Un bacio ancora: da Asolo una riflessione universale

<p>Dettaglio dell'opera di Davide Puma esposta nella mostra di Asolo Un bacio ancora</p>

In questi giorni al Museo Civico di Asolo si è inaugurata una nuova mostra dal titolo Un bacio ancora. L’arte contemporanea racconta, a cura di Enrica Feltracco e Massimiliano Sabbion. Si tratta in effetti di un vero e proprio racconto artistico a 42 voci: 42 autori contemporanei a cui è stato chiesto di indagare il tema ancestrale del bacio.

Uno sforzo non del tutto nuovo all’arte contemporanea. Pensiamo al bacio di Giuda a Gesù dipinto magistralmente da Giotto alla Cappella degli Scrovegni di Padova, o in tempi un po’ più recenti quello scolpito di Amore e Psiche di Canova, teneramente abbracciati nel momento che segue il bacio, e poi ancora i due soggetti di Hayez in quel momento sospeso prima della partenza di lui. Baci rivelatori, baci romantici, baci che sanno d’addio. Ma anche baci misteriosi come le due figure incappucciate di Magritte, oppure provocatori come i due poliziotti di Banksy; baci intimi, passionali, contorti, malati, teneri, familiari, primi, ultimi, volanti, a schiocco. La storia dell’arte ne è piena come la storia della nostra vita. Per non parlare delle altre arti, come la letteratura, con il titolo della mostra che fa chiaramente eco ai versi catulliani: «Dammi mille baci e poi altri cento, / poi altri mille, e poi ancora cento, / poi senza fermarti altri mille e poi ancora cento» (Carme 5).

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La mostra al Museo Civico di Asolo. In primo piano un’opera di Beatrice Testa (Photo credit Museo Civico di Asolo)

Nelle 52 opere di Asolo, create appositamente per questa mostra, gli artisti raccolgono questo ricco e variegato filo e lo passano attraverso il proprio sguardo sul mondo. Alcune cose non cambiano mai: fanno parte di noi come esseri umani e ci legano indissolubilmente alle persone che hanno popolato silenziose la storia. La ricerca di un amore che vinca il tempo, come raccontato nella fotografia di Remigio Fabris che raffigura due scheletri abbracciati in un bacio, con quel tocco di colore dato dalla rosa al centro. Ma nel passato ci possiamo anche immaginare tanti amori impossibili, separati dalle convenzioni e dalla morale, con tanti baci da lontano, un po’ come nell’opera magnetica di Ciro Palumbo, che però consente ai due protagonisti almeno un abbraccio. E a proposito di distanza, come non citare l’opera di Franz Chi con la sua riflessione sulle macchine e la tecnologia, che imitano sempre di più l’essere umano senza però mai poter riuscire a eguagliarlo, come in questo bacio a sfioro: perché l’amore è qualcosa di insito nelle persone e non replicabile. Non manca l’aspetto della carnalità anche più violenta come nell’opera di Andrea Tagliapietra, ma anche di Leo Ragno: labbra e corpi stretti in un abbraccio come in un groviglio, la voglia di farsi un tutt’uno. Così come nelle sculture di Giulietta Gheller e di Beatrice Testa. Non mancano baci romantici e un po’ sognanti, come quello di Davide Puma, e quelli che sfidano le contingenze come quello di Marco Chiurato che porta in scena i baci rubati dalla pandemia.

Sono quindi tante le categorie possibili di baci, e tutti noi abbiamo avuto modo di sperimentarne più di una. Anche Søren Kierkegaard, in tempi ormai andati – e alcuni passi dell’opera in questione ne sono la prova – riesce comunque a offrire al contemporaneo una lettura del bacio che può andare di pari passo con il moderno sentire. Per esempio quando sostiene che tra le varie categorie di baci – alcune di queste sono per esempio la durata o addirittura il suono – «si può fare anche un’altra divisione che propriamente è l’unica che mi vada a genio: cioè la differenziazione del primo bacio da tutti gli altri che vengon poi. Del resto, il primo bacio è anche qualitativamente diverso dagli altri» (cfr. S. Kierkegaard, Aut Aut, 1843). Quanta magia e aspettativa ammantano anche oggi questo fantomatico primo bacio?

