Pigrizia: l’ultima forma di resistenza

In un’epoca in cui le rivoluzioni sono solo materia di studio per ragazzi annoiati, sempre più rapiti dalle promesse del mondo virtuale, rimane tuttavia un’ultima freccia al nostro arco: la pigrizia. Ci sono tanti modi di essere pigri, e nel senso comune nessuno di questi può essere una virtù. Ma anche solo per ciò direi che la pigrizia è in grado di rappresentare una controtendenza significativa, l’esigenza di non adeguarsi acriticamente al sistema, eretto intorno a noi, nonostante noi.

Eppure, pigrizia non è solo non aver voglia di fare, poltrire, evitare ogni fatica, vi è anche una pigrizia nobile, ragionata, una pigrizia come forma di resistenza critica e dissidenza dal pensiero dominante. Un modo di essere che mette in discussione la scala di valori inculcatici sin dalla nascita, al vertice della quale si erge indisturbato il lavoro, mezzo – anche se sempre più fine in sé – per raggiungere la piena realizzazione esistenziale, ovvero denaro, proprietà, potere, rispetto, posizione sociale, famiglia (che puoi mantenere solo grazie al lavoro).

Non c’è nulla di sbagliato nel lavorare, anzi, è grazie al lavoro che nei secoli abbiamo considerevolmente migliorato la nostra condizione; di sbagliato c’è l’accettazione comune del lavoro come dimensione unica delle nostre esistenze. Unica, perché, se avete un lavoro, tutte le altre vostre attività saranno organizzate necessariamente in funzione di esso. Avete una macchina per andare al lavoro, affrontate quotidianamente il traffico per recarvi al lavoro, fate la spesa nel weekend perché durante la settimana tornate tardi dal lavoro, vi riposate nel giorno libero per essere poi in piena forma per tornare al lavoro, e lo stesso vale per il riposare la notte – per chi ci riesce. Lavorate otto, dieci, dodici ore al giorno senza esagerare, e per voi non rimane nulla, se non la coscienza a posto perché così vi è stato detto di pensare: se non lavori sei un lavativo, un parassita. Quindi non soltanto inutile, ma addirittura un peso per la collettività. Non lavorare, non sacrificare la maggior parte del nostro tempo al lavoro è semplicemente una colpa. Max Weber riconduce questo primato del fare al cambiamento socio-culturale apportato nel Cinquecento dalla Riforma protestante, per cui il lavoro e il relativo profitto, accumulato e non goduto, erano considerati segno della grazia divina. Sarà davvero colpa dei calvinisti? Fatto sta che il capitalismo contemporaneo ci costringe tutti a lavorare senza sosta.

Nessuno ha mai pensato che in tutto questo possa esserci qualcosa che non va? Ovviamente sì, fini pensatori hanno messo in discussione quella che è a tutti gli effetti una schiavitù salariata: Karl Marx, Paul Lafargue, Bertrand Russell, gli anarchici. E oggi? Nonostante gli sforzi di questi uomini continuiamo a sprofondare sempre più nel buco nero del lavoro, attività che pervade ogni ambito della nostra esistenza. Essere umano e lavoro sono la stessa cosa, noi siamo il nostro lavoro, siamo identificati con esso, a discapito di tutto il resto, ovviamente. Non abbiamo più tempo, la cosa più preziosa concessaci da questa breve esistenza, e non abbiamo più nemmeno l’energia per opporci, risucchiati come siamo dalle nostre occupazioni. Viviamo senza battere ciglio in un mondo in cui vige il culto del profitto e del consumo, dell’apparenza e del potere, e soprattutto l’imperativo del lavoro come dovere sociale imprescindibile, abnegazione totale nei confronti del sistema che non fa altro che alimentarsi con il nostro sudore. Fare, fare, fare. Il male è il non fare.

Non vi è quasi più rivolta, perché le nostre catene, come direbbe il Jean-Jacques Rousseau critico dei costumi del suo tempo, sono magistralmente rivestite di ghirlande e fiori che, nel nostro caso, ci fanno sognare la felicità attraverso il lavoro. Perché altrimenti come fai a permetterti il suv e la vacanza ai Caraibi? È questo il punto: la nostra idea di felicità. Il paradigma di felicità oggi dominante è questo: avere, a scapito dell’essere. Ma non tutti sono felici in questo modo; vi sono infiniti modi di essere felici, uno dei quali è avere meno e essere di più. Poter vivere le proprie passioni, i propri interessi, i propri amici. Avere tempo, per leggere, passeggiare, discutere, studiare, giocare. E non che questo debba necessariamente escludere il lavoro. Se tutti smettessimo di lavorare – è superfluo spiegarne il motivo – non risolveremmo nulla. Ma ognuno dovrebbe essere libero di svolgere il lavoro per il quale è incline, e soprattutto lavorare meno! Finirla con questa dimensione unica che è diventato per noi il lavoro. Poter esprimere la nostra persona in tutti i modi nei quali siamo vivi. Più essere, meno avere. Più libertà, meno costrizione. Più vita, meno colpa.

Ed ecco che ci viene incontro la pigrizia. Pigrizia come resistenza critica a un sistema che non ci rappresenta, perlomeno non tutti. I pigri – per Henri Michaux donne e uomini la cui anima ama nuotare –, rivalutando la pigrizia come modo di essere dissidente, in rivolta contro il diktat del lavoro come unico mezzo di realizzazione personale, sono gli eroi dei nostri giorni, gli unici che hanno il coraggio di mettere in discussione lo stato delle cose. La loro resistenza è passiva, ma attraverso le energie sottratte al lavoro per fare altro, fanno respirare il mondo.   

Rivalutare dunque il valore esistenziale e corrosivo della pigrizia è il nostro scopo. Mettere in luce il problema, aprire il dibattito, stuzzicare le coscienze. Attraverso il pensiero critico spronare tutti a pensare liberamente, in modo indipendente. Che ognuno sia libero di immaginare un avvenire più simile a se stesso e non a quello che il sistema vorrebbe fossimo. A questo serve la filosofia, la materia ritenuta inutile per antonomasia (soprattutto dai più assuefatti al dogma del fare): essere liberi. Abbiamo bisogno di filosofi pigri, di anime che amano nuotare e che sanno che solo nuotando liberamente si può essere felici.

