8(+1) elogi della bruttezza

Da bambina, recitavo sempre in bagno.
Forse per questo, poi, sono diventata un cesso di donna.
(Anna Mazzamauro)

 

  1. Bello e brutto non sono parole, ma la sostanza di cui è fatta (una buona) parte della nostra intelligentia mundi; non verba dunque, ma concepta, che modificano l’appercezione della mondità.
    Il giudizio estetico non è quindi un affermare, ma è un modificareper-noi il circum-stante con cui via via ci rapportiamo.
    Cosa sia en-soi la bellezza, è indicibile: per ovviare a questa non-comprensione, l’uomo ha calato il bello assoluto nella sua vita quotidiana, e ne ha fatto un costrutto sociale, ovverosia un factum che si modifica a seconda del piano ermeneutico in cui si cala (e delle mode cui è sottoposto e con cui s’allea, aggiungerei).

 

  1. La bellezza, così come viene intesa nel XXI secolo è, esistenzialmente parlando, meraomologazione alla folla: occorre esser-belli perché tutti lo sono; ma per esserlo occorre ugualizzarsi alla massa bella; ma per farlo occorre seguire regole stringenti e giungere a essere una-certa-cosa. E proprio in questa parola (cosa) sta la fregatura: l’uomo per esser bello, si reifica, nascondendosi dietro una ceretta, una dieta, una spazzola.
    In questo senso, ciò che noi chiamiamo brutto, è atipico o, con un sinonimo, straordinario, originale, perché è ciò che esula dalla cosalità.
  1. La sovrapposizione tra bruttezza e la moralità è in-malafede (Kierkegaard e Gadamer, credo, l’abbiano dimostrato abbondantemente, a dispetto della καλοκαγαθία: non esiste risvolto etico negli ästhetische Erlebnisse).
    Per esempio, il brutto è diverso dall’osceno.
    L’oscenità potremmo definirla un’ostentazione sguaiata, di sé o di una parte di sé. Ma se questa definizione è corretta, poco s’adatta al brutto. L’ostentazione pertiene generalmente di più a chi può permettersi di mostrare (o a chi ha la sicumera di poterlo fare). Il bello è più a suo agio nell’esibir-si, quindi rischia maggiormente l’oscenità rispetto al brutto. La naturale pudicizia di chi sa di non aver convenienza ad apparire (pena il giudizio negativo), è garanzia di buon gusto.
  1. Il brutto diverge dal volgare.
    Il volgare, parimenti all’osceno, pertiene al presentarsi quotidiano (in fondo, è questo il significato originario del termine vulgaris: ordinario). Ma l’apparire-quotidianamente pertiene molto di più al bello che, apparentandosi con la moda, è necessitato a replicarsi, pena l’oblio. Ed è questo il vero significato della volgarità, la riproposizione fine a sé stessa, il ripetersi cadenzato e stereotipato. Da questo punto di vista il brutto è raro, non aspira a reiterarsi, e quindi non è volgare.
  1. La frase: “Non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace” è una falsità che ci siamo inventati noi brutti per poter dormire la notte senza abusare di Xanax.
    Ogni società ha propri costrutti-estetici (canoni): difficilmente un micronesiano dirà che una modella di Vogue è bella, né una donna papuana potrebbe mai trovare avvenente un maschio da sfilata parigina. Il che non toglie che, in ogni società, il concetto di bello puranco esiste: all’interno di una data Weltanschauung, l’immagine del bello è inestirpabile ed è equipollente al generalmente-riconosciuto-bello.
    Dunque la frase giusta è: “Non ovunque il bello è uguale” − e l’accetto.
    Ma non mi si venga a dire che, dentro una società definita la percezione del bello varia da persona a persona: il bello e il brutto sono concetti-oggettivi, benché gradati, garantiti dal modello sociale in cui siamo inseriti.
    Quindi, a meno che tu non prenda un aereo per Nuku’alofa, nella speranza di finire inserito in una civitas mentalis dove la tua bruttezza possa essere apprezzata e resti in Occidente, se fai cagare continuerai a farlo.
  1. La vita, già non fa sconti a nessuno, figurarsi ai brutti che, oltre alla loro normale dose di dolore che spetta loro in quanto umani, si pigliano pure fobia sociale, disgusto e ribrezzo che manco un monatto.
    Il carattere del brutto è stato forgiato da offese e difficoltà. Il bello, avendola avuta vinta più facilmente – essendosi quantomeno risparmiato le vessazioni e il ribrezzo del prossimo –, è più molle.
  1. La bruttezza è autoironica, e l’autoironia è l’unico vaccino possibile contro la malattia della vita.
  1. Il bello è tale sub speciem contingentiæ – il brutto, æternitatis.
    Se un brutto dovesse diventare bello (grazie all’acqua di Lourdes o al lavoro d’un maniscalco, poco importa) manterrà la mentalità precedente: non s’atteggerà, non avrà sicumera, e continuerà a guardare il mondo con gli occhi disincantati di chi nulla pretende.
    Un bello che, invece, dovesse sfiorire, si abbandonerà all’autocommiserazione, atteggiamento estraneo ai brutti, protetti come sono dalla loro innata capacità di ridere di sé.
  1. Ogni brutto è vittima della stessa canonizzazione estetica che l’affligge; conseguentemente, si fa un po’ schifo da solo. Dunque, quando ha la buona sorte di stare in relazione (e ciò potrebbe non accader sovente), avendo resistenze ad amare sé stesso, riversa tutto il suo sentimento sull’altro.
    Corteggerà eternamente la sua donna, che gli apparirà per sempre bella come una Madonna di Raffaello e buona come una − non a caso − Bella con la Bestia (anche quando lei dovesse mostrare la stessa amabile delicatezza di Uma Thurman alla Casa delle Foglie Blu in Kill Bill volume 1).
    Sarà infine un amante migliore. Per le ragioni di cui sopra, il brutto sacrificherà il suo piacere a quello della sua amata, accontentandola anche in … diciamo … pratiche che provocano godimento unilaterale.
    Non posso aggiungere altro o mi censurano, ma immagino che le signore abbiano inteso.