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La mostra al Museo Civico di Asolo. In primo piano a destra l’opera di Andrea Tagliapietra (Photo credit Museo Civico di Asolo)

È tuttavia il filosofo Franco Ricordi a darci uno sguardo contemporaneo e originale sul tema, definendo il bacio un «fondamentale atto di libertà dell’essere» che però è minacciato – nell’attuale era del consumismo – dalla dispersione e definitiva alienazione nel nichilismo spettacolare che stiamo vivendo (cfr. F. Ricordi, Filosofia del bacio, Mimesis 2013). Ecco che allora l’arte contemporanea può restituirgli dignità: riportarlo dalla mercificazione a un pretesto di contemplazione estetica e di riflessione personale. La mostra asolana tenta di fare anche questo e sarà visitabile fino al 13 marzo.

 

Giorgia Favero

 

[Photo credits copertina Museo Civico di Asolo, dettaglio dell’opera di Davide Puma]

la chiave di sophia

Il bacio, “scrigno dell’essere”

Filosofia del bacio: si intitola così un breve ma interessante libretto di Franco Ricordi pubblicato qualche anno fa da Mimesis. Certo, sulle prime si potrebbe rimanere interdetti: che cosa ha mai a che fare la filosofia, una forma di sapere apparentemente così arida, astratta e speculativa, con la vivida concretezza passionale racchiusa in un bacio?

Eppure l’archetipo del bacio (e dell’amore che travolge ogni limite), se ci si pensa, è stato forse illustrato e descritto proprio da un uomo che, oltre che sommo poeta, è stato anche un filosofo di eccezionale statura: Dante Alighieri. Ci riferiamo, naturalmente, al celebre episodio di Paolo e Francesca, i due sfortunati amanti che Dante incontra nel suo viaggio ultraterreno (siamo nel canto V del­l’In­ferno).

I famosi versi del poema dantesco possono introdurre bene al motivo di fondo del volumetto di Ricordi (ma moltissimi sono poi gli autori a cui egli fa riferimento nel corso della trattazione). Secondo l’autore, infatti, il bacio «non è soltanto un atto che si possa considerare estetico», ma ha anche un «senso etico», nonché delle implicazioni che – usando un termine “tecnico” e impegnativo – potremmo definire “ontologiche”. In altri termini, per Ricordi il bacio non è soltanto un’intensa fonte di piacere, ma anche la piena espressione delle potenzialità insite nell’essere.

In primo luogo – dice l’au­to­re proprio in apertura del suo libro – «il bacio in bocca si può considerare come un fondamentale atto di libertà», che è in grado di schiudere completamente agli umani l’ac­ces­so alla “gioia dell’essere” (non importa – tiene inoltre a sottolineare Ricordi fin dalla prima pagina – che a scambiarsi un bacio siano un uomo e una donna o due persone dello stesso sesso). Atto di libertà, il bacio, che risulta difficile inquadrare come “peccato”, anche se a volte ci viene esplicitamente presentato come tale. Tanto più che esso, secondo Ricordi, è addirittura «una delle fonti più belle e più importanti della [stessa] filosofia». In questo senso, se Dante è arrivato «a una concezione del­l’A­mo­re in quanto motore e chiave dell’universo», diventando così «il maggior teorico del­l’a­mo­re in senso filosofico e metafisico» è forse proprio perché è partito con il considerare e il descrivere il bacio tutto terreno di Paolo e Francesca, che – sostiene Ricordi – «è talmente bello, talmente importante, profondo e pieno di significato anche etico, da non poter essere rappresentato come semplice peccato».

In seconda battuta, si pensi alle capacità generative e trasformatrici proprie dell’amore: tutti sanno che le persone innamorate cambiano, vengono trasformate e “ricreate” dal loro amore quasi fino al punto di non sembrare più le stesse. Non va inoltre dimenticato che il bacio prelude all’atto amoroso, «quindi all’essere di noi tutti, alla nostra nascita, vita e morte». E se nelle favole il bacio è in grado di ridonare la vita, di spezzare incantesimi o di trasformare i rospi in principi, anche nella realtà la “respirazione bocca a bocca” «può essere intesa come una sorta di “bacio della vita”, un soffio che restituisce l’anima a chi, verosimilmente, potrebbe essere lì lì per perderla».

