La nascita della filosofia secondo Giorgio Colli

Nell’immaginario collettivo, quando si pensa a un classico della filosofia, si è portati a pensare a un qualche complicato trattato, corposo sia nella sostanza che nella lunghezza. Oppure a un qualche antico libro di un autore di diversi secoli fa, che risulta tutt’oggi contemporaneo al comune pensare e sentire.

Spesso a rientrare nell’insieme dei classici, meriterebbero di starci anche quei testi apparentemente secondari, ma che si rivelano poi capaci di aver racchiuso in poche pagine un sentire e pensare decisivi per un’epoca. Nel panorama variegato della filosofia italiana contemporanea, diversi sono stati gli autori e i testi che si sono imposti poi come classici del pensiero. Tra questi sta sicuramente la figura e l’opera di Giorgio Colli (1917-1979).

Colli, studioso dei filosofi antichi, filologo, traduttore e storico della filosofia, ha consolidato la sua posizione culturale di estremo prestigio al di fuori dei canoni che la cultura italiana del dopoguerra identificava come campo della filosofia. Eppure, moltissimi dei suoi spunti e delle sue indicazioni sono divenute oggi importantissimi riferimenti culturali.

Il suo La nascita della filosofia (1975) costituisce tra i suoi scritti una piccola ma intensa pietra miliare, che pone le basi sul suo pensiero in materia di filosofia antica e al contempo si pone come riferimento italiano di quella tradizione che vede la filosofia socratico-platonica non come origine del pensiero, ma come suo declino al cospetto di una tradizione precedente ben più profonda.

Se infatti Socrate e Platone sono riconosciuti come i principali cardini della filosofia antica e di tutto il pensiero filosofico occidentale, Colli sente di dover tornare e reinterpretare quelle fonti molto più antiche di sapere che solo molto dopo sono divenute quella che oggi ancora riconosciamo come filosofia moderna.

La filosofia, per Colli, ha le sue radici nell’antico culto degli dei, specialmente in Apollo e Dioniso (interpretati però diversamente da Nietzsche). Gli dei si esprimono con gli uomini lanciando enigmi – caratteristica che risuona per Colli nell’etimologia di “Apollo” – e questi enigmi gettano l’uomo in quella mania (pazzia) da cui la filosofia nasce, che è «matrice della sapienza» (G. Colli, La nascita della filosofia, 1975):

«Attraverso l’oracolo, Apollo impone all’uomo la moderazione, mentre lui stesso è smoderato, lo esorta al controllo di sé, mentre lui si manifesta attraverso un “pathos” incontrollato: con ciò il dio sfida l’uomo, lo provoca, lo istiga quasi a disubbidirgli. Tale ambiguità si imprime nella parola dell’oracolo, ne fa un enigma» (ibidem).

In questo folle dialogo tra dei e uomini accade il pensiero filosofico, che consiste nel tentativo da parte dell’uomo di sciogliere i suoi enigmi attraverso l’interpretazione dei segni divini. Avvicinarsi e comprendere l’essenza della filosofia significa dunque ritornare in quell’atmosfera sacrale dell’antica Grecia che precede i filosofi modernamente intesi e connettersi nuovamente alla dimensione divina dell’enigma.

Come si sviluppa la filosofia successiva, cos’è che cambia? Al venir meno della vicinanza con la divinità, l’uomo sostituisce gli dei agli uomini. L’interpretazione volta al risolvimento dell’enigma diventa dunque dialettica, interlocuzione tra uomini: è il momento socratico-platonico che avviene dunque nello scenario di una morte di dio ante litteram:

«Un passo ancora, cade lo sfondo religioso, e viene in primo piano l’agonismo, la lotta di due uomini per la conoscenza: non sono più divinatori, sono sapienti, o meglio combattono per conquistare il titolo di sapiente» (ibidem).

L’interpretazione di una filosofia in decadenza nell’epoca di Socrate, Platone e Aristotele, nonché nell’epoca della sofistica e delle correnti successive che hanno portato alla struttura culturale occidentale odierna, non era certo così diffusa nel corso del Novecento, se non in quei pensatori e quegli ambienti che avrebbero dovuto ancora attendere per trovare ascolto. Anche Nietzsche insistette per rivolgere lo sguardo a prima di Socrate; allo stesso modo Heidegger, Severino in Italia e tutti i pensatori che hanno sentito la necessità di ritornare ai culti misterici, all’orfismo, ai poeti lirici, ai Sette Savi, alle dottrine non scritte di Platone, per rievocare una dimensione più autentica del pensiero e del rapporto tra uomo e mondo.

