Call for Artists: realizza la Cover #4 della nostra rivista!

BANDO PROROGATO SINO AL 12 AGOSTO

La Chiave di Sophia sta cercando nuovi illustratori, fotografi e artisti per realizzare la COVER #4 del prossimo numero cartaceo della nostra rivista.
Inviaci una tua idea all’indirizzo info@lachiavedisophia.com, potresti essere selezionato come autore della quarta copertina della nostra rivista cartacea!

Chi siamo

La Chiave di Sophia è un progetto nato dall’esigenza di ridar luce alla Filosofia, materia molto spesso considerata astratta e poco pratica. Oggi La Chiave di Sophia è una rivista di Filosofia pratica registrata al Tribunale di Treviso. Una delle sfide che si propone è di tenere insieme la diversità, segno dell’autentica ricchezza del pensiero. Molteplici profili e discipline coinvolte nell’obiettivo di mostrare quanto sia permeabile lo spazio tra la filosofia e la quotidianità. È una rivista on-line ma anche cartacea (#1 clicca qui) oltre a porsi come organizzatore di eventi culturali.

Chi stiamo cercando

Cerchiamo artisti, illustratori, designer, fotografi che abbiano voglia di mettersi in gioco, illustrando la copertina del quarto numero della nostra rivista cartacea, dedicata al tema del cibo: cosa potranno dire le discipline filosofiche, di pensiero autonomo, riguardo a questo tema?

Come partecipare

Invia la tua candidatura e la tua proposta di cover all’indirizzo email info@lachiavedisophia.com, corredata da una descrizione che possa restituire – seppur in poche parole – l’idea che sta dietro all’illustrazione; ed un breve profilo biografico.

L’artista selezionato sarà retribuito per il lavoro svolto.

Bando 3 – 2017

Il progetto grafico dovrà interpretare il seguente tema:

Foodismo
Il cibo oltrepassa la questione fisiologica e si apre alla dimensione del senso: quali logiche interessano il mercato e la cultura del cibo lungo il sottile confine tra bisogni, scelte e tendenze?

Per il tema completo e per leggere l’abstract clicca qui

Formato e layout
Il formato della cover dovrà essere di 20×27 con abbondanza di 5mm e dovrà contenere lo spazio per alcuni degli elementi fissi: il marchio testata, numero, mese, anno, codici ISSN e codice e barre, titolo e sottotitolo e eventuali articoli in evidenza. A eccezione del marchio posto in alto, la disposizione degli altri elementi è a scelta dell’artista.Qualunque tecnica è ammessa purchè il lavoro poi venga consegnato in formato digitale (TIFF) con una risoluzione minima di 300dpi.

Per una continuità stilistica richiediamo la presenza di due fasce monocromatiche poste rispettivamente in alto e in basso, dunque l’illustrazione dovrà presentarci centralmente. Per vedere le due cover già realizzate clicca qui

Scadenze
5.08.2017 – Invio della candidatura e consegna delle proposte grafiche
10.08.2017 – Comunicazione progetto selezionato
26.08.2017 – Consegna delle grafiche definitive

BANDO PROROGATO SINO AL 12 AGOSTO

Per maggiori informazioni contattare l’indirizzo info@lachiavedisophia.com

Bando scaricabile: qui

Biennale di Venezia e concime culturale

Basta assaporare un po’ l’aria che si respira a Venezia, l’aria della Biennale fuori dai salotti buoni e dalle feste esclusive, per capire che più che di fronte a un humus culturale si sta sprofondando nella stagnazione culturale.

Interessante è anche il titolo Viva Arte Viva, che sembra più una preghiera che una sua concretizzazione, un auspicio disatteso, perché solo delle cose che sono già morte ne si invoca la vita, le cose vive sono vive e non hanno bisogno di qualcuno che lo rimarchi.

La Biennale è diventata, e una volta non lo era, la peggior incarnazione di quello che Adorno definisce l’«industria culturale», e l’epifenomeno che ne consegue è la proliferazione di radical chic, mai propositivi, detentori di rendite che si riversano nei tristi rigagnoli di una manifestazione che rischia di non aver più nulla da dire in termini autenticamente artistici.

Lucca Comics almeno è un ritrovo di nerd abbastanza simpatici che si vestono da supereroi, alla Biennale orde di radical chic fanno i cosplayer con l’eccentricità finendo solo per essere delle brutte parodie di esseri umani mettendo in scena la tristezza che solo lo svilimento della creatività può cagionare.

