Siamo buoni o cattivi?

La natura non è un’autorità morale su cui fare affidamento. Se dovessimo chiederle come comportarci in società, probabilmente ci direbbe di sbranarci: per lei merita di vincere il più forte, il più furbo, quello che si adatta meglio all’ambiente. Vedetela un po’ come volete, darwiniani o meno che siate. L’abbiamo chiesto quindi al filosofo della scienza Telmo Pievani.

Nel dubbio comunque, usciamo di casa e andiamo a chiedere maggiori informazioni a un nostro cugino, quello che è sempre informato sulle cose, lo smanettone. Lo troviamo allo zoo, con tutta la sua famiglia degli scimpanzé in una casa di vetro spesso di cui non deve nemmeno pagare le tasse.

Sono passati 6 milioni di anni dall’ultima visita, secolo in più, secolo in meno. Potremmo quasi accoppiarci a lui senza rischi di parentela ravvicinata.

Ci avviciniamo alla gabbia e lo vediamo tranquillo, amorevolmente impegnato a spulciare i suoi simili: sembra conosca altruismo, bontà, gentilezza (seppur con i suoi modi rudi e totalmente proibiti dall’umanissimo galateo).

E mentre ci commuoviamo vedendo questo simpatico quadretto di vita quotidiana, ci arriva uno schizzo di sangue a due centimetri dall’occhio, fortuna c’era di mezzo la parete di vetro.

Infanticidio, il giudice degli scimpanzé sentenzia così: si è trattato di un caso di infanticidio, anzi, non uno, ma tanti.

Altruismo e infanticidio coesistono, ma sono opposti? Antitetici? Lo Yin e lo Yang di un’unica complessità? No, per loro l’omicidio non rappresenta la faccia oscura della loro specie, è “solo” un comportamento, un’azione spontanea. Si aiutano, si spulciano alla sera dopo una dura giornata lavorativa, ma quando si infastidiscono per una lite condominiale, partono alla ricerca dei vicini da sgozzare, senza farsi troppi problemi morali.

Nel DNA da cui proveniamo troviamo questo istinto all’aggressione, alla violenza per risolvere un conflitto, un problema da cui ci sentiamo minacciati. E dire che guardando le notizie da ogni parte del mondo mi sarei quasi convinto del contrario. Ma per noi c’è di mezzo la cultura che getta ogni dibattito nel caos della scienza.

La natura attorno a noi è violenta, è un giardino selvaggio all’interno del quale non puoi mai abbassare la guardia. Anzi, abbassala pure, qualcuno ti sbranerà e nessuno piangerà la tua morte, perché saremo tutti intenti a sbranare o a farci sbranare. Eppure a un certo punto l’uomo ha costruito un recinto, ha isolato la violenza e l’ha portata dentro sotto forme diverse, o forse si è solo infiltrata tra un asse e l’altro della staccionata dell’Etica: qualcuno potrebbe comunque approfittarne per introdurre l’omicidio della suocera, tra le altre cose.

Sconsolati, torniamo a casa e ci fermiamo anche dai bonobo, altri cugini, un po’ più lontani e dimenticati pure alle cene in famiglia. Anche qui troviamo tracce di aggressività, che però è stata adeguatamente isolata grazie a un’attività tanto naturale quanto eccentrica: il sesso. Enormi gruppi di bonobo si trasformano in attori di un film porno la cui trama è – come al solito – molto semplice: un’orgia. In questo modo l’aggressività viene sedata e tutto torna alla normalità.

Ma questa forma di violenza non mi pare si sia ancora infiltrata nel nostro recinto, soprattutto da quello che sento dire sulle suocere: preferiremmo in ogni caso l’omicidio.
La nostra storia sociale ci mostra che nel recinto dell’essere umano spuntano violenza e solidarietà: tenetevele entrambe e scandalizzatevi di meno. La nostra evoluzione è per piccoli gruppi: piccoli gruppi contro piccoli gruppi, che attraggono poi altri piccoli gruppi. La solidarietà si sviluppa tra chi è dalla nostra parte e l’aggressività contro chi è fuori, un avversario. Due facce della stessa moneta. La tiriamo in alto e la facciamo roteare fino al dorso della mano, copriamo il risultato con l’altra e scegliamo: contro il prossimo uomo saremo buoni o cattivi?