 

Stefano Scrima

Scrittore, musicista e filosofo, sul tema della pigrizia filosofica ha scritto Il filosofo pigro. Imparare la filosofia senza fatica (Il Melangolo, Genova 2017) e Oziosofia (Diogene Multimedia, Bologna 2017). Altri suoi libri sono: Nauseati (Stampa Alternativa, Viterbo 2016), Esistere! Gide, Sartre e Camus (Diogene Multimedia, Bologna 2016), e Non voglio morire. Miguel de Unamuno e l’immortalità (Diogene Multimedia, Bologna 2015). È redattore di Diogene Magazine.
www.stefanoscrima.com

[L’immagine riporta l’illustrazione in copertina al libro Oziosofia]

la chiave di sophia

L’umanizzazione di un genio: “Il mio Godard” di Michel Hazanavicius

Ritratto appassionato e narcisistico divertissement: questi i due poli tra cui si snoda l’ultima pellicola del regista francese Michel Hazanavicius, Il mio Godard, in anteprima e in concorso al Festival di Cannes 2017, distribuito nelle sale italiane dal 31 ottobre.

Il film, basato su Un an après, autobiografia dell’attrice Anne Wiazemsky, prima moglie di Jean-Luc Godard, interpretata dalla splendida Stacy Martin, è una rivisitazione personale della parabola artistica di uno degli esponenti di maggiore spicco della Nouvelle Vague e dell’anticonformista rapporto sentimentale e lavorativo del cineasta con la giovane attrice.

Come coniugare vita privata e vita professionale e quale ruolo ha l’artista nel proprio tempo, dunque: questo il doppio fil rouge scelto da Hazanavicius nell’indagare la figura di Godard in una pellicola suddivisa in capitoli che ripercorrono la distribuzione di La chinoise, film accolto negativamente in una Parigi 1967 che sfila verso il maggio dell’anno successivo, il Festival di Cannes del 1968 interrotto per le proteste, il maoismo, le manifestazioni contro la guerra in Vietnam, la fondazione del cinema collettivo con il Gruppo Dziga Vertov, il rapporto controverso con Bertolucci.

Sullo sfondo quindi l’imprescindibile contesto storico con cui la cinematografia di Godard intrattiene legami indissolubili: il regista di À bout de souffle avverte infatti la necessità di una svolta in chiave di engagement, l’urgenza cioè di fare un cinema rivoluzionario non solo per i modi ma anche per i contenuti, non solo una nouvelle vague che trasgredisce il cosiddetto e impersonale “cinéma de papa” ma un cinema realmente rivoluzionario, che corrode la civiltà dei consumi e della mercificazione dei rapporti umani e che rifiuta il ruolo del regista nella convinzione che esso sottintenda un’ideologia autoritaria e gerarchica. Un uomo a tutto tondo Jean-Luc Godard, appassionato della vita e innamorato con un amore totale, ma asfittico e insensibile, della sua Anne, interprete di Veronique in La chinoise. Jean-Luc la vorrebbe tutta solo per sé sul set e a casa, come inseparabili compagni ovunque, diventando così geloso e cieco verso la maturazione professionale e personale della giovane e brillante ragazza di vent’anni più giovane. Parallelamente il Godard regista, protagonista in prima linea del maggio parigino, si interroga sul senso del fare cinema e sul ruolo dell’intellettuale: artista, creativo, estetico – come era stato nella sua prima stagione – ma anche impegnato, sovversivo, ideologico – come sarà nella sua seconda fase.

Nel tentativo di far coabitare le due anime, del regista Godard e dell’uomo Jean-Luc, Hazanavicus scade talvolta nel cliché, collezionando esibizionismi stilistici forzati, accumulando luoghi comuni e brandelli di antigrammatica godardiana in un film d’autore elegante e lezioso che nell’intento di ridicolizzare l’intoccabile Godard mette solo alla berlina se stesso.

Nessuno è perfetto o tutto è criticabile – suggerisce Hazanavicius ‒ e anche Godard da leggenda diventa macchietta: il regista di The Artist e di The Search ammira inevitabilmente JLG – sigla da cinefili – ma odia il contraddittorio Jean-Luc, borghese e regista di La chinoise, così il comico refrain della rottura degli occhiali scuri del cineasta puntualmente schiacciati durante ogni protesta, simbolo di un’irrimediabile miopia di Godard verso la sua epoca e verso Anne.

Il risultato è – come d’altronde nel titolo italiano – un Godard visto dalla lente di Hazanavicius, ridicolizzato e umanizzato al tempo stesso, il fondatore della Nouvelle Vague che guarda direttamente verso la sua stessa macchina da presa, fragile e in crisi, contraddittorio come tutti e per questo vivo.

Un film per tutti, non certo adatto per conoscere la figura di Godard ma sicuramente denso di spunti di riflessione e apprezzabile per il taglio scelto da Hazanavicius che compie un’operazione consapevole, cioè raccontare una propria passione inevitabilmente dal proprio punto di vista, quindi in modo soggettivo quindi in modo parziale, in una pellicola metacinematografica che riesce a intrattenere tutti, forse proprio per quelle distorsioni, per quei cliché ridondanti poco graditi dai critici.

Quanto agli amanti di Godard e della Nouvelle Vague, a mio avviso, escono dalle sale entusiasti, divertiti e ancora più radicalizzati nella loro passione cinefila, per una scenografia-confetto, quasi alla Wes Anderson, in un’amabile e ambivalente Parigi da cliché, rivoluzionaria e Coco Chanel, e per la brillante interpretazione di Louis Garrel, che da attore bello e tenebroso ha colto l’essenza del Godard di Hazanavicius, cinico e snob, spavaldo e umano, immortale come la frase che scandisce con amara nonchalance il film – Le Redoutable nell’originario titolo francese – leitmotiv del reportage sul sottomarino nucleare francese costruito nel 1967: «Così va la vita, a bordo del Redoutable».