Scrivono a proposito Horkheimer e Adorno:

«Parlare di cultura è sempre stato contro la cultura. Il denominatore comune cultura contiene già virtualmente la presa di possesso, l’incasellamento, la classificazione, che assume la cultura nel regno dell’amministrazione».

La Biennale di Venezia è ridotta ad una Gardaland della cultura, che di culturale non ha quasi più nulla, la cultura che diventa sistema non è già più cultura. Negli anni ho visto quanti giovani artisti promettenti giacciano dimenticati con le loro opere in qualche Accademia delle Belle Arti solo perché quello che fanno è o troppo visionario o troppo fuori dal mercato del circuito delle relazioni “giuste” del business culturale.

L’industria culturale arriva a designare, innanzitutto, una fabbrica del consenso che ha liquidato la funzione critica della cultura, soffocandone la capacità di elevare la protesta contro le condizioni dell’esistente. Essa fonda la sua funzione sociale sull’obbedienza, lasciando che le catene del consenso s’intreccino con i desideri e le aspettative dei consumatori. La cultura oggi esalta il narcisismo, l’individualismo, l’accettazione dell’esistente e da modalità creativa di sfuggire dalla consuetudine stesso diventa invece precondizione della sua riconferma.

L’arte di oggi, messa in scena in questi grandi eventi mondani dove il pubblico è più interessato agli aperitivi che alle opere, mette in atto la trasformazione dall’arte come liberazione e critica a riconferma del sistema di valori della società, disinnescando ogni criticità, rendendo l’arte e l’artista gregario della conservazione di ciò che è, glorificandola, non modificandola, eliminando il concetto di progresso.

Ha fatto bene Piero Manzoni a esporre la “merda d’artista”: adesso assistiamo a una nuova categoria il concime culturale, perché la cultura, quella vera, sta al di là di queste manifestazioni ormai grottesche, sta oltre i brindisi, sta nel tormento di Van Gogh, sta nell’Urlo di Munch che cerca ancora oggi di gettare l’umanità oltre l’ovatta del tempo, una voce soffocata che chiunque che abbia a cuore la cultura dovrebbe ascoltare, sostenere e portare avanti, andando a cercare la cultura là dove si nasconde, perché l’arte, quella vera, non si mostra, si nasconde e al massimo si scopre, con fatica, come del resto la libertà.

Vi lascio non con una citazione aulica, ma con questo video sulla Biennale 1978 di Umberto Sordi che vi farà, spero, un po’ capire meglio di quanto io non sia riuscito a esprimere quanto la nostra deriva culturale stia prendendo una piega ridicola, ma anche triste e preoccupante.

Matteo Montagner

[Immagine tratta da Google Immagini]

 

banner2-pubblicita-rivista2_la-chiave-di-sophia

Call for Artists: realizza la Cover #3 della nostra rivista!

La Chiave di Sophia sta cercando nuovi illustratori, fotografi e artisti per realizzare la COVER #3 del prossimo numero cartaceo della nostra rivista.
Inviaci una tua idea all’indirizzo info@lachiavedisophia.com, potresti essere selezionato come autore della terza copertina della nostra rivista cartacea!

Chi siamo

La Chiave di Sophia è un progetto nato dall’esigenza di ridar luce alla Filosofia, materia molto spesso considerata astratta e poco pratica. Oggi La Chiave di Sophia è una rivista di Filosofia pratica registrata al Tribunale di Treviso. Una delle sfide che si propone è di tenere insieme la diversità, segno dell’autentica ricchezza del pensiero. Molteplici profili e discipline coinvolte nell’obiettivo di mostrare quanto sia permeabile lo spazio tra la filosofia e la quotidianità. È una rivista on-line ma anche cartacea (#1 clicca qui) oltre a porsi come organizzatore di eventi culturali.

Chi stiamo cercando

Cerchiamo artisti, illustratori, designer, fotografi che abbiano voglia di mettersi in gioco, illustrando la copertina del terzo numero della nostra rivista cartacea, dedicata al tema dell’viaggio: cosa potranno dire le discipline filosofiche, di pensiero autonomo, riguardo a questo tema?

Come partecipare

Invia la tua candidatura e la tua proposta di cover all’indirizzo email info@lachiavedisophia.com, corredata da una descrizione che possa restituire – seppur in poche parole – l’idea che sta dietro all’illustrazione; ed un breve profilo biografico.

L’artista selezionato sarà retribuito per il lavoro svolto.

Bando 2 – 2017

Il progetto grafico dovrà interpretare il seguente tema:
Oltre i confini del viaggio.
La complessità del mondo attuale ci spinge a indagare forme e significati del viaggiare: dal comune movimento alla ricerca di sé e l’incontro con l’Altro.

