Oltre la linea: Jünger e Heidegger sul nichilismo

Oltre la linea (Über die Linie) è scritto da Jünger nel 1950 in occasione del sessantesimo compleanno di Martin Heidegger, che gli risponde nel 1955, e oggi il testo completo della corrispondenza è pubblicato in una breve opera.
Il testo di Jünger vuole essere un omaggio all’autore che aveva rivoluzionato il lessico filosofico moderno ed aperto a nuove riflessioni sulla metafisica e sul Nichilismo dei valori e del senso. Heidegger aveva anche a lungo studiato e discusso i testi di Nietzsche e nel momento in cui legge il Nichilismo Europeo si dice “distrutto”. Ciò lo spinge a riprendere il dibattito sul tema portandolo anche all’attenzione dei suoi allievi a metà degli anni ’40 in diversi corsi all’Università di Berlino.

La linea citata nel titolo è il limite simbolico che una volta varcato potrebbe portarci al di là della condizione nichilistica storica che viviamo; di particolare importanza è la particella iniziale über che rimanda all’attraversare: sebbene la particella possa rimandare ad un attraversamento completo, ciò che intende Jünger è la possibilità di poter attraversare la linea restando quasi in biblico sul limite e dando uno sguardo dall’alto alla condizione storica che si sta vivendo.

«L’attraversamento della linea, il passaggio dal punto zero, indica il punto mediano non la fine. La sicurezza è ancora molto lontana» (M. Heidegger, E. Jünger, Oltre la linea, 1950).

Le domande che inevitabilmente verranno a porsi saranno: è possibile questa transizione ipotizzata dal filosofo o la soluzione migliore è accettare di vivere in una condizione storica nichilistica? Quale è la soluzione che ci porta alla transizione, e la storia che ruolo ricopre?

Afferma Jünger nella prima parte del testo: «Chi non ha sperimentato su di sé l’enorme potenza del niente e non ne ha subìto la tentazione costante di sfuggirne conosce ben poco la nostra epoca» (ivi). Il niente di cui parla il filosofo è l’assenza di meraviglia dell’individuo moderno, il quale sembra essersi assopito: gli manca il contatto con le arti, con i valori, manca la fiducia nelle idee. L’essere umano moderno è stato dilaniato dalle guerre mondiali ed ora cerca di ricostruirsi attraverso il progresso della tecnica, ma nel farlo perde il contatto con l’Assoluto1. L’unica speranza per andare attraverso la linea è recuperare il rapporto con le arti, perché solo attraverso queste l’individuo può recuperare anche il dialogo con sé stesso. Le contingenze storiche lo hanno messo alla prova ponendolo dinanzi al pieno Nichilismo dei valori; ciò nonostante il filosofo è speranzoso e fiducioso in questa nuova rivoluzione a cui il soggetto moderno dovrà dare vita.

La risposta di Martin Heidegger non si fa attendere, ma si discosta da ciò che aveva prospettato Jünger: il Nichilismo, non si può varcare né attraversare, non si può guardare dall’alto perché ne faremo sempre parte, l’esperienza del niente fa parte della vita dell’uomo perché è parte essenziale della sua storia:

«La pietra di paragone più dura, ma anche meno ingannevole, per saggiare il carattere genuino e la forza di un filosofo è se egli esperisca subito e dalle fondamenta, nell’essere dell’ente, la vicinanza del Niente. Colui al quale questa esperienza rimane preclusa sta definitivamente e senza speranza fuori dalla filosofia e dalla storia» (ivi).

L’individuo deve farsi carico del Nichilismo avendo la consapevolezza che l’ospite più inquietante, come lo definì Nietzsche, non potrà mai essere messo alla porta ed anzi la sua esperienza è ciò che profondamente caratterizzerà la vita di ognuno. Il compito del filosofo sarà guidare l’individuo nel percorso che lo porterà ad accettare e vivere la sua condizione attraverso la riflessione, il dialogo, l’analisi. Vivere nichilisticamente significa accettare che non c’è alcun legame con l’Assoluto, tutto è umano ed è solo il singolo che definisce il senso e il valore al mondo che lo circonda; tutto sembra essere umano, forse troppo umano.

L’opera ci porta a riflettere sulle possibili soluzioni al Nichilismo imperante nell’epoca contemporanea e senz’altro il suo merito è di darci la possibilità di indagare il problema dell’analisi del Nichilismo da due punti di vista. Da un lato la necessaria accettazione di esso; dall’altro il dover recuperare ciò che sembra essere perso anche oggi: la fede negli ideali, il rapporto con l’arte e il dialogo con noi stessi, l’unico mezzo attraverso cui possiamo rapportaci agli altri. Infatti, sebbene il Nichilismo non sia superabile, è possibile però accettarlo e vivere nella storia e facendo la storia, una storia che si costruisce con l’altro.

