“The New Wild”. Un’eco della natura

Sullo sfondo di montagne silenziose che custodiscono segreti millenari, un’eco si diffonde in quei fiumi che dalle loro sorgenti nascono e da cui si allontanano, serpeggiando verso valli lontane. Tigli, abeti, olmi e arbusti salutano il cielo e offrono nutrimento alla fauna che qui trova ristoro e si avventura per borghi un tempo antropizzati.

Questo è il dipinto in cui si appaesa la storia che Christopher Thomson racconta in The New Wild. In quei luoghi dove l’assenza si fa presenza, dove il passato, il presente e il futuro sfumano l’uno nell’altro, dove trova linfa vitale l’idea di questo ragazzo che vuole scrivere e raccontare, tramite immagini che rapiscono i sensi, il “New Wild”.

Da sette anni dalla natia e “rigonfia” Londra, lui sceglie, ogni giorno, la Val d’Aupa, un piccolo grande spazio condiviso che ospita un paese di pochi abitanti, Dordolla.

The New Wild_La chiave di SophiaQuesto film-scoperta raccoglie grande attenzione a diverse latitudini, dal Friuli alla Campania, da Tallinn a Sofia e Innsbruck e riporta alla mente gli scritti del poeta Thoreau e parallelamente la storia di Christopher McCandless (su cui si basa il film Into the wild) e Devis Bonanni (scrittore friulano di Pecora Nera e Il buon selvaggio). Presto questo lungometraggio, cui ha fatto seguito la stesura del libro omonimo, si diffonderà in tutta la nostra penisola, vincendo anche i confini svizzeri, verso il nord.

L’idea di Christopher è solo alla fase di avvio: dopo due libri di fotografie e questo film, lui si sta preparando per il nuovo The Postman Project, col fine di sviluppare nuove reciprocità tra piccoli luoghi remoti d’Europa, per mettere in comunicazione storie di innovazione e resilienza.

Christopher s’interessa di investigare i luoghi rurali abbandonati, sempre in continua espansione a livello europeo: ha scelto, in particolare, il Friuli dove questo fenomeno forse si fa sentire con maggiore forza. Lo sforzo del giovane è quello di raccontare di un nuovo “ambiente naturale”, quello che viene riacquisito totalmente dalla flora e dalla fauna, un tempo “umano”.

Il lungometraggio, per circa 70 minuti (intensi e tutti da assorbire) conduce lo spettatore lungo un sentiero di immagini, piccole clip offerte da una voce narrante acuta e incisiva: quella di Sarah Waring, scrittrice e compagna di vita e d’avventura di Christopher.

Tre sono le sezioni in cui si articola il film: in ordine, trovano vita in immagini, che parlano della forza della natura, il tema dell’abbandono, della presenza e dell’assenza, poi quello dell’impero della natura, in grado di riassorbire ciò che è suo di diritto e infine viene proiettato un centro, di vite e di storie, che lotta per sopravvivere e costruirsi una presenza.

Dordolla, ripresa anche in un momento di convivialità e festa, di condivisone di sguardi e impegni, viene eletta a sito dove scegliere un tipo di vita valoriale piuttosto che funzionale. Un luogo dove viene sviluppato, ogni giorno, un processo di costruzione sociale che guarda al territorio in chiave evolutiva e si rappresenta tramite un’azione territoriale capace di agire su un piano organizzativo, materiale e simbolico.

Uno stile di vita, una scelta libera e incondizionata: la libertà di essere presenti a se stessi, in un luogo apparentemente semi-abbandonato, che è invece fulcro di vita. Si tratta di un abbandono che non riguarda solo la presenza fisica, ma anche la circolazione di cultura: quel vento fresco di idee e pensieri, che impreziosisce la nostra esistenza.

Questo, a mio avviso, vuole raccontare, raggiungendo la meta, Christopher. Lui, generosamente, offre l’occasione per una riflessione, lenta e discreta, sincera e profonda, così rara oggi quanto necessaria, per accedere al segreto della nostra terra: il placido e contrastante muoversi della vita, scandito da quel tempo che rappresenta la nostra unica e vera forma di ricchezza.

 

Riccardo Liguori

 

Link al trailer del film > qui

 

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Crisi ecologica e pensiero globale. La proposta di Edgar Morin

Nelle sue Sette lezioni sul pensiero globale, Edgar Morin afferma che il nostro è il tempo di una «politica interamente divorata dall’economia, asservita all’economia, e non a una qualsivoglia economia: all’economia che parla unicamente di interessi» e a causa della quale la povertà si sta rapidamente trasformando in «miseria di massa». Secondo Morin noi tutti viviamo sovrastati da un’economia selvaggia, che ha sviluppato «una sorta di tumore: il dominio del capitale finanziario speculativo». L’attuale sistema economico non solo impoverisce i più per concentrare la ricchezza nelle mani di pochi privilegiati, ma mette sempre più in pericolo l’ambiente e l’ecosistema, e quindi tutti i viventi. «L’eco­nomia detta di mercato, diciamo l’e­­co­­­no­mia capitalistica, ricopre ormai praticamente tutto il globo, compresa la Cina». L’e­mer­gen­za non è quindi locale, ma planetaria.

Morin ritiene che l’unico modo per risolvere alla radice i problemi della Terra sia prendere coscienza della «devastazione ecologica» che stiamo causando e ripensare al nostro posto nel mondo. Ciò che si tratta di capire è che noi crediamo di poter dominare la biosfera, ma «più la dominiamo, più la degradiamo e più degradiamo le nostre condizioni di vita». È quindi più che mai necessaria, per Morin, una «riforma della conoscenza e del pensiero, per delineare un pensiero “complesso” […]: un pensiero globale, mondiale», che tenga conto del «cordone ombelicale» che ci unisce a tutta la Natura.