Per il tema completo e per leggere l’abstract clicca qui

Formato e layout
Il formato della cover dovrà essere di 20×27 e dovrà contenere lo spazio per alcuni degli elementi fissi: il marchio testata, numero, mese, anno, codici ISSN e codice e barre, titolo e sottotitolo e eventuali articoli in evidenza. A eccezione del marchio posto in alto, la disposizione degli altri elementi è a scelta dell’artista. Qualunque tecnica è ammessa purchè il lavoro poi venga consegnato in formato digitale (TIFF) con una risoluzione minima di 300dpi.

Scadenze
9.04.2017 – Invio della candidatura e consegna delle proposte grafiche
12.04.2017 – Comunicazione progetto selezionato
21.04.2017 – Consegna delle grafiche definitive

BANDO PROROGATO FINO AL 21 APRILE 2017

Comunicazione progetto selezionato 24.04.17

Per maggiori informazioni contattare l’indirizzo info@lachiavedisophia.com

Bando scaricabile: qui

L’impressionismo a Treviso: opinioni sulla grande mostra

Il 29 ottobre scorso è stata inaugurata al Museo di Santa Caterina a Treviso la tanto discussa mostra Storie dell’Impressionismo, importantissima rassegna di pittura impressionista curata da Marco Goldin, storico dell’arte e abile imprenditore che ha fatto dell’organizzazione di importanti mostre d’arte il suo mestiere.

C’è da premettere che la genesi e lo sviluppo di questo progetto, di grande rilevanza per l’immagine del capoluogo della Marca e per il suo turismo, non sono stati per nulla facili: molti influenti personaggi del mondo culturale locale (e non solo) si sono sin dai primi tempi opposti duramente alla possibilità di affidare gli spazi del museo civico trevigiano al famoso curatore, accusato, ritengo ingiustamente, di creare mostre di bassissima qualità e di attirare grandi masse di visitatori con prodotti di basso profilo culturale e dai contenuti pressoché inesistenti. A ciò si lega il fatto che, secondo gli intellettuali di questa cerchia, il Museo di Santa Caterina necessiterebbe di lavori di sistemazione, e quindi di una maggiore promozione che ne permetta l’attuazione, senza però dover far passare la collezione permanente in secondo piano per lasciare posto a mostre come questa, che, come molti invidiosi usano riferirsi agli eventi goldiniani, vengono definite, con un semplice gioco di parole, ‘mostri’, accozzaglie di opere di artisti famosi esposte per attirare le masse. Ma come stanno le cose in realtà?

Ho visitato questa grande mostra un venerdì mattina e la prima cosa che non ho potuto fare a meno di notare è il grande afflusso di visitatori che si apprestano ad affrontare il lunghissimo percorso espositivo. È stata una sensazione piuttosto strana percorrere le sale del museo trevigiano in mezzo a così tanta gente: scolaresche, gruppi vari e soprattutto pensionati, tutti alla scoperta delle opere della grande stagione artistica francese, ma allo stesso tempo di una sede museale che, grazie alla mia esperienza di stagista nella stessa, posso garantire di non aver mai visto così viva. Dunque qui va subito ad infrangersi una delle argomentazioni di coloro che le mostre organizzate da Goldin proprio non possono tollerarle: con questo evento si è riusciti a catalizzare verso il museo una quantità di persone inimmaginabile per gli standard del complesso di Santa Caterina, una massa di visitatori che può scoprire, insieme alla mostra, le collezioni del museo. Infatti, se è vero che molte sale sono state svuotate per esporre i capolavori dei vari Manet, Monet, Renoir, Cézanne e Van Gogh, le opere più importanti del museo sono comunque disposte lungo il grande corridoio dell’ex convento dove esso è ospitato, in modo che il visitatore, spostandosi tra gli ambienti a sinistra e a destra del grande spazio centrale, è ‘obbligato’ ad ammirare anche i maggiori capolavori delle collezioni trevigiane, dipinti di Tiziano, Tiepolo, Lorenzo Lotto, Rosalba Carriera e molti altri. Come si può chiamare questa se non promozione del luogo?

A questo punto resta solo da valutare la mostra vera e propria, indipendentemente dai suoi influssi sul turismo e sulla promozione del territorio. Sinceramente, credo che anche in questo caso chi critica amaramente le mostre firmate Goldin non faccia altro che dimostrare una fortissima e apparentemente ingiustificabile invidia.