Il pensiero di Giorgio Colli, anche attraverso le preziose pagine de La nascita della filosofia, è un piccolo punto di riferimento per chiunque voglia intrecciare nuovamente i fili del pensiero e del divino, della dimensione che precede ogni insegnamento, ricerca, disciplina e trova la sua linfa solo nell’intimo rapporto dell’uomo solo davanti all’essere.

 

Luca Mauceri

[Photo credit Unsplash]

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Libri selezionati per voi: aprile 2018!

Finalmente la primavera è arrivata: il sole comincia ad alzarsi deciso, la natura si risveglia e i nostri occhi si riempiono di mille colori. Se state programmando le pulizie di primavera non dimenticate di spolverare i libri che decorano il vostro salotto… E concedetevi una pausa letteraria con uno di loro, o con una della nostre proposte.

 

ROMANZI CONTEMPORANEI

sveva-casati-modignani_la-chiave-di-sophiaVaniglia e cioccolato – Sveva Casati Modignani (2013)

Due gusti diversi che si legano bene insieme. Così anche Penelope e Andrea, sposati da diciotto anni e con tre figli. Tuttavia, la magica alchimia si spezza e lei, delusa e umiliata dalle scappatelle del marito, decide di andarsene con una lettera volta a spiegare il suo desiderio di fuga. Penelope dà così inizio ad un cambiamento esistenziale che lascia Andrea ad occuparsi della famiglia e ad affrontare le sue inadempienze coniugali. Per entrambi diviene l’occasione di scavare profondamente dentro loro stessi, con spietata sincerità.

 

a-parigi-con-colette_la-chiave-di-sophiaA Parigi con Colette – Angelo Molica Franco (2018)

Come ogni persona che dalla provincia si trasferisce in città, anche il rapporto di Sidonie-Gabrielle Colette con Parigi è profondo, quasi viscerale. La ville Lumière, insieme con la scrittrice Colette, è la protagonista del romanzo stesso. Una città affascinante in un periodo, quello della Belle Époque, in cui tutto sembrava possibile da realizzare. Una città in cui tutto inizia e tutto si compie. Qui Colette diverrà la scrittrice più apprezzata del suo tempo, amante della libertà e dei salotti della capitale.

 

UN CLASSICO

Schiave-di-sophia-sei-personaggi-in-cerca-dautore-pirandelloei personaggi in cerca d’autore – Luigi Pirandello (1921)

Chi ama le pièce teatrali ricche di ironia, morale e riflessione non può dimenticare di leggere i Sei personaggi in cerca d’autore di Luigi Pirandello, un racconto che coniuga gli elementi linguistici di carattere dialogico ad una narrazione vivace e sbarazzina. In un’ambientazione che ha il sapore dell’indeterminato sei personaggi rifiutati cercano disperatamente un capocomico che voglia inscenare la loro vicenda: una storia ricca di drammi, amore, dolore, come potrebbe essere quella vissuta da ognuno di noi. Un’opera che sperimenta la tecnica del teatro nel teatro e che mette a nudo l’essenza della vita quotidiana secondo l’autore: un’inspiegabile commedia nel quale il singolo è chiamato a recitare una parte.

SAGGISTICA

chiave-di-sophia-misure-dellanima-perche-disuguaglianze-rendono-societa-infeliciLa misura dell’anima. Perché le diseguaglianze rendono le società più infelici – Kate Pickett, Richard Wilkinson

Una ricerca complessa e profonda di Kate Pickett e Richard Wilkinson in merito alle diseguaglianze. Il testo è frutto di studi condotti attraverso gli anni riguardo le cause e le implicazioni che la sperequazione dei redditi porta alle varie società. Il dato di diseguaglianza, in particolare quella economica, si riscopre essere alla base di molteplici disagi sociali quali stress, obesità, devianza riproponendo il binomio weberiano di economia e società secondo una stretta relazione dialettica. Un saggio prezioso, ricco di riferimenti e dati che possono far risvegliare la coscienza collettiva.

