione di provenienza dell’autrice. In Urla nel silenzio, la zona è scossa da una serie di omicidi, collegati da un invisibile fil rouge. La detective, supportata dalla sua squadra investigativa, indaga per rintracciare il nesso che lega le vittime e per scoprire l’identità dell’assassino.
Le sue indagini la porteranno ben presto nel luogo in cui anni prima sorgeva un orfanotrofio. Un posto che avrà molto da raccontarle e dal quale emergeranno storie agghiaccianti.
La protagonista, Kim Stone, è una donna diretta, dura, testarda e poco incline al contatto umano, guida la sua squadra senza esitazioni, proprio come conduce sull’asfalto la sua Ninja nera.
Dietro un’apparenza di chiusura e distacco, nasconde un passato dolorosissimo, che rischia di sopraffarla con il suo pesante bagaglio. Bagaglio di dolore che nella seconda avventura, Il gioco del male, pubblicato ad ottobre dello scorso anno, si rivelerà un fardello quasi fatale per Kim, a dimostrazione che alcune questioni irrisolte con il passato sono come mostri pronti a divorarci. Basta che qualcuno riesca ad incidere la nostra corazza abbastanza a fondo da permetterne la fuoriuscita. E chi meglio di un pericoloso sociopatico avvezzo alla manipolazione della mente umana può farlo?

«Sebbene definire il “perché” fosse di capitale importanza nell’indagine su un crimine, per Kim non era mai stato il tassello più importante del puzzle. Era l’unico elemento che non riceveva alcun supporto dagli ausili scientifici. Stabilire il perché era il suo lavoro, ma comprenderlo era l’ultima cosa di cui aveva bisogno. […]

Capire il perché di un’azione implicava la possibilità di empatia, comprensione e perfino perdono, per quanto il fatto commesso fosse orribile.

E, a giudicare dal suo passato, Kim non era una persona incline al perdono».

Andando a fondo nella psiche della protagonista, il lettore comprenderà lo spessore della sua personalità. Ciò che costituisce un ostacolo nel suo lavoro è anche quello che rende questa donna così speciale: le sue ferite, la sua infanzia in un quartiere degradato che non le ha impedito di diventare uno dei detective più validi e capaci, di sviluppare uno spiccato senso della giustizia, di sopravvivere al limbo di abiezione e sofferenza nel quale era stata condannata. Questo si cela dietro la maschera di freddezza e indifferenza dietro la quale la protagonista si trincera, e questa la base di profonda umanità che permette ai lettori di stabilire una sincera empatia con il personaggio.

Le tematiche affrontate sono forti: violenze, maltrattamenti e abusi, spesso trasferiti nella sfera dell’infanzia violata, casi che vengono filtrati dallo sguardo di una donna che sa bene cosa significhi subire quel dolore che scava nei bambini come fa un chiodo arrugginito nel tronco morbido di una pianta ancora giovane, che crescerà mantenendo quella profonda traccia. Una cicatrice che priva per sempre della spensieratezza, ma che permette a Kim Stone di vedere oltre, di sentire nel profondo ciò che le vittime provano.

La narrazione scivola veloce, coinvolgente, arricchita da dettagli e substrati psicologici, esposti con uno stile scorrevole e validi incastri temporali. Il lettore non può che sentirsi coinvolto, trascinato nelle indagini e nei pensieri di Kim Stone, subendo il fascino di personaggi tridimensionali e delle dinamiche che si rivelano centrali: i comportamenti umani, i processi mentali, la psicologia delle vittime e degli aguzzini, che la Marsons è così brava a rendere reali.

Una serie consigliata a chi è alla ricerca di una lettura coinvolgente. Mentre per chi fosse già in attesa del terzo volume, nel sito dell’autrice è possibile trovare curiosità sulla sua professione e interessanti consigli letterari.

Stefania Mangiardi

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“Non buttiamoci giù”, di Nick Hornby

Se posso spiegare perché volevo buttarmi dal tetto di un palazzo? Certo che posso spiegare perché volevo buttarmi dal tetto di un palazzo. Cavolo, non sono mica deficiente. Posso spiegarlo perché non è un fatto inspiegabile: è stata una scelta logica, la conseguenza di un pensiero fatto e finito. E neanche di un pensiero troppo serio.

Cosa ci fanno quattro persone di età, estrazione sociale, stile di vita completamente differenti, sul tetto di un palazzo di Londra nella notte di Capodanno? Non si conoscono, non sanno niente l’uno dell’altro, eppure sono uniti da un intento comune: buttarsi di sotto. Ma quella notte i loro piani verranno stravolti e, inaspettatamente, proprio a partire da quel momento si cementerà una stramba alleanza.

Partendo da questo incipit originale, Hornby ci conduce alla scoperta delle storie personali dei quattro curiosi personaggi e delle circostanze che li hanno condotti fin lassù.
I nostri protagonisti non potrebbero essere più diversi: Martin, noto conduttore televisivo, ha perso il lavoro e la stima della sua famiglia dopo l’avventura di una sera con una ragazza che credeva maggiorenne; Maureen, timorosa e devota, ha un figlio disabile da mantenere e sostenere; Jesse, trasgressiva figlia di un politico rispettabile, vede nel suicidio un estremo gesto di ribellione; infine JJ, giovane musicista disilluso, che racconta di essere affetto da una grave malattia.