Ciò non significa che la grande esibizione sia priva di difetti: ho trovato il percorso di visita poco chiaro, colpa anche del fatto che sia disposto, nella prima parte, lungo due assi longitudinali separati dal grande corridoio del convento, cosa che rende complicata la scelta della sequenza da seguire e imponga una certa attenzione al fine di non saltare alcuni ambienti. Altra piccola critica che posso rivolgere alla mostra è quella di non avere un preciso ordine tematico o stilistico da seguire, o meglio, i temi ci sono ed è su di essi che si fonda il percorso, ma vengono a più riprese abbandonati e ripresi, seguendo essenzialmente un vago ordine cronologico che rischia però di mettere un po’ di confusione nei visitatori meno esperti. Questo è il motivo principale per cui molti puristi ritengono che queste mostre siano inutili e prive di contenuto. Ritengo tuttavia che queste affermazioni siano frutto di pura follia o, meglio, di enorme invidia. Ma poi perché mai ci dovrebbe essere invidia da parte di questi intellettuali?

La risposta è scontata: chi altro in Italia riesce a radunare in un unico evento oltre cento capolavori dei grandi protagonisti dell’impressionismo? Se anche a me è permesso fare un gioco di parole, posso affermare che questa mostra sull’impressionismo è impressionante: non ho mai visto in vita mia una quantità simile di dipinti di questa corrente artistica, una rassegna gigantesca che abbia radunato opere di tutti gli artisti che ne sono stati fautori e che presenti, per ciascun autore, dipinti di soggetti diversi, spesso accostati a quadri di soggetto simile di un altro pittore, così da evidenziarne le differenze. Penso che, nonostante l’ordine espositivo talvolta poco chiaro, visitare questa mostra sia d’obbligo per chiunque studi arte o ne sia molto appassionato, perché l’occasione di poter vedere così tanti capolavori, spesso accostati tra loro in modo geniale, e poterne valutare caratteristiche e differenze possa non capitare una seconda volta. Così come può non capitare più nella vita di vedere le singole opere ora esposte a Treviso, provenienti da musei sparsi in tutto il mondo. Daltronde, quante possibilità ci sono che mi ritrovi un giorno in Ohio a visitare il museo di Columbus? Onestamente, credo poche. Perché non approfittare allora di vedere alcune delle sue opere a Treviso, finché ci sono?

Luca Sperandio

Lo sguardo dell’arte come strumento di analisi e problematizzazione dell’attualità

L’arte anticipa i cambiamenti, comunica con la coscienza collettiva, apre gli occhi, scuote. Chiama alla partecipazione, muove le masse e fa parlare, nel bene e nel male. Se diventiamo consapevoli e se impariamo a distinguere il discorso sul contenuto da quello sulla forma, essa diventa un’indispensabile chiave di lettura della realtà.

Viviamo un momento storico in cui parlare d’arte e cultura sembra superfluo: il terrorismo, l’instabilità dell’Europa, la situazione complessa del Medio Oriente, ecc. Dopo una lunga incertezza su come scrivere questo articolo – qualsiasi cosa sembrava fuori luogo – ho pensato che è proprio in un momento di disorientamento e insicurezza come quello attuale che si deve parlare di cultura.

In particolare in questi giorni, la situazione politica della Turchia è al centro dell’attenzione internazionale, il tentativo di colpo di Stato e le successive misure attuate dal presidente Recep Tayyip Erdoğan hanno aperto un dibattito sul reale valore della democrazia di cui il governo turco si fa promotore.

In questo contesto può l’arte aprire un discorso di approfondimento sull’attualità? Può trovare una sua finalità nel cercare di spiegare il reale e di dare una prospettiva differente?

La libertà d’espressione ci dà la misura dello stato di salute della democrazia di un paese, ed è proprio in terreno artistico che vanno cercati i primi segnali di una società malata, di un autoritarismo crescente, di un’atrofizzazione dei valori collettivi.

In particolare l’arte pubblica, che irrompe nelle strade, è un potente strumento di consolidamento del sentimento collettivo, ma anche di critica. L’arte si fa politica nel vero senso del termine, entra nella polis e si rivolge direttamente ad essa.

Penso quindi all’opera degli artisti attivisti Pixel Helper che nel maggio scorso ha fatto scandalo a Berlino: il volto del presidente turco Erdoğan accostato a quello di Hitler, entrambi proiettati sulla parete dell’ambasciata turca. Un messaggio forte, estremo, di critica non solo nei confronti della politica turca ma anche contro l’atteggiamento condiscendente di quella tedesca nel sostenerla.

