La grande domanda di Wolf Erlbruch. La filosofia negli album infantili

Esistono domande così piccine da poter essere nascoste sotto il cuscino, altre tanto grandi da non trovar spazio in lunghi trattati. Alcune sono così leggere che bisogna stare attenti che un soffio di vento non le porti via, alcune così pesanti da piegarci le ginocchia.

Ma la filosofia, di questo, non si preoccupa, non sta tanto a guardare le dimensioni, l’importante è continuare a questionarsi, ad essere curiosi e a non impigrirsi con l’informazione preconfezionata.

Oltre alle dimensioni, si possono distinguere le domande per la loro qualità: le più preziose sono quelle in grado di crescere con noi.

Ma si può essere filosofi a qualsiasi età? Ebbene sì, e dirò di più, filosofi si nasce. Poi un po’ per caso, un po’ per noia, si perde l’allenamento, e come si sa, la mente è un muscolo che va mantenuto tonico. Anche i bambini però, se non stimolati in modo opportuno, possono addormentare le loro inquietudini. Oggi poi, vivendo in un mondo iperconnesso e ricco di distrazioni, forse i più piccoli sono sì stimolati, ma non con gli strumenti giusti.

Un buon antidoto al nostro mal du siècle è la lettura, esercizio che va appreso sin dalla più tenera età perché poi non risulti estremamente difficile. Meglio ancora se al testo si accompagnano delle immagini, così l’esercizio di lettura sarà davvero completo, un po’ come unire allenamento aerobico e anaerobico, ecco. Nella fattispecie sto parlando dell’album illustrato, genere che in libreria trova spazio sullo scaffale dei “libri per bambini”, etichetta peraltro limitante, considerato che alcuni di questi libri possono essere un vero toccasana per gli adulti. Anche qui, però, non tutti i libri sono uguali, la scarsa qualità nel mondo editoriale per bambini è purtroppo un fenomeno sempre più diffuso.

Autori del calibro di Wolf Erlbruch, per esempio, non si vedono tutti i giorni, lui che su “la grande domanda” ci ha scritto una storia intera (La grande domanda, edizioni E/O, 2004). Di questa storia siamo noi i veri protagonisti dato che, entrati nel libro, ogni personaggio ci offre direttamente la sua personale risposta.

 

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Ma qual è questa grande domanda? In realtà nel libro non viene mai enunciata, però siamo perfettamente in grado di coglierne il senso, non importa se a risponderci sia un cane, un marinaio o un uccellino. Finito il libro, poi, di risposte ce ne verranno in mente altre, e senza dubbio se lo rileggiamo passato un po’ di tempo, ne troveremo altre ancora. Qui sta il gioco che l’autore ci propone: usare il libro in modo attivo per farci riflettere, perché “la grande domanda” interessa grandi e piccoli. Alla fine dell’album troviamo anche alcuni fogli per appunti dove annotare le possibili risposte che ci vengono in mente, diventando così a tutti gli effetti un quaderno di esercizi di pensiero.

Wolf Erlbruch si è sempre distinto, nel corso della sua lunga carriera di illustratore e autore per bambini, per la sua capacità di affrontare tematiche profonde e complesse, spesso considerate troppo difficili per i più piccoli. Un esempio il suo libro L’anatra, la morte e il tulipano (edizioni E/O, 2007) che vede come protagonista una tenera anatra e la sua presa di coscienza della propria mortalità. È una storia triste, certamente, raccontare la morte ai bambini è sempre doloroso, ma non deve diventare un tabù da evitare. La delicatezza narrativa e del disegno dell’autore ci mostra come è possibile trattare un così complesso argomento cambiando il punto di vista. Senza evidenziare esclusivamente il concetto di perdita, capiamo che affrontare e accettare la mortalità ci permette di sentirci più vivi e di apprezzare le piccole cose che ci circondano.

 

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Wolf Erlbruch, L’anatra, la morte e il tulipano, edizioni E/O

Un memorandum per i più grandi quindi, e una possibilità di riflessione per i più piccoli, che non devono essere esclusi da emozioni considerate troppo forti e perturbanti quanto aiutati ad affrontarle e metabolizzarle.

Altro libro geniale illustrato da Erlbruch, che vede invece come autore il compositore e drammaturgo israeliano Oren Lavie, è L’orso che non c’era (edizioni E/O, 2014), la storia di un orso in cerca della propria identità. Girando per il bosco, il simpatico protagonista pone le sue domande agli animali che incontra: «Chi sono? Sono felice? Sono bello? Siamo amici? A cosa stai pensando? Posso pensare assieme a te?». Una favola ricca di filosofia e immaginazione, che attraverso un punto di vista surrealista e divertente ci invita a indagare più in profondità la quotidianità.