Ti ripetono tutta la vita che dopo la morte andrai in un posto meraviglioso. E l’unico gesto che puoi fare per arrivarci un po’ prima ti impedisce di andarci… Oh, capisco che è un po’ come non voler fare la coda. Ma se qualcuno salta la coda in posta, gli altri, gli altri borbottano. A volte protestano: “Scusi, sa, c’ero prima io!”. Non dicono: “Brucerai tra le fiamme dell’inferno per l’eternità”. Sarebbe un pochino esagerato!

Non buttiamoci giù, libro da quale nel 2014 è stato tratto un adattamento cinematografico, è un romanzo esilarante che tratta tematiche attuali e complesse con un umorismo tagliante che lascia spazio anche ai sentimenti.
La sua forza risiede sicuramente nei personaggi, ben delineati e caratterizzati anche dal modo di esprimersi che l’autore rende servendosi di un linguaggio cucito addosso a ciascuno, colloquiale, in alcuni casi volutamente ‘sgrammaticato’.
Nonostante la tematica centrale rimanga quella del suicidio, Hornby riesce ad evitare i toni cupi e a mantenere la narrazione vivace, servendosi anche di una certa dose di humor inglese.
Ho apprezzato molto il messaggio di fondo del romanzo, l’idea che delle singole, disperate, solitudini possano unirsi dando vita a qualcosa di diverso. Una rete di sostegno improvvisata, raffazzonata, rappezzata, e che pure sembra funzionale allo scopo. Perché a volte nella vita ciò che più conta è riuscire a cambiare punto di vista, ad accorgersi che non si è i soli a soffrire, a prendere coscienza di quante situazioni simili alla nostra ci siano. Ostacoli apparentemente insormontabili che affrontati attraverso la reciprocità, sviscerati, confrontati e perfino derisi, possono improvvisamente ridimensionarsi, guidando il nostro sguardo verso una nuova prospettiva.
Un libro che mi sento assolutamente di consigliare: vitale, divertente, commovente e ricco di spunti di riflessione.
Perché è più facile buttarsi nel vuoto che accettare le conseguenze di quello che hai fatto?

Stefania Mangiardi

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Amabili resti – Alice Sebold

«Questi erano gli amabili resti, cresciuti intorno alla mia assenza, i legami, a volte esili, a volte stretti a caro prezzo, ma spesso meravigliosi, nati dopo che me n’ero andata. E cominciai a vedere le cose in un modo che mi lasciava concepire il mondo senza di me».
Susie Salmon è una ragazzina di quattordici anni con le aspirazioni e i sogni propri della sua età. Ma la sua giovane vita è destinata ad essere calpestata, straziata e recisa da un mostro, un insospettabile mostro che vive a pochi passi da casa sua, celato da una maschera di perbenismo.
Un mostro che il lettore individuerà ben presto e ben presto inizierà a disprezzare e odiare.
A raccontare la storia è la ragazzina uccisa, la voce narrante appartiene infatti alla stessa Susie che ci parlerà da un ‘Cielo’ tutto suo. Si tratta quindi di una prospettiva insolita che smarrisce e conforta allo stesso tempo. Dall’alto, Susie, osserva la vita continuare senza di lei, partecipa al dolore della sua famiglia e assiste agli strazianti momenti successivi alla sua scomparsa. Ma la sua attenzione non si focalizza solo sui suoi familiari distrutti dal dolore. Susie osserva anche il suo assassino, la freddezza delle sue simulazioni, la ripugnanza celata dietro ai suoi intenti, sostenendo a distanza l’intuito del padre che forse ha percepito prima degli altri un retroscena poco chiaro dietro quell’uomo apparentemente educato e tranquillo.
Amabili resti è un libro che non lascia indifferenti, impossibile trattenere le lacrime e non avvertire una morsa allo stomaco durante la narrazione. È un libro che scuote, destabilizza, ferisce. Un effetto per me amplificato dall’essere genitore, dall’essere madre di una bambina che mi auguro di saper proteggere da un mondo che sa essere spietato ben oltre l’umana immaginazione.
«Dentro la palla di neve sulla scrivania di mio padre c’era un pinguino con una sciarpa a righe bianche e rosse. Quando ero piccola papà mi metteva seduta sulle sue ginocchia e prendeva in mano la palla di neve. La capovolgeva perché la neve si raccogliesse tutta in cima, poi con un colpo secco la ribaltava. E insieme guardavamo la neve che fioccava leggera intorno al pinguino. Il pinguino è tutto solo, pensavo, e mi angustiavo per lui.
Lo dicevo a papà e lui rispondeva: “Non ti preoccupare, Susie, sta da re. È prigioniero di un mondo perfetto”».
 
