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Sfumature di amicizia: uno sguardo all’Etica Nicomachea di Aristotele

Chi non desidera, su questa terra, avere degli amici? Essi sono i nostri “alleati” nella grande avventura della vita, e stare in loro compagnia ci consente di trovare la forza di “andare avanti” nonostante i numerosi problemi che sempre ci assillano. Ma le amicizie sono proprio tutte uguali? O, detto altrimenti: esiste un solo tipo di amicizia o ci sono molti modi diversi di essere “amici”?

Per trovare risposta a queste domande possiamo provare a rivolgerci a un testo molto antico (è stato composto addirittura nel IV sec. a.C., quindi più di duemila e trecento anni fa!), ma che è senza alcun dubbio perfettamente capace di essere ancora attuale, ricco com’è di osservazioni estremamente interessanti e profonde: stiamo parlando dell’Etica Nicomachea di Aristotele. Tale scritto è diviso in dieci “libri” (termine con il quale nell’antichità si indicava ciò che noi oggi chiameremmo in realtà “capitoli”), e i “libri” che vanno dall’VIII al IX sono per l’appunto dedicati alla trattazione dell’argomento di cui in questa occasione intendiamo occuparci: le diverse sfumature dell’amicizia.

Aristotele incomincia la sua indagine sull’amicizia ricordando che essa «è un aspetto estremamente necessario della nostra vita, dato che nessuno sceglierebbe di vivere senza amici, anche se avesse tutti gli altri beni». Non va infatti dimenticato che l’uomo, dopotutto, è pur sempre un essere sociale. Dopo aver tratteggiato alcuni vantaggi dell’amicizia, Aristotele afferma che le radici di tale tipo di rapporto affettivo si trovano in natura, e infatti sono osservabili in tutte le specie animali viventi. Ma anche l’uomo è un animale, e infatti, nel proprio profondo «ciascun essere umano sente vicino a sé, e quindi amico, ogni [altro] essere umano». La volontà di allacciare un rapporto positivo con le persone che di volta in volta incontriamo fa quindi parte del nostro “DNA”, anche se è vero che purtroppo non sempre tale desiderio viene corrisposto e riesce quindi a realizzarsi pienamente. Solo «quando la benevolenza è contraccambiata, diviene amicizia».

Aristotele arriva poi a porsi l’interrogativo che più ci interessa: «vi è una sola specie d’amicizia o più d’una»? Secondo il “maestro di coloro che sanno” (così Aristotele è chiamato da Dante) vi sono ben tre tipi di amicizia, la cui differenza reciproca è principalmente determinata dal motivo per il quale si diventa amici di un’altra persona.

In primo luogo, dice Aristotele, si può diventare amici di qualcuno al solo scopo di ricavarne qualcosa di utile per noi stessi, ossia al fine di averne un proprio tornaconto personale. In questo caso, osserva il filosofo greco, non siamo in presenza di un rapporto di amicizia vero e proprio, perché ciò a cui veramente “puntiamo” non è tanto la persona della quale stiamo diventando amici, ma ciò che riteniamo di poter ottenere “sfruttandola”.

Poniamo ad esempio che un certo ragazzo che conosco, Marco, abbia una bellissima motocicletta che io con i miei pochi risparmi non potrei mai permettermi di comprare. In tal caso, potrei decidere di diventare amico di Marco per cercare poi in un secondo tempo di convincerlo a prestarmi ogni tanto la sua “due ruote”. Marco a sua volta potrebbe decidere di diventare mio amico e di darmi in prestito la moto per qualche ora al mese se in cambio convincessi i miei genitori a dargli la possibilità di usare la loro casa al mare per un paio di settimane durante l’estate.

Anche se io e Marco ci consideriamo amici a tutti gli effetti e spendiamo del tempo insieme, resta il fatto che ciò che veramente vogliamo non è il bene dell’altro, ma avere in prestito la motocicletta o la casa al mare. Si pensi inoltre a che cosa accadrebbe se Marco per un qualunque motivo si rifiutasse di prestarmi la moto: evidentemente, presto o tardi io cesserei di frequentarlo, perché il mio interesse per lui era subordinato e finalizzato all’uso della sua motocicletta. Lo stesso farebbe Marco nei miei confronti se i miei genitori gli negassero la possibilità di usare la casa al mare. «Quelli che sono amici per [amore del proprio] utile sciolgono l’amicizia insieme al venir meno dell’utile: non erano amici l’uno dell’altro, ma del profitto», ossia di ciò che potevano ricavare dal loro legame, ammonisce Aristotele.

Si noti che il bene che io voglio raggiungere attraverso Marco non deve essere per forza un “oggetto” come la motocicletta, ma può anche essere qualcosa di più “immateriale”, come il piacere o il mio personale benessere. Siamo al secondo gradino dell’amicizia, che però esprime ancora un legame non perfettamente autentico e duraturo. Ci troviamo in questo secondo caso se ad esempio l’unico motivo che mi ha portato a diventare amico di Marco è il fatto che mi è simpatico, racconta bene le barzellette e mi fa ridere. Anche questo legame d’amicizia è alla fin fine effimero, perché il giorno che Marco cesserà di farmi divertire con le sue battute smetterò anche di vederlo, diradando sempre più le mie occasioni d’incontro con lui.