 

Francesca Peluso

 

NOTE
1. L’Assoluto di cui parla l’autore si deve intendere come uno Spirito Trascendente che pervade la storia e la pervade di senso, strettamente collegata a questa concezione è la teoria dell’arte come salvifica essendo uno dei mezzi attraverso cui questo si manifesta.

[Photo credit Artyom Kabajev via Unsplash]

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La meraviglia dell’album illustrato. Intervista ad Anna Castagnoli

Anna Castagnoli, illustratrice, autrice e teorica dell’album illustrato per bambini, con il suo blog Le figure dei libri, è da anni in prima linea nella comunicazione della cultura del libro per l’infanzia. Da poco è uscito il suo ultimo libro Il manuale dell’illustratore, Editrice Bibliografica.
In questa intervista ci invita a esplorare il mondo dell’album illustrato, a capirne il linguaggio. E scopriamo come la filosofia sia anche il modo naturale di un bambino di vedere le cose, facendosi sempre domande.

Come ti sei avvicinata al mondo dell’illustrazione e perché hai deciso di scrivere un blog su questo tema?

Ho iniziato a vent’anni proprio per caso, mia madre aveva scoperto i corsi d’illustrazione estivi a Sarmede e mi propose di partecipare. Poi però ho fatto tutt’altro: mi sono laureata in filosofia e ho lavorato nel sociale, mantenendo comunque la mia passione per la scrittura, il disegno e la poesia. Verso i trent’anni qualcuno ha visto le mie illustrazioni e mi ha detto che era un peccato non continuare, è stata la spinta che mi serviva: sono tornata a Sarmede e ho deciso di dedicarmi completamente agli album illustrati. Ho scoperto un mondo dietro ai libri per l’infanzia che non conoscevo e che riuniva tutte le mie passioni: il racconto breve, l’arte, le immagini, il tutto in un linguaggio destinato ai bambini, quindi forse con un filtro più dolce che però mi emozionava.

Per quanto riguarda il blog, invece, il merito è di mio marito. Lui è sempre stato più “tecnologico” di me, così mi spinse a realizzare questo progetto, Le Figure dei Libri, nel quale analizzo diversi tipi di album infantile e do alcuni consigli ad aspiranti illustratori. Il poter condividere con altre persone la mia passione, l’interazione con i lettori, la loro accoglienza entusiasta, mi hanno stimolata a investire sempre di più sul blog; questo mi ha aiutata anche a darmi un’organizzazione, a essere puntuale, ad avere una progettualità. Ho sempre scritto con un punto di vista molto personale, appoggiandomi alla storia dell’arte, all’estetica, ai miei studi di filosofia. E alla fine il blog mi ha permesso di costruire una carriera.

In questi anni ho visto come ci sia davvero molta gente interessata a capire come funzionano le immagini, credo sia una tendenza destinata a crescere. Diventa importante riuscire a tradurre la cultura visiva in un linguaggio semplice, il blog è un mezzo molto utile in questo senso.

 

Di che tipo di linguaggio parliamo quando ci riferiamo all’album illustrato infantile?

Mi sono chiesta a lungo se il linguaggio dell’album avesse una specificità.

Credo che la comunicazione dell’album si possa riassumere nel cercare di utilizzare un linguaggio molto mimico e poco simbolico. Ci sono diversi tipi di illustrazione, ed effettivamente quella destinata al mercato editoriale adulto si carica spesso di significati simbolici, usa cioè molto la metafora. Invece nell’album per bambini la messa in scena è semplice, quasi teatrale, rivolgendosi a un pubblico che può essere anche a digiuno da riferimenti culturali. Dal punto di vista della pura percezione, l’immagine dell’album punta ad attivare i neuroni specchio, un particolare tipo di neuroni molto antichi, quelli impiegati nel riconoscimento delle emozioni e del corpo. È quindi un linguaggio molto più immediato, che però magari un bambino capisce subito e un adulto no, perché sulla sua capacità percettiva agiscono diverse sovrastrutture.

Poi c’è l’integrazione tra testo e immagini. Nella storia della letteratura c’è stata una vera e propria evoluzione fino al linguaggio dell’album illustrato così come lo conosciamo oggi. Per esempio, le fiabe tradizionali, come quelle di Perrault, non erano pensate per essere illustrate; successivamente la scrittura per album ha delegato alle immagini gran parte delle informazioni, ma le due dimensioni, il testo e l’illustrazione, devono essere complementari nella creazione del significato complessivo del libro. Facendo questo lavoro mi sono accorta di come in realtà ci sia una scarsissima cultura dell’immagine, spesso si pensa che con un libro illustrato il bambino impari meno, invece non si tiene conto di quanto il bambino possa fare esperienza nell’assimilare linguaggi diversi.

 

In questo periodo si è assistito ad un vero e proprio boom del libro illustrato per bambini, come te lo spieghi?

Credo che il mercato per bambini in realtà non sia mai stato in crisi, proprio perché è un settore nel quale si risparmia meno, oltre al fatto che leggere è una fase dell’educazione e della crescita assolutamente necessaria. Però, secondo me, questa rapida esplosione del mercato editoriale per bambini non è proporzionale alle vendite effettive.

