Home » Rivista digitale » Filosofia pratica » Quale etica per l’ambiente?

Quale etica per l’ambiente?

Nell’attuale contesto nel quale molti scienziati ritengono che in base al trend attuale sia in atto un mutamento globale e incontrollato delle condizioni ambientali, con conseguenze così gravi da mettere in pericolo la vita sulla terra, può essere utile esaminare i fondamenti filosofici e/o teologici dell’etica ambientale per comprendere su quali basi poter sviluppare una efficace politica per l’ambiente.

Questa minaccia incombente può essere in grado di provocare un radicale ripensamento dei fondamenti stessi della cultura mondiale e delle linee di sviluppo della società moderna.

L’uomo che è inserito in un sistema di interdipendenza con l’ecosistema ne è non solo il fruitore, ma anche il custode delle risorse e, ad un tempo, il maggior responsabile del suo degrado. E’ sotto la spinta di questa richiesta di attenzione ecologista all’ambiente che si verifica il primo apparire della bioetica come istanza morale rivolta alla difesa delle condizioni di vita e di sopravvivenza dell’umanità dal rischio della devastazione ecologica.

Una conseguenza per il mondo scientifico di ispirazione ambientalista è che deve essere riconsiderato tutto l’orientamento di fondo della società moderna in riferimento alle esigenze di salvaguardia ambientale compresi, in primo luogo, i sui fondamenti etici e morali.

Secondo queste linee di pensiero un’attuazione efficace e ragionata di questo cambiamento di modello di sviluppo non implica solo la modifica di alcune norme o la semplice attuazione di tecnologie meno impattanti, ma richiede anche una critica complessiva delle teorie scientifiche, delle politiche e delle pratiche etiche esistenti.

Molte delle componenti elementari dei “sistemi etici” sono già oggetto usuale di studio in discipline quali la filosofia, la teologia, l’economia, la sociologia, le scienze politiche e l’antropologia. Tuttavia una delle rivendicazioni tipiche di alcune correnti dell’etica ambientale è che questa disciplina rappresenta un approccio completamente nuovo all’etica e non solo un’altra branca dell’etica applicata (come nel caso dell’etica medica e dell’etica in economia). Abbiamo quindi bisogno di una nuova etica?

Questa rivendicazione si base su due idee interrellate:

  • primo, che tutta l’etica precedente sia stata antropocentrica, e che una vera etica ambientale dovrebbe rimuovere questo assunto centrale;
  • secondo, che una ridefinizione dei limiti tra l’umano e il non umano debba portare ad un mutamento del modo di fare filosofia.

Altri filosofi sostengono che una tale rivoluzione appare o impossibile o non necessaria: se solo applicassimo certi principi morali o etici che già riconosciamo e tuttavia eludiamo non avremmo bisogno di una “nuova etica”.

Questi filosofi ritengono che se gli esseri umani fossero coerentemente “etici” nei confronti dei loro simili in aree come l’equa distribuzione del potere, dell’informazione e della ricchezza, allora la crisi ambientale non esisterebbe.

Questo approccio al problema finisce inevitabilmente in una discussione sull’insostenibilità e iniquità della teoria e della pratica economica contemporanea.

Altri promotori dell’etica tradizionale ritengono che solo gli esseri umani dispongano di senso etico, poiché solo gli esseri umani sono capaci di ragionare o di prendere decisioni in campo morale.

Partendo da questa nozione di essere umano come unico possibile soggetto della discussione etica è facile giungere alla conclusione che costoro siano anche gli unici possibili oggetti della condotta etica.

Infatti qualsiasi etica adottiamo nei confronti degli animali e delle piante dipende da regole ideate dagli uomini.

Per contro vi sono tentativi di estendere parte dei sistemi etici umani al mondo naturale.

Questi tentativi di estensione consistono soprattutto nell’identificazione delle caratteristiche del mondo naturale che assomigliano a quegli aspetti della persona a cui diamo un valore etico (ad esempio la capacità di soffrire).

Tale estensione è vista in chiave “progressista” come la naturale evoluzione del movimento sempre più ampio che promuove i diritti civili ora anche al mondo animale.

Tuttavia esistono fautori più radicali di etica ambientale che ritengono che questi tentativi siano artificiali e frammentari. Costoro sostengono che solo una completa revisione del nostro modo di intendere il mondo naturale possa servire da base per una vera etica dell’ambiente.

Questa revisione è generalmente legata direttamente ad una prospettiva religiosa o spirituale o a qualche altra visione filtrata del mondo.

Un esempio della prospettiva religiosa o spirituale è l’approccio buddista tibetano, in cui, in virtù della reincarnazione si ritiene che tutti gli animali possano aver fatto o far parte in futuro della famiglia umana.

L’analisi della dimensione religiosa dell’etica ambientale ci ricorda che l’etica non consiste solo di idee o intuizioni teoriche, ma spesso si incarna in credi e rituali.

Il Cristianesimo, soprattutto per quanto riguarda il passato, è stato ritenuto responsabile di un certo atteggiamento della cultura occidentale che si è rivelato dannoso per la coscienza ambientale in quanto ha celebrato il primato dell’uomo sulla natura.

Attualmente però i teologi e altri filosofi di ispirazione cristiana hanno riconsiderato certi aspetti fondamentali della religione e hanno cercato, tra questi, elementi che possano applicarsi all’etica ambientale. In particolare è stata valorizzata la celebrazione di Dio nella Creazione, la riconsiderazione dell’umano e della persona e il ruolo di servitù umana.

In base a questa nuova visione religiosa non è più possibile concepire un antropocentrismo ottuso, che tutto giustifica in nome di una presunta signoria dell’uomo sulla natura assolutamente priva di freni morali.

La “specificità” dell’uomo rispetto agli altri esseri non lo legittima a sfruttare in modo indiscriminato la biosfera, ma anzi lo obbliga ad agire assumendosi la responsabilità di garantirle un futuro.

Infatti l’uomo oggi gode di un enorme potere di manipolazione e di distruzione di fronte al quale le altre specie sia animali che vegetali sono del tutto indifese. E’ quindi necessario che l’umanità sia in grado di gestire questo potere con un atteggiamento di grande responsabilità e rispetto.

Al rispetto, però, deve accompagnarsi anche la responsabilità. Il rispetto, infatti, indica il semplice “lasciar essere”, mentre la responsabilità ha una valenza attiva e indica l’impegno cui siamo chiamati per preservare la natura.

Anche la responsabilità, così come il rispetto, deve aver sempre in vista l’ordine dell’essere. In primo luogo la responsabilità deve essere rivolta verso gli altri uomini e, poi, certamente, anche verso la tutela dell’ambiente naturale in generale.

Su questo aspetto i bioeticisti cattolici, pur confermando coerentemente con l’impostazione dell’antropocentrismo il primato dell’uomo, ritengono che ciò non significhi che l’uomo debba essere il padrone dispotico della biosfera, ma gestore responsabile e rispettoso della creazione e della vita per il bene dell’umanità intesa anche come generazioni future.

Altri pensatori hanno invece evidenziato un notevole interesse per le religioni aborigene e per le religioni orientali che hanno come peculiarità gli ancestrali legami con il mondo naturale in un rapporto di rispetto e convivenza non invasiva della biosfera e non erosiva delle risorse naturali.

Matteo Montagner

[immagini tratte da Google Immagini]

Gli ultimi articoli

RIVISTA DIGITALE

Vuoi aiutarci a diffondere cultura e una Filosofia alla portata di tutti e tutte?

Sostienici, il tuo aiuto è importante e prezioso per noi!