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Il corpo degli dèi: Platone e il Timeo

Quando pensiamo alle divinità dell’Antica Grecia ci vengono in mente i personaggi mitologici che tutti conosciamo, così ben descritti, ad esempio, nelle opere dell’Iliade e dell’Odissea. Qualcun altro avrà letto i racconti e le gesta (più o meno discutibili) delle divinità nelle Metamorfosi di Ovidio, autore latino. In ogni caso, quando pensiamo ad una di queste divinità abbiamo in mente l’immagine di una persona simile a noi ma con dei poteri sovrannaturali, divini appunto. Inoltre, immaginiamo il Pantheon greco abitato da personaggi che hanno le stesse peculiarità del nostro animo: pur essendo di natura divina sono soggetti a sentimenti del tutto mortali come la collera, la gelosia, ma anche la misericordia, la pietà, la compassione eccetera.

Una recente serie Amazon, The Boys, si avvicina parecchio all’idea classica di divinità antropomorfe, che in tempi moderni ci siamo abituati a chiamare supereroi. La serie potrebbe essere posta in analogia con il Pantheon olimpico: ogni supereroe ha una caratteristica eccezionale che lo contraddistingue, mentre ve n’è uno a capo di tutti, che si erge a leader, a guida, a “padre degli dèi” e si mostra decisamente più forte, proprio come Zeus. L’originalità di questa serie sta nel mostrare quanto queste divinità siano, esattamente come quelle della letteratura classica, soggette a tutti i turbamenti psichici degli esseri umani (perché di fatto lo sono) e non ci pensano due volte ad usare (o ad abusare) dei loro poteri per raggiungere i propri scopi, anche a costo di scarificare vite o di compiere atti malvagi. Ma questa visione in realtà non è altro che una trasposizione in chiave moderna della cultura mitologica, di certo non accostabile a quanto gli antichi pensavano delle divinità. Perlomeno non tutti. È interessante a questo proposito leggere il Timeo di Platone, per scorgere come la natura degli déi sia totalmente differente da come potremmo immaginarceli solitamente.

Considerato come una tra le più importanti opere sulla cosmologia (benché non tratti solo di questo) dalle tradizioni filosofiche successive, il Timeo è forse l’opera più famosa di Platone. Il protagonista di questo dialogo è un uomo dal nome che dà titolo al dialogo stesso: Timeo. Si tratta di un astronomo e matematico, e Platone lo utilizza per raccontare, attraverso immagini mitologiche (tipiche della sua narrazione filosofica), la nascita dell’universo così come lo conosciamo partendo da una materia caotica già esistente, plasmata da un’entità chiamata Demiurgo, una sorta di artigiano divino, che ha dato vita ad ogni cosa. Prendendo ispirazione dal mondo delle idee (come se lavorasse prima su un progetto che ha in mente), si dà da fare per plasmare l’universo. Questo, essendo soltanto un’imitazione del mondo ideale, perfetto e immobile, e avendo a disposizione solo del corpo materiale su cui poter lavorare (quindi soggetto a generazione e corruzione), non potrà che essere imperfetto e in movimento. Il Demiurgo si appresta successivamente a creare i pianeti, dandogli la forma di corpi sferici costituiti per la maggior parte di fuoco, ma anche dotati di anime intelligenti, immobili e quindi al di fuori dell’aspetto temporale. Secondo il Timeo  astri e pianeti sono le “vere” divinità, perché rispondono alle tre peculiari caratteristiche dell’epoca per essere tali: sono esseri viventi; hanno un’anima e, infine, sono immortali, in quanto immobili ed eterni.

L’uomo colto dell’antichità non crede certo all’esistenza di divinità antropomorfe, così suscettibili di emozioni del tutto umane. L’anima dell’uomo è stata creata dalle divinità astrali, divisa in tre parti: razionale, irascibile e concupiscente. Il Demiurgo si occuperà di creare la parte razionale, mentre alle divinità “planetomorfe” spetterà la creazione delle restanti due parti: irascibile e concupiscente. Proprio a partire da questo punto si introduce la speranza di un’anima immortale: infatti, mentre il corpo, la parte irascibile e quella concupiscente sono mortali, la parte razionale, in quanto creata dal Demiurgo, ci rende anime eterne. Fintanto che abiteremo dentro il nostro corpo, tuttavia, il nostro unico mezzo per perpetuare l’immortalità è la riproduzione della specie.

Per cui, anche se forse somigliamo caratterialmente più alle divinità antropomorfe della letteratura greca classica o ai supereroi protagonisti di The boys, che non alle divinità planetarie del Timeo, la prossima volta che alzeremo gli occhi al cielo, scorgendo i pianeti e gli astri, potremmo ricordarci che a loro noi dobbiamo la nostra esistenza e che, sebbene prigionieri di una gabbia mortale, un giorno, forse, voleremo con la nostra anima tra le stelle e il cielo, fra quegli stessi pianeti divini che hanno contribuito a crearci.

 

Stefano Aranginu

 

[Photo credit Martin Adams su unsplash.com]

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