Poi si può parlare anche di reazione generale al mondo digitale, perché comunque l’album illustrato è un oggetto che ti offre il gusto della scoperta sensoriale. Un po’ come il ritorno al vinile per i nostalgici. D’altronde ci vorranno ancora molti anni prima che si sviluppino dei linguaggi capaci di sfruttare e integrarsi appieno con il sistema di comunicazione digitale, come per ogni grande rivoluzione tecnologica. In questa fase di transizione c’è comunque il bisogno di appoggiarsi ancora a degli oggetti, e, soprattutto, il bambino ha bisogno di poter sfogliare un libro.

Anche i blog credo abbiano fatto il loro lavoro. Alcuni, per esempio, si propongono di aiutare maestre e genitori a capire come utilizzare al meglio gli album, quindi c’è probabilmente anche un rinnovato e diffuso interesse pedagogico alla base di questo sviluppo.

 

Come si costruisce un album illustrato?

L’album illustrato è un’opera creativa totale, che conta nella sua progettazione con l’aiuto di diversi attori: accanto all’illustratore e all’autore, hanno un importanza fondamentale l’editore, il grafico, la tipografia… tutto il libro va pensato nel suo insieme perché funzioni, non basta accostare delle immagini a un testo. E in questo senso il lavoro più importante è quello dell’editore, che agisce proprio come un grande regista, cercando di trovare un punto di incontro tra illustratore e autore, e integrando i due diversi linguaggi.

 

Che cos’è lo stile in un album illustrato? Quanto conta a livello di comunicazione?

Sicuramente lo stile segue delle mode, ad esempio alcune illustrazioni degli anni Ottanta forse oggi risulterebbero un po’ kitsch, ma credo che questo sia più un discorso per adulti che per bambini. Lo stile è certamente importantissimo, è un canale nel quale si riversa tutto il codice culturale dell’immagine, ma non è detto che il lettore bambino ne colga le diverse sfumature, perché magari non ha ancora elaborato un sistema di lettura o sostrato culturale che lo aiuti a decodificare tale immagine. Quello che il bambino riceve deve essere l’emozione, un elemento che accenda la sua curiosità, l’album deve trasmettere una certa emozione al di là della tecnica usata come medium.

Sul lato formale, oggi c’è una ripresa dell’estetica del primo Novecento, dove predomina il bianco. L’album in effetti nasce come spazio della pagina bianca, quindi penso che le preferenze siano un po’ cicliche.

Poi, personalmente, ci sono album che trovo esteticamente molto belli ma che magari mi lasciano fredda, trovo molto più interessante quando emerge qualcosa di inconscio e una certa sfumatura non del tutto ragionata.

 

Dopo la laurea in filosofia, come sei riuscita a conciliare questa disciplina con la tua attività di autrice, illustratrice e critica?

La filosofia mi ha insegnato a esercitare il pensiero, a costruire un ragionamento logico e ad arrivare a delle conclusioni attraverso l’analisi. Un metodo, quindi, che mi è utile non solo a livello lavorativo ma anche nella vita di tutti i giorni. Mi piace anche il fatto che non ci siano delle risposte, come per gli album, preferisco quando la domanda resta aperta, lasciando qualcosa su cui indagare.

Privilegiare le domande alle risposte è un sistema che nella progettazione di un libro infantile permette di evitare un discorso troppo retorico, che sarebbe poco fertile dal punto di vista creativo. La filosofia partecipa proprio nel modo in cui si usa la creatività per parlare di certi temi a un bambino. Sempre offrendo uno stimolo a farsi domande e ad essere curioso. Ti racconto questo aneddoto, perché spiega tutto: tempo fa ho letto La grande domanda di Wolf Erlbruch a una bambina; alla fine del libro ci sono due pagine bianche sulle quali il lettore deve scrivere la sua risposta, ma in realtà questa grande domanda non viene mai detta in tutto il testo. Ecco, lei scrisse “una cosa ci ha creati”, al che rimasi piuttosto sorpresa sapendo che la famiglia non era affatto religiosa, quindi mi decisi a indagare e le chiesi “e perché ci ha creati?” e lei rispose “è la grande domanda!”. Aveva perfettamente capito il senso del libro.

 

Proprio il farsi domande, un esercizio che appunto la filosofia ci insegna, è in qualche modo legato al concetto di meraviglia. Un’emozione che secondo me l’album illustrato può portare sia a bambini che ad adulti, e che credo sia fondamentale per conoscere il mondo. Che cosa significa per te questa parola?