 

Rossella Farnese

 

[Immagine tratta da Google Immagini]

“It” è un film che banalizza la cognizione dell’orrore

Tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta, il filosofo americano Noël Carroll provò a teorizzare nel libro The Philosophy of Horror (1990) il paradosso dell’orrore. Si tratta di una variazione del più tradizionale paradosso della tragedia, dovuto al filosofo David Hume e riducibile alla domanda: “perché siamo attratti da cose che (se fossero reali) riterremmo orribili?” La notizia che un film come It abbia incassato al box office statunitense oltre duecento milioni di dollari nelle prime due settimane di programmazione, è la dimostrazione che il pubblico è ancora molto attratto dal fascino dell’orrido. Ma che cos’è l’horror? Per Carroll si tratta di un genere eminentemente moderno, che ha avuto origine nel XVIII secolo in Europa con la cosiddetta letteratura gotica. Nell’analizzare l’horror Carroll evidenzia come questo genere sia un dispositivo che funziona nella sua totalità. Tuttavia, il filosofo mette in rilievo alcuni elementi tipici che appaiono essere più importanti di altri nella costruzione della finzione scenica. In particolare: la presenza nel cast di un gruppo di protagonisti generalmente umani (nel caso di It si tratta dei ragazzini che fanno parte del Club dei perdenti) contrapposti a un’entità mostruosa che li minaccia e che, a seconda dei casi, può assumere molteplici forme (tra cui quella umana).

Il successo del romanzo pubblicato nel 1986 da Stephen King è in gran parte dovuto alla sua capacità di riuscire a raccontare con incredibile efficacia un male archetipico, confinandolo in una mostruosa personificazione mutaforma delle paure di ognuno di noi. It è un mostro senza genere (anche se nel libro si ipotizza la sua propensione verso il lato femminile), è la personificazione di ogni nostra paura e si nutre del terrore che riesce a suscitare nelle sue vittime. L’unica soluzione possibile per eliminare un antagonista simile è compiere una crescita personale, superando le paure primordiali dell’infanzia e arrivando alla maturità dell’età adulta, dove i turbamenti non scompaiono ma si evolvono a una fase più consapevole rispetto al terrore di cui si nutre It. Nel nuovo adattamento cinematografico diretto da Andy Muschietti, gran parte di queste tematiche vengono banalizzate e ridotte a una lotta, nemmeno troppo spaventosa, tra un gruppo di ragazzini e un clown assassino (personificazione preferita del mostro creato da King).

Chiariamo una cosa: il nuovo lungometraggio di Muschietti non è del tutto esente da meriti. È girato con grande maestria registica, cura con grande attenzione gli elementi della messa in scena e, con un cast di tutto rispetto, ha il coraggio di prendere una serie di soluzioni narrative che in qualche modo lo rendono libero e indipendente dal peso incombente del romanzo a cui si ispira. It è un film che reclama una sua indipendenza ma che al tempo stesso si dimentica di mettere in scena l’elemento chiave nel conflitto tra il mostro e i ragazzini, vale a dire: l’immaginazione. La parte del viaggio onirico di Bill raccontata da Stephen King, poco prima dello scontro con il clown Pennywise, sarebbe stata una componente fondamentale da mettere in scena per mostrare allo spettatore come rabbia e coraggio non siano sufficienti, in questo caso, a eliminare un antagonista così spaventoso. Serve immaginazione per vincere le proprie paure ma Muschietti sembra dimenticarlo, portando in scena un film che punta molto sullo spavento più immediato e concreto, causato da esplosioni sonore a tratti esagerate e sulla diabolica fisicità del giovane Bill Skarsgård che interpreta It scegliendo saggiamente una prova di sottrazione attoriale, ispirata ai grandi antagonisti del cinema muto. Fatta eccezione per la splendida sequenza iniziale infatti, il clown di Skarsgård è un personaggio quasi muto e presente in scena pochissime volte, divenendo così una presenza metaforica più che un personaggio vero e proprio. In attesa di vedere la continuazione della storia cinematografica nel secondo capitolo dell’opera, questo primo vero adattamento cinematografico di It rimane un ottimo prodotto commerciale per la grande fruizione di massa, anche se la paura dei produttori di fallire al botteghino ha impedito all’opera di galleggiare verso l’Olimpo dei grandi film, rischiando di far naufragare una delle più belle storie mai scritte nella banalità ordinaria dell’intrattenimento orrorifico, già visto decine di volte sul grande schermo.

 

Alvise Wollner

 

[immagine tratta da google immagini]

 

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Selezionati per voi libri: ottobre 2017!

L’autunno è arrivato: le foglie iniziano a ingiallirsi e a cadere dai rami e la nebbiolina serale comincia ad appannare i vetri delle nostre auto. Torniamo a ripararci tra le calde mura delle nostre case, magari con mestoli e mixer alla mano per preparare qualche bel dolce che possa profumare l’aria. Durante la cottura fatevi tentare dal vostro soffice divano e prendete in mano il libro che più preferite! Magari uno di questi..

 

UN ROMANZO CONTEMPORANEO

allende_il-piano-infinito_recensione_la-chiave-di-sophiaIl piano infinito – Isabel Allende

Con Il piano infinito la Allende dimostra senza dubbio alcuno di appartenere alla categoria degli scrittori e delle scrittrici che fanno dell’esistenza lo spirito del proprio romanzo. L’esistenza di cui si parla qui è quella del gringo Gregory Reeves, il quale incarna l’aspirazione umana al raggiungimento di una felicità che sembra sfuggire ad ogni passo. La sua avventura si intreccia all’eterna ricerca dell’uomo, inserendosi nei luoghi della storia del mondo, delle sue contraddizioni, dei suoi problemi sociali e della sua miseria.