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Per alcuni lunghissimi istanti, quelli in cui Susie racconta della violenza subita, ho pensato di non farcela, di non riuscire a proseguire nella lettura. Il suo dolore è diventato il mio, l’orrore salendo dallo stomaco alla gola mi si è appiccicato addosso come una seconda pelle.
Eppure temi come la violenza, la morte precoce, il dolore per la perdita, vengono trattati con un tocco delicato, proprio perché filtrati dallo sguardo limpido e innocente di Susie.
Ed è sempre la piccola Susie ad impedire che il lettore venga inghiottito dalla rabbia e dal dolore, offrendogli qualcosa a cui aggrapparsi, offrendogli la speranza: l’amore è eterno ed è l’unico legame che non può essere spezzato.
Un’ancora di salvezza, ecco cosa offre l’autrice al lettore, quasi come se si sentisse in dovere di non caricarci di un fardello troppo pesante. Un’attenzione che accomuna molte persone che hanno subito violenza, e nella quale è forse possibile riconoscere il vissuto autobiografico dell’autrice.
La scrittura, semplice e lieve, rispecchia l’intento di mantenere dei toni dolci, tenui, senza permettere all’oscurità di prendere il sopravvento.
Struggenti le descrizioni dei familiari, dei genitori e dei fratelli di Susie, del modo di ognuno di reagire alla perdita. Queste, insieme ai flashback che la protagonista inserisce nel racconto, ci regalano uno spaccato di vita di una famiglia americana degli anni 70, una famiglia felice che vive in Pennsylvania quando la provincia americana è considerata un luogo sicuro, sereno, dove si respira ottimismo e positività.
Un libro toccante, con una protagonista che si impadronirà di un pezzetto del vostro cuore.
 

Stefania Mangiardi

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La sposa scomparsa – Rosa Teruzzi

Ci sarebbe voluta una bella libreria, si disse, con le sue file ordinate di romanzi che promettevano mondi più interessanti, fantasiosi e magici del nostro. Mondi in cui perfino dolori all’apparenza insensati, come la scomparsa di una figlia, rispondevano a un disegno, non necessariamente positivo, che spesso nella vita reale lei non riusciva a scorgere.

In una Milano poliedrica e sfaccettata, tre donne convivono in un vecchio casello ferroviario, trasformato in abitazione. Libera, quarantasei anni, trascorre molto tempo nel laboratorio adiacente alla casa, nel quale compone bouquet da sposa. Sua figlia, Vittoria, è una giovane agente di Polizia, introversa e determinata. E poi c’è nonna Iole, spirito ribelle e anticonformista che, raggiunte le settanta primavere, continua a predicare – e a praticare – l’amore libero.

In una piovosa giornata di luglio un’anziana donna, vestita di nero, bussa alla porta del casello. E’ lì per parlare a Vittoria, per convincerla a riaprire un caso ormai archiviato, quello riguardante sua figlia, una ragazza prossima alle nozze, scomparsa tanti anni prima. Vittoria, rigida e chiusa nelle sue convinzioni, sembra restia ad aiutare la donna. Ma Libera e Iole non hanno intenzione di restare con le mani in mano e si butteranno a capofitto nella ricerca della verità.

La sposa scomparsa è un giallo piacevole, ben scritto e bilanciato, dove le indagini e le storie delle protagoniste risultano equilibrate, ma soprattutto una storia di cui ho amato la caratterizzazione, dei luoghi e dei personaggi. Le tre donne, durante la lettura, sono diventate delle vicine, delle conoscenti e, infine, delle amiche.

Libera è il personaggio centrale della storia, quello che fa da anello di congiunzione e collante tra tutti gli altri. E’ una donna sensibile e riflessiva, una donna che ha sofferto, a cui la vita ha tolto molto. Il marito, agente di Polizia, è stato ucciso senza che il caso venisse mai risolto e lei ha dovuto ingoiare i dubbi insieme alla sofferenza. Il dolore ha finito per spegnerla e per creare intorno a lei una corazza invisibile, che le impedisce di lasciarsi andare, di continuare a vivere e ad amare.

Vittoria è una ragazza introversa, spigolosa, brusca e rigida nelle sue convinzioni. La perdita prematura del padre ha condizionato tutta la sua esistenza, spingendola ad indossare quella stessa divisa e alimentando la sua rabbia verso il mondo. Iole, con la sua indole leggera, briosa e fanciullesca, fa sicuramente da controparte alle due donne. Non a caso, è il personaggio che ho più amato, quello che mi ha strappato più sorrisi, declinando la terza età in chiave disinibita ed ironica.

Le tre donne cercheranno di capire cosa è accaduto a Carmen Minardi, la ragazza scomparsa tanti anni prima, e per farlo dovranno infine collaborare, riavvicinandosi e annullando le incomprensioni. Sullo sfondo emerge una Milano inedita, quella dei piccoli quartieri, degli scorci che non ti aspetti e che riescono a stupirti.

Così come stupirà la verità, che spiazzerà il lettore con la sua irreversibile freddezza. L’epilogo lascia presagire un seguito che non vedo l’ora di scoprire, perché quello di Iole, Libera e Vittoria è solo un arrivederci.

Un giallo che si fa amare, con un tocco femminile che conferisce freschezza al romanzo e pone l’accento sulla variopinta sfera dei sentimenti.