JUNIOR

chiave-di-sophia-consigli-alle-bambineConsigli alle bambine – Mark Twain, Vladimir Radunsky

Il titolo parla da solo: all’interno di questo libro veloce da leggere troverete una serie di consigli per ottenere delle ragazze a modo. E che modo! Scritto dal conosciutissimo Mark Twain più di un secolo fa, il testo è spassoso e talvolta irriverente. Ideale per un momento di lettura animata, quest’album illustrato è adatto a tutti, maschietti e femminucce, dai tre ai cinque anni. Se ben interpretato, il divertimento è assicurato!

chiave-di-sophia-topo-uccello-serpente-lupoTopo uccello serpente lupo – David Almond, Dave McKean

Un fumetto per i ragazzi della seconda fascia d’età della scuola primaria. In questa storia troverete degli Dei fannulloni che non creano più nulla poiché sono troppo impegnati a banchettare e a contemplare ciò a cui hanno già dato vita. E conoscerete tre ragazzi, che invece considerano il mondo incompleto e che auspicano l’esistenza di nuove forme di vita, come un topo, un uccello, un serpente e un lupo.

 

Sonia Cominassi, Anna Tieppo, Alvise Gasparini, Federica Bonisiol

 

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Iperione e la ricerca dell’armonia della natura

Vi parlerò di un viaggio, ma non un viaggio come tutti.

Si racconta della vita di un ragazzo che diviene allievo, amico, soldato che lotta per degli ideali, innamorato ed infine eremita. La bellezza al centro del mondo, dell’esistenza, viene esperita in qualsiasi forma. È così che l’eroe scopre che la prima creatura della bellezza è l’arte, così come la seconda è la religione, che è amore della bellezza. E poi la poesia comprende e accoglie tutti i suoi gradi, poiché il giovane ritrova in essa l’essere infinito, eterno e divino, che si vuole ricercare attraverso il pensiero filosofico. La natura, in cui regna sovrana la pace e la divinità, riempie di serenità la mente e l’anima del protagonista e lo consola donandogli quiete e la felicità perduta. L’ardore giovanile infuoca il cuore dell’eroe che sente di dover agire per la difesa e il bene della sua patria e affronta con coraggio battaglie in nome della libertà e della giustizia. E l’amore, l’amore lo educa nella gentilezza, nel vedere quella bellezza nascosta, intrinseca perfezione nell’apparente caos. Ed ecco che posso svelare almeno il nome di colei che è capace di riportare nella luce un eroe smarrito nelle sue guerre contro la caducità del tempo e le ingiustizie umane: Diotima. Come scrive Giovanni Amoretti, Diotima sa essere donna in casa, come sa essere la donna del suo amato nel partecipare alla vita di lui, nello spronarlo nell’azione, nell’amarlo in modo tale da modificare il suo sentire, il suo modo di vivere, il suo rapporto con la natura1. È personalmente una delle figure più interessanti del racconto che sprigiona una luce rara, di un valore inestimabile, di cui si loda l’equilibrio e lo splendore, non solo fisico, ma intellettuale.

«Che cosa è tutto quello che, nei millenni, gli uomini hanno compiuto e pensato di fronte a un solo istante d’amore?»2. Questo scopre il giovane protagonista durante la vita. E alla fine si rende conto che «la conducono tutti i gradini, sulla soglia della vita, di là veniamo e colà diveniamo»3.

Quello che sarebbe bello omettere a questo punto è che si tratta di una tragedia. In qualche modo questo sogno idilliaco si infrange in un lutto che fa cadere nella sofferenza e nel dolore il nostro eroe. Solo il ritorno in patria, l’amata Grecia e la solitudine nella natura risveglierà la volontà di vita e la speranza nei suoi occhi. Tutto torna al proprio posto e ritorna l’essere note in accordo con l’armonia della natura.

«O anima! Bellezza del mondo! Tu indistruttibile! Tu affascinante! Con la tua eterna giovinezza, tu esisti; che cosa è, pertanto, la morte e tutto il dolore degli uomini? Quante vane parole hanno inventato gli uomini strani. Tutto avviene per effetto di un desiderio e tutto termina nella pace»4.