UN CLASSICO

marcovaldo-la-chiave-di-sophiaMarcovaldo – Italo Calvino (1963)

Marcovaldo è una raccolta di racconti che narra le avventure dell’omonimo protagonista che dalla vita rurale si trasferisce in una città industriale, faticando ad adattarsi alla nuova realtà. Dimostrandosi ingenuo e credulone, Marcovaldo crede di poter assaporare la natura così come era propria abitudine in campagna, ma si ritrova invece a dover fare i conti con un ambiente molto diverso. Scritto con note fortemente parodiche e critiche, il libro di Calvino si fa portavoce di un’epoca in cui il rispetto per il territorio risulta carente, manchevole dei dovuti riguardi. Consigliato a tutti coloro che amano la satira dolceamara e le riflessioni sul mondo circostante, espresse in un linguaggio molto semplice, vivace e per nulla pedante.

 

SAGGISTICA

carlo-rovelli_sette-brevi-lezioni-di-fisica_recensione_la-chiave-di-sophiaSette brevi lezioni di fisica – Carlo Rovelli

Spesso e volentieri l’ambito scientifico è considerato un circolo privato accessibile a pochi. I vari fenomeni che si compiono ogni giorno, che ci circondano e ci investono costituiscono il dispiegarsi delle nostre azioni, del nostro stare al mondo. Eppure la maggior parte delle persone è esclusa dalla discussione, anzi addirittura dalla comprensione stessa. In sette lezioni su quanti, teoria della relatività, sulla probabilità e il cosmo Carlo Rovelli ci dona libertà, ci permette di accedere con leggerezza e semplicità – non ingenuità – all’informazione scientifica in tempi in cui la disinformazione è ormai una costante del quotidiano.

JUNIOR

la_mia_resistenza_182-la-chiave-di-sophiaLa mia resistenza – Roberto Denti

Un racconto autobiografico che ci riporta negli anni della Seconda Guerra Mondiale. Roberto Denti, famoso libraio e scrittore, in queste pagine offre a tutti i suoi amati lettori i suoi ricordi di giovane partigiano. Il testo, al contempo semplice e profondo, è adatto a tutti: ideale tanto per una lettura in classe quanto per una lettura integrale durante le vacanze. La lettura è consigliata a tutti i ragazzi a partire dall’età della scuola media, desiderosi di conoscere il passato del nostro paese e il vissuto di tanti ragazzi che, come l’autore, dovettero confrontarsi con il peso della guerra.

 

Sonia Cominassi, Anna Tieppo, Alvise Gasparini, Federica Bonisiol

 

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“Mother!” è un incubo freudiano perturbante

Das Unheimliche è un vocabolo della lingua tedesca, utilizzato da Sigmund Freud nel 1919 come termine concettuale per esprimere, in ambito estetico, una particolare attitudine della paura che si sviluppa quando una cosa (o una persona, una impressione, un fatto o una situazione) viene avvertita da noi come familiare ed estranea al tempo stesso, scaturendo una generica angoscia unita a una spiacevole sensazione di confusione ed estraneità. In italiano il termine è stato spesso tradotto con l’aggettivo sostantivato perturbante. Al cinema, il corrispettivo dell’Unheimliche freudiano potrebbe essere individuato in Mother!, nuovo film dello statunitense Darren Aronofsky, il regista che nel 2011 aveva diretto Il cigno nero.

Presentato in concorso alla settantaquattresima Mostra d’arte cinematografica di Venezia, Mother! (o Madre! se preferite la traduzione italiana del titolo) ha diviso fin da subito critici e spettatori, generando una serie di riflessioni e giudizi contrastanti sul valore etico ed estetico della pellicola. Il perché di tante polemiche e discussioni è presto spiegato: Mother! è un film pensato per disturbare lo spettatore, per farlo uscire dalla comfort zone della sala cinematografica in cui si trova e per scaraventarlo in un incubo a occhi aperti della durata di oltre due ore. Piccola precisazione: il termine incubo qui non vuole far intendere che il film di Aronofsky sia per forza un horror, perché sarebbe sbagliato etichettarlo in questo modo. Piuttosto potrebbe assere catalogato come un complesso thriller psicologico. La verità è che Mother! oltrepassa ogni possibile definizione di genere perché è una sorta di unicum rispetto a tutto quello che abbiamo visto finora al cinema.

La trama segue le vicissitudini di uno scrittore in crisi d’ispirazione e della sua musa intenta a sistemare la casa in cui hanno deciso di vivere. All’esterno dell’edificio sembra esserci solo la natura incontaminata, all’interno dell’abitazione regnano invece i sentimenti più disparati di una relazione: dall’amore alla rabbia, passando per le piccole gioie fino ai sogni infranti. Il microcosmo della casa dovrebbe essere idilliaco per i due coniugi, ma c’è sempre qualcosa in agguato pronto a minare la serenità di un rapporto che insegue di continuo il sogno della perfetta felicità. Poi, all’improvviso, il mondo esterno inizia a fare irruzione nella casa della coppia. Prima con piccole avvisaglie, poi in maniera sempre più invasiva. Jennifer Lawrence interpreta la personificazione della pars costruens, la donna che cerca di costruire e sistemare la propria esistenza insieme a quella del compagno, ricoprendolo di cure e attenzioni. Javier Bardem è invece l’artista demiurgo e imprevedibile che, dando vita alla pars destruens, rimane sempre in bilico tra caos e ragionevolezza.