Arte come sguardo all'attualità - La chiave di Sophia

Il gruppo di artisti ha spiegato la sua azione con queste parole:

«A scuola gli insegnanti ci hanno sempre avvisato del pericolo di quel piccolo uomo con i baffetti che, prima, giunse al potere democraticamente, poi iniziò ad arrestare gli oppositori, poi cambiò la Costituzione per perseguitare le minoranze religiose. A quei tempi, tutti gli stati confinanti hanno continuato a trattare con questo signore, perché, pensavano, con certi demagoghi si possono fare affari. Vabbè… per fortuna qualcosa del genere oggi non succederebbe mai. PER FORTUNA! Oggi abbiamo tutti imparato dalla storia, e con i despoti NESSUNO fa più accordi…»

Per quanto radicale il messaggio è chiaro, immediato: “Gente prestate attenzione, la storia può ripetersi”.

E considerando i fatti attuali quest’opera acquista un senso più lucido, l’arte ha la capacità predittiva dell’intuito ed è per questo motivo che è utile ascoltare quello che ha da dirci.

Nel 2007 l’artista Ferhat Özgür con la sua sua opera I Love You 301 espone per le strade di Istanbul l’articolo 301 del codice penale turco, che prevede l’incarcerazione per chiunque offenda pubblicamente lo Stato e i suoi organi. Ad oggi sono passati nove anni e sorge il dubbio che Özgür possa ripetere un’azione del genere.

Arte come sguardo all'attualità - La chiave di Sophia

Aprire gli occhi sulla realtà sembra l’atto più radicale che l’arte possa compiere oggi, la prospettiva amplificata che gli artisti ci possono offrire è fondamentale, indifferentemente dalle nostre posizioni, perché spesso l’informazione non è sufficiente.

Non per forza l’arte deve essere sovversiva: spesso la realtà viene solo suggerita e il messaggio è altrettanto potente. Durante la 14° Biennale di Istanbul, conclusasi nel novembre 2015, l’installazione The Closet dell’artista Hale Tenger si presenta come una riflessione sul buio periodo di dittatura che seguì il colpo di Stato in Turchia nel 1980: tre stanze nelle quali vediamo un tavolo perfettamente apparecchiato, i libri di grammatica aperti sulla scrivania, sentiamo il profumo della cena, l’ambiente è ordinato e domestico. La radio accesa manda in onda la cronaca di una partita che viene interrotta puntualmente dal messaggio “terroristi arrestati, catturati, uccisi”. Ma la casa è completamente vuota e quello che si diffonde è un senso di inquietudine, perché qualcosa è successo in quella casa. È il 1980? È casa nostra? È adesso?

Attraverso l’arte ci viene offerto un prezioso strumento di lettura della realtà sociale e culturale che ci circonda. Poiché l’immagine è immediata ed è in grado di esprimere sentimenti collettivi attraverso un processo di empatia e condivisione, lo spettatore è portato a partecipare attraverso la riflessione e all’elaborazione del messaggio. Se l’artista crea l’opera, chi la percepisce la rende viva.

D’altronde noi in quanto pubblico dobbiamo pretendere che il messaggio dell’arte sia un’espressione di verità, non possiamo concederle il lusso di essere superficiale.

Prendiamo ad esempio l’artista Christo, che con le sue Floating Piers è rimasto al centro dell’attenzione mediatica per settimane, e che ha acceso i riflettori sulla partecipazione massiva all’opera d’arte. O più che altro, sul contemporaneo e viscerale bisogno umano – frutto di una lunga evoluzione – di esserci per esserci, e poi condividere la foto sui social. Milioni di foto, tutte uguali.

Christo ha detto di essere molto soddisfatto di aver permesso a tutti di vivere l’esperienza di camminare sulle acque del Lago d’Iseo e di vivere quell’istante come unico, ma non chiediamo ai 1,2 milioni di visitatori il senso di questa partecipazione, perché accalcati sopra le passerelle probabilmente era davvero difficile capirlo. E in fin dei conti ci ha detto davvero qualcosa quest’opera? O il suo significato è rimasto limitato nell’ambito dell’evento mondano?

In quanto spettatori dobbiamo essere curiosi, sempre, ma anche chiederci se l’occasione che l’opera d’arte ci offre di diventare partecipi di un progetto ci permette di condividere riflessioni e sentimenti profondi, complessi, archetipi culturali in cui riconoscere la nostra identità. L’arte ludica esiste e va benissimo, ma forse andrebbe ridimensionata l’attenzione che le rivolgiamo.