Tenendo presente tutto questo, Ricordi, sfruttando e capovolgendo uno spunto heideggeriano (la morte come «scrigno del nulla»), propone suggestivamente di considerare il bacio come il vero e proprio «scrigno del­l’es­se­re».

Per dimostrare, al di là di ogni ragionevole dubbio, la fondamentale connessione sussistente tra bacio e filosofia, Ricordi analizza non solo la “quintessenza” del bacio (espressione che compare come titolo del primo capitolo del libro), ma tutte le sfumature che esso ha assunto al­l’in­ter­no della cultura occidentale, spingendosi alla ricerca di quella che egli definisce un’eti­ca del bacio. In particolare, tra tutte le declinazioni possibili di esso, troviamo due estremi: da un lato il “bacio etico” compiuto nella cerimonia matrimoniale, che ha la funzione di ratificare la fedeltà dei coniugi (il cui prototipo, secondo Ricordi, è il bacio di Otello e Desdemona) e, dal lato opposto, il “bacio libertino” o “rubato” (prerogativa dalle avventure amorose di Don Giovanni).

Il saggio di Ricordi non si limita comunque a essere una semplice rassegna fenomenologica o una ricognizione tipologica del bacio e del baciare, ma intende anche invitare a riflettere sui cambiamenti di mentalità e quindi sul diverso modo di rapportarsi al bacio da parte della società umana nel corso della storia: ancora negli anni ’70 – afferma ad esempio Ricordi – il bacio era considerato un peccato la cui gravità era direttamente proporzionale alla durata dell’atto, mentre ora è considerato una profonda espressione d’affetto o tutt’al più un innocente preliminare.

Al fine di valutare le evoluzioni e i cambiamenti a cui il bacio è stato soggetto con il passare delle epoche, la parte centrale del libro si divide in tre sezioni: Il bacio nell’epoca tragica, dove a tema è il bacio nell’antichità classica (ma si parla anche di Foscolo, Leopardi, Nietzsche, Kleist); Il bacio nel­l’e­po­ca teologica, la quale – al contrario di quanto si potrebbe pensare – è proprio essa l’“epoca d’oro” del bacio in bocca; e infine Il bacio nell’epoca economica, dove lo sguardo si spinge nella contemporaneità, per tentare di valutare e comprendere il «degrado nichilistico in cui [versa] il bacio d’amore nella nostra epoca». Chiude il libro il capitolo intitolato La possibilità etica del bacio, in cui Ricordi tira le fila della propria indagine, giungendo alla conclusione che il bacio non è soltanto un «contatto carnale» o il «simbolo […] della vita erotica dell’uomo», ma anche uno «straordinario viatico etico e morale» e quindi «uno degli atti più alti della vita».

Nel bacio, infatti, si incontrano e si fondono assieme afflato mistico (e dunque religiosità) e sensualità, istinto di conservazione (e dunque biologia) e poesia: se Heidegger avesse potuto leggere il libro di Ricordi, avrebbe ben volentieri parlato anche del bacio (oltre che della “brocca”) come di una “quadratura” o “quaternità” (Geviert) in cui si incontrano e congiungono «la terra e il cielo, i divini e i mortali». Alla luce di questo intreccio, appare chiaro che più che singole discipline settoriali, è forse solo la filosofia quel sapere che è in grado di poter offrire una panoramica dell’essenza intima e delle manifestazioni del bacio senza rischiare di impoverire tale fenomeno, in virtù della possibilità che solo essa ha di poter comporre e tenere insieme, grazie al suo sguardo inclusivo e onniavvolgente, tutte le prospettive e le dimensioni che in esso sono racchiuse.

Oltre alla prospettiva storica, un altro aspetto su cui l’autore vuole concentrare l’attenzione è la straordinaria capacità, propria del bacio, di riuscire a conservare intatto il «mistero della [sua] bellezza» anche al giorno d’oggi, in cui pure si assiste a una «infinita spettacolarizzazione», «reificazione» e «mercificazione» del bacio in bocca e degli atti dell’amore. Secondo Ricordi, tale circostanza è un segno inequivocabile dell’ine­sau­ribile capacità di significazione propria del bacio (e quindi dell’amore che esso esprime), che pertanto non risulta rinchiudibile all’interno di un “sistema” che ne sveli una volta per tutte la natura, dato che esso dimostra costantemente di essere costitutivamente aperto a nuovi, infiniti e imprevedibili sviluppi – proprio come la vita e la libertà di cui esso è simbolo.