Altro non posso raccontarvi di questa storia, ma è arrivato il tempo per svelarvi il titolo.

Iperione di Friedrich Hölderlin è tutto questo e molto di più, lasciatevi trasportare in questa esperienza poetica. Iperione o l’eremita in Grecia5 è per lettori coraggiosi, che ricercano l’entusiasmo in questa vita che in tanti momenti può essere grigia. Questo romanzo epistolare rappresenta la speranza e la bellezza stessa della forza dell’amore puro che può travolgere tutto, ed è ancora una volta essere il motore del mondo.

 

Azzurra Gianotto

NOTE
1. Nota di F. Hölderlin, Iperione, Universale Economica Feltrinelli, Milano 2009, p.74
2. Ivi, p.76
3. Ibidem
4. Ivi, p. 178
5. In lingua originale: Hyperion oder der Eremit in Griechenland

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Il “Trattato del ribelle” e il senso di Jünger per la rivoluzione

Nonostante lo avrebbe potuto dire qualsiasi uomo di qualsiasi epoca, quelli che viviamo non sono tempi semplici. Confermiamo quindi a tutti gli uomini del passato che a livello di malessere o disordine percepito il mondo non è cambiato troppo, pur non volendo essere sfascisti e pessimisti.

I tempi attuali vedono le parti del mondo cercare di unirsi, capirsi, connettersi in tentativi goffi e guadagnando terreno solo se da un lato lo si è perso. Per questo abbiamo sia la sensazione che il livello di benessere attuale non sia mai stato raggiunto, sia che essendo aumentato per certi aspetti, molti altri minacciano la nostra quiete quotidiana. Senza contare che uscendo dai parametri occidentali, la situazione di benessere cala enormemente.

È indubbio dunque che a più livelli si respiri una certa voglia di ribellione, di sfogo, di sistemazione di qualcosa che si percepisce come rotto o sbagliato.

Assistiamo allora alla riscoperta di pensieri, atteggiamenti e azioni che vogliono sovvertire ciò che non va o che è visto come nemico. Allo stesso tempo però ci sembra che l’unico modo di reagire a questa situazione sia quello della rumorosa e disorganizzata aggregazione di idee mal pensate e persone confuse. Può esistere un modo di pensare e agire che possegga la forza del cambiamento ma che sia alternativa alla linea solitamente intrapresa?

Uno dei massimi esempi e delle più intense ispirazioni al riguardo ci giunge dal Trattato del ribelle di quell’anima visionaria e unica che è stata Ernst Jünger. Il titolo originale dell’opera è Der Waldgang, che si traduce con “colui che passa al bosco”. Il libro di Jünger, pensato sui postumi del nazismo, ha voluto dipingere l’aspetto dell’«uomo concreto che agisce nel caso concreto», dissociato dalla massa ipnotizzata e che riesce a riacquisire i propri tratti individuali originari.

Anche oggi di fronte al caos che fronteggiamo su più fronti – personalmente, socialmente, politicamente – avvertiamo una palese chiamata alle cosiddette azioni “concrete” o “pratiche”, che tolgano l’uomo contemporaneo dalla fanghiglia di una società che non lo rispecchia (ma che comunque e allo stesso tempo contribuisce a creare): le forme del populismo chiassoso, degli attacchi alle poche certezze (si pensi alla odierna delegittimazione della scienza attuata da elementi e forze politiche pseudo-innovative), cercano di porsi come forze nuove e sovvertitrici verso un ordine sovrano.

Chi non sopporta il maleodorante odore di quest’atmosfera, ma vorrebbe comunque dar vita alle proprie energie e alle istanze di cambiamento, in che modo può sfogarsi e riconoscersi al di fuori del proprio mondo privato?

Jünger suggerisce, con le solenni e leggere parole che hanno animato una intera generazione intellettuale a lui contemporanea, che proprio nel mondo privato e interiore riesce a insinuarsi l’idea guida per il cambiamento vero: che solo nel solitario e silenzioso ritiro e raccolta delle proprie «risorse più profonde»1  sta l’inizio di una vera rivoluzione. Rivoluzione che traendo linfa dalla dimenticata forza della memoria e del ricordo delle fonti vitali originarie che l’uomo contemporaneo ha barattato per la corsa alla «hybris del progresso»2, assume i caratteri di una «restaurazione conservativa»3.