Ecco perché, secondo Aristotele, questi primi due tipi di amicizia (che potremmo anche definire “amicizie per interesse”) non sono destinate a durare: se a interessarci non è la persona che il nostro amico è nel suo complesso, ma è soltanto qualcosa che questa persona è, o ha, o può farci ottenere, non appena quella persona cesserà di avere, o di essere, o di poterci far ottenere quel certo qualcosa, l’amicizia inevitabilmente si scioglierà. Un segno, questo, che in fin dei conti il nostro non era un legame vero e profondo.

Salendo di un gradino ancora, troviamo infine il rapporto amichevole che si forma tra persone che praticano una stessa virtù. In questo caso, l’amicizia contribuisce al perfezionamento morale di entrambi i “contraenti”, e quindi non è semplicemente finalizzata all’ottenimento immediato di qualcosa di utile o di piacevole, né è “sbilanciata” in favore di uno solo dei due poli della coppia. Gli amici appartenenti a questa terza tipologia si spronano infatti a vicenda a fare sempre del proprio meglio in un certo campo (o anche in molti), e quindi traggono entrambi un positivo profitto “spirituale” dallo stare assieme. Inoltre, a differenza dei primi due esemplari di amici, gli amici di quest’ultimo tipo «desiderano allo stesso modo l’uno il bene dell’altro, e sono buoni di per sé». Ognuno dei due è poi utile all’altro nel perseguimento di un obiettivo comune: la realizzazione del “Bene” (ma, volendo rimanere all’interno del vocabolario aristotelico, dovremmo forse piuttosto parlare del raggiungimento del “giusto mezzo” o di un “perfetto equilibrio”) nel proprio modo di pensare, di agire, di comportarsi.

Dato poi che, a differenza delle passioni e degli interessi momentanei, «la virtù è cosa stabile» (quantomeno una volta che la si sia acquisita), ne si può concludere che «tale amicizia permane salda», almeno finché entrambi gli amici continuano a perseguire una comune virtù e quindi la via del Bene. «L’af­fet­to e l’amicizia che si trovano in tali persone sono al massimo grado, e i migliori», annota Aristotele. «Bello è fare il bene senza mirare al contraccambio», egli continua, ed è proprio questo che accade nel terzo tipo di amicizia. Certo, rileva il filosofo, «è ragionevole che tali amicizie siano rare: uomini di tal sorta non sono frequenti, e in più tale amicizia ha bisogno di tempo e di consuetudine». La rarità di tale tipo di legame si spiega anche con il fatto che «tutti, o quasi, desiderano compiere belle azioni, ma poi, [alla prova dei fatti,] scelgono ciò che è loro utile [o piacevole]».

Come si può vedere, i tre modelli di amicizia che Aristotele ci propone non sono “equivalenti”: il secondo modello relazionale ha maggior valore del primo, e il terzo tipo di amicizia è molto più prezioso dei primi due. L’implicito consiglio che questo antico filosofo greco ci vuole fornire è allora di evitare di limitarci soltanto a desiderare di aumentare il numero dei nostri amici, e di puntare piuttosto a incrementare la qualità della relazione che intendiamo sviluppare con loro. È infatti facile mettere in piedi una gran quantità di amicizie scadenti, ma esse non sono poi effettivamente in grado di cambiare in meglio la nostra vita e quella del­l’a­mi­co e di “lasciare il segno” nella nostra anima.

«Il desiderio d’amicizia», e dunque di riconoscimento intersoggettivo, – puntualizza Aristotele – «è rapido a nascere, [ma] la [vera] amicizia no». Essa richiede tempo, risorse, pazienza, comprensione, ascolto e tanta volontà di impegnarsi per davvero nel perseguimento delle virtù e nella comune ricerca delle “cose belle” della vita. D’al­tron­de, come dice Spinoza al termine della sua Etica, «tutte le cose più splendide sono tanto difficili [da ottenere], quanto rare», ma – aggiungiamo noi seguendo Aristotele – sono forse anche le uniche per cui valga veramente la pena di lottare.

 

Gianluca Venturini

Sono nato a Treviso nel “lontano” 1989. Durante gli ultimi anni di Liceo ho scoperto la filosofia. Fu in qualche modo amore a prima vista, ma non potevo certo immaginare che di lì a poco sarebbe diventata una delle grandi “luci” della mia vita. Stregato dalla profondità inaudita dei pensieri che scaturivano da tale disciplina e conquistato dalla grande libertà intellettuale che essa rendeva possibile, decisi di seguirne le tracce iscrivendomi all’Università Ca’ Foscari di Venezia, dove mi sono laureato prima in Filosofia nel 2011 e poi in Storia nel 2013. Attualmente sto completando gli studi che mi porteranno a conseguire la laurea magistrale in “Filosofia della società, dell’arte e della comunicazione”.

NOTE:
A questo link de Il Post potrete leggere il testo in greco e la traduzione in italiano del brano tratto dall’Etica Nicomachea scelto come seconda prova di greco per i licei classici per la maturità 2018.

[Immagine tratta da Google Immagini]

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