 

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Il senso della vita è quindi l’argomento prediletto da Wolf Erlbruch, questa “grande domanda” che ritorna in molti suoi libri e che non può prescindere da una certa ironia, perché anche le questioni più importanti devono essere affrontate con la giusta leggerezza per permetterci di mantenere sempre un punto di vista creativo.

Un grande artista quindi, che attraverso le sue opere ci insegna che non ci sono domande da “grandi” non adatte ai bambini, né risposte “per piccoli” che non possano servire anche agli adulti. E che la filosofia, se la cerchiamo tra i libri, può benissimo stare anche sullo scaffale più basso.

 

* Immagine di copertina da L’orso che non c’era di Wolf Erlbruch (fonte)

 

Claudia Carbonari

 

[Credit Ben White]

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Nel regno della fantasia: Monica Monachesi sulla mostra di Sarmede

Anche quest’anno Sarmede, piccolo, piccolissimo comune della marca trevigiana, diventa per i mesi autunnali polo della fantasia, dell’illustrazione e dell’immaginazione, popolandosi di artisti internazionali, autori, poeti, atelieristi e narratori, ma anche di visitatori sognatori. Tutto questo grazie alla Mostra Internazionale d’Illustrazione per l’Infanzia Le immagini della Fantasia, giunta alla sua 35esima edizione.

Questa annuale magia è resa possibile dalla Fondazione Štěpán Zavřel e oggi chiediamo alla sua curatrice, la dottoressa Monica Monachesi, di condividere con noi alcune riflessioni da cui è scaturita questa mostra e tutte le attività che nei prossimi mesi coloreranno l’iniziativa.

 

La fantasia e l’immaginazione superano ogni confine geografico e storico, ma vanno anche oltre l’età anagrafica. Se questo ci unisce alle persone del presente, passato e futuro e di tutti i popoli, si riscontrano delle diversità culturali nella grammatica dell’illustrazione e del racconto nei vari paesi?

Le rispondo subito così: imprevedibile e stupefacente è l’esito dell’osservazione che ogni anno si conduce sul mondo dell’illustrazione. Questo mondo bellissimo, che ogni volta ci sorprende, è fatto di racconti, è fatto di parole che ci avvicinano, ci dispongono all’ascolto e fanno bene all’anima di grandi e piccoli, qualcosa di cui oggi abbiamo bisogno più che mai. Parole per stare bene dentro e con gli altri. Parole pacificatrici, anche quando generano piccole necessarie rivoluzioni. Io credo che sia proprio questa la chiave di tutto il lavoro che la Fondazione svolge ogni anno attraverso la Mostra: diffondere con gioia racconti dal mondo e per il mondo.
Dare spazio, dare voce a belle storie, far sapere e condividere che la bellezza esiste e fa bene, condividere la consapevolezza rasserenante che, su un foglio prima bianco, su un pezzetto di carta, l’uomo sa creare universi meravigliosi che prima non esistevano, l’uomo sa fare l’impossibile, sa realizzare anche l’utopia; questo si fa attraverso la Mostra.

Poi ognuno può leggerla a modo suo, e questo è l’altro aspetto che dà un risvolto universale e di grande libertà a questo lavoro. Come ogni volta capita per qualsiasi libro, anche la Mostra vive pienamente e in modo sempre diverso in relazione al suo lettore/visitatore. Si tratta di una passeggiata attraverso il libro illustrato, immancabilmente completata dall’interiorità di chi, passo dopo passo, osserva e legge.
Bellissimo, no?

Per questo motivo ogni scelta è fatta con grande attenzione, mettendosi in ascolto del lavoro sviluppato da autori e editori di tanti Paesi. Ascoltiamo e poi organizziamo i contenuti che riguardano l’illustrazione in tre modi diversi: una mostra personale per raccontare il lavoro di un ospite d’onore con cui lavoriamo per quasi un anno, una mostra collettiva per portare lo sguardo sull’editoria internazionale attraverso 30 libri, una mostra tematica, sulla cultura particolare di un Paese o di un’area geografica vista attraverso l’albo illustrato.

 

In particolare quest’anno proponete un’ “immersione” nel mondo un po’ strano ed estremamente interessante del Giappone. Che cosa ci può raccontare in proposito?