«Passare al bosco» significa appunto questo: riallacciare i contatti con se stessi attraverso una pratica riflessiva, di pensiero, che vada sì «oltre i confini della meditazione»4, ma che sia anche «una tattica di guerra» e di azione per il cambiamento. Tornare alla terra non significa affatto ritrovare un rapporto perduto con la natura per rinnovare il proprio essere e distoglierlo da quello storico-mondano, ma «preparare gli uomini al viaggio che li porta nelle tenebre e nell’ignoto»5, andando oltre la dialettica della folla incapace e inconcludente, proprio per ricostruire una mondanità che sia realmente a dimensione d’uomo e che con colui sappia autenticamente dialogare.

Per un’azione che sia reale, efficace, profonda, è necessario che reale e profondo sia il soggetto da cui fiorisce.

 

Luca Mauceri

NOTE:
1. Ernst Jünger, Trattato del ribelle, Adelphi, Milano, 2012, p. 41.
2. Ivi, p. 45.
3. Ivi, p. 55.
4. Ivi, p. 9.
5. Ivi, p. 86.

 

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Intervista a Piero Dorfles: verso un’etica della consapevolezza dell’informazione

In un’epoca in cui l’informazione, il giornalismo e l’editoria stanno cambiando velocemente e radicalmente, è necessario prendere consapevolezza di tale cambiamento, che inevitalmente si sta ripercuotendo su tutti noi lettori. Siamo davvero sicuri di essere lettori consapevoli? Consapevoli di ciò che leggiamo, di ciò che ci viene fatto vedere alla televisione o sentire alla radio? Sappiamo davvero distinguere se il libro che abbiamo tra le mani è un prodotto di qualità oppure è frutto di un mercato monopolizzato dai grandi gruppi editoriali?

Per rispondere a queste domande, abbiamo voluto riflettere sullo stato attuale del giornalismo, dell’editoria e dell’informazione con Piero Dorfles, giornalista e critico letterario tra i più affermati in Italia, responsabile dei serivzi culturali del Giornale Radio Rai e conduttore del programma televisivo Per un Pungo di libri di Rai3. Autore di diversi libri, tra i quali: Atlante della radio e della televisione (Nuova ERI 1988), Carosello (Il Mulino 1998) e Il ritorno del dinosauro, una difesa della cultura (Garzanti libri 2010). 

Attraverso  I cento libri che rendono più ricca la nostra vita, (Garzanti Libri, 2014), Piero Dorfles è convinto che i grandi classici possano dirci e insegnarci molto sul mondo contemporaneo, dimostrandoci come la letteratura spesso anticipa il tempo. Ma il grande classico non è un libro per ‘intrattenersi’, è un libro che bisogna imparare a lettere, con esercizio e con lo spirito di chi vuole andare avanti e indietro nel tempo. Così se, l’impiegato Gregor Samsa ne La metamoforsi di Kafka, trasformato in un insetto mostruoso e rifiutato dalla sua stessa famiglia, rispeccha la condanna di tutte quelle persone che non riescono a sintonizzarsi con i comportamenti dettati e codificati dal mondo, Capitano Nemo in Ventimila leghe sotto i mari di Jules Verne è simbolo di coloro che sono sempre alla ricerca di una rivincita sul mondo, e ancora, se nelle pagine del Ritratto di Dorian Grey di oscar Wilde ritroviamo quella paura di invecchiare così presente nel nostro tempo, in Giovanni Drogo nel Deserto dei Tartari di Dino Buzzati ritroviamo l’uomo che, intrappolato nel rispetto e obbiedenza delle regole imposte dalle istituzioni, si brucia gli anni migliori della vita.

Come diventare dunque, lettori coscienti e lettori del mondo? Lo capiamo dalla parole di Piero Dorfles.

Sulla base della sua esperienza di giornalista, a suo avviso, quali sono i principali punti di debolezza del giornalismo italiano oggi, non solo da un punto di vista editoriale, ma anche del trattamento delle notizie da parte dei giornalisti?