Stefania Mangiardi

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Lo strano viaggio di un oggetto smarrito – Salvatore Basile

Michele ha trent’anni e tutta la sua vita ruota intorno al lavoro presso la stazione di Miniera di Mare. Ogni sera, quando gli ultimi passeggeri abbandonano il convoglio, lui dà inizio al suo rituale. Sale sul treno, aspira gli odori che permeano le carrozze, pulisce accuratamente tutti i vagoni, lucida vetri e maniglie e, come un padre affettuoso, recupera gli oggetti dimenticati da viaggiatori distratti. Oggetti che ingombrano un’intera stanza della sua casa, situata all’interno della stazione stessa. Tutta la sua esistenza si dipana infatti in una manciata di metri, che Michele percorre e ripercorre giorno dopo giorno, intrappolato in una routine fatta di gesti sempre uguali. Unica compagnia dei suoi pasti insapore, gli oggetti smarriti dai viaggiatori, che cataloga con cura e attenzione. La vita che scorre oltre la stazione assume per Michele contorni minacciosi, perché se a sette anni tua madre varca l’uscio di casa con una valigia, promettendoti di tornare, e abbandonandoti per sempre, il mondo là fuori non deve sembrarti un posto bello in cui abitare. Da quel giorno, e ancor più dopo la morte del padre, Michele si è chiuso in se stesso, impedendo a chiunque di varcare la soglia del suo isolamento.large (8)

Ma il destino sembra avere altri programmi e un giorno accade l’imprevedibile. Qualcuno bussa alla sua porta per reclamare un oggetto smarrito. Elena, un uragano di entuasiamo e parole, farà irruzione nella sua casa come un arcobaleno su uno sfondo grigio, e niente sarà più come prima. Michele cercherà con tutte le sue forze di tenerla fuori dal suo cuore, perché permetterle di entrare sarebbe un’implicita autorizzazione a ferirlo. Poi un altro evento rimescolerà le carte. Una sera come tante, sullo stesso treno di sempre, Michele ritroverà un oggetto che mai avrebbe pensato di rivedere: il suo taccuino rosso, quello che la madre portò con sé andando via di casa vent’anni prima. La ferita che sembrava rimarginata riprenderà a pulsare con forza sotto la cicatrice. Michele si rimetterà sulle tracce della madre ed Elena lo accompagnerà, a distanza, in questo difficoltoso viaggio

Una storia che parla di abbandono, di  esperienze traumatiche che determinano il corso di un’esistenza. Un libro che è un po’ una metafora del dolore, degli effetti devastanti che la deflagrazione di una perdita può produrre su chi resta. Perché quando qualcuno ti ferisce così profondamente da bambino, è come scavare un buco in un tronco giovane. Il segno rimarrà visibile per sempre.

Perché nessuno ritorna, anche se lo promette. Soprattutto se lo promette.

Un romanzo che mi ha emozionato tanto, in un crescendo di sentimenti sempre più complicati da gestire. Michele, con la sua ritrosia, le sue prigioni fatte di paure, il suo mondo in bianco e nero, la sua sofferenza così tangibile e reale, è un personaggio che suscita commozione e induce alla riflessione. Elena, al contrario, è colore, irruenza, vita non filtrata. Luce non priva di ombre, perché non esiste un unico modo per affrontare la sofferenza. Ognuno reagisce al dolore secondo personali e insondabili strategie di sopravvivenza. Di che colore sei? Chiede Elena a Michele. E Michele dovrà scoprirlo, ricominciando a vivere, a rischiare, a soffrire, ad abbandonare le confortevoli sfumature di grigio della sua vita. Perché non ci si può difendere dalla tristezza, senza difendersi anche dalla felicità.

La vita è sempre un rischio. Per chiunque.

Un esordio letterario assolutamente promettente, con un tocco fiabesco e una prosa scorrevole, che mi rende impaziente di scoprire la prossima storia che Salvatore Basile ci regalerà.

Stefania Mangiardi

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“L’arte nel sangue” – Bonnie MacBird

Per chi ama Artur Conan Doyle, la scelta di leggere un libro che abbia come protagonista Sherlock Holmes, scritto da qualcun altro, porta inevitabilmente con sé una massiccia dose di scetticismo.

Ma la cosa bella di approcciarsi ad un’opera con basse aspettative, è proprio la possibilità che queste vengano non solo colmate ma addirittura superate. E’ proprio quello che mi è successo con L’arte nel sangue di Bonnie MacBird (HarperCollins Italia, 2016). Sì, perché la MacBird, studiosa di Doyle e grande appassionata di Sherlock Holmes, conosce evidentemente il fatto suo e ci conduce in una storia degna delle classiche avventure di Watson e Holmes.

Innanzitutto ho apprezzato molto l’espediente iniziale, la prefazione in cui l’autrice racconta di aver trovato casualmente presso la Wellcome Library di Londra, all’interno di un vecchio trattato sull’uso della cocaina, alcuni appunti ingialliti di Watson. Pagine parzialmente scolorite nelle quali il dottore narrava una storia inedita, il cui protagonista era il suo amico Sherlock Holmes. Ed è proprio quella storia che l’autrice si appresta a riportare, ricostruendo le parti illeggibili nel modo più verosimile possibile.

La vicenda prende il via in un momento buio per il nostro investigatore. Reduce da una settimana di prigione e prostrato dall’assenza di nuovi stimoli in ambito lavorativo, Holmes viene trovato dall’amico Watson al 221B di Baker Street in condizioni preoccupanti. Emaciato, rifiuta il cibo e trova un fugace sollievo solo nella cocaina. Ma un nuovo caso busserà presto alla sua porta: Cerise La Victoire, celebre cabarettista francese, si rivolge a lui per ritrovare il suo bambino scomparso. Un caso privato, che però appare strettamente connesso ad una vicenda ben più nota, quella del furto di una statua greca dal valore inestimabile. Entrambe le piste, infatti, riportano sulle tracce del conte Pellingham, collezionista e facoltoso uomo d’affari inglese.