Al ritmo di parole come Mukashi Mukashi che vuol dire c’era una volta, nella musicale lingua giapponese e attraverso tre progetti  – anzi quattro – concepiti appositamente per la Mostra, Le immagini della fantasia apre percorsi dedicati all’immaginario di questa straordinaria cultura che ci ha investiti con tutto il suo fascino millenario.
Alla poesia Haiku, fiore della poesia giapponese è dedicata un’antologia di Bashō e Issa, illustrata dagli allievi della Scuola Internazionale di Illustrazione (con le docenti Mara Cozzolino e Linda Wolfsgruber);
alle fiabe tradizionali giapponesi è dedicato il 13° albo della collana Le immagini della fantasia che si intitola appunto Mukashi Mukashi, c’era una volta, in Giappone; alle più terrificanti figure dell’immaginario è infine dedicato un gioco, il Memory Yōkai, mostri e spiriti giapponesi.
Tutti questi progetti sono stati ideati e curati in modo da creare un dialogo genuino con la cultura giapponese, per sillabare assieme a Bashō e Issa immagini del trascendente percepito in attimi di contemplazione del mondo terreno; per rinarrare, attraverso la scrittura di una grande autrice come Giusi Quarenghi, le fiabe più amate dai bambini giapponesi, con piccoli eroi che cambiano il mondo; e per giocare a conoscere quali forme sono state date a paure ancestrali e recenti, disegnate per noi da sei artisti giapponesi, stampate in serigrafia in Italia, confezionate con grande cura e raccontate in un libriccino cucito a mano.

img-intervista-monica-monachesi_la-chiave-di-sophiaPerò ho scritto sopra: – anzi quattro – , perché raggiungiamo il Giappone anche passando attraverso uno specialissimo Torii (portale che si trova davanti ai tempi shintoisti) preparato dall’ospite d’onore Philip Giordano, che ha vissuto sette anni a Tokyo e anni fa passò da Sàrmede per frequentare i corsi estivi come allievo molto emergente. Varcata la soglia che separa il mondo reale da quello immaginario, nella sua mostra Storie dall’Arcipelago sottosopra, l’illustratore si racconta con testi inediti che collegano il bambino Philip al disegnatore/autore di oggi e che ci fanno conoscere alcune delle più belle fiabe giapponesi, come Oshirasama, Urashima Taro, La principessa splendente, confermandoci la passione di Giordano per i lungomentraggi di Miyazake (Nausicaa nella valle del vento, Principessa Mononoke e altri) e dando forti motivazioni alla presenza dell’elemento del viaggio nei suoi ultimi albi illustrati da lui firmati come autore unico.

Riguardo al Giappone c’è anche un quinto punto, anche se non nato appositamente per noi, ma presente nel Panorama dell’albo illustrato: sono presenti in Mostra, nella sezione collettiva, anche cinque illustratori a rappresentare questo ricchissimo mondo con albi tra di loro molto differenti: dagli esilaranti e deliziosi  menu di Yocci a due libri nati in Francia grazie ad un ‘crogiolo italo-nipponico’, come lo ha chiamato l’autore italiano Gabriele Rebagliati che ha visto pubblicati in Francia due suoi racconti illustrati di giapponesi Susumu Fujimoto e Michico Watanabe (Le panier à pique-nique e Tout une vie pour apprendre), fino ad un silent molto giapponese in cui il confine tra mondo animale/naturale e quello umano fluttua o neppure esiste: La visite di Junko Nakamura; e infine altro libro in cui si coglie tutta la speciale relazione con gli oggetti d’uso quotidiano sentita in Giappone: il delicatissimo e toccante  Botan –chan  di Chiaki Okada – lo sapete che per i giapponesi dopo 100 anni gli oggetti d’uso acquistano un’anima? Meglio trattarli bene!

 

In quale senso intendete il libro illustrato, che è uno dei protagonisti della vostra mostra, come “strumento di conoscenza e veicolo di bellezza”?

Forse in parte ho già risposto, ma bene riprendere questo punto. La letteratura è forma di meravigliosa conoscenza dell’umano, e un libro illustrato, nel suo specifico di piccolo grande spazio letterario con immagini rivolto soprattutto ai bambini, ha una valenza pedagogica che Stepan Zavrel vide chiaramente 35 anni fa e coinvolse altri entusiasti estimatori dell’illustrazione, oggi strutturati nella Fondazione Štěpán Zavřel, a costruire un appuntamento che sembrava impossibile, all’insegna della meraviglia. Che cosa voglio dire? Un libro illustrato ha molto a che fare con altre arti, ha molte similitudini con uno spettacolo teatrale, è in qualche modo come uno spazio scenico: davanti ai nostri occhi si muovono personaggi, entriamo in mondi anche lontanissimi lì raffigurati. Mentre guardiamo tutto è possibile e in quel momento siamo ben predisposti alla conoscenza, desideriamo ascoltare ancora e ancora, sono attimi bellissimi che spesso si svolgono anche consolidando relazioni preziose: tra genitori e figli, con altre persone care, a scuola, tra amici. E si diventa più capaci di esprimersi a propria volta frequentando il libro illustrato che ci offre linguaggi su linguaggi, e che cosa c’è di più importante al mondo della capacità di esprimere pienamente se stessi?  Si potrebbe rispondere: “ascoltare gli altri!” e leggendo avviene proprio tutto questo!