Come si può intuire, il “pensiero complesso” che propone Morin è multidisciplinare e attento a cogliere le connessioni sussistenti tra le parti e il Tutto: «la parola complexus», ricorda Morin, «vuol dire “legato”, “tessuto insieme” e, dunque, il pensiero complesso è un pensiero che lega, da una parte contestualizzando, cioè legando al contesto, dall’altra parte tentando di comprendere che cosa è un sistema». Non a caso, Morin adotta come proprio motto personale il pensiero n° 72 di Pascal (ed. Brunschvicg):

«poiché tutte le cose sono causate e causanti, […] e tutte sono legate da un vincolo naturale e impercettibile che unisce le più lontane e le più diverse, ritengo che sia impossibile conoscere le parti senza conoscere il tutto, così come è impossibile conoscere il tutto senza conoscere dettagliatamente le parti».

Guardare al Tutto per capire il ruolo delle parti e osservare l’intreccio e l’interazione delle parti per comprendere la natura del Tutto: ecco gli obiettivi che si prefigge il “pensiero complesso” di Morin. La proposta di questo pensatore è senz’altro sensata, ma quali risposte offre, in concreto, il suo “pensiero globale” ai problemi del nostro tempo? Per Morin, ciò che andrebbe fatto per migliorare la situazione del pianeta è molto chiaro: in primo luogo «possiamo e dobbiamo concepire i limiti delle riserve energetiche esauribili, come quelle del petrolio e del carbone, privilegiando le risorse illimitate delle energie solare, eolica e delle maree». In secondo luogo, «bisognerà anche contenere la crescente urbanizzazione apparentemente illimitata», in modo da favorire il deflusso della popolazione «dalle città alle campagne».

Morin guarda inoltre con favore all’agro-ecologia e all’agro-silvicoltura: «malgrado l’attuale dominio dell’agricoltura e dell’allevamento industrializzati», scrive il sociologo francese, il diffondersi di pratiche ecologiche in campo agricolo «è uno dei segnali deboli che […] lasciano intravedere la possibilità di un futuro migliore per l’alimentazione delle città e la vita delle campagne». Necessaria sarebbe anche la creazione, in ogni agglomerato urbano, di «eco-quartieri», dotati di «sorgenti di energia pulita e di circolazione automobilistica sempre più elettrificata».

Nonostante Morin veda il mondo muoversi in direzione di una maggiore consapevolezza ecologica, egli ritiene che tali progressi avvengano solo su piccola scala e comunque troppo lentamente, e questo a causa della mancanza di una spinta decisiva, quella che dovrebbe imprimere la politica. Morin ritiene ad esempio che gli Stati non facciano abbastanza per promuovere l’agro-ecologia, e che dietro a questa mancanza di impegno si nasconda l’intenzione di favorire «le grandi monocolture e gli allevamenti industrializzati».

Questo disinteresse del mondo politico si estende poi a ogni altro tipo di iniziativa “verde”. Ciò che sembra mancare è la volontà di agire in modo globale e sistematico e di integrare tra loro i provvedimenti che potrebbero rendere il mondo più “pulito” e vivibile. Tutto ciò che riguarda le pratiche ecologiche, scrive Morin, «è molto disperso e non è ancora in confluenza. Nessun organismo, nessun partito politico, nessuna associazione si occupa di far convergere queste iniziative, di farle conoscere».

Secondo Morin, ciò che l’umanità deve fare per salvarsi dal baratro è rendere “ecocompatibile” non solo la propria tecnologia, ma la propria intera economia, intervenendo alle sue radici per sanarla:

«ciò che deve crescere è un’economia ecologizzata, un’economia della salute, un’economia del bene pubblico, un’economia della solidarietà, una nuova educazione».

Morin non è comunque un sognatore o un pensatore che propone facili utopie e sa bene quanto sia arduo fare dei reali passi avanti nella direzione da lui indicata. Non a caso, a proposito del futuro del nostro pianeta, egli afferma che è necessario portarsi “oltre l’ottimismo e il pessimismo”: «l’ottimismo ci acceca sui pericoli; il pessimismo ci paralizza e contribuisce al peggio. Bisogna pensare oltre l’ottimismo e il pessimismo. Da parte mia, sono un otti-pessimista». Questa dichiarazione ha come sfondo la consapevolezza che il futuro del mondo non è predeterminato e prestabilito, ma ancora tutto da decidere e quindi aperto a una molteplicità di esiti, che possono essere drammatici ma anche lieti. Il miglioramento della situazione globale non è quindi scontato, ma nemmeno impossibile.

Certo, se l’umanità prosegue sulla strada che finora ha imboccato, il futuro non sarà roseo, ma nulla impedisce agli esseri umani di “cambiare rotta” e veleggiare verso lidi migliori. Ecco perché Morin afferma che la «lotta» per costruire un mondo migliore – a cui tutti noi, nel nostro piccolo, possiamo contribuire – «non è totalmente disperata». Ma dato che il “lieto fine” non è affatto scontato, solo se ci impegniamo veramente «l’incredibile può accadere, e accadrà». Morin stesso ricorda a questo proposito l’antica sentenza del filosofo greco Eraclito: «se non cerchi l’insperato, non lo troverai».

 

Gianluca Venturini

 

 

[L’immagine è una rielaborazione digitale di immagini tratte da Google immagini]

 

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