 

Da assumere con autoironia. Leggere attentamente il foglio illustrativo. In caso di ingestione accidentale, consultare un chirurgo estetico.

 

David Casagrande

[Immagine tratta da Google Immagini]

 

 

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Gli 8 grandi perché della moda. (Roba che Obama non ci dorme la notte)

 

 

 

Floreale? In primavera? Avanguardia pura.

 

1) Perché le fashion blogger hanno sempre la faccia seria come se stessero risolvendo il teorema di Fermat? 1bis) E perché si fanno fotografare coi piedi storti?

2) Perché le commesse di negozi di marche di lusso ti trattano come se per decidere di comprare una borsa da 2000 euro fosse increscioso impiegarci più di 1 minuto, mettendoti un certo disagio, una discreta ansia da prestazione e facendoti sentire una tirchia,  quando loro 2000 euro non le vedono neanche in tre mesi di lavoro?

3) Perché il caschetto “magari ecco, se me lo fai giusto un po’ più lungo” ora si chiama  LONG BOB, che vallo a spiegare che non è una disciplina delle olimpiadi invernali? O a Giggino, il parrucchiere unisex taglio e piega euro 20 nel vicolo sotto casa che ha anche la seduta Little Italy anni’40 col cavalluccio per tagliare i capelli ai bambini?

4) Perché a quella tonalità di biondo che piace a me cambiate nome ogni 6 mesi?

5) Perché Carrie l’abbiamo ritenuta un’icona di moda anche quando gli sceneggiatori pretendevano di farla sposare con un piccione punk imbalsamato in testa?

6) Perché più ti avvicini ad assomigliare ad una contadina dell’entroterra estone e più sei cool?

7) Perché quando giri da Zara vedi solo facce schifate nei confronti del prossimo, naso all’insù e falcata a ritmo di una musica dal genere indecifrabile ogni tanto intervallata da “Samantha in cassa niGNo” quando sei, se il senso dell’orientamento e della realtà non mi ingannano, in un grande magazzino a ravanare tra pezze made in Bangladesh e non a scegliere diamanti neri in una gioelleria dell’Upper East Side?

7) Perché Charlotte Casiraghi se mette una t- shirt bianca e pantaloncini deformi altrettanto bianchi  è di una eleganza divina e noi sembriamo delle massaggiatrici o, nella migliore delle ipotesi, l’equipaggio dello yacht di Charlotte Casiraghi?

8) E perché in inglese non sapete dire “book”, ma sapete dire OUTFIT?

La frase “la vera bellezza è quella interiore” fa troppo Suor Cristina di The Voice.
La frase “la moda rimane lo stile passa” mi pare l’abbia già detta una tale Coco Chanel.
Io posso solo aggiungere che quel qualcosa in più non si compra da nessuna parte. Che nel vostro OUTFIT l’unico accessorio che non deve mai mancare è il sorriso. Vero. Che quando ci si sente in passerella, basta un attimo e si inciampa proprio in quella scarpa da 1000 euro. Che l’importante è rialzarsi, appoggiarsi a chi con noi di questa caduta piangerà dalle risate, e magari comprare delle converse.Che siamo belle lo stesso. Che siamo brutte lo stesso. Di cadute ne faremo tante. Che almeno non siano di stile.

Donatella Di Lieto

Ps: ora scappo che devo andarmi a fare un long bob con riflessi sun kissed ed il mio sunday outfit non è ancora abbastanza  cromaticamente insensato.

[Le opinioni espresse sono a carattere strettamente personale/ Views are my own]

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[Immagini tratte da Google Immagini]