Impossibile raccontare di più, onde evitare di rovinare un film che andrebbe vissuto con la piena volontà di lasciarsi trasportare dalle immagini, senza pretendere che queste possano avere un significato ed un senso nell’immediato. Mother! è uno di quei film che potrà disgustarvi o deludervi a una prima visione ma che saprà smuovere le vostre coscienze spettatoriali, lasciandovi con un’infinità di spunti su cui riflettere nei giorni successivi a quando lo vedrete. È un film che ha bisogno di tempo per essere assimilato e che non lascia indifferente chi lo guarda. Per questo è un’opera coraggiosa e stimolante che merita di essere vista al cinema superando i pregiudizi che potrebbero influenzarne la visione. Mother! parla al cuore e soprattutto alla mente dello spettatore. È un film che denuncia lo stato di degrado e violenza in cui si trova oggi il nostro Pianeta. È un’opera che non si vergogna di essere autobiografica nel momento in cui mette in scena il rapporto tra un artista e la sua musa (Aronofsky e Jennifer Lawrence sono una coppia nella vita reale). Soprattutto è un film che ha il coraggio di prendersi dei rischi immani e di osare tantissimo pur di raccontare una vicenda capace di provocare una reazione forte in chi la guarda. Un lavoro in cui i difetti non mancano, ma che sarà capace di accompagnare per molto tempo i suoi spettatori, lasciando un messaggio che per ognuno di loro sarà diverso. In questo risiede la forza del Pertubante: nel portare alla luce ciò che credevamo nascosto e inesistente, facendoci diventare consapevoli di come l’arte, capace di indagare realmente le dinamiche umane, riesca ancora a turbarci nel profondo, avvicinandoci nel contempo al sublime.

Alvise Wollner

 

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Selezionati per voi: aprile 2017!

1° aprile, pesce d’aprile! Nessuno scherzo: la nostra selezione di libri e film è puntuale come un orologio svizzero. Nelle belle giornate che hanno caratterizzato il mese appena finito, ritagliarsi un po’ di tempo per leggere all’aria aperta è stato un vero piacere. Nella speranza che anche aprile ci regali temperature miti, aria leggera e cieli sereni, abbiamo selezionato per voi alcuni libri per immergerci insieme nella riflessione sulle grandi questioni della vita. Se invece le prime piogge stagionali dovessero fare presto capolino, traete spunto dai nostri suggerimenti e rifugiatevi al cinema, non ve ne pentirete. Buona lettura e buona visione!

LIBRI

marzano-la-chiave-di-sophiaMichela Marzano − L’amore che mi resta (2017)

Dalla notte in cui Giada ha deciso di togliersi la vita, l’esistenza di Daria sembra non avere più alcun senso. Un vuoto immenso e incolmabile le si è spalancato davanti.
Da quando la sua bambina se n’è andata, si trova a dover fare i conti con quel passato che ha intrecciato le loro vite. Con i non-detti e i silenzi. E quella certezza mista a paura di aver sbagliato ogni cosa.
Com’è possibile superare la perdita di un figlio? Come poter convivere con quel vuoto che talvolta ci inghiotte?
L’amore che mi resta è una storia fatta di assenze onnipresenti. Di distanze impastate di prossimità. Ma anche della forza che sorge dalla luce della speranza, nel momento in cui, attraversando le tenebre della sofferenza, si ritrova il coraggio per ricominciare a vivere e amare.

moravia-chiave-di-sophiaAlberto Moravia − Gli indifferenti (1929)

Romanzo giovanile, trampolino di lancio per una fortunata carriera da scrittore, Gli indifferenti di Moravia mostrano con disincantata lucidità un mondo in declino, ricco di inganno e menzogna, privato della sua moralità e dei suoi valori. I personaggi che popolano il libro esprimono perfettamente lo sfacelo morale che li circonda; l’unico a salvarsi, a condannare questa realtà ormai in rovina, è il protagonista Michele, il quale osserva con disprezzo ciò che lo circonda senza riuscire tuttavia a trovare una valida alternativa. Ciò lo porta a dichiarare insistentemente la propria “indifferenza”, come unico baluardo di protezione verso un mondo in cui non è più possibile riconoscersi e da cui tuttavia si viene inghiottiti.
Lucida e cruda descrizione della contemporaneità, Gli Indifferenti rappresentano una valida lettura per coloro che amano riflettere sulla perdita di valori, sui sentimenti di apatia e noia che troppo spesso caratterizzano il nostro presente.

mola-massoneria-recensione_la-chiave-di-sophiaAldo Alessandro Mola − Massoneria (2012)

Si sa, gli italiani sono esperti complottisti, abili dietrologi. Si scagliano su ciò che è ambiguo in nome di limpidi principi, ma al contempo sono attratti da ciò che si sottrae. Tra gli argomenti mai passati di moda in questo senso c’è indubbiamente quello della massoneria, che in questo agile libretto vede ripercorsa la sua storia in Italia, il suo confronto con la società, le sue lotte, le sue ragioni. Un buon inizio per chi vuole iniziare a capire e scoprire qualcosa di nuovo al di là dei preconcetti e forse cercare energie fresche per se stesso e il proprio tempo.

Sara Roggi, Anna Tieppo e Luca Mauceri

 

JUNIOR

130616_papabis2-chiave-di-sophiaCharles Berbérian, Philippe Dupuy, Joseph Jacquet − I papà bis (2013)

Nella vita dei due bambini protagonisti di questa storia è entrato da qualche tempo un nuovo personaggio: “papà bis”. Chi sarà mai quest’uomo? Sarà gentile e divertente o noioso ed antipatico? Farà felice la mamma? Litigherà con papà o i due riusciranno ad andare d’accordo? Se queste domande non vi sono nuove e se avete la necessità di affrontare con i vostri bambini l’argomento della separazione vi consiglio la lettura di questo album illustrato, particolarmente adatto per la fascia d’età 4-7 anni.

