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Sapere e libertà: per una scienza eticamente (non) neutra

“Libertà della ricerca” è uno dei motti preferiti della civiltà occidentale e occupa un posto relativamente alto nel contesto delle varie libertà che il mondo moderno civilizzato ci garantisce. Se consideriamo la ricerca per quello che dovrebbe essere il suo fine interno, ossia il conseguimento del sapere, ci si ritrova tutti d’accordo: conoscere la verità è un diritto (se non addirittura un dovere) non solo del singolo, ma anche della comunità, presupponendo che il conseguimento da parte di uno di una certa porzione di verità non solo non ne pregiudica il raggiungimento da parte degli altri, ma addirittura contribuisce all’accrescimento del sapere comune. Ma è proprio vero che la scienza può disporre del terreno della ricerca come vuole?

Hans Jonas, uno dei maggiori filosofi del ‘900, nonché tra gli iniziatori del dibattito bioetico, nella prima parte della raccolta di saggi Tecnica, medicina ed etica. Prassi del principio di responsabilità1 afferma che per la scienza l’unico valore è il sapere e l’unico suo compito è raggiungerlo. A questo punto principale, fanno da corollario una serie di doveri del ricercatore (onestà e rigore intellettuale, trasmissione dei risultati ottenuti alla comunità), meglio ancora se sostenuti da particolari virtù personali (tenacia, disciplina e capacità di constrastare i propri pregiudizi). E finché nel panorama delle scienze la dimensione contemplativa era nettamente separata da quella pratico-attiva, come nell’epoca premoderna, la teoria poco aveva a che fare con la vita quotidiana.
Con la rivoluzione scientifica del ‘600, però, il rapporto tra teoria e prassi si modificò con l’avvento dell’esperimento e della tecnica, intesa come esercizio del potere umano e forma dell’agire pratico che, in quanto tale, doveva essere sottoposto a un attento esame morale.
A questo compito valutativo è chiamata, ovviamente, la Filosofia che si attesta però in ritardo su un caso tutto nuovo da valutare: ritardo dovuto non solo alla mancata capacità predittiva dei filosofi dell’epoca, ma anche all’inganno del pensiero comune che, nonostante tutto, continuava a portare avanti l’idea di scienza come pura teoria dall’innocenza intatta.

La filosofia della tecnologia non deve occuparsi di valutare quale scienza sia buona o cattiva, ma degli effetti buoni o dannosi della scienza stessa: se il progresso si attribuisce i benefici come un merito, allora è meglio che renda conto anche dei danni.
Le difficoltà valutative in ambito etico, sottolinea Jonas, derivano da un insieme di fattori: in primis le responsabilità non sono imputabili a un’unica persona, in quanto il ricercatore singolo non ha potere sull’applicazione delle sue scoperte e magari non ne prevede intenzionalmente un uso immediato; inoltre i confini tra teoria e prassi sono abbastanza impalpabili, in quanto non pare resti fuori nessuna branca delle scienze della natura le cui conoscenze non possano avere risvolti pratici; infine è necessario rendersi conto del circolo in cui scienza (e sua applicazione tecnica) e feedback derivante dalla stessa applicazione pratica delle scoperte sono incatenate: la ricerca vive di fondi, in larga misura stanziati come contropartita in vista di un futuro vantaggio pratico. Inoltre, dato che appare assolutamente inevitabile qualsiasi risvolto pratico di una nuova conoscenza acquisita, bisogna tener conto non solo delle applicazioni intrinsecamente malvagie di un risultato teorico, ma anche di quelle che, per quanto sorrette da buona volontà, conducono a esiti tutt’altro che buoni.

Data l’intrinseca ambivalenza di scienza e tecnica e l’impossibilità evidente di vagliarne i confini sia a livello d’estensione che d’intenzione, ecco la risposta al nostro quesito iniziale: la scienza non può essere incondizionata, ma deve avere dei limiti e che essi, molto verosimilmente, prima ancora che all’ambito più strettamente pratico, devono essere rispettati anche nella scelta e nell’uso dei mezzi e delle vie per l’acquisizione del sapere.
La filosofia della tecnologia nega quindi alla scienza e alle sue applicazioni la zona franca della neutralità etica. «Per amore dell’autonomia umana – concluderebbe Jonas –, della dignità la quale richiede che noi possediamo noi stessi e non ci facciamo possedere dalle nostre macchine, dobbiamo porre la corsa tecnologica, sotto controllo extratecnologico».

 

Vittoria Schiano di Zenise

 

1. H. Jonas, Tecnica, medicina ed etica. Prassi del principio di responsabilità, 1985

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