Ho un ricordo molto vivido che posso portare ad esempio: mia madre alla finestra con dei pezzetti di vetro in mano. Me li mostrò sotto un raggio di luce dicendomi che erano pietre preziose. Sento ancora quella sensazione data dal luccichio delle pietre, dalla mano di mia madre che si schiude, dalle sue parole. Questa è per me la meraviglia, profondamente connessa al concetto di bellezza, o meglio, alla scoperta della bellezza. Molto diversa dal sublime, dove invece ti poni di fronte a qualcosa già con una certa predisposizione. La meraviglia è qualcosa che trovi dove non te l’aspetti. È certamente un’emozione più naturale per un bambino, per il quale ogni cosa è nuova, una scoperta.

Secondo me, poi, ha anche un significato legato alla semplicità, sento che è un’esperienza capace di restituirmi una certa armonia. La meraviglia di fronte alla bellezza dell’arte, per esempio, riflette una specie di ordine cosmico che quando lo riconosciamo ci riassetta. Lo vedo anche nei miei corsi: all’inizio i miei allievi sono spaventati e disegnano male, poi piano piano si rilassano, provano, sbagliano, fanno scoperte e i loro lavori risultano quindi più armonici.

 

Hai dei suggerimenti di lettura che ti piacerebbe condividere, magari tra le tue scoperte più recenti?

Recentemente ho letto Sole luna stella, testo di Kurt Vonnegut e illustrazioni di Ivan Chermayeff, un libro pubblicato negli Stati Uniti negli anni Ottanta, e ora edito in Italia da Topipittori. Lo trovo bellissimo perché è un testo che parla della nascita di Gesù in senso totalmente laico. Tutta la storia è narrata dal punto di vista del neonato che apre gli occhi e impara a vedere il mondo e riconoscere le luci e le forme.

Anche Dimodochè, di Gek Tessaro, Edizioni Lapis. Un libro semplicissimo che dà il senso del piacere del lavoro, della creatività, del costruire… mi ha fatto pensare un po’ alle Città Invisibili di Calvino.

E poi, uno degli ultimi che ho recensito nel blog, Il Viaggio Incantato di Mitsumana Anno, di Emme Edizioni: un delicato racconto senza parole di un lungo viaggio intorno al mondo, dentro alla nostra cultura e attraverso il nostro immaginario fantastico.

Come libro di studio sull’album illustrato mi è piaciuto molto Il bambino estraneo. La nascita dell’immagine dell’ infanzia nel mondo borghese, di Dieter Riechter. Un saggio che parla della storia dell’infanzia, ovvero di come il bambino venga concepito all’interno della società borghese, attraverso un’analisi storica della letteratura infantile. Ci dà la misura di quanto l’idea di una società d’infanzia influenzi tutta la produzione editoriale per bambini e viceversa.

Infine, un classico di ricerca estetica, da leggere assolutamente: Per una semiotica del linguaggio visivo, di Meyer Shapiro.

 

Claudia Carbonari

 

Immagine di copertina: Anna Castagnoli durante il corso da lei tenuto a Sarmede. Fonte: Martina Cavaglia

 

 

Empatia, un trampolino dall’io al tu

La filosofia ha come tratto peculiare che la distingue da tutte le altre scienze l’analisi di fenomeni solitamente considerati ovvi e scontati. Una di queste ovvietà, che sotto la lente filosofica non risulta ovvia per nulla, è il meccanismo dell’empatia. Edith Stein, fenomenologa e santa, nella sua tesi dedicata appunto al problema dell’empatia introduce il problema immaginandosi che: «Un amico viene da me e mi dice di aver perduto un fratello ed io mi rendo conto del suo dolore», per poi chiedersi «che cos’è questo rendersi conto?». Certo la situazione qui descritta è familiare a tutti, nella sua semplicità il movimento empatico è fondamentale nel costruirsi delle relazioni umane, al punto che l’incapacità di mettersi nei panni degli altri, di interpretare le curve di una bocca e l’aggrottarsi di alcune rughe del viso, può essere indizio di disturbi psicologici.

La dinamica empatica potrebbe essere descritta come un uscire da sé per farsi momentaneamente altro e infine ritornare in sé. L’io trova in un elemento del viso dell’altro un trampolino per lanciarsi nella soggettività altrui, interpretando il suo mondo interiore mentre si immedesima. In quanto richiede una certa dose di interpretazione o riempimento di senso, l’empatia è sottoposta alla possibilità dell’errore. Gli errori di questo genere sono fonte di malintesi e incomprensioni, ciò avviene ad esempio quando l’io torna ad imporsi sull’altro proiettando su di esso il proprio stato d’animo. Come quando all’io innamorato il mondo sembra un posto migliore, al contrario se triste, tutto pare congiurare contro la sua speranza di momenti più felici.

