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[T] ERRORE

Terrorismo: una guerra che ha come obiettivo la psiche umana e collettiva, laddove la realtà percepita non è quella reale.

Attentati terroristici, bombardamenti, raid: queste sono le parole che accompagnano i titoli dei nostri quotidiani. Il fenomeno del terrorismo non è un’emergenza, ma un dato di realtà. Combatterlo è un dovere, restando consapevoli dell’impossibilità di un suo completo sradicamento. Oggi ci riferiamo soprattutto al terrorismo di matrice islamica. Tuttavia, oltre ad essere sbagliato, è pericoloso convogliare le forme di sedizione su una religione.
Siamo di fronte ad un’islamizzazione della radicalità e non ad una radicalizzazione dell’Islam. I simpatizzanti dello Stato Islamico sono coloro che necessitano di un’ideologia che possa sostenere la loro ribellione.

Il terrorismo è un fenomeno in crescita. Sono circa 35.000 i morti nel 2015, ma non è un numero assai cospicuo. Si pensi, per esempio, che le morti causate da incidenti domestici sono ben superiori (250.000 decessi all’anno)1.

Inoltre, da un punto di vista economico, i danni diretti sono valutati intorno ai 55 miliardi di dollari, tuttavia, se pensiamo ai trilioni di dollari in circolazione nel mondo sono cifre quasi ininfluenti.

Eppure, lo spirito del terrore è al centro del nostro mondo, in particolar modo quello mediatico, diventando una patologia comunicativa. Appare, così, più drammatico di quanto esso sia in realtà. È più rilevante quello che si riesce a far dire ai media del nemico rispetto a quello che si proferisce attraverso i propri. Le parole sono importanti. Esse creano un’immagine mentale che si sedimenta dentro la psiche. Occorre incitare la propria folla, ma l’obiettivo finale è quello di suscitare nelle persone del campo avversario delle emozioni negative.
Inoltre, come ci ricorda Noam Chomsky «sfruttare l’emozione è una tecnica per provocare un corto circuito su un’analisi razionale e, di conseguenza, il senso critico dell’individuo».

L’obiettivo dell’assoggettamento della mente all’ansia, alla paura, all’impotenza ha un impatto più intenso rispetto al danno diretto causato da un attacco.
La percezione del rischio e la paura diventano gli indicatori di come le persone rispondono alle minacce terroristiche. Esse sono chiamate ad una risposta, la quale esige un mutamento cognitivo e comportamentale per reagire allo stress.
Le emozioni che ne derivano sono molte, così come le risposte comportamentali. L’impulso a fuggire da una situazione percepita come pericolosa è una risposta coerente e fisiologica, ma talvolta queste risposte si attivano anche in assenza di un’effettiva minaccia incombente. La paura causata da una sproporzionata percezione del pericolo influenza i comportamenti delle persone, sia come singoli che come folla, portando a decisioni inadeguate ed irrazionali.
La domanda alla quale è opportuno rispondere è: “Rischio reale o presunto?”
La consapevolezza della realtà circostante diventa la nostra arma di difesa e rievocando le parole di Lucio Caracciolo «il terrorismo non deve cambiare le nostre vite

Jessica Genova

NOTE:
1 http://www.epicentro.iss.it/ Il portale dell’epidemiologia per la sanità pubblica. A cura del Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute.

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