 

Altro tema indagato e che da sempre è un filo conduttore delle attività della Fondazione Štĕpán Zavřel e della mostra Le immagini della fantasia è quello della migrazione, un fenomeno quanto mai attuale e generatore di riflessioni. In che modo il vostro festival riflette su tale argomento?

L’immagine del viaggio è usata spesso per raccontare la mostra e a volte rischia di divenire scontata, un semplice ‘volo della fantasia’ di Paese in Paese.
Prendiamo però molto sul serio la fantasia, come risorsa irrinunciabile dell’essere umano, e l’immaginazione da tenere sempre allenata, per aprire strade inattese, e crediamo che nella conoscenza reciproca ci sia molta speranza. Ogni anno raccontiamo ai più piccoli le fiabe dal mondo, per la vocazione di scambio culturale che la mostra ha da sempre e sempre più cerchiamo il dialogo genuino con il Paese ospite, con la sua cultura e con chi la racconta.
Mai come quest’anno in questa edizione il viaggio è esperienza di vita che la letteratura e l’arte visiva trasformano e mettono a disposizione come esperienza estetica e, di conseguenza, etica. Anche nella personale dedicata a Philip Giordano, ospite d’onore dell’anno – di madre filippina che lasciò il suo Paese e padre svizzero – si può leggere il medesimo tema. Questo autore nato e cresciuto in Italia si muove tra Occidente e Oriente e pone nei suoi picture book una tensione serena, piena di speranza e il suo disegno è un mezzo per stare al mondo, per resistere, per rispecchiarsi.

img2-intervista-monica-monachesi_la-chiave-di-sophiaInoltre, in questa 35esima edizione, c’è un gruppo di cinque libri più una piccola esposizione che arriva dal Cile, un punto in cui fare una sosta di riflessione: Pianeta Migrante.
Il fenomeno della migrazione è planetario, non esiste un luogo della Terra che non ne sia interessato. Le illustrazioni di Amélie Fontaine raffigurano persone, cose, strade, recinzioni, muri, ma soprattutto il libro comincia con una domanda: Che cos’è un migrante?

In mostra questo sfaccettato argomento prende luce in modi diversi per raggiungere lettori delle età più varie. Dal ritratto spietato di ciò che accade in mare, e in terra, dipinto da Armin Greder in Mediterraneo, alla rivisitazione moderna del classico di De Amicis Dagli Appennini alle Ande (illustrato da Francesco Chiacchio) che cambia la rotta e diventa Dall’Atlante agli Appennini, fino a Guridi che dall’Andalusia fa nascere un vero e proprio libro dalla suggestione del tema propostogli dalla Mostra e racconta la storia di un bambino che dovendo partire, non si rassegna a lasciare la sua balena rossa, vuole metterla in valigia (Como meter una ballena en la malleta). Il libro parla della forza delle risorse interiori, della creatività che diventa vitale, nella crisi, per la sopravvivenza.

E poi dal Cile arriva una processione di figurine in viaggio, anche loro in valigia, di Francisca Yañez. La parete è brulicante di piccole figure di carta, che sembrano volare, sono in cammino incessante, si muovono piedi, valigie, pensieri, ricordi. Ci sono sguardi da incrociare, vite da immaginare, occhi da ascoltare nel silenzio di un flusso che, mentre osserviamo la mostra, esiste davvero, in più di un luogo, nel nostro pianeta. Al centro ci sono pagine di passaporto che raccontano una storia: quella di Francisca esule dal Cile dittatoriale che con la sua famiglia scappa in Europa negli anni Settanta. Un racconto di chi al viaggio è costretto, di chi cerca di portare con sé un pezzetto di qualcosa, il sapore di un cibo, il profumo di un fiore, la gioia di un gioco.
Figurine di carta che, fatte quasi di niente, nella loro vulnerabilità insistono a raccontare le loro storie per creare empatia e consapevolezza, per cominciare a immaginare un pianeta solidale. Assieme ai Bambini Francisca parla e riflette e poi crea altre figurine: un laboratorio fatto di materiali semplici, ripetibile ovunque, con poco, come la mostra stessa, fatta per poter viaggiare più possibile.

 

Delle proposte culturali del festival ammiro molto i laboratori, che sono aperti a tutte le età: calligrafia, xilografia, acquerello. Quale valore hanno per voi questi laboratori? Per quale motivo la sola contemplazione di un’opera d’arte non è sufficiente?

