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Sono uno, nessuno e sette miliardi

Martedì mattina sul Frecciabianca 9712 diretto a Torino Porta Nuova. Ho preso questo treno innumerevoli volte, dato che ho vissuto a Milano per tre anni mentre studiavo in quella sfiancante università. Sono passati otto mesi da quella sudata laurea eppure alcune cose non sono cambiate: anche oggi, per esempio, non riesco a resistere al gioco. Quindi cedo, e scrivo. Osservo i passeggeri che mi siedono attorno e scrivo storie con l’inchiostro della mente.
Adoro i treni e adoro viaggiare in treno. E’ un viaggio veloce ma abbastanza lento per poter osservare il mondo scivolare via, lì fuori dal finestrino; un viaggio solitario soltanto all’apparenza, perché in realtà la fauna umana da osservare è della più varia. Su questa carrozza ora ci saranno circa quaranta persone: considerando che in totale i vagoni sono nove, trecentosessanta persone approssimativamente stanno viaggiando su questo treno. Perché verso Torino? Perché di martedì? Perché a quest’ora? Quale la fermata? Quale lo scopo? Sono domande a cui non posso rispondere con la verità, ed è per questo che mi invento delle storie.
Non ditemi che sono l’unica.

 
Mi sono spesso interrogata sul concetto di unicità delle personalità, anzi, delle persone. Oggi sono qui seduta al mio posto, tra ventisei ore comincerò il mio turno di volontariato all’Expo e mi sento un po’ speciale; mi guardo attorno e mi chiedo quanti di loro si stanno sentendo altrettanto speciali. Forse su questo treno ci sono trecentosessanta persone che sentono di avere un buon motivo per credersi speciali.
In Italia ci sono circa sessanta milioni e ottocentomila abitanti; sarebbe anche accettabile da pensare se ci si ferma alla semplice superficie data dal dato numerico puro e semplice, otto cifre messe in fila; possiamo addirittura sembrare estremamente pochi se ci paragoniamo alla popolazione mondiale, sette miliardi di individui. Miliardi. L’Italia in confronto è un pugno di sabbia. Mi capita a volte di sprofondare in queste cifre, sono i momenti in cui penso a quanto io sia insignificante nel quadro generale delle cose.
Eppure…

Sessanta virgola otto milioni di abitanti. Il vero problema è che questo non è un numero astratto: 60.800.000 sono persone, individui, esseri umani, entità pensanti plasmate nella carne e scritte nell’animo da una propria storia. Siamo fatti della nostra storia più che del sangue, e una storia è molto più di un numero che poi nell’insieme fa 60,8 milioni. Se volessimo raccontare la storia di ogni singolo cittadino italiano, supponendo di dare a ciascuno il tempo di un’ora per raccontarsi, a sentirle tutte, come in un infinito “Le mille e una notte”, ci metteremmo circa 6800 anni. 6800 anni! Non sono brava in matematica, ma da simpatizzante delle materie umanistiche in generale so che nel 4000 avanti Cristo circa i Sumeri non usavano ancora la scrittura cuneiforme. Tanto per dire.
Su questo treno ci sono centinaia di quelle sessanta milioni e ottocentomila storie, e questo potrebbe bastare a convincermi che non sono nulla di speciale. Nonostante tutto non sappiamo proprio smettere di sentirci tali, non è vero? Forse perché nonostante tutto per noi 60,8 milioni resterà per sempre e per forza un numero: non siamo fatti per avere un quadro tanto ampio delle cose. Curiamo il nostro giardino, come avrebbe dovuto Candide di Voltaire, e nel nostro giardino ci sentiamo tanto grandi, o tanto piccoli, o ci sembra di essere “qualcosa”, senza nessuna specificazione annessa. Esattamente come la percezione che abbiamo di noi stessi, così vale la percezione che gli altri hanno di noi. Per esempio, le centinaia di persone che ci sono qui sul treno: per me sono tutti delle ombre senza importanza, e io lo sono per loro. L’unica differenza che io posso fare per loro e loro per me, ha principalmente a che fare con la quantità di disturbo che possiamo reciprocamente provocarci in queste ore di convivenza forzata.

 
Tuttavia, secondo me impazziremmo se decidessimo di smettere di sentirci speciali. In questi ultimi anni tramite i social network sto scoprendo sempre più che alcune delle cose che faccio e che penso, anche le più strane ed inaspettate, le fanno e le pensano anche migliaia di altre persone. Ho cominciato seriamente a pensare che il concetto di “speciale” sia stato inventato per edulcorare la pillola ad una generazione che vive in un mondo globalizzato. Come a dire: “tutti nel mondo hanno un paio di jeans nell’armadio, hanno bevuto una Coca-Cola almeno nell’ultimo anno, sanno chi è Angelina Jolie, hanno rivolto un pensiero ai morti della redazione di Charlie Hebdo… sì, però ciascuno è speciale a modo suo”. Mmmm. Non so se crederci.

 
Però se non ci credessi, davvero impazzerei. Invece la verità è che mi pongo la domanda sbagliata: non ha senso che io mi domandi se sono speciale, perché la risposta è certamente “sì”, ma è altrettanto certamente “no”. Non posso certo essere l’unica al mondo ad avere paura dei temporali, ma sono l’unica nella cerchia di persone che conosco ad avere questa specie di fobia; allo stesso modo, quando tutti i miei amici sono bene informati sulla canzone dell’estate io mi ritrovo inaspettatamente a canticchiare il successo del 2009, beccandomi una serie di risate di (simpatico) scherno; allo stesso tempo conosco Harry Potter e Barack Obama come tutti gli altri, ho visto “Titanic” di James Cameron e sono ancora un po’ scossa se penso all’11 settembre. La domanda giusta non è “sono speciale?”: la domanda giusta è “chi sono io in questo immenso mondo?”. E la risposta è semplice: sono uno, nessuno e sette miliardi.

Giorgia Favero

[immagini tratta ga Google Immagini]

Giorgia Favero

plant lover, ambientalista, perennemente insoddisfatta

Vivo in provincia di Treviso insieme alle mie bellissime piante e mi nutro quotidianamente di ecologia, disillusioni e musical. Sono una pubblicista iscritta all’albo dei giornalisti del Veneto, lavoro nell’ambito dell’editoria e della comunicazione digitale tra social media management e ufficio stampa. Mi sono formata al Politecnico di Milano e all’Università Ca’ Foscari Venezia in […]

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