22 settembre 2014 lachiavedisophia

Sta scrivendo…(L’attesa e la speranza ai tempi di WhatsApp)

Umberto Galimberti scrive:  
Nell’attesa non c’è durata, non c’è organizzazione del tempo, perché il tempo è divorato dal futuro che risucchia il presente a cui toglie ogni significato, perché tutto quello che succede è attraversato dal timore e dall’angoscia di mancare l’evento.  La speranza, invece, guardando più lontano e ampliando lo spazio del futuro, distoglie l’attesa dalla concentrazione sull’immediato e dilata l’orizzonte. 
E nello spazio tra attesa e speranza?
Ci trovate su WhatsApp.

Urtati per un visualizzato senza risposta, per un orario di ultimo accesso rimosso, per uno “sta scrivendo” di un paio d’ore. A fare prove autowhatsappandoci casomai il cellulare si fosse inceppato, come quando a 13 anni il nostro Pierre Cosso non chiamava e alzavamo ed abbassavamo compulsivamente la cornetta per controllare che il telefono non fosse “isolato”.
Senza neanche accorgercene viviamo le nostre giornate tra attesa e speranza.
Tutti attaccati ai nostri cellulari, tutti ad aspettare di essere in un posto diverso da quello in cui stiamo. Nell’attesa del futuro, non vivendoci il presente, con l’umore minato da una doppia √√.
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Della serie “secondo uno studio pubblicato”, secondo uno studio pubblicato recentemente  sul ‘The Social Science Journal’ la media di utilizzo di  WhatsApp è di  12 volte l’ora.
Estroversione ed ansia sociale alla base di un uso talmente frequente da essere individuato come forma di dipendenza.

Tecnicamente WhatsApp rientrerebbe nella categoria “messaggistica istantanea”, dove la parola chiave è per l’appunto “istantanea”. Nella realtà dei fatti è diventato un gioco al massacro. Dove la parola chiave dovrebbe essere “gioco”, ma è “massacro”.

Perché, manco a dirlo, l’aspetto più influenzato della nostra vita è l’amore.
A tal proposito vi segnalo “L’amore ai tempi di WhatsApp” di Francesco Sole   il quale ci spiega effettivamente come vanno le cose da qualche tempo a questa parte. E non è roba da ragazzini, perché i comportamenti e le dinamiche sono trasversalmente distribuite dai 12 ai 120 anni.
“Love is a temple” dicono gli U2.  Lo è ancora? L’amore è ancora quel posto sacro, inviolabile, in cui si entra perché credenti?
Un tempio in cui si deve entrare coperti, e non vestiti di soli asciugamani della doccia arrotolati in vita con gli addominali tirati pronti per un selfie.
Per la paura di stare soli con noi stessi o con la nostra realtà per più di 5 minuti all’ora ci ritroveremo la memoria del cellulare piena di conversazioni e foto inutili e la nostra invece vuota?
Forse dovremmo disattivare le notifiche, inviare meno emoticon con il bicchiere di vino e fare più brindisi guardandoci negli occhi.
E magari dovremmo viverci il presente. Che se visualizzato solo attraverso l’attesa e la speranza, non pare avere poi tanto futuro. 
(Quante volte avete usato WhatsApp mentre leggevate?)

Donatella Di Lieto

[Le opinioni espresse sono a carattere strettamente personale/ Views are my own]

[Immagini tratte da Google Immagini]

 

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