L’attentato di Nizza della settimana scorsa ha nuovamente fatto irrompere con prepotenza l’orrore nella nostra quotidianità. Per quanto si sia detto successivamente attraverso i media, credo che l’immagine del David di Michelangelo nero disteso in Piazza della Repubblica a Firenze sia riuscito ad esprimere più di mille parole.

Arte come sguardo all'attualità - La chiave di Sophia

Un’immagine che colpisce direttamente ognuno di noi con il suo messaggio di perdita e lutto, una messa in discussione della nostra civiltà che non ha identità politica nel suo manifestarsi fragile e decadente, nessuno ne è immune.

L’arte è un dibattito aperto e continuo, teniamone conto in quest’epoca di opinionisti, forse meriterebbe più spazio.

Claudia Carbonari

[Immagini tratte da Google Immagini]

Call for Artists: realizza la Cover #2 della nostra rivista!

La Chiave di Sophia sta cercando nuovi illustratori, fotografi e artisti per realizzare la COVER #2 del prossimo numero cartaceo della nostra rivista.
Inviaci una tua idea all’indirizzo info@lachiavedisophia.com, potresti essere selezionato come autore della seconda copertina della nostra rivista cartacea!

Chi siamo

La Chiave di Sophia è un progetto nato dall’esigenza di ridar luce alla Filosofia, materia molto spesso considerata astratta e poco pratica. Oggi La Chiave di Sophia è una rivista registrata al Tribunale di Treviso di Filosofia pratica. Una delle sfide che si propone è di tenere insieme la diversità, segno dell’autentica ricchezza del pensiero. Molteplici profili e discipline coinvolte nell’obiettivo di mostrare quanto sia permeabile lo spazio tra la filosofia e la quotidianità. È una rivista on-line ma anche cartaceo ( #1 clicca qui) oltre a porsi come organizzatore di eventi culturali.

Chi stiamo cercando

Cerchiamo artisti, illustraotori, designer, fotografi che abbiano voglia di mettersi in gioco, illustrando la copertina del secondo numero della nostra rivista cartacea, dedicata all’urgente tema dell’ambiente: cosa potranno dire le discipline filosofiche, di pensiero autonomo, riguardo a questo tema?

Come partecipare

Invia la tua candidatura e la tua proposta di cover all’indirizzo email info@lachiavedisophia.com, corredata da una descrizione che possa restituire –seppur in poche parole– l’idea che sta dietro all’illustrazione; ed un breve profilo biografico.

L’artista selezionato sarà retribuito per il lavoro svolto.

Bando 1 -2016

Il progetto grafico dovrà interpretare il seguente tema:
Uomo e natura: possibile connubio o antitesi inevitabile?

Per il tema completo clicca qui

Formato e layout
Il formato della cover dovrà essere di 20×27 e dovrà contenere lo spazio per alcuni degli elementi fissi: il marchio testata, numero, mese, anno, codici ISSN e codice e barre, titolo e sottotitolo e eventuali articoli in evidenza. A eccezione del marchio posto in alto, la disposizione degli altri elementi è a scelta dell’artista. Qualunque tecnica è ammessa purchè il lavoro poi venga consegnato in formato digitale con una risoluzione minima di 300dpi.

Scadenze
26.09.2016 – Invio della candidatura e consegna delle proposte grafiche
3.10.2016 – Comunicazione progetto selezionato
10.10.2016 – Consegna delle grafiche definitive

Per maggiori informazioni contattare l’indirizzo info@lachiavedisophia.com

 

Il successo del genio

<p>Little Herr Albert</p>

Ciascun artista possiede un proprio spazio all’interno della storia, e così come nei film esistono protagonisti, attori secondari e semplici comparse, nella storia dell’arte esistono autori di maggior rilievo, cui oggi molto spesso viene associato il termine di “genio”, e artisti di via via minore spessore, fino alle centinaia di figure senza volto che lavorano dietro le quinte, nelle botteghe, all’ombra dei grandi maestri. Tuttavia, differentemente da un film, nella storia dell’arte i ruoli non sono mai costanti, e chi viene considerato un protagonista dagli occhi e dalle menti di un dato secolo viene poi, in numerosi casi, ridotto a figura secondaria dagli spettatori del secolo successivo, e così viceversa. Sono i cambiamenti storici, le rivoluzioni, la politica, la filosofia, la letteratura e molti altri fattori a determinare questi spostamenti degli artisti nella “scala gerarchica” che ne determina il peso storico e artistico.