La sola contemplazione è molto importante e non è affatto messa in discussione, ma semmai confermata da attività didattiche che creano esperienze attorno ai contenuti della mostra. 
Quest’anno abbiamo per esempio proposto la xilografia giapponese e credo che il corso abbia dato la possibilità di un’esperienza molto profonda, un vero viaggio nel tempo assieme a Mara Cozzolino che si reca continuamente in Giappone per specializzarsi sempre di più e per conoscere strumenti e materiali di antichissima tradizione che ancora oggi sopravvivono e danno nuovi frutti.

La parola contemplare che lei ha usato ci porta poi in qualche modo nella sfera dello spazio interiore, e questo mi piace molto. Si contempla per concentrarsi, per raggiungere… i bambini sanno farlo molto meglio di noi adulti ed è una forma di ascolto attento che va stimolata è una forma anche di nutrimento, nel nostro caso di contenuti visuali e narrativi, bene farne scorpacciate perché coltivare la bellezza nella vita è fondamentale non solo per il singolo ma per l’intera comunità.
Inoltre il disegno è strettamente collegato alla contemplazione, nel senso che le immagini che si possono contemplare in mostra derivano certamente a loro volta da numerose e attente contemplazioni da cui discende il fare artistico. Un collegamento necessario tra fare e vedere che mette in circolo energia creativa e fa anche incontrare tante persona che condividono passioni e desideri che a volte possono sembrare folli, visti uno ad uno, invece insieme si ritrova anche maggior determinazione a perseverare. I corsi possono essere vere fonti di nuove progettualità.

 

Che cosa sperate si portino a casa i bambini dall’esperienza delle vostre mostre, incontri, letture e laboratori? E gli adulti invece?

Curiosità, entusiasmo, immaginazione stuzzicata, pensiero portato lontano, la voglia incessante di scoprire che cosa c’è da ascoltare tra le pagine, la consapevolezza che ognuno di noi è speciale e può, con impegno, saper dire gran belle cose.
Amore per l’impegno, per l’applicarsi, per il riuscire a fare capolavori.
Amore per la poesia, per l’arte, per cose che se perdessero il loro valore, sarebbe perduto il mondo.
Vorremmo contagiare tutti, riempire le teste di bei pensieri, di sogni, di speranza, perché al mondo ci sono davvero molte belle umanità.

 

L’inaugurazione ha avuto luogo sabato 21 ottobre alla Casa della Fantasia a Sarmede e le attività arriveranno a conclusione il 28 gennaio 2018. Vi rimandiamo al sito della Mostra per maggiori informazioni, invitandovi caldamente a prendere parte a questa meravigliosa manifestazione.

Buona fantasia!

 

Giorgia Favero

Selezionati per voi: aprile 2017!

1° aprile, pesce d’aprile! Nessuno scherzo: la nostra selezione di libri e film è puntuale come un orologio svizzero. Nelle belle giornate che hanno caratterizzato il mese appena finito, ritagliarsi un po’ di tempo per leggere all’aria aperta è stato un vero piacere. Nella speranza che anche aprile ci regali temperature miti, aria leggera e cieli sereni, abbiamo selezionato per voi alcuni libri per immergerci insieme nella riflessione sulle grandi questioni della vita. Se invece le prime piogge stagionali dovessero fare presto capolino, traete spunto dai nostri suggerimenti e rifugiatevi al cinema, non ve ne pentirete. Buona lettura e buona visione!

LIBRI

marzano-la-chiave-di-sophiaMichela Marzano − L’amore che mi resta (2017)

Dalla notte in cui Giada ha deciso di togliersi la vita, l’esistenza di Daria sembra non avere più alcun senso. Un vuoto immenso e incolmabile le si è spalancato davanti.
Da quando la sua bambina se n’è andata, si trova a dover fare i conti con quel passato che ha intrecciato le loro vite. Con i non-detti e i silenzi. E quella certezza mista a paura di aver sbagliato ogni cosa.
Com’è possibile superare la perdita di un figlio? Come poter convivere con quel vuoto che talvolta ci inghiotte?
L’amore che mi resta è una storia fatta di assenze onnipresenti. Di distanze impastate di prossimità. Ma anche della forza che sorge dalla luce della speranza, nel momento in cui, attraversando le tenebre della sofferenza, si ritrova il coraggio per ricominciare a vivere e amare.

moravia-chiave-di-sophiaAlberto Moravia − Gli indifferenti (1929)