Da qui partirà l’indagine che si dipana tra la Francia e l’Inghilterra, tra le opere del Louvre e i vicoli di Londra, mentre Holmes ritroverà se stesso e la sua tempra, e il dottor Watson, da poco convolato a nozze, scoprirà di subire ancora il fascino del rischio e dell’avventura.

«Mi accorsi del vivo piacere che il mio amico traeva da quella situazione di serio pericolo. Negli occhi gli brillava l’emozione della caccia».

«Sfiorai la rivoltella, fredda e rassicurante nella mia tasca. Nonostante tutto, sentii il brivido dell’avventura crescermi dentro come una frenesia indesiderata».

Una storia ben costruita, non eccessivamente complessa ma per nulla prevedibile, fatta di pochi tasselli ma collocati tutti al posto giusto. Holmes appare come sempre metodico e razionale, attento ai dettagli e alle deduzioni, sebbene in questa avventura scopriremo un aspetto inedito della sua personalità. Emergeranno le sue fragilità, il suo amore per l’arte, il suo lato più vulnerabile, che scalfisce la corazza di freddezza che lo caratterizza. Ho amato molto questa luce nuova proiettata su Holmes, che lo rende più umano senza snaturare le sue caratteristiche e facendo emergere anche il profondo vincolo che lo lega a Watson. Watson, voce narrante, che si conferma il mio personaggio preferito, disposto a tutto per aiutare l’amico, affidabile e spesso incapace di mascherare le proprie emozioni.

Una indiscutibile fedeltà allo stile di Doyle, seppure con alcune palpabili variazioni. La prima riguarda la vena di modernità che percorre la scrittura, rendendola più fluida e scorrevole, senza intaccare il fascino delle descrizioni, che si rivelano accurate. La seconda è strettamente connessa all’influenza cinematografica che, per ammissione della stessa autrice, le ha impedito di scindere Holmes e Watson dagli attori che li hanno interpretati, portandola a rivedere i personaggi in una chiave più dinamica. Anch’io, da lettrice, ho avuto per tutto il tempo la sensazione di trovarmi davanti Robert Downey Jr. e Jude Law.

In conclusione non posso che consigliare questo libro agli amanti di Sherlock Holmes, che desiderano scoprire un lato inedito del celebre investigatore, ma anche ai neofiti in cerca un giallo piacevole e ben costruito.

Stefania Mangiardi

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I SEGRETI DELLA CASA SUL LAGO – KATE MORTON

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«Ricordava ancora l’amore, l’amore totalizzante che si prova da giovani, sebbene fosse ormai passato tanto tempo da allora. C’era bellezza in un amore come quello e, indubbiamente, pericolo».

Sadie è una detective e ha commesso un errore che non avrebbe dovuto compiere. Così adesso si trova in Cornovaglia, si è rifugiata a casa di nonno Bertie, per trascorrere un periodo di pausa forzata da Londra e dal lavoro. Mentre percorre una strada di campagna per la consueta corsa mattutina, si imbatte in qualcosa che attira la sua attenzione: una villa abbandonata, circondata da quello che un tempo era stato un giardino maestoso e che ora appare come una selva inestricabile.
Quella dimora abbandonata, in cui tazze di fine porcellana giacciono ancora sul tavolo sotto una spessa coltre di polvere e la vita sembra essersi congelata, sospesa come nella più terribile delle fiabe, attrae Sadie con un fascino inspiegabile. La giovane detective vuole saperne di più e ciò che scopre non fa che accrescere il suo desiderio di riportare la luce tra quelle vecchie mura: settant’anni prima, proprio in quella casa, un bambino è scomparso senza lasciare traccia. Gli Edevane, la famiglia che viveva a Loanneth, lasciarono la Cornovaglia dopo la tragedia per non farvi più ritorno. Ma cosa sarà accaduto in quella casa? E che fine avrà fatto il piccolo Theo, l’ultimo genito degli Edevane? Sadie è determinata a scoprire la verità e ignora che il suo desiderio di sapere la porterà in un viaggio a ritroso nel tempo, dove giacciono segreti che attendono di essere dissepolti.
Nel 1933 in quella casa si sta per celebrare il solstizio d’estate. Alice, la secondo genita degli Edevane, ha sedici anni e il cuore pieno di speranze. E’ innamorata di Ben, uno dei giardinieri della villa, e sogna di diventare una scrittrice. Ma ben presto un evento doloroso stravolgerà ogni cosa e niente sarà più come prima.

«L’erba folta, le ombre di una giornata d’estate di tanto tempo prima, le macchioline bianche delle margherite in primo piano. Un breve momento nella vita di una famiglia felice, immortalato prima che cambiasse tutto».