Dire qual è il problema tecnico secondo me è secondario, perché in realtà in Italia abbiamo anche ottimi giornalisti che sanno fare benissimo il loro mestiere; il problema secondo me non è dei giornalisti ma della politica editoriale dei mezzi di comunicazione, siano essi radiofonici, televisivi o a stampa. Noi viviamo un periodo in cui la confusione prodotta dall’estensione dei grandi partiti di massa ha prodotto un atteggiamento molto distaccato della gente e delle comunicazioni di massa nei confronti dei grandi problemi che stiamo vivendo, e dall’altra parte la preminenza di una visione commerciale (sia per quanto riguarda la produzione culturale che per quanto riguarda la produzione di massa) tende a dominare come principio informatore tutto quello che noi facciamo. Ecco perché io credo che il problema non sia tanto di valutare se per esempio i giornalisti siano capaci di fare quello che una volta era la grande inchiesta e di “consumarsi le scarpe”, quanto piuttosto che cosa gli chiedono in redazione: se l’editore chiede al direttore copie, e se il direttore capisce che per vendere bisogna andare incontro agli istinti più bassi del pubblico, considerando che questo comporta non l’approfondimento ma la superficialità, noi di conseguenza avremo giornali, televisioni e radio superficiali; che dentro i giornali ci siano persone di grande qualità purtroppo vale poco.

A proposito di tecnologie e social media: il web e i social network hanno rivoluzionato il modo di fare giornalismo ma anche il modo di fruire l’informazione. Anche l’informazione deve spesso sottostare alle rigide dinamiche e regole del web e molto spesso le notizie arrivano prima nei canali social che non alla televisione o sui giornali. Com’è cambiato il giornalismo nel suo rapporto con il web e con i social network?

È cambiato sicuramente in modo radicale, ma non solo perché ci sono i social network: il meccanismo di comunicazione in rete ha prodotto da un lato una accelerazione della comunicazione e dall’altro una forte semplificazione dei rapporti tra fruitori e produttori dell’informazione, i cosiddetti prosumers o prousers, così definiti da degli scienziati americani. Essi sono i veri informatori di oggi: qualsiasi cosa succeda per la strada dopo pochi minuti in una redazione arriva l’sms o l’mms con le immagini o addirittura il filmato di quello che è accaduto, prima che qualunque troupe si possa spostare o un giornalista esca di casa. Questo naturalmente cambia sostanzialmente la velocità dei rapporti con le cose.

L’informazione però non è fatta solo di nudi facti ma è fatta anche delle informazioni necessarie ad inquadrarli, a capirli e a spiegarli; se c’è qualcosa che la rete purtroppo sta facendo è di erodere questa seconda parte del prodotto informativo e che è fondamentale per capire cosa abbiamo intorno a noi nel mondo. Sostanzialmente noi viviamo in un momento in cui il flusso d’informazioni è frenetico, ma la capacità di spiegarle, interpretarle ed inquadrarle sistematicamente diventa ogni giorno più modesta; questo cambiamento che ipoteticamente poteva essere un formidabile strumento di democratizzazione della conoscenza e dell’informazione rischia invece di essere qualcosa che toglie alla grande maggioranza della gente che non legge i giornali e le riviste le informazioni necessarie a inquadrare il mondo in cui viviamo con sufficiente lucidità.

L’editoria è in continua evoluzione e con essa anche i generi letterari. A suo parere il web e il digitale hanno in qualche modo “obbligato” gli scrittori e autori a nuovi parametri e stili di scrittura? Un contenuto perché sia leggibile e visualizzabile sembra dover avere per forza determinate caratteristiche e seguire determinate regole del web. Cosa pensa a proposito?

La mia risposta sarebbe “no”, e potrei anche fermarmi qui. Però vorrei aggiungere che in realtà se c’è una cosa che non ha funzionato è il concetto di lettura elettronica, perché il vero lettore tutto sommato non vuole soltanto avere l’intrattenimento che un libro ha nei tempi più veloce possibili, vuole anche avere il libro, in quanto non cosa fisica ma strumento materiale sul quale ritrovare emozioni, storie, scrittura, che rimane lì, per tutta la vita, non sparisce dopo che uno l’ha letto. Allora il lettore molto superficiale che legge un giallo per intrattenersi, tutto sommato forse segue una logica che nel tempo si è adeguata a modelli comunicativi molto stringenti, che poi sono quelli della narrazione televisiva; ma un lettore un po’ più attento – e i forti lettori lo sono – non ha bisogno di questo, ha bisogno di qualcosa che comunichi appunto più in profondità, e quindi dia non soltanto l’emozione di un racconto stringente, ma anche personaggi consistenti, una narrazione che inquadri bene l’argomento, che racconti la psicologia dei personaggi in profondità, che per esempio sia in grado di distinguere qual è il paesaggio anche umano e storico del racconto che ha messo in campo.