Romanzo giovanile, trampolino di lancio per una fortunata carriera da scrittore, Gli indifferenti di Moravia mostrano con disincantata lucidità un mondo in declino, ricco di inganno e menzogna, privato della sua moralità e dei suoi valori. I personaggi che popolano il libro esprimono perfettamente lo sfacelo morale che li circonda; l’unico a salvarsi, a condannare questa realtà ormai in rovina, è il protagonista Michele, il quale osserva con disprezzo ciò che lo circonda senza riuscire tuttavia a trovare una valida alternativa. Ciò lo porta a dichiarare insistentemente la propria “indifferenza”, come unico baluardo di protezione verso un mondo in cui non è più possibile riconoscersi e da cui tuttavia si viene inghiottiti.
Lucida e cruda descrizione della contemporaneità, Gli Indifferenti rappresentano una valida lettura per coloro che amano riflettere sulla perdita di valori, sui sentimenti di apatia e noia che troppo spesso caratterizzano il nostro presente.

mola-massoneria-recensione_la-chiave-di-sophiaAldo Alessandro Mola − Massoneria (2012)

Si sa, gli italiani sono esperti complottisti, abili dietrologi. Si scagliano su ciò che è ambiguo in nome di limpidi principi, ma al contempo sono attratti da ciò che si sottrae. Tra gli argomenti mai passati di moda in questo senso c’è indubbiamente quello della massoneria, che in questo agile libretto vede ripercorsa la sua storia in Italia, il suo confronto con la società, le sue lotte, le sue ragioni. Un buon inizio per chi vuole iniziare a capire e scoprire qualcosa di nuovo al di là dei preconcetti e forse cercare energie fresche per se stesso e il proprio tempo.

Sara Roggi, Anna Tieppo e Luca Mauceri

 

JUNIOR

130616_papabis2-chiave-di-sophiaCharles Berbérian, Philippe Dupuy, Joseph Jacquet − I papà bis (2013)

Nella vita dei due bambini protagonisti di questa storia è entrato da qualche tempo un nuovo personaggio: “papà bis”. Chi sarà mai quest’uomo? Sarà gentile e divertente o noioso ed antipatico? Farà felice la mamma? Litigherà con papà o i due riusciranno ad andare d’accordo? Se queste domande non vi sono nuove e se avete la necessità di affrontare con i vostri bambini l’argomento della separazione vi consiglio la lettura di questo album illustrato, particolarmente adatto per la fascia d’età 4-7 anni.

Federica Bonisiol

 

FILM

libere_locandina chiave di sophiaMaysaloun Hamoud  Libere, disobbedienti, innamorate
L’hanno definito come il nuovo Sex and the city in salsa israeliana. In realtà il nuovo film di Maysaloun Hamoud è molto più di questa semplicistica definizione. E’ un dramma coinvolgente e appassionante che segue le vite di tre ragazze arabe nella caotica Tel Aviv. Un affresco generazionale molto convincente su una realtà spesso lasciata in secondo piano dall’industria cinematografica e dai media internazionali. Rivalutando e analizzando da un nuovo punto di vista il ruolo della donna nell’attuale cultura araba, Liberi, disobbedienti, innamorate è uno dei titoli più interessanti di questa prima parte dell’anno. Un viaggio tutto al femminile da cui ogni spettatore potrà trarre un insegnamento importante. USCITA PREVISTA: 6 APRILE 2017

Olivier Assayas −Personal Shopperpersonal_shopper_ver2 chiave di sophia
Dopo lo straordinario Sils Maria, il regista Olivier Assayas e l’attrice Kristen Stewart tornano sul grande schermo con una storia ancora più audace e sorprendente. Il titolo dell’opera potrebbe trarre in inganno: qui la moda è solo una cornice che serve a contestualizzare una magnetica storia di fantasmi e introspezione. Semplice ma, allo stesso tempo, molto convincente. La Stewart si conferma come una delle migliori attrici della sua generazione, mentre la regia intelligente di Assayas rende Personal Shopper uno dei titoli imperdibili di quest’annata cinematografica. USCITA PREVISTA: 13 APRILE 2017

 

Gianni Amelio − La Tenerezza chiave-di-sophia
Sono tantissimi i film italiani che ad aprile arriveranno nei cinema del Paese. Tra tutti questi c’è da segnalare l’atteso ritorno dietro la macchina da presa del regista Gianni Amelio. La tenerezza racconta la storia di due famiglie molto particolari in una Napoli inedita, lontana dalle periferie, una città borghese dove il benessere può mutarsi in tragedia, nonostante la speranza resti sempre a portata di mano. Notevole il cast di attori tra cui spiccano le prove eccellenti di Elio Germano, Giovanna Mezzogiorno e Micaela Ramazzotti. USCITA PREVISTA: 24 APRILE 2017

Alvise Wollner

[Immagini tratte da Google Immagini]