Kate Morton, scrittrice australiana laureata in letteratura inglese, è una delle autrici contemporanee che più amo e, ancora una volta, riesce a regalarci una storia intessuta con maestria, intrisa di emozioni, pervasa da un mistero che trova radici nel passato. La più grande abilità di questa autrice va ricercata nella sua capacità di prendere per mano il lettore, dissolvere i contorni del suo mondo e trasportarlo in luoghi e tempi lontani, dai quali si fatica a fare ritorno. Le descrizioni sono così dettagliate, poetiche e suggestive che durante la lettura si ha l’impressione di essere entrati in un affresco, di trovarsi nella Cornovaglia degli anni ’30, di passeggiare nel giardino di Loanneth, con le sue siepi fiorite e il lago che luccica placidamente sotto il tiepido sole di giugno, in un contesto così reale da indurre il lettore a provare nostalgia per luoghi e tempi mai vissuti. Come nei libri precedenti, si assiste alla presenza di due diversi piani temporali, il presente e il passato che si avvicendano, per comporre sotto gli occhi del lettore un mosaico che va via via prendendo forma, fino al tassello finale che lascia, come sempre, senza fiato. Un’altra costante dei suoi libri risiede nella presenza di figure femminili potenti, affascinanti ammantate da un’aurea che ammalia. In questo libro, tuttavia, anche le figure maschili ricevono maggiore spessore, risultano più approfondite e complesse rispetto ai libri precedenti in cui, a mio avviso, perivano all’ombra delle donne. Ho trovato alcune parti prolisse, la vicenda che riguarda Sadie e il suo temporaneo allontanamento dalla Polizia avrebbe forse potuto occupare meno spazio, senza dare così l’impressione di interrompere il filone principale della storia. Tuttavia la scrittura coinvolgente della Morton alleggerisce il peso delle pagine e non toglie il desiderio di arrivare fino in fondo. Non posso quindi che consigliare questo libro a chi ama i misteri, i sentimenti antichi, le epoche passate. I segreti della casa sul lago vi incanterà con le sue atmosfere cariche di fascino.

Stefania Mangiardi

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Dentro soffia il vento – Francesca Diotallevi

L’amore è il più complicato dei sentimenti.

Il più meschino e, allo stesso tempo, il più coraggioso.

Ho atteso Dentro soffia il vento con trepidazione, stregata dalla lettura de Le stanze buie, libro d’esordio di Francesca Diotallevi che mi ha introdotto nella scrittura matura, curata e suggestiva di questa autrice. Quando ho avuto tra le mani la mia copia, inviatami in anteprima dall’ufficio stampa Neri Pozza, invece di riporre il libro sullo scaffale come di consueto, l’ho tenuto sul comodino accanto al letto, in attesa di terminare il libro in lettura. Non lo avevo ancora iniziato ma non volevo già separarmene. Una sensazione che si è concretizzata e protratta non appena mi sono ritrovata nel piccolo villaggio incastonato tra i monti, Saint Rhémy, in Val d’Aosta, durante il primo conflitto mondiale.

Fiamma, la ragazza dagli occhi color del bosco e dai capelli rossi come il pelo della volpe che l’accompagna, è per tutti una strega. Vive da sola in un capanno tra la fitta vegetazione, ai margini della comunità, nell’abitazione che ha condiviso con la madre fino alla sua morte. Da quando Raphael, il suo unico amico, è partito per la guerra non facendovi ritorno, le giornate di Fiamma scorrono in completa solitudine. Gli abitanti del villaggio credono che dentro di lei scorra il sangue del demonio e la tengono a distanza. Di giorno. Perché di notte una processione silenziosa si avvicenda alla sua porta. Gli abitanti di Saint Rhémy, protetti dall’oscurità, si rivolgono a Fiamma per ricevere i decotti curativi che lei, avviata a quest’arte dalla madre, prepara servendosi di fiori ed erbe.

Mia madre lo diceva sempre: non basta il cuore a sconfiggere l’ignoranza e la superstizione.

Raphael, l’amico che sapeva comprenderla e starle accanto come nessuno, ha lasciato un grande vuoto nel suo cuore, ma la sua assenza non è per lei l’unica fonte di tormento. Yann, il fratello di Raph, sembra provare per lei un odio quasi palpabile, sentimento che Fiamma teme più di ogni altra cosa.

La narrazione viene affidata a tre diverse voci: quella di Fiamma, di Yann e di Agape, il nuovo reverendo giunto nel villaggio per sostituire l’anziano parroco, don Jacques. I loro punti di vista si avvicendano, trasportandoci in questo viaggio tra la neve, i boschi, le superstizioni e gli amori, di una storia che avvince e conquista il lettore. Lo stile di Francesca si conferma superbo. Descrizioni curate e suggestive, con un ritmo caldo e avvolgente che ricorda le storie raccontate intorno al bagliore di un focolare. Un libro di cui ho amato ogni cosa: i personaggi con le loro debolezze, che si annidano tra le pieghe di anime stropicciate dalla vita, i luoghi intrisi di personalità, la cura per i dettagli, cesellati con maestria, la descrizione dei sentimenti: vivi, palpitanti, poetici. L’amore ineluttabile, quello che ti sceglie e non lascia via d’uscita. L’amore che vince su tutto, anche sui pregiudizi più difficili da sradicare.

L’amore non si insegna, è l’unica cosa che non posso spiegarti. Non posso dirti quali battaglie combattere, dovrai capirlo da sola e non sarà facile. L’amore non lo è mai, richiede coraggio e tenacia. Non si sceglie, è sempre lui che sceglie te.

Impossibile per il lettore non rimanere avviluppato nella storia, non empatizzare con i turbamenti che colorano le pagine, non lasciarsi coinvolgere e commuovere. Un insieme che non fa che confermare la bravura di questa autrice che, ne sono certa, continuerà a regalarci emozioni tramutate in carta.