Federica Bonisiol

 

FILM

libere_locandina chiave di sophiaMaysaloun Hamoud  Libere, disobbedienti, innamorate
L’hanno definito come il nuovo Sex and the city in salsa israeliana. In realtà il nuovo film di Maysaloun Hamoud è molto più di questa semplicistica definizione. E’ un dramma coinvolgente e appassionante che segue le vite di tre ragazze arabe nella caotica Tel Aviv. Un affresco generazionale molto convincente su una realtà spesso lasciata in secondo piano dall’industria cinematografica e dai media internazionali. Rivalutando e analizzando da un nuovo punto di vista il ruolo della donna nell’attuale cultura araba, Liberi, disobbedienti, innamorate è uno dei titoli più interessanti di questa prima parte dell’anno. Un viaggio tutto al femminile da cui ogni spettatore potrà trarre un insegnamento importante. USCITA PREVISTA: 6 APRILE 2017

Olivier Assayas −Personal Shopperpersonal_shopper_ver2 chiave di sophia
Dopo lo straordinario Sils Maria, il regista Olivier Assayas e l’attrice Kristen Stewart tornano sul grande schermo con una storia ancora più audace e sorprendente. Il titolo dell’opera potrebbe trarre in inganno: qui la moda è solo una cornice che serve a contestualizzare una magnetica storia di fantasmi e introspezione. Semplice ma, allo stesso tempo, molto convincente. La Stewart si conferma come una delle migliori attrici della sua generazione, mentre la regia intelligente di Assayas rende Personal Shopper uno dei titoli imperdibili di quest’annata cinematografica. USCITA PREVISTA: 13 APRILE 2017

 

Gianni Amelio − La Tenerezza chiave-di-sophia
Sono tantissimi i film italiani che ad aprile arriveranno nei cinema del Paese. Tra tutti questi c’è da segnalare l’atteso ritorno dietro la macchina da presa del regista Gianni Amelio. La tenerezza racconta la storia di due famiglie molto particolari in una Napoli inedita, lontana dalle periferie, una città borghese dove il benessere può mutarsi in tragedia, nonostante la speranza resti sempre a portata di mano. Notevole il cast di attori tra cui spiccano le prove eccellenti di Elio Germano, Giovanna Mezzogiorno e Micaela Ramazzotti. USCITA PREVISTA: 24 APRILE 2017

Alvise Wollner

[Immagini tratte da Google Immagini]

Marzo in cultura! Un mese di filosofia, arte e letteratura

Mentre la stagione delle gelate scivola via, anche le attività culturali cominciano a risvegliarsi dal torpore invernale, aprendo la strada ad un nuovo periodo denso di eventi da inseguire e di cui godere.

Ecco allora la nostra selezione di eventi e mostre d’arte per un nuovo mese ricco di stimoli e di cultura.

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VENETO | Pensare il presente festival | dal 7 al 30 marzo 2017 | TREVISO

Dopo il grande successo delle scorse edizioni, ritorna nel mese di marzo a Treviso l’appuntamento con il Festival filosofico «Pensare il presente», con il quale quest’anno collaboreremo attivamente.

La rassegna – organizzata dall’Associazione Pensare il presente e dalla Società Filosofica Trevigiana con il patrocinio del Comune di Treviso e l’Università Ca’ Foscari di Venezia – è in programma dal 7 al 30 marzo e si articolerà in una serie di conferenze e di “serate a più voci”, con la partecipazione di importanti esponenti del panorama filosofico contemporaneo e non solo.

Tra gli ospiti internazionali, spiccano i nomi di Peter Singer, il maggiore teorico dei diritti animali, e Serge Latouche, fondatore della decrescita; mentre tra i relatori italiani si segnala quest’anno la presenza dell’ex Ministro dell’Economia Giulio Tremonti, che affronterà il delicato problema del rapporto tra finanza internazionale e sovranità, accanto ai contributi più strettamente filosofici, psicologici e sociologici che saranno offerti da Umberto Curi, Umberto Galimberti, Iside Gjergji e molti altri ospiti.

«Anche in questa nuova edizione» – spiega il Prof. Damiano Cavallin, Direttore del Festival – «intendiamo affrontare, con il contributo di figure importanti, temi di estrema attualità: dagli equilibri ambientali alla proposta della decrescita, dalla questione dell’informazione e della sua manipolazione ai diritti degli animali, dal disagio interiore al conflitto tra Stati e finanza internazionale, dagli stranieri che giungono in Italia all’emigrazione dei giovani che lasciano il nostro paese. Abbiamo scelto di dare voce, poi, ad opinioni divergenti, da Latouche a Tremonti, da Galimberti a Curi, da Singer ad Iside Gjergji e molti altri, arricchendo il Festival con tanti appuntamenti in cui la filosofia si intreccia con l’economia, il diritto, il marketing, la psicologia, la storia, la sociologia e l’arte».

Oltre alle conferenze, sono previste numerose serate a più voci, per affrontare a partire da prospettive diverse i nodi chiave del presente.

La Conferenza di apertura è fissata per martedì 7 marzo alle ore 20.30, presso l’Istituto Fermi di Treviso, con una relazione di Serge Latouche (Professore emerito di Scienze economiche all’Università di Parigi) sul tema “Decrescita e futuro”.

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L’evento sarà presentato anche come anteprima della Fiera 4 passi. Già a partire da questo primo incontro, il pubblico avrà un’occasione speciale per essere protagonista ed intervenire direttamente nel dibattito: è possibile infatti chiedere di salire sul palco e dialogare con i relatori, compilando l’apposito form alla pagina: www.pensareilpresente.it.

Sito Web: qui
Facebook: qui
Email: info@pensareilpresente.it

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VENETO | Intenzionalità e mercato | sabato 11 marzo 2017 | Auditorium Stefanini, TREVISO

In occasione del Festival Pensare il Presente, organizzato dalla SFI trevigiana, sabato 11 marzo 2017 a Treviso presso l’Auditorium Stefanini, dalle 17:30 alle 19:30 si terrà una conferenza che vedrà come ospite di spicco Sebastiano Zanolli, manager e consulente di Direzione del Gruppo OTB per le strategie di Employer Branding. OTB è il gruppo a cui fanno capo marchi di moda come Diesel, Maison Margiela, Marni, Viktor&Rolf, e aziende come Staff International e brave Kid; ha ricoperto il ruolo di direttore marketing Adidas in Germania, ed è stato General Manager per la filiale italiana Diesel.

In dialogo con Giacomo Dall’Ava, formatore aziendale e personale e redattore La Chiave di Sophia.