Viene di conseguenza naturale domandarsi con quale occhio noi oggi guardiamo le opere di un pittore o uno scultore (o quant’altro), con quale metro le valutiamo e secondo quali criteri consideriamo un artista “geniale” o meno. Il concetto di “genio” emerge in età romantica e viene utilizzato ancor oggi per individuare, in ambito artistico, delle personalità in grado di trasferire la propria dirompente soggettività nell’opera, che diventa una estensione materiale della loro interiorità e pertanto, dal punto di vista dello spettatore, un “ricordo” di un’azione fortemente individuale. Basterà osservare attentamente il gusto attuale in materia artistica per rendersi conto che gli artisti più famosi e maggiormente tenuti in considerazione sono proprio coloro che più si avvicinano all’accezione romantica di “genio”, evidenziando così come la sensibilità odierna non sia di fatto molto distante da quella di circa due secoli fa.

Ovviamente l’ingresso irruento dei media nella vita quotidiana nei tempi più recenti non può banalizzare la questione a una così semplice affermazione, ma la posizione di grande instabilità e spaesamento del soggetto d’oggi si può a grandi linee accostare a quella che, tra Settecento e Ottocento, ha prodotto la concezione di arte come prodotto dell’azione di una ben definita individualità e non più, come accadeva nei secoli di Ancien Régime, come prodotto di un’intera società e della sua mentalità. Ciò non significa ovviamente che le figure geniali siano relegate alla sola contemporaneità: le caratteristiche del genio, ovvero soggettività e individualismo (molto spesso accompagnati da atteggiamenti anticonformisti e talvolta drasticamente critici), si ritrovano in numerosi artisti di qualsiasi epoca, anche ben prima del Romanticismo, e figurano sempre in coloro che oggi consideriamo unanimemente i maggiori artisti della storia. Michelangelo e Jackson Pollock, due artisti dalle caratteristiche stilistiche diametralmente opposte, condividono  alcuni tratti fondamentali del “genio”: forte personalità e grande capacità di trasferire nell’opera d’arte la propria visione del mondo, nonché una certa dose di spirito critico rispetto agli eventi epocali che segnano il loro percorso storico e artistico, dall’età del Concilio di Trento al secondo dopoguerra.

Partendo da questi presupposti, non è difficile comprendere perché alcuni artisti siano più conosciuti e più mitizzati rispetto ad altri a loro equivalenti per originalità e capacità tecnica. Perché Picasso è da tutti ritenuto il più geniale pittore contemporaneo e Kandinskij, altrettanto importante per la storia dell’arte, è molto meno conosciuto dalle masse? Evidentemente Picasso ha dato qualcosa di più: nonostante l’originalità e il forte tratto personale delle opere dell’artista russo, il suo collega spagnolo ha saputo raccontare il suo pensiero, il suo modo di vedere il mondo, le sue stesse debolezze attraverso le opere, portandole a un livello comunicativo che in Guernica raggiunge un’immediatezza e un impatto fortissimi. Il genio deve dunque comunicare la sua soggettività, deve saperla raccontare a tutti mediante le sue opere per essere capito e apprezzato, e Picasso, così come molti altri “geni”, ha sempre qualcosa di personale da raccontare nei suoi dipinti.

Forse l’esempio più emblematico di ciò è il successo globale e dirompente delle opere di Caravaggio, artista geniale per definizione, irruento tanto nella vita quanto nelle scelte artistiche. Egli rappresenta il genio per eccellenza, l’artista che da solo ha sfidato la società e pure se stesso, che ha saputo raccontare la sua storia in modo personalissimo, rappresentando la realtà attraverso le proprie esperienze e le proprie paure. Il suo successo tuttavia non poteva che giungere nei tempi più recenti: quasi sconosciuto per tre secoli, venne “riscoperto” solo a inizio Novecento, quando lo spettatore, sin dal secolo precedente affascinato da personalità titaniche, menti sublimi e storie romanzesche, ha deciso di “resuscitarlo”, dando la dignità di eroe all’antieroe e dimenticando inesorabilmente una delle più grandi muse della pittura per i secoli precedenti, il “divin Guido”, Guido Reni, artista contemporaneo del Caravaggio, accademico, “freddo” diremmo oggi, il quale, senza storie affascinanti da raccontare, non poteva che cadere sotto il trionfo del genio romantico, lume della sensibilità odierna.

Luca Sperandio

[Immagine tratta da Google Immagini]

Ilaria Berto alla scoperta dell’Arte…Nuova!

Oggi inauguriamo una nuova sezione che mescolerà l’arte alla giovinezza e dedicherà il suo spazio all’arte vista e realizzata da soli giovani.

La curatrice di “Arte nuova“, questo il nome della rubrica, sarà Ilaria Berto, studentessa, artista e PR per La chiave di Sophia.