C’era una volta… per davvero

«Ciò che le fiabe narrano – o, al termine della loro metamorfosi nascondono – una volta accadeva: giunti a una certa età i ragazzi venivano separati dalla famiglia e portati nel bosco (come Pollicino, come Nino e Rita, come Biancaneve), dove gli stregoni della tribù, abbigliati in modo da far spavento, col viso coperto da maschere orribili (che a noi fanno subito pensare ai maghi e alle streghe) li sottoponevano a prove difficili, spesso mortali (tutti gli eroi delle fiabe ne incontrano sul loro cammino). I ragazzi ascoltavano il racconto dei miti della loro tribù e ricevevano in consegna le armi (i doni magici che nelle fiabe donatori soprannaturali distribuiscono agli eroi in pericolo) e infine facevano ritorno alle loro case, spesso con un altro nome (anche l’eroe torna talvolta in incognito). Erano maturi per sposarsi (come nelle fiabe, che nove volte su dieci si concludono con una festa di nozze)»1.

Le parole di Gianni Rodari ci raccontano di riti divenuti fiabe. Sull’origine della fiaba, sulla sua ritualità tratterà questo promemoria filosofico.

Rodari riprende la teoria dell’etnologo sovietico Vladimir Prop secondo cui la fiaba ha cominciato a vivere come tale quando l’antico rito è caduto, lasciando di sé solo il racconto. Ciò che era presente come rito tradizionale, è diventata storia passata che gli uomini hanno trasformato in mito, fino ad abbandonarlo e lasciarlo esistere come un ricordo. Non si tratta solo di un “raccontino per bambini”, ma si tratta della nostra storia. Molti anni addietro, nelle prime comunità umane, la fiaba era un costume consolidato, un rito di passaggio che permetteva ai giovani di diventare adulti. Il caso vuole che le fiabe siano comunemente considerate adatte ai più piccoli e questo non sia del tutto sbagliato, anche se in un senso limitato. La fiaba dovrebbe essere oggetto di analisi storico-antropologica poiché ci dà gli strumenti per comprendere la storia umana in modo profondo.

Nelle tribù arcaiche la fase dalla giovinezza all’età adulta era una consuetudine sacra, che era dettata dagli déi primordiali legati alla terra. Oggi possiamo riflettere come le fiabe quindi siano nate per caduta del mondo sacro al mondo laico: come per caduta sono finiti al mondo infantile, quegli oggetti che avevano valenza culturale. Prendiamo come esempio il peluches più caro ai bimbi: l’orsacchiotto. L’orsacchiotto che stringe il bambino che vedi per strada, una volta era uno degli animali totem divinizzati dalle popolazioni antiche, come animale protettore della comunità. È assolutamente affascinante approfondire e scoprire in quello che confiniamo solo adatto ai bambini, il nucleo primitivo magico proprio e comune per l’umanità. A riguardo si ricollega il concetto di inconscio collettivo di Jung, che connette in senso meta-temporale il ragazzino primitivo che conquista la sua identità matura attraverso il rito sociale, al bambino di oggi, che mediante il racconto fiabesco entra a conoscenza delle dinamiche del mondo di cui farà parte un giorno.

Ora il mio augurio è questo: ripeschiamo tra i ricordi quella fiaba che ci faceva brillare tanto gli occhi e che abbiamo fatto nostra, e cerchiamo rileggerla con il vissuto di oggi, di vedere quanti punti di questa abbiamo realizzato o che ancora ci prefissiamo di raggiungere. Incosciamente da bambini l’abbiamo scelta anche per questo.

Al prossimo promemoria filosofico

Azzurra Gianotto

NOTE:
1. Gianni Rodari, Grammatica della fantasia, Einaudi Ragazzi, Trieste 2013, pg. 86

[Immagine tratta da Google Immagini]

Cavalli bianchi e zucchero filato

Quando sei piccola ti raccontano le favole e tu ascolteresti per ore quelle storie di amicizia, amore e allegria dove il bene vince sempre sul male. La vita sembra fatta di giostre e zucchero filato e tu giri a 1000 all’ora su quel cavallo bianco, sorridendo alla mamma che ti guarda compiaciuta e abbozzante un sorriso di orgoglio.

 
Ad un tratto esplori per la prima volta il sentimento dell’amicizia, quella pura e ingenua, che ti rende una cosa sola con l’altra persona: condividi i tuoi giochi preferiti, mangi il gelato insieme, vai su quel famoso cavallo bianco con quella persona dietro di te che ride felice di ciò che siete insieme.
 