La sera in cui ho terminato, tra le lacrime, questo libro, il cielo della notte era tinto di viola. Mentre percorrevo in macchina il tragitto che mi separa dalla casa in campagna dei miei genitori, i personaggi che turbinavano ancora nella mia mente, ho intravisto tra le sterpaglie una coda fulva. Ribes, ho pensato senza rifletterci. In quel momento ho capito che ci sono storie che scivolano via ed altre destinate a conquistarsi un pezzetto di cuore.

Fiamma non mi avrebbe abbandonato.

Stefania Mangiardi

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La lettrice – Annie François

Il lettore in apnea è imprevedibile: un bacetto sul collo può farlo saltare fino al soffitto. È un asociale, solitario, una sorta di autistico. Provate ad impedirgli di finire il paragrafo. La persona più affabile va in bestia. Fino a quando un lettore non ha posato il libro di sua spontanea volontà, è un essere potenzialmente pericoloso.

La lettrice, a metà tra un diario e un saggio, racconta la passione sfrenata di Annie François, editor parigina, per i libri.

Passione che accomuna tutti i bibliofili, tutti coloro che vivono di storie, quelli che senza un libro tra le mani proprio non ci sanno stare.

Tra le pagine di questo libro ogni lettore potrà trovare un pezzetto di sé, riconoscendo manie ed idiosincrasie, abitudini irrazionali e gioie segrete che solo gli amanti dei libri possono comprendere.

E allora scoprirete di non essere gli unici a non riuscire a prendere sonno senza aver letto almeno una riga:

Devo sempre leggere prima di addormentarmi. Anche alle quattro del mattino ho bisogno della mia dose. Incapace di fermarmi alla fine del capitolo, del paragrafo o della riga, mi blocco a mezza frase, stecchita.

a1hlAmeA tremare temendo che un conoscente chieda in prestito uno dei libri che più amate:

Chi non ha temuto l’occhio curioso, il dito che scorre sui dorsi e che si ferma? Ecco. Il libro è condannato. Non lo rivedremo più. Ci piange il cuore. Non quello. Non a lui, non a lei, che non restituiscono mai niente o Dio sa quando.

A sentire l’esigenza compulsiva di acquistare nuovi titoli, anche quando molti altri attendono di essere letti e le finanze non lo consentirebbero:

Come il bulimico evita di passare davanti alle pasticcerie, mi distolgo dalla vetrina delle librerie per evitare di farmi prendere dalla golosità, evitare gli acquisti compulsivi che servirebbero soltanto ad accrescere l’immensa pila in attesa che vacilla accanto al letto: di sicuro le opere si vendicherebbero franandomi addosso durante il sonno.

In un susseguirsi di capitoli lapidari, l’autrice espone, sotto forma di appunti personali, ogni implicazione dell’essere un bibliofilo. Ogni aspetto del libro viene sviscerato e analizzato, dalla fascetta promozionale, usata puntualmente come segnalibro, all’abitudine di affondare il naso tra le pagine per aspirarne l’essenza, alla repellenza per il codice a barre che come un graffio marchia il lettore, lo riduce al ruolo di volgare consumatore prigioniero di un mercato.

E poi scopriamo chi sono i lettori, cosa li spinge ad accumulare volumi su volumi, ad anteporre la lettura ad altre attività, in un’indagine non esente da ironia e critiche.

Perché anche la lettura può diventare indigesta quando ci si dimentica del mondo circostante.

Tutti questi personaggi, queste bestie, queste nuvole, queste tragedie, questi paesaggi, queste avventure sordide o magnifiche mi soffocano. Perché questi giochetti di sostituzione, questi viaggi di carta, questi surrogati di passione, di delitto? Voglio vivere. Sottrarmi alla tirannia della loro finzione. 

Alcuni passaggi sono addirittura imbarazzanti perché, ammettiamolo, la bibliofagia, come ogni altra dipendenza, può rasentare il ridicolo. Inevitabile riflettere su cosa penserebbe un osservatore esterno vendendoci in preda ad una crisi di panico per aver dimenticato il nostro libro nella valigia già imbarcata, oppure trovandoci talmente assorti nella lettura da non riuscire a recepire nulla di ciò che ci accade intorno.

Un vademecum del lettore, come avrete intuito, i cui limiti sono strettamente connessi alla sua francesità. L’autrice, infatti, infarcisce il testo di molteplici riferimenti appartenenti al mondo culturale e letterario francese, decisione che a mio avviso rende il testo eccessivamente contestualizzato.

Nonostante ciò non posso che consigliare questo volumetto a chi ama la lettura e il libro inteso come oggetto in sé, oltre che per la storia che custodisce. Sono certa che troverete tra le pagine un pezzetto di voi e della vostra meravigliosa follia.

Stefania Mangiardi

[immagine tratta da Google immagini]

La tristezza ha il sonno leggero – Lorenzo Marone

Ci sono libri difficili da spiegare, perché difficile è districare la matassa di emozioni che generano dentro. La tristezza ha il sonno leggero è uno di questi. Un libro che non è solo una storia, una storia che non è solo una sequenza di parole, perché all’interno c’è un ingrediente che trasfigura ogni sillaba in qualcosa di più: la vita.