Io non ho la sensazione che in questo momento tutto ciò stia cambiando, ecco perché dico di no; naturalmente qualcosa succede sempre quando c’è un nuovo mezzo di comunicazione, perché questo produce anche una sensibilità e una cultura diversa. Piano piano noi ci siamo adeguati a modelli comunicativi diversi, il romanzo ottocentesco è bellissimo ma nessuno scriverebbe più come Balzac o Flaubert ma questo non toglie che questi continuino ad essere autori di grandissima profondità, ed è il genio di quegli uomini, la loro capacità di raccontare il mondo, che ancora oggi li rende immortali; quando un libro non ha alle spalle questi strumenti, attingere all’immortalità è molto difficile.

Per un pugno di libri, trasmissione televisiva alla quale da anni Lei collabora nel ruolo di critico letterario, è una delle poche nel panorama televisivo contemporaneo dedicate alla promozione della lettura e dei libri. A suo parere perché un programma televisivo può risultare più efficace rispetto ad altri canali, in particolare se consideriamo la presenza massiva di blog letterari che recensiscono libri?

Credo che la differenza principale sia che i blog letterari parlano quasi esclusivamente a chi è già un lettore, e anche un lettore appassionato,  perché altrimenti  non si metterebbe a frugare tra i blog; mentre un programma tv parla a tutti, lettori e – soprattutto – non lettori. Ha quindi la possibilità di sollecitare curiosità per la lettura in chi non ha mai preso un libro in mano. Nel caso del Pugno, poi, c’è la sfida tra due classi di ragazzi che si devono preparare su un romanzo per poter concorrere. Qualcosa che, soprattutto se fatto in forma collettiva, con la speranza di fare bella figura e magari di arrivare in finale raddoppiando il viaggio per gli studi televisivi, può portare ad apprezzare letture che altrimenti rischiano di risultare noiose.

In definitiva, mi pare che in rete ognuno cerchi ciò che già ama; e i lettori ci si ritrovino tra loro, senza però aprire nuove possibilità di sviluppo della passione per la lettura. Credo invece che la tv abbia ancora la possibilità di svolgere un ruolo pedagogico, o quantomeno di pubblicizzazione di qualcosa che nessuno considera più un comportamento socialmente rispettabile: la lettura. E questo, se non lo fa il servizio pubblico radiotelevisivo, chi lo può fare?

Si può dire che da ogni romanzo il lettore può trarre un insegnamento, nuove visioni e spunti di riflessione. Tra questi cento classici che ha selezionato, ce n’è uno al quale si sente più legato?

No. Ognuno ha avuto un significato diverso, in tempi diversi, e a seconda del numero di letture che ne ho avuto. Aggiungo che tra i Cento libri ci sono libri che non ho amato per nulla e altri, per me fondamentali, che non ho inserito perché non rispondevano al criterio che ho usato, quello dei classici più popolari. Leggere Salgari a otto anni è importante per sollecitare la fantasia, far correre gli occhi di un bambino per il mar della Cina; pur avendo amato Sandokan, però, non sono diventato un pirata. Ma a cinquant’anni può essere un esercizio improbo. A quindici anni si può amare Kafka e non capirlo, ma ogni volta che lo si rileggerà ci si troverà dentro qualcosa che prima non si era colto. Ciò detto, spesso, la mattina, ho la sensazione di essere diventato uno scarafaggio.

Considerando invece la continua offerta di nuovi libri, qual è la sua opinione sulla produzione letteraria contemporanea? Se dovesse realizzare un’antologia di romanzi degli ultimi decenni quali sentirebbe di non poter mai escludere?

