«Chiamami col tuo nome», ma anche no. Il legame tra nome e identità

Chiamami col tuo nome: un film che, anche sulle pagine online di questa rivista (questo è l’articolo) è stato definito: “Un inno alla bellezza”. Può darsi.
Non mi interessa commentare la pellicola, ma mi si consenta di prender spunto da essa per una riflessione. Spostiamo direttamente la nostra attenzione sulla frase eponima che, è noto, recita: “Chiamami col tuo nome ed io ti chiamerò col mio”.
Credo che la maggioranza degli spettatori abbia visto in questa dichiarazione di Oliver a Elio un’espressione d’un amore talmente profondo da culminare addirittura nella perdita della singolarità a favore dell’alterità.
Che bello: io sono te, tu sei me…

A me si gela, francamente, il sangue nelle vene: una battuta del genere, da sola, riassume tutti i pregiudizi, e i malgiudizi, ruotanti attorno la comprensione dei rapporti umani, specialmente quelli implicanti un dispendio sentimentale.
Certo non ho nulla contro il film di Guadagnino o il libro di Aciman: mi oppongo, però, al messaggio sotteso. Ritengo non sia accettabile, neppure come trasposizione estetica, che l’amore sia dipinto come appiattimento di due creature l’una sull’altra, un reciproco scambio d’esistenze o identità.

Dietro alla dichiarazione di Oliver v’è una visione distruttiva dei rapporti interpersonali spacciata per amore; in realtà, è la narrazione d’un suicidio della seità che, generalizzato, porta all’atomizzazione della società: un così subdolo, tornante verso il baratro di una società totalitaria che neppure Orwell avrebbe mai osato immaginare.
Senza nome, o col nome d’altri, siamo non bestie, ma cose, e le cose non si rapportano tra loro, neppure amano.

La cessione a terzi del proprio nome è un gran rifiuto fatto per viltade che, in nessuna maniera, neppure con l’amore, può esser compensato. Cambiare il proprio nome con quello d’un altro non è un dono, ma al contrario è un autostupro, la distruzione d’un dono: il più sommo, quello della singolarità. E senza di essa, c’è il nulla.
Il nome è tutto ciò che io sono, e sono solo io.
Il nome è la mia “etichetta”, il termine a cui referente semantico sono io in quanto concreta incarnazione della mia storia e del mio futuro, la designazione di qualcuno in quanto quell’uno; è l’unica parola della lingua che designa solamente me, non altri. È sano egoismo messo in una catena fonica fatta di storia, possibilità e psicologia; ciò che mi salva dalla massa e fa di me non carne, ma concettualità.
Regalandolo o cambiandolo, io non regalo o cambio me qui e ora, ma metto all’asta la rete di rapporti, di pensieri, di azioni che ho intessuto, e intesserò, lungo l’asse del tempo; mi sono ucciso al mondo e al tempo.

Pensare che i rapporti siano una sorta di adæquatio me ad alteritatem così profonda da sfociare nell’equazione Io = Tu = Me, all’interno della quale, evidentemente, nomi e storie singole sono perfettamente inutili, significa non avere rispetto né di sé, né del prossimo.
Per aver rapporti umani occorre essere in due; come possiamo credere ch’essi possano darsi, se noi in quanto singoli semplicemente diventiamo (l’)altro? Sono le sostanze chimiche a unirsi tra loro per formare un composto nuovo, perdendo le caratteristiche iniziali.
Ma noi siamo esseri umani. Esistiamo. E, soprattutto, abbiamo una dignità.

Diffidate di chi dice che rapportar-si agli altri è sinonimo di perder-sé. Ogni rapporto positivo è esaltazione della propria ipseità nell’alterità, non annullamento o fusione.
Ogni sentimento buono, principalmente l’amore, è uno sguardo gettato verso un Non-noi che ci piace e senza il quale, pur restando Noi, risultiamo tuttavia un po’ peggiori; perché si realizzi tale sguardo, però, io devo essere ciò che sono, con il mio nome e la mia personalità: se mi svendo non sto amando, sto praticando masochismo.

Se dunque Chiamami col tuo nome ci insegna qualcosa, è esattamente come non ci si deve rapportare agli altri, cioè sostituendosi-a e facendosi-sostituire-da loro.
L’invito è di non dare mai per scontata la propria seità e i modi attraverso cui si manifesta: amici miei, avete un passato e un avvenire riassunti nel vostro nome: non cedetelo, mai.
È l’unica cosa che resterà di voi, incisa, un dì, s’una lapide di marmo e s’una targhetta d’ottone sopra una bella cassa di acero.

 

David Casagrande

 

[Photo Credit: Unsplash.com]

banner-pubblicitario_abbonamento-2018

“Call me by your name”: sulla bellezza malinconica dell’amore rimasto possibile

Prima di diventare un successo mondiale come film attraverso la raffinata regia di Luca Guadagnino, Call me by your name è un romanzo, scritto dallo statunitense André Aciman. Uno di quei romanzi che più che raccontare una storia dipinge un sentimento, che abbiamo provato tutti anche se forse ce lo siamo dimenticati. L’amore adolescenziale, con la sua violenza totalizzante e quel misto tra pulsante desiderio fisico e idealizzazione della persona amata. Quasi una divinizzazione che ci fa proiettare sull’altro la risposta a tutti i nostri dubbi e l’esaudirsi di ogni nostro desiderio.

È questo che prova il diciassettenne Elio per Oliver, giovane e affascinante dottorando americano, ospite per l’estate della famiglia di Elio. Quando infatti Oliver chiede al ragazzo “Ti piaccio così tanto?” Elio risponde candidamente “Se mi piaci, Oliver? Io ti adoro”.