Scopo di tutto questo sarà il mettere in luce il talento di giovani artisti che, a causa di una società spesso cieca nei confronti del valore giovanile, non hanno lo spazio per farsi conoscere e per spiegare con le parole, oltre che con l’arte, cosa significhi per loro essere artisti oggi.

Come primo giovane di talento mi sembrava doveroso intervistare l’autrice della rubrica, Ilaria Berto, per farla conoscere a voi lettori che la seguirete e per farvi capire perché proprio lei curerà questa sezione!

– Chi è Ilaria, la studentessa? Chi è Ilaria, l’artista?

In entrambi i ruoli mi sento me stessa, non mi sento diversa quando sono all’università o quando dipingo. Lo studio mi aiuta a crescere come artista quindi le due cose sono indissolubili.

– Il rapporto con l’arte quando inizia e perché?

Non mi sono mai resa conto di quando e perché sia iniziato… Fin da piccola mi piaceva disegnare e i miei genitori spesso mi portavano a visitare mostre e, al contrario di molti bambini, ero davvero interessata a ciò che vedevo. A scuola purtroppo non sono stata molto apprezzata ma la mia passione non si è spenta e ho continuato per la mia strada senza dare troppo peso al giudizio dei professori. Qualche anno fa mi aveva contattata un’agenzia di moda di Milano per un provino: per curiosità ho accettato, ma una volta lì mi sono resa conto di non sentirmi a mio agio. Subito dopo sono andata a vedere una mostra a Palazzo Reale di Mimmo Rotella e Alda Merini (Un ultimo atto d’amore. Omaggio a Alda Merini e Mimmo Rotella) e lì stavo bene. Ecco che in quel momento ho capito quale fosse la mia strada.

– Sei giovane e promettente. Come si coniuga l’essere giovani con l’essere artisti?

Non è facile. Il mondo dell’arte è fatto di squali: spesso ti passano davanti persone che hanno più possibilità economiche, che essendo studentessa io non ho, e conoscenze. In più riuscire a conciliare università e impegni artistici a volte risulta difficoltoso: quando ho esposto a Londra, ad esempio, non sono riuscita ad andare a vedere la mostra perché nello stesso periodo avevo esami, mentre ultimamente non sono riuscita a sostenerne a causa dei troppi impegni per l’organizzazione di alcune mostre. A tutto questo si aggiunge anche l’invidia degli amici: ho perso molte amicizie perché ottengo più risultati di altri. Spero che con la maturità queste sciocchezze non capiteranno più.

– Poche volte in televisione o sui quotidiani si vede o si sente parlare di giovani promesse nell’arte; secondo te perché?

Fondamentalmente il problema è economico: con il nome famoso si guadagna, con lo sconosciuto no. Il giovane artista di solito viene considerato un investimento a fondo perduto, soprattutto in questo momento di crisi economica durante il quale chi ha la possibilità investe nei nomi conosciuti che sono una garanzia per il futuro.

– Cosa è necessario fare per far emergere i giovani talenti, oggi?

I giovani talenti dovrebbero imparare a organizzarsi, sostenersi e fare rete fra loro in modo da darsi forza a vicenda affrontando compatti la difficile realtà odierna.

– La tua rubrica sarà “Arte Nuova” per dare spazio a questi giovani che come te hanno un’unica passione, l’arte: come mai questa idea?

Quando mi è stato proposto dalla redazione ho subito pensato che sarebbe stato un ottimo punto di partenza per portare avanti le idee sopra citate.

– Cosa cercherai di dimostrare con i tuoi articoli?

Mi piacerebbe dimostrare che non bisogna per forza avere una certa età o già una certa fama per possedere del talento anzi, a volte sono proprio i giovani anonimi ad avere più doti artistiche di persone conosciute.

– Perché i nostri lettori dovranno leggerti?!

Tenterò di presentare l’Arte ai nostri lettori nel modo più chiaro e immediato possibile. Il mio obiettivo è illustrarla al più alto numero possibile di persone, in particolare a chi non conosce questo mondo.

– La tua vita tra 10 anni?

Proprio ieri mi è stato detto di sognare riguardo al mio futuro, stando a questo fra dieci anni vorrei viaggiare per il mondo esponendo le mie opere e magari essere una critica d’arte.

Talento passione dinamismo.

Le tre qualità dei giovani che Ilaria vi presenterà di volta in volta!

Valeria Genova

[Immagine copertina: Senza titolo 20 chine, matite colorate e carboncino su carta di Ilaria Berto e Immagine articolo foto di Monica Conserotti]