Questa situazione ci porta a toccare un elemento centrale del rapporto empatico: l’io deve dislocare il proprio punto di vista per poter aderire all’altro, deve cioè abdicare la propria sovranità per poter essere veramente presso l’altro. Diventando marginale a sé, l’io non accede però al puro vissuto altrui – questo rimane sempre misterioso e inaccessibile – viene a trovarsi invece in una zona grigia, sospeso tra l’io e il tu. Quando ad esempio osserviamo un acrobata rischiare la vita camminando su un filo sospeso in aria, l’empatia ci permette di provare uno spettro di emozioni legate a ciò che vediamo proprio in quanto il nostro punto di vista si è spostato dal suo centro abituale in direzione dell’acrobata. Diventandosi anche per un breve attimo estraneo l’io marginalizza, relativizza le emozioni che accompagnano normalmente il flusso dei suoi vissuti, consentendo una breve parentesi dal rapporto solitamente ermetico dell’io con sé stesso.

Il movimento descritto a partire dall’esempio dell’acrobata sembra essere il nucleo che permette a tutte le situazioni spettacolari di funzionare, persino quando la risoluzione è garantita come nel caso di un film già visto o un libro già letto. L’intrattenimento, il divertissement che richiede l’empatia, è in questo senso un esercizio salubre per l’individuo.

L’empatia quindi è da considerare una di quelle forze umanizzatrici che vanno esercitate, preservate, favorite, per impedire come è successo e come può sempre succedere che l’individuo – per utilizzare le parole di Levinas – rimanga inchiodato a sé stesso.

Francesco Fanti Rovetta

[Immagine tratta da Google Immagini]

Il ghiacci-olismo: il neopositivismo logico del ghiacciolo

Per il neopositivista logico le sole cose sensate che possiamo dire sono quelle che possiamo direttamente verificare con l’esperienza.

1. Lo stecco del Liuk è al gusto di liquirizia.
Questa è una proposizione sensata: compro un Liuk, mangio la parte di ghiacciolo al limone, mordo lo stecco e verifico con l’esperienza che è al gusto di liquirizia. La proposizione 1 oltre ad essere sensata è anche vera.

2. Il ghiacciolo è composto da acqua ghiacciata.
Questa è invece una proposizione logica: non ha bisogno di essere verificata con l’esperienza, perché è sempre vera. E’ analitica, non esprime nulla del mondo; è come dire: “L’acqua ghiacciata è composta da acqua ghiacciata”. Le proposizioni analitiche, proprio perché sono vere in ogni situazione possibile, definiscono i limiti del linguaggio. Per il neopositivista solo le proposizioni come 1 e 2 sono dotate di significato.

3. Il Calippo racchiude la Ghiacciolitudine, l’essenza dell’essere-ghiacciolo.
Questa, infine, è una proposizione priva di senso. Non posso applicare un metodo per verificare se essa è vera o falsa, perciò la proposizione 3 è una proposizione metafisica. Anche se non sembra, le proposizioni metafisiche sono insensate quanto una serie sconnessa di grugniti.

«Lo scopo della filosofia è il rischiaramento logico dei pensieri» (Wittgenstein, Tractatus 4.112). Ogni proposizione va analizzata nelle sue componenti; se una qualche componente della proposizione non è verificabile attraverso l’esperienza, allora l’intera proposizione è priva di senso. Questo è il compito dei filosofi neopositivisti: ripulire il linguaggio dagli enunciati metafisici, che sono pseudo problemi privi di qualsiasi valore conoscitivo.

Critica al neopositivismo logico: l’olismo del ghiacciolo o Ghiacci-olismo

Per il ghiacci-olista nessuna proposizione risponde individualmente all’esperienza. Le proposizioni sul mondo che ci circonda non si sottopongono mai singolarmente al tribunale dell’esperienza sensibile, ma sempre come un insieme solidale con le altre proposizioni che fanno parte della teoria (Tesi di Duhem-Quine). In breve, non posso valutare la proposizione 1 se non considerando contemporaneamente il mio sapere sui ghiaccioli nella sua totalità (considerando, per esempio, che normalmente lo stecco di un ghiacciolo è in legno).
Cocco e More

E le proposizioni logico-analitiche come la 2? Il Ghiacci-olismo sostiene che tutte le proposizioni, comprese quelle logico-analitiche, sono rivedibili. Ciò che differenzia le proposizioni tra loro è solo la nostra disponibilità a farne a meno, vale a dire che una proposizione è più o meno rivedibile a seconda della sua posizione nella nostra rete di credenze (web of belief). Il fatto che i neopositivisti ritengano alcune proposizioni come la 2 necessarie e “vere in ogni mondo possibile” è dovuto solo alla loro centralità nel sistema preso in esame. Tuttavia, a fronte di grandi pressioni alla periferia – per esempio di fronte alla dimostrazione che esistono dei ghiaccioli non composti di acqua ghiacciata, come nel caso del nostro ghiacciolo allo yogurt – dovremmo rinunciare anche alle proposizioni centrali. Tutte le proposizioni sono dunque empiriche e nessuna è analitica.

