6 maggio 2016 Matteo Montagner

Sviluppo sostenibile per i paesi del Terzo Mondo

Le cronache di ogni giorno, le migrazioni bibliche che ci investono attraverso il Mediterraneo, non solo di persone che fuggono dalla guerra, ma anche, in larga misura, per ragioni economiche, ci pongono in modo pressante il problema di definire un processo di “sviluppo sostenibile” per il Terzo Mondo e soprattutto quali siano i modi migliori per interpretare tale espressione e quali i più diretti per raggiungere gli scopi che esso si prefigge.

Il primo obiettivo da raggiungere è quello di migliorare le condizioni di coloro che sono emarginati economicamente, risultato che si può conseguire attraverso un approccio diretto ai mezzi di sussistenza e alla soddisfazione dei bisogni primari, che deve consistere nella basilare idea che si debbano creare possibilità di occupazione.

Ma quali sono le reali possibilità di intervenire nei Paesi del Terzo Mondo per aiutarli “a casa loro”?

Non è pensabile di programmare interventi di industrializzazione su larga scala, al massimo si può pensare di favorire la nascita di piccole aziende per esempio alimentari e di lavoratori autonomi nel settore meccanico e dell’artigianato. Questi settori potrebbero svilupparsi con un minimo di sostegno ufficiale e assistenza economica dato che queste attività impiegano più abitanti nelle città del Terzo Mondo del “moderno” settore “industriale” e pertanto vale la pena di considerarli attentamente come fonti di mezzi di sussistenza.

Tuttavia le cooperative e le piccole aziende potranno prosperare con difficoltà se mancheranno opportunità di formazione professionale adeguata e di sostegno istituzionale.

Ciò di cui c’è bisogno è la ristrutturazione dei processi di produzione di reddito e una gestione che consenta di diversificare i mezzi di sostentamento per coloro che generalmente dipendono in modo precario dall’agricoltura.

Però perché tali iniziative abbiano possibilità di successo è necessario creare collaborazione e coordinamento con le istituzioni dei Paesi in cui intervenire su piccola scala.

E’ comunque necessario uno studio attento dei sistemi di soddisfazione dei bisogni primari senza base di mercato e/o monetaria, quali sono diffusi nelle società orientate alla sussistenza, il che potrebbe darci la chiave per intervenire nel modo migliore in termini concreti e meno impattanti per quelle comunità.

Ad esempio varie popolazioni agro-pastorali, benché abbiano un accesso limitato a moderni strumenti di miglioramento economico, riescono bene a soddisfare i loro bisogni. Esse ci riescono attraverso un attento adattamento all’ambiente in cui vivono combinando opportunità limitate di coltivazione e allevamento, queste popolazioni sono in grado di mantenere se stesse e i loro animali all’interno di un fragile ecosistema.

Infatti il secondo obiettivo da perseguire è quello di prevenire il degrado ambientale.

Lo sviluppo economico non deve comportare il peggioramento relativo alla qualità dell’ambiente e delle funzioni ecologiche. In base ai meccanismi istituzionali del sistema economico il “mercato” coglie solo indirettamente e parzialmente il degrado ambientale attraverso l’impatto sulla produttività, sulla salute umana, sui costi di sfruttamento delle risorse, ecc., e le risposte che ne conseguono non sempre sono adeguate.

E’ quindi necessario intervenire con mezzi innovativi per scongiurare che un ulteriore sviluppo economico su larga scala non faccia altro che accelerare il degrado ambientale, purtroppo già in atto in quei Paesi, con conseguenze disastrose anche a livello planetario.

In generale esistono quattro principali approcci diretti alla prevenzione e al controllo dei danni ambientali:

  • analisi costi-benefici
  • valutazione delle risorse
  • politica macro-economica
  • ricerca applicata alla sostenibilità.

Un approccio di questo tipo alla soluzione sia dei problemi del Terzo Mondo che dell’ambiente può essere incentivato dalla partecipazione ampia e ponderata dell’opinione pubblica.

Una attenzione diretta a creare mezzi di sussistenza, attraverso la promozione e la costituzione di attività integrate su piccola scala, richiede l’attiva collaborazione dei potenziali beneficiari, mentre per lo sfruttamento dell’ambiente l’opinione pubblica occidentale può agire sui propri rappresentanti politici e ristrutturare gli interventi economici per tali finalità.

L’interpretazione di sviluppo sostenibile richiede quindi di orientarsi non verso un massiccio sviluppo, ma ad alternative meno dannose nei loro effetti secondari per tutte le popolazioni interessate e più efficaci nel migliorare le condizioni di vita dei più emarginati.

Poiché un approccio utilitaristico del tipo appena indicato esige che, se c’è possibilità di scelta, venga seguito il corso di azione che considera maggiormente gli interessi di tutte le persone coinvolte, si dovrebbero, “eticamente” parlando, intraprendere queste alternative.

Quindi possiamo concludere che lo “sviluppo sostenibile” non è una panacea, ma che neppure, necessariamente, è una aporia. Pertanto lo sviluppo sostenibile, considerato come ricerca di opportunità di sussistenza entro i mezzi offerti dall’ambiente naturale, è un concetto veramente fondamentale nella ricerca di un approccio coordinato e integrato ai problemi sia del Terzo Mondo che dell’Ambiente.

Matteo Montagner

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