 

Giacomo Dall’Ava

[Immagine tratta da Google immagini]

“Fatti (non) foste a viver come bruti”

Il titolo è deliberatamente preso in prestito dalla Divina Commedia, canto ventiseiesimo, località Inferno.
Non è mia intenzione analizzare Dante, né sviscerare ulteriori chiavi di lettura dalle sue opere, mi è semplicemente balzata agli occhi quella frase pronunciata da Ulisse per esortare i compagni, rientrati in patria dopo le mille peripezie degne di un’Odissea, a intraprendere l’ultima impresa: attraversare le Colonne d’Ercole e violare così i confini del mondo.

«O frati, che per cento milia
perigli siete giunti a l’occidente,
a questa tanto picciola vigilia
d’i nostri sensi ch’è del rimanente,
non vogliate negar l’esperienza,
di retro al sol, del mondo sanza gente.
Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza»¹.

Leggere e rileggere quella frase, estrapolata totalmente dal suo contesto e dalle dinamiche narrative, mi ha convinto dell’esatto contrario.
Noi siamo nati come “bruti”, e dobbiamo prenderci la responsabilità di ammetterlo.

Viviamo in un mondo dove sempre più spesso cerchiamo di scindere ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, ciò che è bene e ciò che è male, cosa si può e cosa non si può fare/dire/vedere.
Ci allontaniamo dall’oscurità per abbracciare la luce che avvolge le cose immacolate, senza renderci conto della cecità che il fulgore provoca, senza capire che la penombra non è sinonimo di ambiguità ma strumento per vedere meglio le cose.

“Bruto” vuol dire privo di ragione, violento… e noi di natura spesso lo siamo, non solo fisicamente, ma anche verbalmente e, negli ultimi anni, virtualmente.
Il web è il ricettacolo di commenti cattivi, ma sono lo specchio di ciò che, almeno a parole, vorremmo fare: “Se ci fossi stato io”, “Se ci fosse stato lui”, “Io avrei fatto così”; o vorremmo essere: “Se io fossi il capo del mondo”, “Se fosse successo a me”.
Queste frasi-matrice, state pur certi, undici volte su dieci si completano con una sorta di piccola apocalisse, o una vendetta stile Rambo.

Inizialmente davo colpa alla sola ottusità, ma scavando più a fondo mi sono reso conto che tutto ciò avviene per scarsa conoscenza della violenza stessa.
Pensiamo, crediamo, vogliamo, facciamo finta di essere violenti perché non sappiamo cosa voglia dire violenza, non perché non esista, ma perché è argomento tabù.

Negli ultimi vent’anni abbiamo passato il tempo a prevenire, a proteggere, ad evitare, abbiamo insomma contribuito piano piano a costruire, attorno al nostro piccolo mondo di benessere, una sorta di muro ovattato che ci impedisce di vivere la realtà così com’è.

Tutto molto bello, tutto molto pericoloso.

Succede infatti, che ad un certo punto, qualcuno o qualcosa, quel muro d’ovatta riesce a sfondarlo: ultimamente ci sono riusciti gli attentati terroristici.
Il terrorismo è sempre esistito, l’Italia ne sa qualcosa: la quantità di piombo sparso sulle strade ha dato il nome a un decennio, eppure è solo oggi che raggiungiamo punte di panico incontrollato per il primo bagaglio non custodito lasciato in un luogo pubblico.
E’ solo oggi che leggiamo, complice un giornalismo sensazionalistico irrispettoso, di finte bombe disinnescate dagli artificieri solo per sentirci più sicuri.

Non sto suggerendo di rimanere indifferenti davanti al male, sarebbe comunque un mattone ovattato in più, ma di riscoprirne l’esistenza, e risulta estremamente necessario, vi spiego il perché.

Il parallelismo è azzardato, ma avete presente come funziona lo schema di una fiaba?
C’è un protagonista “buono” e un antagonista “cattivo”; il buono verrà messo alla prova dalla vita stessa che lo farà precipitare in una condizione difficile, ma solo così potrà forgiare il suo spirito per poter sconfiggere il cattivo.
Oggi è come se avessimo esiliato nel dimenticatoio i cattivi – perché diseducativi, portatori di disagio al bambino ecc. – per rendere felici i protagonisti di una storia che si concluderebbe a pagina 2, senza aver lasciato nulla di consistente al lettore.

Abituarsi alla nostra natura di “bruti” infine non ci condanna ad esserlo per sempre, non ci autorizza a compiere danno contro altre persone, può servirci a conoscere meglio ciò che siamo, a capire quali sono i nostri limiti per poterli superare.
Può aiutarci a decidere cosa vogliamo o non vogliamo diventare.
Solo in questo modo, secondo il mio punto di vista, possiamo maturare.

Alessandro Basso

[Immagine tratta da Google Immagini]

NOTE:
1. Divina Commedia, Inferno, Canto XXVI, vv.112-120