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Perché proprio io? Izzy, vittima del bullismo.

Io arrivo,
felice e fresca,
pronta ed eccitata
per celebrare il festival.
Sono desiderosa e ansiosa di trascorrere un bel momento.
Sorrido per l’eccitazione,
comincio a vedere la folla,
vedo sempre più persone ,
Molti sono felici e gioiosi.
Sono lì come me,
per festeggiare,
io sorrido a loro e dico ciao ai tanti volti che vedo,
si guardano scioccati e sorpresi di vedermi,
io metto in discussione il loro giudizio e mi chiedo,
‘Che cosa ho fatto di male?’
Provo a tornare nel cerchio di risatine e a parlare,
mi spingono via.
sto ferma,
I miei occhi vitrei e assenti.
Improvvisamente mi chiamano,
penso, ‘sì! Mi hanno notato! ‘
Ma poi iniziano a fare domande,
sul motivo della mia presenza.
Cominciano a dirmi che nessuno mi vuole lì.
Il mio cuore, la mia testa, il mio corpo: la nebbia
sento i rimorsi che iniziano a pizzicare i miei occhi come le guance cominciano a bruciare.
‘Non lasciare che ti vedano,
Non mostrare loro che sei indebolito ,
Indebolito dai loro commenti’,
‘Stay Strong’ penso,
ma è troppo tardi,
i miei palmi delle mani sono umidi,
le guance e il mio collo sudano
Cammino in fretta tra le risate.
Il mio cuore comincia a rompersi.
Guardo giù e cammino,
I miei occhi annegano in un mare di emozioni.
Un altro pezzo di me, spuntato fuori dalle loro crudeli osservazioni e percezioni,
mi arrendo.

I give up, “Mi arrendo”, è il titolo della poesia che la madre di una ragazza di soli quattordici anni ha fatto pubblicare dopo il suicidio della figlia.
Queste parole sono quelle di Izzy Dix, le stesse parole che era riuscita a trovare durante un festival a cui aveva partecipato durante l’estate del 2013 ma che non l’hanno aiutata a reagire.
C’era un muro tra lei e i suoi coetanei, una barriera fatta di dolore e violenza contro la quale non riusciva a combattere perchè troppo fragile, troppo a pezzi.
Il mio cuore comincia a rompersi, scrive alla fine di questa poesia. Forse era già in pezzi da molto tempo, forse aveva già sopportato abbastanza e non ce la faceva proprio più stringere i denti e tenersi tutto dentro. I suoi occhi azzurri come il cielo avevano perso la loro luce vitale, il suo sorriso non trasmetteva più quella voglia di vivere che ogni ragazza della sua età dovrebbe avere, non riusciva più a provare la gioia, a trovare un senso a tutto ciò che le stava accadendo.
Sono numerosi, molti più di quelli che pensiamo, i casi di giovani ragazzi vittime di atti di violenza fisica e psicologica spinti all’autolesionismo o, nei casi più estremi, come quello di Izzy, al suicidio.
Secondo una ricerca del Kings College di Londra, gli effetti del bullismo possono emergere anche a distanza di molto tempo, quando l’individuo in questione può aver raggiunto i quarantanni d’età e sembra aver metabolizzato il vissuto passato. Non solo costoro continuano a vivere in una bolla di bassa autostima che li renderà spesso incapaci di autorealizzarsi pienamente, ma inoltre avranno maggiori difficoltà a stabilire relazioni e a concretizzare la loro vita sociale.
Ci si nasconde, si cerca di diventare piccoli piccoli, si scompare dal mondo.
Così si sentiva Izzy. Così si sentono molti ragazzi oggi, terrorizzati dall’hate speech di chi li circonda.
L’hate speech, o discorso d’odio, è una forma di violenza che, sulla base della razza, del genere, dell’orientamento sessuale, religioso o politico, ha l’obbiettivo di attaccare la diversità. Così facendo, la vittima si sente annientata, immobilizzata e incapace di reagire di fronte a quella tempesta d’odio che le si scaglia contro, schiacciandola a terra. Chi usa la parola come mezzo d’attacco non solo fa leva sulla debolezza del diverso, le cui qualità non vengono considerate come fonte di arricchimento ma di isolamento e subordinazione, ma confonde quella che è la libertà di parola ed espressione con il libero uso della violenza verbale.
E così a pagarne le conseguenze sono delle giovani ragazze come Izzy, che si sentono impotenti di fronte a tuti coloro i quali si rifiutavano di conoscerla per com’era limitandosi a ferirla..senza capire che quelle parole, per lei, facevano male quanto molteplici coltellate al cuore.
Così come Izzy, molti altri ragazzi che sono quotidianamente vittima di violenza non riescono a trovare una soluzione alla violenza anche solo psicologica che gli viene inflitta. Sì, perchè spesso le parole fanno più male e lasciano ferite molto più profonde di una violenza fisica. Perchè la non accettazione a cui spesso molti sono soggetti è la causa principale di reazioni di autopunimento che possono arrivare ai limiti dell’immaginabile. Allo scuro di tutti. Di soppiatto..senza fare rumore.
Ormai invisibili, trasparenti.
Quando ci si ritrova a guaradre il vuoto dall’alto, la vita diventa troppo difficile da percorrere; troppo ardua è l’impresa di scalare quella ripida montagna che è il destino.
Camus, ne Il mito di Sisifo, nella parte finale, scrisse:

Lascio Sisifo ai piedi della montagna! Si ritrova sempre il proprio fardello. Ma Sisifo insegna la fedeltà superiore, che nega gli dei e solleva i macigni. Anch’egli giudica che tutto sia bene. Questo universo, ormai senza padrone, non gli appare sterile né futile […] Anche la lotta verso la cima basta a riempire il cuore di un uomo. Bisogna immaginare Sisifo felice.

Sisifo dimostra la straordinaria capacità di affrontare il suo destino infame, di voler lottare contro la vita e di salire quel monte giorno dopo giorno, malgrado le ripetute cadute.

Purtroppo a volte, tuttavia, la volontà di morte appare come l’unica soluzione, come ciò che fa anche solo un po’ meno male rispetto alle fratture e ai dolori della vita..farsi male per sentirsi meno “un peso”.

Sara Roggi

[Immagini tratte da Google Images]

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