– Io e te saremo migliori amiche per sempre!
– Sicuramente! Niente ci potrà mai dividere!
– Ok facciamo un patto: io ti regalo il mio cavallo bianco di peluche preferito e tu lo dovrai conservare fino a quando saremo amiche.
– Ma quindi per sempre!
– E certo per sempre! Tanto essendo amiche ci potrò giocare ancora lo stesso no?!
– Va bene!
 
Il mondo corre veloce e il tempo ruota attorno a quell’ansia positiva di potersi vedere, per giocare o per stare insieme a fare i compiti.
 
Il tempo da piccoli è amico: scorre veloce quando vuoi che il momento passi in fretta e si dilunga non appena è Natale.
 

Eppure esso scorre inesorabile, senza soste, senza limitazioni e soprattutto indifferente.

 
E la cosa, forse, peggiore è che ti fa crescere.
 
Un giorno, infatti, ti ritrovi cresciuta e scopri che vivere non è quella giostra,  non è il cavallo bianco e non sa di zucchero filato.
Cammini avanti e indietro per la stanza e per caso, buttato in angolo, tutto grigio, trovi il cavallo bianco di peluche.
Sì, proprio quello del patto, quello del ‘saremo amiche per sempre’.
Non ha più lo sguardo fiero, il pelo è arruffato e non ha più l’odore di nuovo di tanti anni fa.
 
– Chissà che fine avrà fatto…
 
Quell’amica con cui hai condiviso la tua infanzia, i tuoi allegri pomeriggi di merenda e compiti ad un tratto sparisce quasi senza che tu te ne accorga.
Basta cambiare scuola, mutare i propri ritmi, i propri interessi per intraprendere strade diverse che inevitabilmente allontanano.
 
E ti ritrovi amica di altre ed hai una nuova amica del cuore a cui confidi le prime delusioni d’amore e di nuovo il tempo scorre e ti sembra di avere trovato colei con cui condividere le prime esperienze adolescenziali.
La purezza del cavallo bianco però non c’è più.
L’invidia pacata, la maggiore consapevolezza ti rendono incapace di abbandonarti del tutto al sentimento semplice del bene, inteso come empatia, comprensione e ascolto.
 
Passano gli anni e ti ritrovi adulta.
Ti guardi attorno e vedi sul letto di tua figlia un cavallo bianco di peluche.
Lo afferri e lo annusi: sa di pomata per bambini.
 
– Quanto adora questo cavallo Margherita!…
Ma chissà dove sarà finita quella mia amica…
 
Ad un tratto quel vecchio cavallo ormai grigio ti lancia un indizio domandandoti: ‘Perché mi hai ancora qua, dopo che abbiamo cambiato una decina di case e di città?’
 
E tu non sai rispondergli perché hai perso la purezza di quando l’avevo ricevuto in regalo come pegno ‘d’amore’.
Pensi solo a quei giorni indelebili nella mente, a quella giostra che girava inesorabile sempre uguale e inizi a sorridere di quanto bastasse poco per essere felici.
 
Ti rendi conto di quanto quei ricordi siano importanti per sentirti sempre a casa anche quando non sei mai più a casa tua da anni perché tuo padre viaggiava e tu dovevi seguirlo; capisci che quel cavallo bianco è una delle tue radici, forte e che non ha bisogno di essere nutrita perché resistente a traslochi, lavaggi e stropicciamenti da parte di bambini.
 
Tutta la consapevolezza di non essere mai sola deriva da quel cavallo che se odori meglio sa ancora di zucchero filato e se chiudi gli occhi senti ancora quelle voci gaudenti di due bambine che sono cresciute insieme e che poi la vita ha inevitabilmente diviso arricchendosi di esperienza, sorrisi, sacrifici e ricordi.
 
In un momento tutto ti è più chiaro: l’amicizia si rinnova, di giorno in giorno, di anno in anno, e si alimenta anche col solo pensiero o, meglio, col solo ricordo.
Tu sei ancora amica di quella bambina, ovunque essa sia.
Il cavallo ce l’hai solo tu e in qualche pomeriggio nostalgico anche lei penserà a te.
 
Essere amici significa sentirsi col pensiero, ricordarsi, incontrarsi empaticamente, esserci ieri oggi domani, anche solo per pochi istanti. Il legame interno rimarrà, ieri oggi e domani; si arrugginirà, si opacizzerà, si allenterà, ma il tuo bisogno interiore di salire ancora su quella giostra con lei sarà più forte, più struggente e nemmeno la lontananza geografica potrà spezzarlo.
 
L’amicizia dei bambini è innocente, disinteressata, coinvolgente e spronante: non bisogna guidarla e men che meno pilotarla.
Il bambino sa, intuisce e percepisce l’empatia e il suo cavallo bianco lo donerà di sicuro alla persona giusta.
 
Valeria Genova
[Immagine tratta da Google Immagini]