Da me, non avrete un solo nome, nemmeno sotto tortura. L’immensa mole di libri pubblicati negli ultimi anni nasconde certo qualche perla, ma non mi sentirei di metterla in un’antologia. Le antologie dovrebbero essere fatte solo con i classici. Se qualche scrittore contemporaneo lo diventerà, vorrà dire che se lo sarà meritato. O che ce lo saremo meritato noi, come diceva Nanni Moretti di Alberto Sordi.

Ne I cento libri che rendono più ricca la nostra vita (2014) lei afferma che i classici costituiscono una grandissima fonte di ricchezza, non solo intellettuale, ma in quanto strumenti in grado di orientarci tra le grandi contraddizioni e complessità della società contemporanea. Con quale approccio, secondo lei, può rapportarsi un lettore ad un classico? Come renderlo attuale?

Quello che ho detto precedentemente a proposito di Dostoevskij credo sia lo strumento con cui avvicinarsi ai classici. Ciò che secondo me è importante è che uno non deve avvicinare un classico dicendo “Adesso mi intrattengo un po’”: deve piuttosto immaginare che si tratti di una lettura che gli darà qualcosa solo se lui l’affronta con un minimo di disponibilità, che vuol dire entrare in un mondo diverso dal nostro, andare avanti e indietro nel tempo, cercare di trovare il senso di cose profonde. Se c’è una cosa particolarmente interessante che ha detto oggi Noteboom1 è che per leggere la poesia bisogna imparare a leggere la poesia: anche per leggere un romanzo bisogna imparare a leggere romanzi, è una competenza che si deve acquistare: pensare che solo perché uno ha letto un libro contemporaneo poi può leggere subito Dostoevskij sarebbe sbagliato, c’è qualcosa di un po’ più profondo, di più analitico e di più complesso. Dostoevskij inoltre ci riporta indietro di centocinquant’anni, però dentro i suoi romanzi ci sono gli stessi comportamenti umani che noi conosciamo oggi, lo stesso tipo di tratti psicologici e sociali. Per cui anche se uno fa un po’ fatica a leggere Delitto e castigo, Raskol’nikov c’è ancora, è tra noi, ed è importante saperlo riconoscere.

La nostra rivista intende riportare alla luce il valore della filosofia come disciplina in grado di parlarci di noi e del mondo odierno: il nostro obiettivo ci pare dunque molto vicino al suo. Lei che cosa pensa della filosofia?

La filosofia non serve a niente. Per questo è utilissima. Sappiamo a cosa servono gli idraulici, gli ingegneri nucleari, gli strateghi e i chimici; questi mestieri servizievoli, basati sulla specializzazione, ci sono indispensabili, ma non servono né a capire in che mondo viviamo, né a darci conto della complessità del problema del senso ultimo della vita. La filosofia non risolve nessun problema, non aggiusta i tubi e non produce energia, ma nemmeno guerre né armi letali. Produce dubbi, smussa le certezze, obbliga a fare i conti con le contraddizioni di cui è intessuta l’esperienza dell’uomo.

Senza filosofia si può vivere benissimo. E non porsi problemi. Ma chi non si pone problemi non è un uomo consapevole di sé. E chi non è consapevole di sé spesso cede a forme di irrazionalità collettiva che possono produrre le peggiori tragedie. Meglio avere meno specializzazioni e più consapevolezze, se si vuol vivere tranquilli. Magari con tanti rovelli, ma almeno senza la sensazione di aver lasciato ad altri il compito di pensare.

 

Impariamo a scegliere ciò che leggiamo, cosa guardiamo e cosa sentiamo, nei libri, alla televisione, alla radio e nel web, non in virtù delle logiche di mercato o da ciò che il mercato editoriale e informativo impone. Impariamo a scegliere un libro, un’edizione del libro, un sito di informazione o un programma per la qualità e non per la facilità.

Esiste un plurarismo informativo e editoriale di qualità che molto spesso, a causa del monopolio di grandi società, non riesce ad emergere. Se tutti noi lettori e ascoltatori imparassimo che, per fruire di certe informazioni e contenuti, è necessario prendersi del tempo, ricercare e documentarsi, saremmo i primi sostenitori della qualità dell’informazione e dell’editoria di qualità.

Elena Casagrande

Intervista rilasciataci da Piero Dorfles in occasione del Festivaletteratura di Mantova nel settembre 2016.