Ma se facciamo piazza pulita di questa distinzione, su cosa si basa un sistema? Un sistema si basa sulla propria efficienza. Se funziona, allora le sue proposizioni reggono, altrimenti lo si abbandona. Non c’è dunque una differenza di sostanza tra proposizioni come la 2 e la 3: possono essere entrambe postulati di un sistema. In altre parole, non c’è una contrapposizione netta tra analitico e metafisico: «In quanto a fondamento epistemologico, gli oggetti fisici e gli dèi differiscono solo per grado e non per la loro natura» (Quine, I due dogmi dell’empirismo). La proposizione 2 si è semplicemente rivelata più efficiente nel sistema del neopositivismo logico del ghiacciolo, fino a che il nostro ghiacciolo allo yogurt non l’ha smentita.

Ricadute del Ghiacci-olismo sulla quotidianità

Ogni giorno nel rapportarci col mondo dobbiamo verificare se delle proposizioni sono vere o false (“Il supermercato fa orario continuato”, “Il croissant di quella pasticceria è delizioso”, “In quel negozio sono dei ladri” etc.), ma nessuna di queste verifiche possiamo farla senza considerare il nostro bagaglio teorico, ossia i nostri postulati culturali. Ciascuna proposizione è inseparabile dalla rete di credenze di cui fa parte. Ogni volta che ci muoviamo, l’immenso intrico di tradizioni, insegnamenti, preconcetti, verità ritenute analitiche, si muove con noi.

La domanda che ci pone il Ghiacci-olismo è dunque questa: cosa serve per mettere in discussione i nostri postulati? Se poniamo che anche la nostra conoscenza del mondo, come quella scientifica, alterna periodi in cui vige il paradigma e periodi di rivoluzioni (Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche), quand’è che il nostro paradigma sarà messo in crisi? A volte potrà bastare un ghiacciolo allo yogurt, ma quando si tratterrà di temi più profondi? Quante percezioni contraddittorie alla periferia serviranno per scuotere il tepore al centro della nostra rete di credenze? Quante proposizioni dovranno essere smentite dalla realtà perché ci mostreremo disposti a cambiare i nostri schemi mentali? Nella risposta a queste domande sta forse il termometro della nostra saggezza.

I GHIACCI-OLISMI

Ghiacciolismi tutti - La chiave di SophiaPersone: di più! (circa 8 ghiaccioli per tipo in stampi da 70 gr)
Tempo di preparazione: 10 minuti per tipo, più la forza del vostro congelatore

Ingredienti e preparazione:
700 gr acqua
550 gr zucchero di canna
100 gr zucchero semolato

Preparate lo sciroppo di zucchero di canna: mettete la stessa quantità di acqua e di zucchero in un pentolino e portate a bollore. Lasciate raffreddare prima dell’utilizzo.
Preparate lo sciroppo di zucchero semolato: mettete 100 gr di acqua e 50 gr di zucchero in un pentolino e portate a bollore. Lasciate raffreddare prima dell’utilizzo.

Ghiacciolismi2 - La chiave di Sophia(1) TE’ VERDE E LAMPONI:

125 gr lamponi, 2 bustine di tè verde (circa 8 gr)

Fate un tè verde piuttosto intenso e lasciate raffreddare. In un pentolino scaldate per pochi minuti i lamponi con un cucchiaio di zucchero di canna e lasciate raffreddare. Alternate nello forma dei ghiaccioli il composto dei lamponi al tè e mettete in congelatore.

 

Giacciolismo1 - La chiave di Sophia(2) LIMONE E FICHI:
4 limoni, 3 fichi

Spremete i limoni e filtratene il succo. Unitelo allo sciroppo di zucchero semolato preparato precedentemente. Sulla superficie interna di ogni forma di ghiacciolo adagiate due fette sottili di fico e riempite con lo sciroppo di limone. Mettete a congelare.

 

Ghiacciolismi3 - La chiave di Sophia(3) COCCO E MORE:

400 gr latte di cocco, 160 gr latte intero, 125 gr more di rovo

Scaldate il latte intero in un pentolino con 40 gr di sciroppo di zucchero di canna preparato precedentemente. Una volta raffredatosi, aggiungete il latte di cocco e mescolate energicamente. Frullate le more. Alternate nello forma dei ghiaccioli il composto di more a quello di latte di cocco e     mettete in congelatore.

Ghiacciolismi4 - La chiave di Sophia(4) BANANA E KIWI:
4 banane, 2 kiwi

Frullate le banane con 50 gr di sciroppo di zucchero di canna preparato precedentemente (se il composto è ancora troppo denso potete aggiungere un po’ di acqua fredda). Frullate i kiwi. Riempite gli stampi con il composto di banana e terminateli con i kiwi frullati. Mettete a congelare.

 

Ghiacciolismi 5 - La chiave di Sophia(5) POMPELMO ROSA E MIRTILLI:

4 pompelmi rosa, 125 gr mirtilli

Spremete i pompelmi e filtratene il succo. Unitevi 100 gr di sciroppo di zucchero di canna preparato precedentemente. Frullate i mirtilli. Alternate nello forma dei ghiaccioli i mirtilli frullati al succo di pompelmo e mettete in congelatore.