 

Gianluca Venturini

 

[Immagine tratta da Google Immagini, Paolo e Francesca di William Dyce]

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Ciò di cui non si può parlare

Potrei raccontarvi tutto, sapete? Potrei dirvi tutto ciò che mi passa per la mente senza freni o limiti di alcun tipo. Potreste considerarmi pazzo o egocentrico, un estroverso convinto o magari una persona molto sola. Stareste lì, comodi, a giudicarmi per quel che ho deciso di proferire, mettendomi in una condizione vulnerabile alle critiche. Non potete sapere, però, attraverso un primo approccio cosa mi ha spinto a tali confessioni, tra coraggio ed egoismo, come due poli completamente opposti che potrebbero etichettarmi in ugual misura e con le stesse probabilità. Potrei far parte di una categoria di persone oppure di un’altra, questo solo da un vostro sguardo per me infernale, citando Sartre. Vedete cari lettori come nel mio confrontarmi con voi, conoscenti e non, sembra che non riesca a liberarmi del peso e della paura del giudizio della gente, del vostro di giudizio. Dunque sono davvero così libero nel mio scrivere? Sono libero nel mio proferire e comunicare con voi o con qualsiasi altro passante? Molte cose non le posso dire, non sarebbero accettate e comprese e io stesso me ne domando il perché mentre stabilisco tutto ciò. Pare quasi che non ci sia permesso esprimerci su certi argomenti, i classici argomenti tabù, o magari in determinate situazioni e contesti. Pensate a quando avete avuto un diverbio con qualcuno e quell’imbarazzo che si è fatto inevitabilmente spazio nel vostro rapporto, quello stesso imbarazzo del momento ha così tanto potere su di voi e su chi lo sta provando con voi. Non se ne può parlare, ci fa schiavi costretti al mutismo e spesso lo rimaniamo per molto, troppo tempo. Si innalzano strutture di ragionamento in noi, dogmi del pensiero che ci assalgono e non ci fanno essere noi stessi. Arriviamo a comportarci diversamente mediante discorsi guidati e fin troppo prudenti, condizionati a tal punto da preferire il silenzio. «Su ciò di cui non si può parlare si deve tacere», diceva Ludwig Wittgenstein, aprendoci ad un’immensità “inspiegata” e che spiegazione non vuole (forse). C’è qualcosa di “incredibile” che funge da sottofondo della nostra esistenza, una sorta di ente che ci accompagna, che attraversa le cose e le fa essere, le fa accadere o meno. Questo “incredibile” è innominato, un non detto che si sottrae alla conoscenza, un meraviglioso segreto che si cela nelle nostre azioni, nelle nostre parole che tentano invano di definirlo. È qui che ogni scrittore, ogni proferente esita, si interrompe, proprio come sta per accadere a me nel mio scrivere per voi. Ebbene per quanto io voglia catturare e dare un nome ad ogni singolo aspetto, sfatare ogni mistero e particolarità tra azioni, sensazioni e pensieri, io stesso mi ritrovo ad un gradino in meno di quello a cui ambisco. Mi scopro mancante nel mio esprimermi contro la fobia del silenzio, del nulla discorsivo, e mai saprò riempire quel vuoto che non vuole parole, non le odia, ma non ci va d’accordo, semplicemente non sono ciò che è destinato a combaciare con esso. Il non proferito che ci appare come vuoto esigente potrebbe non essere in linea con il nostro essere che non può non essere, lo teme e temendolo vuole essere a tutti i costi. È una questione di linguaggio. Parliamo linguaggi differenti e non lo accettiamo, non lo vogliamo riconoscere alzando il tono, non capendo magari qual è il momento di tacere, come quando due sguardi si incontrano e sanno già tutto, si capiscono, si odiano e si amano travolgendosi l’un l’altro, senza emettere suoni, senza pretendere nulla. Indefinibile, impossibile da racchiudere in una gabbia di parole, perché solo parole sarebbero e si riscoprirebbero incapaci, mancanti tanto quanto me, nel loro dire questo momento. Com’è vero che in tali sguardi non ve n’è bisogno, anche in un bacio bisogno non ve n’è affinché rimanga “solo” il bacio che vuol essere.

Alvise Gasparini

[Immagine tratta da Google Immagini]