Quando possiamo dire che un’azione è intenzionale? Per sviscerare il tema del libero arbitrio e per affrontarlo da un punto di vista più specifico, possiamo addentrarci nel mondo delle azioni intenzionali. Quali sono le condizioni per cui un’azione è stata compiuta con la piena intenzione del soggetto? La filosofia e le neuroscienze collaborano per dare risposta a questo dubbio.
L’intenzionalità fa da garante per le nostre azioni e per le nostre scelte.
Le neuroscienze sostengono le riflessioni filosofiche anche per quanto riguarda gli studi di neuromarketing, che cercano di dare una spiegazione alle nostre scelte in ambito commerciale. Ma se la nostra intenzionalità viene veicolata o influenzata dagli altri, ancor prima che venga prodotta da noi, è ancora effettivamente intenzionale?

Evento completo: qui

Per maggiori informazioni: info@lachiavedisophia.com

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VENETO | Zona Franca | MOTTA DI LIVENZA

// TRA REALTA’ E ILLUSIONE – 5 INCONTRI //

 Con Marzo ripartono le attività dell’Associazione Zona Franca di Motta di Livenza, che per quest’anno ha pensato una rassegna densa di significato e di Filosofia. 

Punto di forza è il ciclo di cinque  laboratori artistico-creativi di apprendimento esperienziale per la promozione della comunicazione attiva, dedicato a giovani e adulti, da cui l’attività dell’associazione ha preso a funzionare. Un percorso affascinante segnato da parole. Parole normali viste da angolazioni speciali e parole speciali trattate come tali. Da un progetto dedicato alle parole, al loro significato, uso e alla loro forza creativa ed evocativa. L’unione di creatività, fantasia e voglia di mettersi in gioco faranno da ponte tra l’ascolto di sé e il dialogo con gli altri. L’insieme di emozioni, riflessioni e risorse potrà dare impulso a rinnovate prospettive personali e sociali. Un progetto a cura del “Comitato creativo Zona Franca”, con il contributo dello psicologo Franco Tramarin e dell’artista Lavinia Longhetto. Facilitazione del gruppo a cura di Barbara Turcolin.

I temi interessati sono molteplici e ricchi di moltissimi spunti di riflessione:

07.03.2017: CASO // MERITO

Scintille in fusione tra loro. Occasioni per dare voce alla propria bellezza creativa (colori a tempera)

14.03.2017: CONFUSIONE // ANARCHIA (lavoro di gruppo)

SINTESI: Macchie a dar forma al nuovo. Dal caos alla libertà di essere il cambiamento (lavoro di gruppo // colori a tempera)

21.03.2017: PRESENZA // ASSENZA

Taglia e incolla di realtà in divenire. Forme nuove e capienze libere vanno in scena (collage)

28.03.2017: LUCE // ABISSO

Cromie accese e toni cupi per illuminare emozioni e strategie di vita quotidiana. (colori acrilici)

04.04.2017: SIMILE // OPPOSTO (lavoro di gruppo)

Ognuno come qualcuno, uguale a nessuno. Tracce di dialogo fra persone uniche. (lavoro di gruppo // colori a tempera)

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// CONCORSO ARTISTICO ‘RIDERE SUL SERIO’ //

Fino al 30 giugno 2017 sono aperte le iscrizioni online al concorso artistico “RIDERE SUL SERIO Di.segno In.forma – 2^ ed.”, a cura di Associazione Zona Franca. L’iniziativa a premi è rivolta a bambini e ragazzi 5-17 anni (dal 18° anno c’è la categoria “fuori concorso” con segnalazioni per merito).

É un’esperienza di comunicazione grafico-artistica, il cui obiettivo principale è far ridere veramente, a promozione degli aspetti positivi del ridere e per la comprensione del linguaggio dei giovani.

La partecipazione è gratuita e aperta a tutti: es. studenti, genitori, educatori, ricercatori, istituzioni ed enti pubblici e privati, associazioni, imprenditori ecc..

Sito web: qui
Per maggior info: qui
Locandina evento: qui
Pagina FB: qui

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LOMBARDIA | Bookpride. Fiera nazionale dell’editoria indipendente | dal 24 al 26 marzo 2017 | MILANO

La fiera dell’editoria promossa dall’ODEI (Osservatorio Degli Editori Indipendenti) arriva alla sua terza edizione e questa volta intende indagare il tema dello straniero, quell’étranger di Albert Camus che osserva il mondo di oggi con meraviglia ma anche inquietudine dal proprio isolamento.
Suddivisa in macro aree tematiche (letteratura, attualità, idee) che convocano grandi personalità e protagonisti emergenti, questa edizione prevede confronti, dibattiti ed incontri a due, perché la diversità si faccia dialettica e il breve tratto di un palco sia già di per sé segno di coesistenza e pluralismo.

Maggiori informazioni qui

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VENETO | TRA – Treviso Ricerca Arte | Ca’ dei Ricchi, TREVISO

Anche per questo mese da TRA gli amanti e i curiosi dell’arte contemporanea possono trovare pane per i propri denti. Il calendario di eventi è infatti ricco come sempre, a partire dalla mostra From Object To Exposure, che rimarrà aperta fino al 2 aprile; si tratta di una mostra collettiva che vuole indagare l’immagine contemporanea nella sua complessità, giocando anche sull’ambiguità degli oggetti tra realtà e rappresentazione.

Il curatore della mostra, Carlo Sala, continua anche i suoi incontri sull’arte contemporanea: IncontrART vi aspetta mercoledì 8 con Francis Bacon e mercoledì 22 con Andy Warhol, entrambi alle 20.45.

Con il medesimo orario, mercoledì 15 e giovedì 30 Giovanni Carli, ricercatore dello IUAV, presenta invece una nuova rassegna, Contemporaneamente – Lost in Architecture, che vuole raccontare l’architettura ed il design del Novecento a partire dalla vivacità creativa del Bauhaus.

Anche gli affamati di cinema e di musica saranno soddisfatti: continuano la proiezione di documentari in collaborazione con il Sole Luna Festival e gli appuntamenti con la musica di TRAcce di jazz.

Per tutte le informazioni ed il calendario completo degli eventi, vi invitiamo a fare un salto sul sito di TRA.

