Quella dell’alterità è una questione che attraversa lo spazio storico e teoretico della modernità, da Husserl a Heidegger, da Sartre a Lévinas: chi affronta la questione mette in campo sempre una retorica dell’altro, dell’alterità, che, però, acquista validità di discorso a patto che si mettano in evidenza gli attori che lo animano: l’io, l’altro e il piano in cui ci si muove: sia esso gnoseologico, etico, linguistico, politico o ontologico.
Molteplici sono i contributi volti a comprendere la natura del legame che unisce il soggetto alla figura dell’altro, come molteplici sono le declinazioni che la categoria dell’alterità ha assunto nel corso della storia della filosofia.
La scelta di considerare, tra le diverse voci, la proposta e l’analisi che Paul Ricoeur elabora circa l’alterità, con particolare riferimento all’opera Sè come un altro, rinvia non solamente al fatto che egli occupa una posizione rilevante all’interno del panorama moderno, ma alla posizione di mediazione che ha saputo intraprendere, come alternativa alle due tendenze filosofiche opposte che hanno dominato dopo Cartesio: da una parte la posizione idealistica di un soggetto esaltato, la cui categoria dell’alterità viene sempre ricondotta al proprio; dall’altra parte la posizione nietzschiana di un soggetto umiliato e ridotto a una pura illusione.
La filosofia pratica di Ricoeur delinea un soggetto che agisce, patisce e si interpreta, nell’atto di interpretarsi e interrogarsi si scopre attraversato in modo costitutivo della figura dell’alterità che egli incontra nel cammino della proprio esistenza.
Al fine di capire a quale grado l’alterità sia costituiva dell’ipseità, dobbiamo ripercorrere l’analisi che Ricoeur opera circa la nozione di identità.
In Sè come un altro Ricoer distingue chiaramente due diverse sfacettature dell’identità: Ricoeur stesso dichiara che è nel termine soi-même che si costruisce la struttura ambigua e paradossale della soggettività umana; il termine même infatti, nella lingua francese, possiede una doppia valenza, a seconda che intendiamo l’identico al corrispondente latino di idem o dell’ipse. Ricoeur precisa come soi-même
«non è che una forma rafforzativa di soi, nella quale l’espressione même serve ad indicare che si tratta esattamente dell’essere o della cosa in questione»
Da una parte dunque identità-idem, nel significato di ‘medesimo’, sta a indicare il permanere identico e immutabile nel tempo da parte del soggetto, dall’altro identità-ipse, nel significato di ‘stesso’, indica il processo dinamico cui il soggetto è sottoposto temporalmente nell’operazione di identificazione. Con il concetto di identità-medesimezza Ricoeur intende esprimere il lato statico del processo identificatorio, cioè «il nucleo permanente del sé, sede da un lato dei tratti innati della personalità (carattere), dall’altro dei tratti acquisiti nell’arco dell’esperienza della vita temporale, e assimilati in forma di sedimentazione contratta».
Per carattere l’autore intende proprio l’insieme di quegli elementi distintivi che consentono di reidentificare un individuo come il medesimo anche col passare del tempo, scrive Ricoeur: «esso designa in modo emblematico la medesimezza della persona» attraverso quella che lui definisce l’identità numerica, qualitativa e la permanenza del tempo; prosegue sempre Ricoeur: «proprio in quanto seconda natura, il mio carattere sono io, io stesso, ipse, ma questo ipse si annuncia come idem», così ogni abitudine acquisita diventa una disposizione permanente e va a costituire uno dei tratti distintivi tramite i quali riconosciamo una persona come la medesima anche a differenza di anni. Il carattere per Ricoeur risulta essere proprio il che cosa del chi.
Il concetto di identità-ipseità invece fa riferimento al lato dinamico del processo di identificazione, aprendo il soggetto all’esperienza dell’altro da sé. Emblematica è la figura della promessa, utilizzata da Ricoeur come esempio del permanere di sé nel tempo attraverso la capacità di mantenere la parola data nonostante il cambiamento: il soggetto infatti deve mantenersi fedele alla parola data a partire dall’istante della formulazione della promessa al momento della sua attuazione, fedele nel significato quindi di identico a se stesso.
Dalla prospettiva così delineata è chiaro come l’identità per Ricoeur non sia totalmente chiusa e di per sé già formata, ma risulti essere un reale processo sempre in corso, che si costituisce in modo dinamico nel tempo tramite la costante dialettica tra medesimezza e ipseità, la quale rende l’io da un lato una totalità chiusa e compiuta, l’io-idem appunto, dall’altro lato invece, una totalità aperta soggetta a mutamenti ed evoluzione, l’io-ipse
Ricoeur sottolinea come identità-medesimezza e identità-ipseità non vadano pensate l’una distinta dall’altra o di per sé autonome, quanto invece nella loro reciproca relazionalità:
«un ente è identico a se stesso soltanto rispetto a ciò che è altro da esso e nel corso del mutamento temporale».
Tale dialettica rappresenta alla fine un soggetto che oscilla perennemente tra la tendenza all’uscire fuori di sé aprendosi all’altro e il bisogno di una chiusura stabilizzante dall’altra; un soggetto tensionale quindi, in costante conflitto tra due tendenze apparentemente contraddittorie, un soggetto che pur aprendosi all’altro vuole proclamarsi autosufficiente. Questa costante tensione e inquietudine, agli occhi di Ricoeur, non è semplicemente uno stato emotivo quanto invece la struttura ontologica stessa dell’essere umano: il soggetto deve imparare, durante il cammino della proprio vita, a riconoscersi quale soggetto finito e abituarsi alla costante tensione rispetto alle molteplici possibilità di diventare se stesso nel rapporto con l’altro.
Elena Casagrande
[immagini tratte da Google Immagini]