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Sei cappelli per pensare: la proposta di Edward de Bono

Nel suo libro Sei cappelli per pensare lo scrittore Edward De Bono non denigra, ma mette in crisi l’indagine dialettica, uno dei principali metodi di cui il pensiero occidentale si avvale per affrontare una questione. «Con la discussione», afferma l’autore, «si perde molto tempo e l’argomento non viene analizzato esaurientemente perché ognuna delle parti è interessata solo alla difesa della propria posizione. Il metodo dialettico produce una riflessione sterile che non lascia spazio alla creatività e alle nuove idee» (E. de Bono, Sei cappelli per pensare, 2013).
Non a caso la proposta di De Bono viene anche definita “pensiero laterale”, uno sguardo prospettico che lascia la strada principale per osservare il corteo da una via secondaria.
L’immagine del cappello rimanda poi al gioco. L’Io deve divertirsi a indossare abiti nuovi, a guardare le cose dall’alto come fanno i funamboli, camminando su fili sottili e mai sicuri.

Ma in cosa consiste questo metodo? Come si indossano i sei cappelli?
Quando si affronta una questione o si vuole trovare una soluzione a un problema, è inevitabile che ognuno abbia il suo modo di pensare. In genere c’è chi è ottimista e vede soluzioni ovunque, chi preferisce non rischiare e chi, magari, aspetta sempre di sentire il parere altrui.
Ebbene, con il metodo dei sei cappelli, ognuno deve rinunciare al proprio Iomandarlo in vacanza», afferma  l’autore), alle solite modalità di approccio e sperimentarne di nuove.
Il cappello bianco rappresenta l’obiettività, ti fa vedere i fatti così come stanno, senza giudizi né riflessioni. È l’analisi dei dati, di ciò che è sotto gli occhi di tutti. Indossare questo cappello significa sforzarsi di vedere la realtà come si presenta, senza particolari interpretazioni.
Se si indossa il cappello rosso, invece, si vuole dare voce a emozioni e sentimenti. Frasi come: «Non chiedermi perché. Questa faccenda non mi convince. Puzza», non forniscono verità, ma permettono di rendere manifesti sentori che influenzerebbero in modo occulto qualsiasi decisione.
Il cappello nero ci offre il punto di vista pessimistico, quello giallo l’atteggiamento congetturale-positivo. Poi c’è il cappello verde da indossare quando si ha bisogno di un cambiamento: «Lei ha illustrato i metodi tradizionali per affrontare il problema. Ci torneremo sopra. Ma prima facciamo dieci minuti di pensiero col cappello verde per vedere se riusciamo a trovare un metodo nuovo» (ivi).
Infine il cappello blu, che ha il colore del cielo. Esso ci porta in alto e ci permette di guardare l’insieme, di mettere a fuoco la questione osservandola nella sua interezza. Spesso questo occhio aiuta  a riunire i singoli sguardi, quelli dei diversi cappelli indossati.

Da un punto di vista operativo, le potenzialità di questo metodo sono evidenti; ma io trovo che siano i risvolti psicologici a risultare ancora più interessanti.
Spesso in una discussione una buona parte dei partecipanti fatica a esprimere le proprie idee per paura del giudizio altrui. Ebbene, «la parte concede libertà», scrive l’autore; «Può essere difficile vedersi scemi, dalla parte del torto o messi nel sacco. Ma dato un ruolo ben definito possiamo godere della nostra abilità nel recitare tutte queste parti, senza che il nostro Io ne risulti danneggiato» (ivi).

Immaginiamo di trovarci a scuola e che l’insegnante entri in classe proponendo ai suoi alunni la seguente questione: “È risaputo che in Italia si legge poco. Secondo voi quali sono i motivi di questa carenza?” Ovviamente i ragazzi diligenti e impegnati tenderanno a difendere l’importanza della lettura, magari elencando gli ultimi libri letti e sapranno argomentare con abilità. Chi non ama leggere cercherà di non esporsi più di tanto e chi è in seria difficoltà se ne starà in silenzio ad ascoltare.
Diverso sarebbe entrare in classe e dire: “Ragazzi, si sa che in Italia si legge poco. Cosa ne dite se proviamo a comprendere insieme i motivi di questo rifiuto? Per farlo, fingeremo di indossare una serie di cappelli che rappresentano altrettanti punti di vista. Dovremo sforzarci di entrare di volta in volta nella parte, analizzando la questione da diverse angolazioni, in modo da vederla nella sua interezza”.
Lo stesso può avvenire in una riunione aziendale, in palestra o in ufficio: il luogo non ha molta importanza. Quello che conta è l’approccio, la disponibilità a guardare un po’ più in là, a esplorare nuovi territori dove spesso si nasconde l’idea giusta.

 

Erica Pradal

 

[photo credit Clem Onojeghuo via Unsplash]

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Erica Pradal

creativa, empatica, appassionata

Mi chiamo Erica Pradal e vivo a Barbisano, in provincia di Treviso. Laureata in Filosofia, da anni insegno Lettere alla scuola secondaria di 1° grado “G. Toniolo” di Pieve di Soligo e il contatto con i ragazzi mi arricchisce ogni giorno. Ho molte passioni, tra cui la lettura ad alta voce, che mi ha permesso […]

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