E in questa adorazione anche avere ed essere si mescolano, il desiderio di possedere la persona amata si trasforma in quello di essere come lui. In quest’età confusa, in cui la nostra identità è più fragile e iniziamo a chiederci chi siamo e chi vorremo diventare, la persona amata diventa anche un modello:

«Volevo essere come lui? Volevo essere lui? O forse volevo solo averlo? Oppure essere e avere sono verbi del tutto inadeguati nell’intricata matassa del desiderio, per cui avere il corpo di qualcuno da toccare ed essere quel qualcuno che desideriamo toccare è la stessa cosa?».

Per questo Elio e Oliver si scambiano il proprio nome, come il titolo suggerisce. È un gioco erotico ma anche qualcosa di molto più profondo: uno scambio di identità, un annullamento della propria personalità per fondersi con l’altro, per superare i confini ontologici che ci dividono e diventare come lui, diventare lui, essere insieme una cosa sola.

Spesso con amore adolescenziale si intende un sentimento immaturo, una cotta estiva destinata a essere dimenticata. Aciman mostra invece tutto il potere di questo primo amore, inesperto ma forse per questo ancora più autentico, fondante perché è il primo della nostra vita. Crescendo Elio e Oliver prenderanno inevitabilmente strade diverse, ma non potranno mai dimenticarsi di quel momento in cui hanno annullato la propria identità per fondersi l’uno con l’altro. Quell’estate insieme rimarrà un momento di felicità totale, incastonato nel tempo e non diluito dalla quotidianità. Il simbolo di una felicità perfetta e struggentemente malinconica, perché rimasta nel regno del possibile che non si può tradurre in realtà:

«Questa cosa che quasi non fu mai ancora ci tenta, avrei voluto dirgli. Quei due non possono disfarla, né riscriverla, né far finta di non averla vissuta, nemmeno riviverla; è lì, bloccata, come un’apparizione di lucciole in un campo d’estate verso sera, e continua a ripetere a ognuno di loro: Avresti potuto avere questo, invece. Ma tornare indietro è falso. Andare avanti è falso. Far finta di niente è falso. Cercare di rimediare a tutte queste falsità è a sua volta falso».

 

Lorenzo Gineprini

 

banner-pubblicitario-abbonamento-rivista-la-chiave-di-sophia-03-03

“Chiamami col tuo nome” è un inno alla bellezza

C’è una sorta di classicismo contemporaneo nella vibrante estetica che pervade le immagini del nuovo lungometraggio di Luca Guadagnino, Chiamami col tuo nome. Miglior film ai Gotham Awards di quest’anno, l’opera del regista siculo racconta l’appassionata relazione estiva tra un giovane diciassettenne e uno studente universitario di origini americane in un idilliaco borgo del Nord Italia, a pochi chilometri di distanza da Crema.

Il viaggio di Chiamami col tuo nome inizia nel gennaio del 2017 con la presentazione, in anteprima mondiale, al prestigioso Sundance Film Festival e da lì, visto il successo riscosso oltreoceano, intraprende un trionfale cammino attraverso alcuni dei festival più importanti a livello internazionale, arrivando a essere uno dei grandi nomi nella corsa ai prossimi premi Oscar. Il merito di un simile risultato è dovuto in gran parte al talento di Guadagnino nell’offrire allo spettatore l’immagine di un’Italia che oggi non esiste più, immersa nella bellezza dell’arte antica e nella memoria storica di un passato a dir poco ingombrante (una delle scene chiave del film è girata davanti a un monumento dedicato alle vittime della Grande Guerra). Come ne La Grande Bellezza di Paolo Sorrentino, l’immagine dell’Italia rimane sempre sospesa in bilico tra il cliché del Paese da cartolina e una location pervasa da insanabili contraddizioni che diventano lo specchio del carattere dei personaggi sul grande schermo.

La perfetta ambientazione anni Ottanta, le pedalate estive dei due protagonisti nella campagna cremasca e una colonna sonora impreziosita da ben tre indimenticabili canzoni del cantautore Sufjan Stevens sono i veri punti di forza del film che debutta nelle sale italiane giovedì 25 gennaio. Per chi non conoscesse ancora la filmografia di Guadagnino, Chiamami col tuo nome diventerà facilmente un film indimenticabile per la sensibilità con cui viene raccontata la trama e la cura dei dettagli con cui è stata preparata ogni inquadratura. Per chi invece ha già imparato a conoscere e amare il lavoro del regista siciliano dai precedenti Io sono l’amore e A bigger splash, questa trasposizione del libro dello scrittore statunitense André Aciman risulterà un piccolo passo indietro rispetto ai lavori precedenti di Guadagnino. Chiamami col tuo nome è infatti un inno alla bellezza a cui manca spesso quella componente di sublime cinematografico in grado di assurgerlo dal semplice status di ‘bel film’ a capolavoro. La pura estetica senza pulsione rischia molte volte di trasformarsi in un semplice esercizio di stile ed è un pericolo a cui i personaggi del film vanno più volte incontro, a differenza delle splendide statue elleniche nascoste nelle acque del Lago di Garda, perfette e misteriose nella loro immutabile ieraticità. Raccontando la bellezza, Guadagnino regala momenti di grande cinema nel momento in cui mette in scena il dolore e la paura del non essere accettati e corrisposti, un sentimento che i suoi personaggi incarnano alla perfezione mentre ardono nella passione di una calda estate lombarda. In quei momenti Chiamami col tuo nome non si limita a essere una semplice storia d’amore ma diventa un film capace di parlare al cuore di ognuno di noi.

 

Alvise Wollner

 

banner-pubblicitario-abbonamento-rivista-la-chiave-di-sophia-03-03