La vita è quello che troviamo tra le pagine del nuovo libro di Lorenzo Marone, edito Longanesi. La vita vera, quella che non fa sconti, che non protegge dai dolori, che non asseconda i desideri, e che pure sa stupire.

la-tristezza-ha-il-sonno-leggero-lorenzo-marone-la-chiave-di-sophiaErri Gargiulo, quarant’anni e figlio a metà. I suoi genitori, Raffaele e Renata, decidono di separarsi quando ha solo cinque anni e, come tutti i bambini, una fragile sfera piena di sogni e speranze. E’ proprio in quel momento, mentre il piccolo Erri si trova accovacciato contro il muro con gli occhi chiusi e un nodo  che serra lo stomaco, che la sua sfera va in frantumi. Suo padre, qualche mese dopo, parte per la Spagna, per fare ritorno a Napoli anni dopo, con un’avvenente moglie andalusa, Rosalinda, e una figlia in arrivo, Flor. Erri Rimane con la madre, che dopo alcune relazioni sbagliate sposerà Mario, un ingegnere dal buon cuore, già padre di una bambina, Arianna. Renata e Mario avranno, insieme, altri due figli, Valerio e Giovanni. Siete confusi? Pensate ad Erri, cresciuto in due famiglie che gli appartengono solo a metà. E mozzata appare anche la sua felicità, sempre amputata dall’assenza di uno dei due genitori e dal non sentirsi mai completamente parte di nulla. A questo aggiungete una madre rigida, autoritaria e poco propensa alle tenerezze, e un padre introverso e distaccato.

La mia condizione di bambino con due famiglie, due case, due padri, una madre e mezza e non so più quanti fratelli, mi aveva spogliato del ruolo di figlio, della sensazione che i bambini provano nella pancia senza nemmeno saperlo, un insieme di coraggio e forza che nascono quando ci si sente importanti, al centro dell’attenzione dei propri familiari. Io, quella forza, semplicemente non l’avevo.

Questo, il bagaglio pesante che ha curvato nel tempo le spalle di Erri, privandolo del coraggio necessario per portare avanti i suoi sogni, costringendolo a vivere in difesa, per ripararsi dal dolore e, così, anche dalla felicità.

Felicità che sembra avergli voltato completamente le spalle quando la moglie, Matilde, decide di lasciarlo per un collega, dopo anni in cui hanno tentato, e desiderato, di mettere al mondo un bambino.

Sarà proprio questo evento che porterà Erri ad analizzare la sua vita, a mettersi di nuovo in gioco, a porsi domande scomode, cercando le risposte nei cassetti della sua esistenza.

I cassetti verranno aperti uno ad uno, in forma di flashback e digressioni, nel corso di una lunga cena di famiglia, dove insieme alle pietanze servite dalla domestica indiana, troveremo ingredienti inaspettati: rimorsi, dolori, frasi non dette, verità malcelate, speranze sfumate, riflessioni esistenziali, apparenze falsate.

Erri entrerà lentamente nel cuore del lettore, con i suoi limiti, le sue tristi consapevolezze e la lucida indagine a cui sottopone se stesso e gli altri, un’analisi limpida, a volte severa, ma che non tralascia mai il cuore.
Chissà perché, nella vita, più si va avanti, più si tende a eliminare qualcosa: prima i baci, poi le carezze, gli abbracci e, infine, le parole. Invece, bisognerebbe aggiungere. Sempre.

Dopo aver letto, e amato tantissimo, La tentazione di essere felici, primo libro dell’autore, aspettavo con ansia questa seconda pubblicazione che, tuttavia, non sarei riuscita ad immaginare così densa di emozioni. Ho ritrovato la scrittura calda di Lorenzo, la sua capacità di affrescare i personaggi tramutandoli in persone che, in questo grande romanzo corale, non era un’impresa semplice.

Tanti i temi che coinvolgono il lettore: il rapporto genitori/figli, la famiglia allargata, il desiderio di un figlio, la speranza, le aspirazioni personali.

La matita ha accompagnato il mio viaggio nel mondo di Erri perché di cose da ricordare, lui ce ne dispensa tantissime. Due su tutte. La prima riguarda il dolore. La sofferenza è una tempesta che ci stravolge, ci disorienta e ci smarrisce come naufraghi, ma l’isola deserta siamo spesso noi a sceglierla. Ignorando le tante cose belle che pure, nella loro candida semplicità, costellano la nostra vita.

La seconda ci riporta ai sogni. Non è mai troppo tardi per ricominciare a sognare, e se la vita ci pone davanti un ostacolo forse è solo un segnale più forte e inequivocabile di tutti quelli che fino a quel momento abbiamo ignorato. E’ lo scossone che ci serviva per imboccare una strada nuova che magari non sarà lastricata d’oro, ma potrà comunque insegnarci a brillare.

Un romanzo che consiglio oggi e continuerò a consigliare in futuro perché, per quanto mi riguarda, questo libro ha un potere magico: ognuno di voi troverà all’interno un pezzetto di sé. Lo troverà, perché dentro questo libro c’è la vita vera.

Diciamocelo: se c’è una cosa che fa proprio paura è la felicità. Non sai mai quando arriva.
E, soprattutto, quando se ne va.

Stefania Mangiardi

[immagine tratta da Google immagini]