 

 

Aristortele 6 - La chiave di Sophia

(6) MANGO E PEPE ROSA:
2 mango, 5 gr pepe rosa in grani

Frullate i mango privati della buccia con 50 gr di sciroppo di zucchero di canna preparato precedentemente (se il composto è ancora troppo denso potete aggiungere un po’ di acqua fredda). Aggiungete i grani di pepe rosa e mescolate. Riempite gli stampi con il composto e mettete a congelare.

 

(Ghiacciolismi 7 - La chiave di Sophia7) ANANAS E BASILICO:
1 ananas, 10 foglie di basilico

Frullate l’ananas precedentemente sbucciato e pulito con 50 gr di sciroppo di zucchero di canna preparato precedentemente e le foglie di basilico (se il composto è ancora troppo denso potete aggiungere un po’ di acqua fredda). Riempite gli stampi con il composto e mettete a congelare.

 

Ghiacciolismi 8 - La chiave di Sophia(8) MELONE E CHICCHI DI MELOGRANO:
1 melone cantalupo, i chicchi di 1 melograno

Frullate il melone precedentemente sbucciato e pulito con 30 gr di sciroppo di zucchero di canna preparato precedentemente. Aggiungete i chicchi di melograno e mescolate. Riempite gli stampi con il composto e mettete a congelare.

 

aristortele_ricetta_ghiacciolo_yogurt-pesche (9) YOGURT E PESCHE:
400 gr yogurt greco, 20 gr miele di acacia, 5 pesche

Mescolate lo yogurt insieme al miele energicamente. In un pentolino scaldate per 10 minuti (o comunque fino a che il composto non sarà morbido) le pesche sbucciate e a cubetti con due cucchiai di zucchero di canna e lasciate raffreddare. Alternate nello forma dei ghiaccioli il composto di pesche a quello di yogurt e mettete in congelatore.

 

aristortele_ricetta_ghiacciolo_caffe-cardamomo(10) CAFFE’ E CARDAMOMO:
400 ml caffè espresso, 70 gr latte condensato, 200 ml panna liquida, 20 semi di cardamomo

In un pentolino scaldate fino circa 40° la panna con i semi di cardamomo e 20 gr di latte condensato. Mettetela per una notte in frigorifero con i semi di cardamomo in infusione. Preparate il caffè e aggiungetevi 50 gr di latte condensato. Lasciate raffreddare. Riempite gli stampi fino a 3/4 con il composto di caffè e fino all’orlo con il composto di panna e cardamomo filtrato. Mettete a congelare.

 

Potete anche farne un solo tipo, ma ricordate il precetto base dell’olismo: il tutto è superiore alla somma delle parti.

Aristortele

Maldestra ed inattuale analisi del dibattito politico nel mondo sociale contemporaneo

Il dibattito politico andrebbe analizzato nella sua prima accezione: dalla presa del corpo nell’evento e dalle sue prime pulsazioni, dalle sensazioni e dai suoi effetti nella sua pratica, nonché dallo spazio che occupa. Il dibattito è innanzitutto dibattito non solo fra idee, visioni e termini linguistici ma tra posizioni. Quindi è fondamentale identificare lo spazio che il nostro corpo occupa e nel quale intrattiene dibattiti con gli altri corpi, con i suoi vicini. Ecco qui il primo assunto: un dibattito ha luogo se si è consci del proprio spazio e della posizione che questi assume in presenza di un altro spazio e di un’altra posizione inconscia. Il dibattito diviene politico solo in un clima di scontro, cioè quando la posizione e lo spazio a noi prossimo non può essere capito o non è utile renderlo spiegabile, nemmeno al nostro più intimo Io: occupare uno spazio è sempre il primo passo per uno scontro di posizioni e se il nostro antagonista occupa uno spazio inconsistente ed una posizione inspiegabile non farà altro che il nostro gioco; la dialettica politica contemporanea lo sa bene e si da sempre un gran da fare nel rendere torbido il panorama alla base elettorale. La politica contemporanea è un pò una rievocazione della grande guerra: di posizione, muove masse inconsistenti e variegate al suo interno, infiammabile, di sperimentazione e soprattutto oggi come non mai, globale. Ogni posizione politica contemporanea tiene conto, sin dove le conviene, della sua diversità di idee e di sentimenti: ne cavalca l’onda se la marea che la sospinge è di grande numero o di grande valore economico – sociale viceversa oscura persino la sua stessa visione e rende cupe le trame dell’avversario. Non è mai essa stessa una marea, piuttosto ne riprende i connotati mostrandone un’immagine: la politica contemporanea trasforma gli archetipi della vita sociale ed economica facendone stereotipi di semplice fattura e di facile comprensione. Si abbassano i livelli e le astrazioni nei dibattiti politici contemporanei e se ne fa un paniere di gustose idealizzazioni e prima che queste si possano compiere, vengono superate: non c’è tempo per vivere, o si supera o si annichilisce! La vita politica contemporanea è un’abbondanza di linguaggi ibridi – moderni e post-moderni – di volontà e di idee di stampo futuristico; di nostalgie nazionaliste e di un anarchico mondialismo. La politica subisce fortemente l’influenza dell’economia e l’economia subisce i moti e le pulsioni sociali e non perché economia e società siano in stretto legame bensì perché non si è fatto altro che dare alla società sempre più i connotati di un semplice fattore economico. Il pessimismo filosofico ottocentesco e le caustiche previsioni di una primordiale sociologia erano piccoli segnali d’allarme di un brusco, lento e pericoloso ribaltamento dei valori dell’uomo.