 

EMILIA ROMAGNA | Liberty in Italia | 5 novembre 2016 – 2 aprile 2017 | Palazzo Magnani, REGGIO EMILIA

C’è ancora tempo per visitare la mostra Liberty in Italia di Palazzo Magnani a Reggio Emilia, prorogata fino al 2 aprile. Un’indagine sulle due anime del liberty italiano: quella più decorativa e floreale e quella modernista, più inquieta. Interessante il confronto che mette in luce anche il lato più secessionista e d’avanguardia di una corrente artistica spesso apprezzata quasi esclusivamente per il suo decorativismo, risaltandone il valore di ricerca verso un linguaggio essenziale e stilizzato.

Maggior informazioni qui

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LOMBARDIA | Kandinskij, il cavaliere errante. In viaggio verso l’astrazione | 15 marzo – 9 luglio 2017 | MUDEC, MILANO

Dal 15 marzo il MUDEC di Milano rende omaggio a Vasilj Kandinskij. Interessante il punto di vista dell’esposizione, che si concentra sul metodo quasi scientifico dell’artista nell’elaborare il suo codice simbolico di lettura del reale. In particolare emerge il tema del viaggio come metafora di avventura cognitiva e di esplorazione della realtà, che diventa la cifra riassuntiva della sua stessa esistenza.

Maggiori informazioni qui

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LIGURIA | Modigliani | 16 marzo – 16 luglio 2017 | Palazzo Ducale, GENOVA

Dal 16 marzo al 16 luglio il Palazzo Ducale di Genova ospita la mostra monografica di Amedeo Modigliani, protagonista del fermento culturale della Parigi del primo Novecento e attento osservatore dei caratteri umani, che emergono nei suoi ritratti, introspettivi e sensuali. Il suo studio sulla figura tende all’essenzialità della forma, all’eleganza della stilizzazione e nasce dal profondo interesse dell’artista verso l’arte primitiva, etrusca e greca.

Maggiori informazioni qui

Elena Casagrande & Claudia Carbonari

[Immagini tratte da Google Immagini]

Contro la cementificazione della Memoria

Ogni 27 gennaio ricorre il Giorno della Memoria, una data istituita in Italia per ricordare:

«la Shoah (lo sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, e a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati».
Legge 211, 20 luglio 2000

Da questo momento, ogni 27 gennaio, le sale cinematografiche proiettano un film sul tema − quest’anno è la volta di Nebbia in agosto di Kai Wessel −, le biblioteche o le istituzioni culturali promuovono conferenze o spettacoli teatrali − solitamente su Hannah Arendt − e le scuole concedono il permesso a fugaci visite ai musei della Memoria, solo per obblighi istituzionali. Ed io, scrivendo un articolo sul giorno della memoria, mi cimento nel ruolo ricoperto da altri milioni di autori, che ogni anno dedicano 800 parole al 27 gennaio.
Tutto ben organizzato per trovare il tempo di ricordare. Alla fine occupa solo un giorno, o al massimo una settimana. Da domani ci si può finalmente sentire meno in colpa perché il nostro dovere di buon cittadino è stato eseguito. Anche da casa con Facebook. Da domani finalmente potremo condividere e postare a piacimento notizie riguardanti le terribili malattie portate dagli immigrati o quelle sui cani bisognosi di cura. I sommersi (nel vero senso della parola) e i salvati dei nostri tempi.

Il Giorno della Memoria è una memoria abitudinaria, ferma e passiva che sbiadisce con il tempo. Per quale motivo, allora, ci si ostina a fissarla − la memoria − in un preciso istante, quando è essa stessa un meccanismo in movimento che conserva e riformula le tracce di ciò che vediamo, sentiamo, guardiamo e tocchiamo?
Perché tendiamo a istituzionalizzarla e a monumentalizzarla in modo tale da isolarla e allontanarla dalle persone, rischiando che quest’ultime nel corso degli anni perdano la sensibilità nei confronti di ciò che è stato? Insomma, perché vogliamo mummificare la memoria delle stragi naziste?

Credo fermamente che occorra pensare a un qualcosa di permanente, al quale si possa aderire volontariamente senza l’incombenza di “dover” ricordare. Serve, dunque, un progetto che si riappropri del tempo e dello spazio, individuale e sociale, in maniera riservata e silenziosa, ma costante.
Un esempio, a mio parere, estremamente positivo è rappresentato dall’iniziativa Pietre d’inciampo1 partita da Colonia, una cittadina tedesca, grazie al genio dell’artista Gunter Demnig. Di cosa si tratta? Di un’idea semplice ed efficace: un sampietrino ricoperto da una piastra di ottone posto davanti alle abitazioni di chi venne deportato nei campi nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale. Una piccola targa quadrata sopra la quale è riportato il nome della vittima, l’anno di nascita, la data e il luogo di deportazione. Se conosciuta, anche la data di morte.
Ad oggi di questi sampietrini ne son stati depositati circa 60 mila in quasi tutta Europa. Anche a Venezia se ne possono trovare alcuni2. Occorre fare attenzione però, perché le pietre d’inciampo non son semplici targhe dall’importanza irrilevante, bensì vere e proprie tracce in grado di relazionarsi con la quotidianità delle persone. In breve, le pietre d’inciampo sono vulnerabili: è possibile calpestarle inavvertitamente, o magari levarle volontariamente per negare ciò che è stato e ancora sono inermi di fronte alle intemperie e all’inquinamento urbano. Senza alcun tipo di timore reverenziale, come spesso accade davanti ai grandi monumenti ottocenteschi, si avrà qualche incontro con queste presenze permanenti e integrate nella città. Magari casualmente, ma in ogni caso si dovrà fare i conti  con questi quadratini dorati che pazientemente ricorderanno le storie delle “possibilità negate” dal nazismo.
La memoria, d’altronde, non deve essere astratta dalla vita, ma deve avere il coraggio di confrontarsi e scontrarsi con essa per tornare ad essere viva.

Marco Donadon

NOTE:
1. Per approfondire, si veda il sito dell’iniziativa.
2. Qui trovate una mappa aggiornata delle Pietre d’inciampo poste a Venezia.

[Immagine tratta da Google Immagini]