Politica e mondo della comunicazione si limitano a tradurre il reale anziché trasmutare l’irrealtà delle nostre idee in azioni reali, programmatiche e pragmatiche. Non regolano bensì vengono regolate; non illuminano ma vengono arse dall’intensità dei lumi della ragione contemporanea. Oggi, la politica si è trasformata in perfetto ideale subordinato all’economia. Da questa configurazione sembra proprio che i concetti marxiani abbiano avuto la meglio ed invece non è così: i modi di produzione dell’economia e del mercato si moltiplicano al pari dell’innovazione tecnologica ma ogni sovrastruttura – continuando con la terminologia di Marx – non riceve impulsi per un naturale ricambio o un altrettanto naturale superamento. I concetti quali sociale, politica, cultura, valore oggi più che mai non riescono a star dietro al mondo economico e tecnologico contemporaneo: l’arretratezza in campo culturale e sociale entra in comunione con i fenomeni di secolarizzazione e di eccesso di razionalizzazione, creando un cocktail sociale dal sapore nichilista. A resistere e ad evolversi rimane solo l’economia, la quale – non so se coscientemente o incoscientemente – è riuscita a coniugare il pensiero di stampo marxista con il pensiero liberista avvallando così un pensiero ultra-razionalista. L’uomo contemporaneo coniuga fini e mezzi con estremo raziocinio tanto da dimenticare tutto il resto che lo circonda. In conclusione l’economia contemporanea si è fatta ideale di primo livello, inglobando a sé tutti i vecchi ideali, subordinando i prodotti sociali quali la politica, la cultura, lo spirito ed approfittando della contemporanea svalutazione dei valori legati alla corporeità umana, strumentalizzandone il senso, la rappresentazione, la fisica, la chimica. Il totalitarismo liberista, qui maldestramente enunciato, non ha ideali di fondo, manifesti sociali, dogmi e valori da promuovere; tutto ciò che il passato umano ha offerto si reincarna in lui ritornando sotto nuove vesti. La civiltà contemporanea domina sulla terra sotto le mille e più ideologie, ognuna complementare dell’altra; si serve del mercato e dell’economia per disincantare l’uomo dai vecchi valori proponendo una semplice, arguta e spietata scappatoia: il calcolo e l’utile tradotto in surplus. Utilizza i suoi stessi tragici effetti – nichilismo e materialismo – per elevarsi ad unica ragione e speranza futura: il panorama dell’uomo, oggi, è volutamente sgombro ma al tempo stesso affollato.

Salvatore Musumarra

Classe 1987, impegnato nei settori comunicazione e media, grafico editoriale e laureando in Scienze per la Comunicazione presso il Dipartimento di Scienze Umanistiche di Catania. Contributor presso alcune realtà radiofoniche siciliane e attivo in diverse correnti artistiche tra cui dadaismo, costruttivismo, futurismo. Appassionato di filosofia e sociologia e particolarmente legato agli scritti di Friedrich Nietzsche ed al filone delle filosofie della vita.

[Immagini tratte da Google Immagini]

Le mie Radici e le mie Ali

 

Noi siamo quello che facciamo costantemente, l’eccellenza quindi non è un atto ma un’ abitudine.
Aristotele

Ho pensato a lungo con che articolo esordire nella mia nuova rubrica. Volevo qualcosa che potesse stupire, volevo qualcosa che potesse incuriosire, volevo qualcosa che potesse far pensare. In ultima, però, ho pensato che la cosa migliore fosse presentarmi. Ho pensato -per deformazione professionale- che alla base del counselling vi è la capacità di costruire una buona relazione tra terapeuta e paziente e, affinché avvenga, deve crearsi un rapporto di fiducia. Questo implica l’entrare in contatto gradualmente, comunicare in modo veritiero, toccare nell’altro “un qualcosa” a livello emotivo. Allo stesso modo ritengo utile in questo contesto cercare di creare un legame di fiducia, seppur virtuale, con chi andrà a leggere ciò che scriverò nei venerdì a seguire. Ho deciso quindi di mettermi in gioco in prima persona, cercando di guidarvi in quelle che io chiamo “le mie radici e le mie ali”, per permettervi di trovare la motivazione necessaria a proseguire insieme questo nuovo e strano cammino.

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